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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Riforma e Controriforma

 

Cari amici, forse abuso della vostra pazienza se vi invio due contributi sulla riforma del sistema formativo:

a) una risposta del Preside Antonino Petrolino, membro del gruppo di lavoro per la "sburocratizzazione" (che orrenda parola! E, dato che è in un DM, assume anche una valenza giuridica!!!) alla mia indignazione propositiva dei primi giorni di novembre;

b) una mia ulteriore riflessione.

Gli Stati Generali si avvicinano e - vi confesso - sono molto preoccupato.

Maurizio Tiriticco


 

Caro Maurizio,

ho ricevuto i due testi di ieri, insieme - presumo - a tutti gli altri destinatari. Devo dire che sono rimasto sorpreso dal primo: conoscendo il tuo senso dell'umorismo e la capacità autoironica, ho stentato a riconoscerti. Molto più ti ho riconosciuto nel secondo.

Quanto al merito dei problemi che tu sollevi, vorrei formulare qualche riflessione ed una (modesta) proposta.

La tua indignazione nasce dalla prospettiva che la scelta del canale studio / lavoro venga anticipata a 11-12 anni, secondo il modello tedesco; ma si alimenta poi per l'attacco al modello di scuola media unificata, che tu consideri una conquista di civiltà  e di uguaglianza fra i cittadini non rinunciabile.

Concordo sul primo punto, mentre ho forti perplessità sul secondo. Una conquista civile e sociale si misura - laicamente - dai suoi risultati. A quarant'anni di distanza dalla riforma della scuola media, è difficile dirsi soddisfatti dei suoi esiti. Tutti coloro - ed io sono fra quelli - che hanno speso la propria vita nell'istruzione superiore (ed in particolare in quella tecnica e professionale, cui si rivolgono di preferenza i meno socialmente provveduti) sanno bene quali fossero e siano i livelli di impreparazione degli studenti appena licenziati e come i primi due anni fossero spesi in una faticosa quanto spesso vana opera di recupero dei fondamentali.

Di questo la scuola media unica non porta certo l'esclusiva responsabilità, ma non può neppure dirsi del tutto priva di colpe. Per cominciare, il primo errore risale al momento della sua concezione. E' stata pensata come il completamento dell'obbligo, con l'occhio rivolto ad un'Italia agricola e paleo-industriale che stava per sparire, travolta dalle trasformazioni socio-economiche. In quell'Italia solo pochi proseguivano gli studi: in quella in cui iniziava il suo percorso la scuola media unificata, la grande maggioranza lo ha fatto, poco importa se per scelta o per mancanza di alternative. Quella scuola non preparava alla prosecuzione degli studi: l'averla resa unica ha sì posto le condizioni di uguaglianza, ma nel senso di imporre a tutti un handicap di partenza, cui però alcuni - sempre gli stessi, quelli le cui famiglie si preoccupavano ed avevano i mezzi, prima di tutto culturali, per provvedere - potevano porre rimedio. Agli altri, ai più, quel rimedio doveva darlo la scuola, che invece aveva rinunciato a porselo come obiettivo.

Il secondo errore consiste nell'aver assegnato, a parole, a quella scuola funzione di orientamento, nel momento stesso in cui i suoi contenuti erano uguali per tutti e totalmente rigidi (ricordi l'abolizione dell'opzione di latino?). Come si vuole orientare verso una pluralità di percorsi - tutti caratterizzati da una forte presenza delle discipline - se quello offerto è di una affliggente banalità (quante "educazioni"!) e del tutto privo di curvature? Risultato: nessuno si sente veramente impegnato nell'orientamento, perché tanto tutto affoga in un brodino primordiale privo di sapore e di reali impegni culturali. Con i risultati che poi però si scontano dopo: ed alcuni - sempre gli stessi - li scontano più amaramente di altri.

No, caro Maurizio: permettimi di non versare lacrime sulla morte - per ora solo annunciata - della scuola media unica.

Altro è il discorso da fare sulla scelta precoce. Sono anch'io convinto che essa non sia oggi realisticamente possibile né utile: ma sono anche convinto che questo è il risultato della disabitudine a scegliere e ad assumere le responsabilità delle scelte. Abbiamo cresciuto una generazione di ragazzi - ma, ahimè, anche di genitori - che non vuole e non sa scegliere, perché non ha le idee chiare su nulla e perché le alternative che le vengono proposte sono tutte altrettanto indistinte e confuse, prive di identità. L'identità - orrore! - comporta differenza. Allora, si rimuovano le differenze dall'interno della scuola; che importa se così si lasciano più forti e senza possibilità di superarle con strumenti culturali quelle che continuano a persistere ed operare nella vita?

Per essere franco, non mi persuade del tutto neppure il  "modello duale" generalizzato che tu proponi per l'istruzione superiore. Certo, è seducente nella sua apparente molteplicità. Io però continuo a chiedermi se sia utile che finalità diverse - diverse per necessità, non per scelta, così come diversa è la vita e diversi sono i lavori che vi si svolgono - vengano perseguiti con strumenti indifferenziati. Insomma: il processo di astrazione e generalizzazione proprio del modello liceale non è casuale né indifferente rispetto agli esiti che si vogliono raggiungere, così come non lo è il processo inverso che passa attraverso l'esperienza e la manipolazione degli oggetti. E dunque ben vengano entrambi, ma ciascuno all'interno di un progetto formativo coerente e non di un sincretismo di innegabile potere seduttivo, ma di incerta coerenza pedagogica.

Ti avevo preannunciato una modesta proposta. Eccola.

Io vedo con favore che gli ultimi due anni della scuola siano spesi nell' "orientamento": ma in un orientamento diverso dal brodino primordiale attualmente somministrato e diverso anche dalla separazione rigida dei canali che tu paventi e che mi trova anch'essa in disaccordo. Perché non pensare a quattro "quadrimestri", articolari intorno ad un zoccolo comune minimo (ma minimo veramente: Italiano, Matematica, Tecnologia, una Lingua) affiancato da un modulo fortemente connotato - di volta in volta - verso un'area ben individuata. Tanto per non reinventare l'acqua calda: un quadrimestre fortemente umanistico, uno fortemente scientifico-tecnologico, uno fortemente artistico-espressivo, uno fortemente manipolativo. Tutti dovrebbero frequentare tutti e quattro i moduli in sequenza: e così, caro Maurizio, avremmo fatto salvo il carattere di unicità. Ma, al termine, sapremmo veramente qualcosa di più sulle possibilità di ciascuno di proseguire gli studi o le attività di formazione in una direzione piuttosto che nell'altra. E' solo di fronte alle situazioni vere, con il loro carico di difficoltà ed anche di fallimenti, che le persone si rivelano a se stesse e crescono: e solo crescendo possono orientarsi ed essere orientate. L'infanzia prolungata dall'assenza di prove impegnative non aiuta nessuno.

Un corollario, visto che mi sono messo su una strada pericolosa. Io sono del parere che l'orientamento sia una cosa troppo seria per lasciarla fare solo alla scuola. A parte le considerazioni mille volte fatte sull'incompetenza psicologica o tecnica di molti insegnanti che - del tutto legittimamente - non hanno studiato per questo compito, c'è un'altra considerazione che mi sembra non banale. Gli insegnanti possono orientare solo a ciò che conoscono, cioè al modello formativo interno alla scuola: non conoscendo il mondo della formazione professionale, né quello dell'apprendistato (non chiamiamolo lavoro), come possono realmente capire se Pierino o Francesca possono meglio esprimersi in uno di quelli? e come possono individuare e presentare opportunità delle quali, il più delle volte, ignorano persino l'esistenza? No, l'orientamento deve essere fatto a più voci ed in più sedi, coinvolgendo le realtà formative e produttive territoriali in un rapporto di piena ed effettiva parità con le scuole. Questo rapporto deve essere concretamente incardinato in una struttura mista, cui deve essere affidato il compito di formulare il giudizio finale di orientamento, alla luce dei quattro quadrimestri (nella realizzazione dei quali non sarebbe male coinvolgere i soggetti esterni di volta in volta rilevanti) e dei colloqui obbligatori che le famiglie e gli studenti dovrebbero svolgere nell'arco dei due anni.

Ma questo giudizio, una volta formulato, dovrebbe diventare vincolante. Sì, caro Maurizio, vincolante. Non è lesivo della libertà e dell'eguaglianza dei cittadini che chi ha la scienza e la conoscenza necessarie orienti veramente, non solo con consigli non impegnativi e quindi non meditati, chi ha bisogno di essere guidato. L'orientamento vincolante vincolerebbe in primo luogo gli orientatori a non formulare giudizi avventati, di cui dovrebbero assumere piena ed intera la responsabilità. Poi, certo, si può sempre pensare ad una possibilità di appello ad un organo di garanzia, per chi non si ritenesse soddisfatto della prima indicazione. Poi, certo, si può pensare ai passaggi assistiti da un canale all'altro attraverso un serio sistema di certificazione dei crediti e delle competenze. Ma non ci prendiamo in giro, Maurizio: almeno non fra di noi. Quanti giovani hai visto cambiare indirizzo con successo nella tua carriera? qualche decina (forse?). E quanti ne hai visti sprofondare nella palude della demotivazione e della dispersione solo perché nessuno si è preso in tempo la responsabilità di dire loro chiaramente: questa scelta non fa per te? molte migliaia di certo. Le eccezioni esistono e vanno gestite come tali: ma i sistemi vanno costruiti intorno alla fisiologia.

Volevo esser breve: non ci sono riuscito. Tenevo a raccogliere la tua provocazione ed il tuo invito, per l'amicizia e la stima che ti ho sempre portato. Non me ne volere se non siamo questa volta d'accordo. Ti abbraccio.

Antonino Petrolino


* Seconda articolazione di una proposta contro la "controriforma" dell’attuale amministrazione, di Maurizio Tiriticco

* In risposta alla lettera del preside Antonino Petrolino, (lettera che apprezzo e che per certi versi condivido)

 

1. Ha ragione Petrolino quando dice che la scuola media è stata pensata a suo tempo come il completamento dell’obbligo con l’occhio rivolto ad un’Italia agricola e paleo-industriale, e la sua unicità ed egualitarismo finivano di fatto con il costituire un handicap di partenza per molti. Il primo concorso che vinsi fu quello della scuola media e, dopo tutte le battaglie della fine degli anni Cinquanta, ero ben felice di tradurre in atto le mie attese (mi ero illuso che nel giro di qualche anno l’analfabetismo di sempre sarebbe stato definitivamente battuto!) e quelle di tutti i riformatori! Ma, nonostante la mia buona volontà, mi ritrovai a bocciare! Non avevo – non avevamo capito – che non era sufficiente aprire la scuola a tutti perché tutti ne potessero fruire: dovevamo in primo luogo cambiare la scuola ed anche i suoi insegnanti, compreso un Tiriticco che, anche se era di sinistra, non poteva sottrarsi agli ingranaggi di un sistema! Ma negli anni Cinquanta il nesso tra l’organizzazione della didattica (come cominciavano a dire i pedagogisti!) e il successo "effettivo" della sua azione non era stato ancora colto: il "grande" problema – lo voglio ricordare – era quello del "latino sì, latino no", quando invece le discriminanti erano altre ed altrove. Ma lo abbiamo capito molto più tardi (io almeno)!

2. E vi era un secondo limite: la scuola che avrebbe dovuto orientare, di fatto, per la sua rigidità, non riusciva a farlo! E c’è di più! Che questa scuola costituiva pur sempre il primo grado della scuola secondaria: e ciò venne ribadito chiaramente nei Programmi del ’79! Chiaramente, né Don Milani (la sua Lettera è del ’67!) né il ’68 avevano, "ci avevano" – mi ci metto anch’io! – insegnato nulla in proposito! In tal modo, la rigidità veniva sancita per legge! Legare una scuola, che doveva essere "formativa e orientativa" (quanti convegni e aggiornamenti, negli anni successivi, su questo tema!), a percorsi ulteriori, e non considerarla invece pienamente autonoma nelle sue scelte e nelle sue finalità formative/orientative fu un grande errore. E lo stesso esame finale costituiva più un esame di ammissione al secondo grado che non la conclusione di un corso di studi obbligatorio. E quei giudizi falsamente orientativi ("si consigliano gli studi classici", "si consiglia il lavoro o la formazione professionale"!) hanno costellato migliaia di diplomi di licenza! Di qui il mio pallino su di un esame conclusivo (di cui non si può fare a meno per via del precetto costituzionale – articolo 33, c. 5) che sia fondato su di una seria CERTIFICAZIONE, con cui si dichiara senza giudizi di valore (basta con una valutazione in cui si parte sempre dal "non"!) quello che Antonio e Maria sanno e sanno fare (il tutto in relazione a standard dei quali si attende sempre una stesura che, ovviamente, dovrebbe essere aggiornata anno dopo anno, data l’evoluzione delle conoscenze e delle competenze di base).

3. Comunque, non dimentichiamo che, qualsiasi soluzione si trovi, anche la più avanzata sul piano della "organizzazione della didattica", la scuola non può mai sottrarsi in assoluto ai condizionamenti socioeconomici e culturali. Non sono un illuminista e so bene che le strutture pesano sempre fortemente sulle sovrastrutture (sono forse un incallito marxiano!?). Pertanto, la formazione dell’uomo, del cittadino/lavoratore o chessoio (tutta la storia dei saperi minimi, della educazione alla legalità, e così via) non avrà mai in assoluto una soluzione definitiva anche con una scuola perfettamente costruita!

4. E’ necessario allora un orientamento reale – come sostiene Petrolino – che non sia affidato solo alla scuola e ai suoi insegnanti, ma che si avvalga anche e soprattutto di contributi esterni, e che si fondi anche su una pluralità di opzioni formative all’interno del percorso obbligatorio dell’ultimo triennio (11-14 anni di età). Le scuole con la loro autonomia e con i "curricoli integrati" dovrebbero operare e scegliere in tal senso. Un corollario esplicativo. Sono contrario alla ipotesi (anche se è norma: è nel DPR 275/99) di un curricolo "locale" che dovrebbe essere aggiunto e sommato ad un curricolo "nazionale"; è di qui che nasce la questione tanto dibattuta dagli amici delle commissioni per i cicli: quale percentuale? Il 15%? Il 20%? O il 10%? O il 30%? Su questa strada si cadrebbe in una dilemma assurdo e fuorviante, analogo a quello degli anni Cinquanta, del "latino sì, latino no"!!! Per "curricolo integrato" intendo quel percorso che la scuola autonoma costruisce con il suo POF, interpretando ed integrando, appunto, originalmente le indicazioni nazionali, che di anno in anno verranno fornite al sistema di istruzione, in ordine alle emergenze e le attese "altre", che possono essere espressione del territorio, ma non necessariamente miopi e ghettizzanti (si tratterebbe sempre di un "locale" che sa vedere in una prospettiva aperta, anche transnazionale: ormai il mondo è piccolo e, grazie alle tecnologie avanzate, il lontano e il vicino hanno la stessa distanza, anche se virtuale!).

5. Sono per l’ipotesi di un obbligo verticale e progressivo che vada dal terzo anno della scuola per l’infanzia (l’obbligatorietà di questo terzo anno non dovrebbe essere opzionale, per non dar luogo a successivi pasticci; e la scuola dell’infanzia dovrebbe sempre conservare la sua autonomia senza "primine" di sorta!) fino al terzo anno della attuale media rinnovata, o, comunque, fino ai 14 anni di età, anche sulla scorta delle preziose esperienze degli istituti verticali. Sarebbero 9 anni di obbligo di istruzione (e non 10, come prevede la Legge 9/99, art. 1, c. 1, che andrebbe emendata. E si dovrebbe emendare anche la Legge 30/2000, art. 1, c. 3, che prevede l’obbligo dai 6 ai 15 anni, anche se novennale in via provvisoria). Pertanto, allungherei all’indietro – se si può dir così – l’obbligo di istruzione in quanto perdiamo in avanti un anno nella secondaria, e rimarrei sui 9 in quanto l’obbligo formativo fino ai 18 anni di età (come è indicato dall’articolo 68 della Legge 144/99) ci garantisce sempre che i giovani apprendano, si formino e si orientino. Tredici anni di obbligo effettivo dovrebbero essere sufficienti! E va anche considerato che vi sono anche gli scorrimenti orizzontali, le uscite e i rientri nel sistema formativo, la formazione continua, ecc.

6. Io vedrei un percorso unitario infanzia ed elementari (un primo livello di una nuova scuola di base) e l’avvio di un’offerta formativa plurima ed orientativa (non la chiamerei una offerta differenziata) in tutto intero il triennio della scuola media (il secondo livello della nuova scuola di base) e non solo negli ultimi due anni (potremmo anche cambiare i nomi delle tre scuole, ora penso solo alla sostanza dei percorsi). Ma l’offerta deve riguardare tutti gli alunni e non deve essere condizionata da una scelta irrevocabile che l’alunno dovrebbe compiere al compimento dei 12 anni, come viene proposto dall’attuale amministrazione! La scelta verrà effettuata alla fine dell’obbligo di istruzione, anche e soprattutto in ordine a quanto dichiarato nella CERTIFICAZIONE. Questa potrebbe costituire un vincolo per il proseguimento degli studi!? Non so!? Ragionerei ancora su questo punto: un vincolo in assoluto colluderebbe pur sempre con la libera scelta dei soggetti coinvolti (alunni e famiglie). E si deve anche pensare come e quanto un quattordicenne potrebbe esprimersi al meglio dopo qualche tempo in sede di follow up, anche indipendentemente dal bollino rosso o blu formulato da un consiglio di classe.

7. Il preside Petrolino avanza per il biennio terminale (facendo propria l’ultima proposta dell’amministrazione) la seguente ipotesi: "Perché non pensare a quattro quadrimestri, articolati intorno ad uno zoccolo comune minimo (ma minimo veramente: Italiano, Matematica, Tecnologia, una Lingua) affiancato da un modulo fortemente connotato – di volta in volta – verso un’area ben individuata. Tanto per non reinventare l’acqua calda: un quadrimestre fortemente umanistico, uno fortemente scientifico-tecnologico, uno fortemente artistico-epressivo, uno fortemente manipolativo. Tutti dovrebbero frequentare tutti e quattro i moduli in sequenza: e così avremmo fatto salvo il carattere di unicità. Ma al termine sapremmo veramente qualcosa di più sulle possibilità di ciascuno". Mi viene subito da rispondere: e perché non sei quadrimestri? E perché non investire così tutto il triennio della media? E perché in SUCCESSIONE e non invece, in PARALLELO? Ed ancora: perché solo quattro opzioni e non dieci o venti? Queste non vogliono essere delle battute! Intendo solo sottolineare il fatto che questo è un punto evidentemente molto critico e temerei molto qualsiasi forma di irrigidimento. Io chiamerei questo triennio "medio" proprio in quanto segna il passaggio da un apprendimento di base largamente comune (il leggere, scrivere e far di conto – se si vuole – con tutti gli arricchimenti teorici e didattici che se ne possono fare, certamente) ad apprendimenti individualizzati, o meglio ad attività di ricerca ed esplorazione delle personali vocazioni (e qui l’aggio con i condizionamenti sociali, come si sa, è sempre molto forte, né la scuola da sola è in grado di farvi fronte). E su questo triennio l’autonomia delle scuole potrebbe e dovrebbe fare molto, e la professionalità dei docenti dovrebbe essere veramente di grande levatura. Nelle scuole autonome si dovrebbe dar vita a gruppi di alunni che percorrano moduli progettati ad hoc per la formazione e l’orientamento nonché per quella che il pedagogista chiama "discriminazione positiva". Occorre dire basta alle classi di età che irrigidiscono i percorsi e sono funzionali al sistema promozione/bocciatura che, invece, dovrebbe essere superato, grazie a scorrimenti orizzontali e verticali di rinforzo e/o di recupero, anche indipendentemente dai livelli di età; tali scorrimenti permetterebbero anche di valorizzare i talenti ed aiutare gli alunni più deboli! Ovviamente occorre anche preoccuparsi del fatto che, ai fini dello sviluppo della identità personale di ciascuno e dell’accettazione dell’altro, è sempre necessario che il preadolescente abbia un gruppo di riferimento

8. A tal fine, è necessario che la formazione iniziale e continua dei docenti di questo grado di scuola – o, comunque di questo triennio orientativo/formativo – sia assolutamente particolare. La conoscenza della disciplina di insegnamento non può prescindere dalla conoscenza di come effettuare tutti gli eventuali raccordi pluridisciplinari; la competenza nella progettazione di moduli e nella loro valutazione deve essere di primo ordine; ed ancora, il docente deve essere anche capace di ritrovare e "utilizzare" quelle valenze professionali che siano in grado di fargli ricercare quell’orientamento dall’esterno che giustamente il preside Petrolino considera assolutamente necessario. E sarà anche necessario che, dato che la scuola non è in grado – per la sua natura sovrastrutturale – di far fronte ai condizionamenti esterni di natura socioeconomica, si provvedesse a che il sistema dei servizi sociali funzionasse effettivamente. So anche che la questione è a monte: che non dovrebbero esistere né disoccupazione né miseria né fame! Ma, al di là delle utopie, adoperiamoci perché la scuola dia sempre il meglio di sé!

9. Per quanto riguarda la secondarietà degli studi, sono per le quattro aree della Legge 30/2000 e non vorrei proprio che la formazione professionale regionale fosse considerata e fosse una sorta di ultima spiaggia. Non c’è formazione, oggi, in una società complessa ed avanzata, che non necessiti anche di un retroterra teorico di un certo spessore. Tutto il Progetto 92 – come è noto – ha mirato a questo (ed io ci ho lavorato!): non c’è un sarto, un parrucchiere o un cuoco che non necessiti anche di sapere oggi e sempre più domani "qualcosa di più" circa un capo di abbigliamento, una acconciatura, una ricetta (sono ormai tanti anni che diciamo che la cultura non è soltanto conoscere la critica kantiana, ma che la cultura è tutto, anche sapere stirare una camicia!). Insomma, vorrei che tutto il sistema di istruzione vedesse una reale integrazione (sono anni che parliamo di sistema formativo integrato!) tra gli ISA (gli istituti scolastici autonomi) statali e paritari, i centri di formazione professionale degli enti e delle regioni, il sistema dell’istruzione tecnica superiore e i trienni universitari della lauree "brevi". Tutto il sistema di istruzione è culturale e professionale insieme, se è vero che la separazione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale è un qualcosa che in gran parte è stato liquidato ma che in buona parte costituisce ancora una FINALITA’/OBIETTIVO da perseguire. Insomma, ad una ipotesi di sistema duale verticale, occorre opporre con forza quella di un dualismo orizzontale. Ricorro a qualche esempio. Chi studia nell'area classico-umanistica alternerà la sua formazione con percorsi in case editrici, quotidiani, librerie, biblioteche, istituti universitari, musei, iniziative culturali, convegni, studi di avvocati o di architetti o chessoio! Chi studia nelle altre aree accederà a settori del mondo del lavoro corrispondenti. Ma il tutto senza compartimenti stagni! D'altro canto, al giovane impegnato nell'apprendistato e/o nel mondo del lavoro deve essere garantita la possibilità di accedere ad altre istanze formative e culturali (perché per tutta la vita non rimangano prigionieri della Roma o del Chievo!).

Come si vede, riciccia sempre il mio idealismo di sempre (anche se ha radici materialistiche… molto volgari e poco storiche… e dialettiche)!

Maurizio Tiriticco


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