QUALE "MISSION" PER LA SCUOLA?

di Stefano Lo Re
Amministratore delegato BUSINESS PROJECT

Chi scrive è il responsabile di una società che si occupa di pianificazione aziendale e quindi della costruzione di modelli che meglio possano adattarsi a progetti innovativi e di sviluppo.

Un po' per lavoro (ho collaborato a curare alcuni progetti IFTS), un po' per passione (mia moglie è un'insegnante molto attaccata al suo lavoro ed è riuscita a trasmettere anche a me il suo entusiasmo), un po' per dovere di padre in quest'ultimo anno sono stato molto vicino ed attento ai problemi della scuola rilevando, a volte, incongruità, approssimazione (non me ne vogliano gli insegnanti ma mi riferisco ai criteri organizzativi) e contraddizioni tra la tendenza che si è innescata per favorire il processo di modernizzazione e quello che in realtà succede nelle scuole.

Di certo la mia esperienza è limitata a pochi casi e forse la mia visione delle cose è un po' condizionata dalle evidenze che ho potuto riscontrare ma credo, leggendo qua e là e dalle esperienze professionali dirette, che il quadro complessivo, soprattutto nell'area in cui vivo, non sia molto diverso tra le diverse istituzioni scolastiche. 

Nonostante la mia diversa estrazione professionale desidero esprimere ugualmente qualche considerazione sull'argomento che forse potrà servire da tema di discussione convinto come sono che alcuni fondamentali principi di "gestione" possano poi essere adattati a qualunque attività.

Nei mesi trascorsi spesso mi sono ritrovato a cercare di comprendere i mutamenti che sono in atto nell'istituzione scolastica ma anche a riflettere su come sia radicalmente modificato l' "oggetto" cui si rivolge l'istruzione (che sono poi i nostri ragazzi), su cosa sia stato fatto per innovare, su come gli insegnanti abbiano reagito alle novità con le nuove direttive in termini di autonomia (organizzativa e didattica); mi sono calato insomma nelle problematiche della scuola con l'occhio esterno di chi è abituato ad analizzare situazioni aziendali delle più svariate ed a suggerire modelli mirati al raggiungimento dell'obiettivo finale che è poi quello di raggiungere risultati predefiniti e che poi questi coincidano con la "mission" che ciascuna azienda si è data. 

In realtà la componente Istituzionale della scuola ha raggiunto la sua "mission" allorquando ha sottoscritto il nuovo contratto, ha varato le disposizioni sull'autonomia, ha provveduto ad innalzare l'età dell'obbligo scolastico, ha provveduto a riformare l'esame di Stato ed infine ha modificato, con il suo riordino, i cicli scolastici nel momento in cui, in sostanza, ha portato a definizione tutti quegli aspetti normativi ed amministrativi necessari per attuare i cambiamenti che si era prefissa di realizzare.

Ed in questo è d'obbligo rilevare la coerenza con gli impegni assunti ed il rispetto dei tempi previsti compatibilmente con le procedure parlamentari di esame ed approvazione dei rispettivi provvedimenti.

Si tratta di capire adesso se quanto delineato con le riforme di legge ha trovato pronta ed adeguata applicazione nella componente che possiamo definire "operativa" dell'istituzione stessa.

Di fatto però le due componenti che ho definito "istituzionale" ed "operativa" debbono operare con obiettivi convergenti e la loro azione, per rendersi efficace, deve essere sinergica.

Mi ha stimolato moltissimo l'articolo pubblicato dal Prof. D'AVOLIO su Educazione&Scuola in merito appunto alle considerazioni che ho appena espresso ed in particolare sul ruolo che gli insegnanti hanno assunto in questo primo anno di sperimentazione.

Dalle considerazioni sul quanto fatto passerò a quanto, a mio modesto parere, sarebbe da farsi per consentire che questa prima fase transitoria (e, al momento, di incertezze...) duri il meno possibile e diventi propedeutica per un reale cambiamento.

Autonomia certo, ma come realizzarla nella pratica ? E quali sono i rischi per una sua mancata o distorta applicazione?

Il Prof. D'AVOLIO ha puntato il dito sulla "progettualita" che è secondo me il nodo centrale dei problemi di cui si discute.

All'interno delle singole istituzioni possono pure esistere soggetti in grado di articolare progetti per l'ampliamento dell'offerta formativa o per la rimodulazione del curriculo ma non è solo questo che si richiede di realizzare con un processo che mira a rendere autonoma un'organizzazione che fino a qualche mese addietro pendeva dalle direttive ministeriali.

Servono idonee competenze amministrative e di pianificazione "aziendale" per far sì che le risorse economiche siano adeguatamente predisposte ed alla fine risultino rispondenti alle progettazioni poste in cantiere con le attività didattiche; e serve pure che queste attività debbano essere correttamente suddivise per ambiti, cooordinate e monitorate con una attenta verifica sulla rispondenza dei risultati rispetto agli obiettivi prefissati nel rispetto di un piano che individui una strategia da perseguire nel tempo; ed ancora che tra le risorse umane (mi riferisco ai docenti) vengano opportunamente individuati, formati, stimolati e valorizzati quei soggetti che alla fine risulteranno essere quelli più idonei ad assumere i ruoli di responsabilità, all'interno delle singole istituzioni, e che contribuiranno a "creare" la scuola dell'autonomia; e che in tutti questi processi non vengano mai dimenticati gli alunni che spesso sono divenuti soggetti "ricettori passivi" (a volte nemmeno questo) di una didattica tradizionale e non "attivi partecipatori" al loro processo di formazione; ed infine serve che tutto questo venga ricondotto ad un quadro formativo più ampio e coerente a favore degli alunni che renda efficace l'azione di ogni singolo ciclo scolastico con l'applicazione di una rinnovata flessibilità nello svolgimento dell'orario scolastico, organizzando sempre più frequentemente didattica in forma multidisciplinare, innovando la didattica alla luce dei nuovi supporti teconologici.

Ecco tutto questo rappresenta la "mission" che ogni istituzione scolastica dovrebbe perseguire.

Ma è possibile e corretto delegare tutto questo, tout cour, alla singola scuola correndo il rischio che, senza un'adeguata impostazione dei criteri generali da seguire, solo una parte di tutto questo venga realizzato?

E gli insegnanti sono sufficientemente motivati sotto l'aspetto economico e di carriera ad impegnarsi nella realizzazione di tale difficoltoso cammino? Come saranno individuate le risorse più idonee a svolgere mansioni di programmazione? Quale sarà il percorso di formazione che dovranno seguire per raggiungere gli standard minimi per lo svolgimento di funzioni più complesse?

Ed è giusto che, nell'ipotesi esistesse una scuola in possesso delle risorse umane adeguate a mettere in moto coerentemente tale processo, dei risultati debba godere solo l'utenza di quella scuola?

Alla fine il diritto all'istruzione non sarebbe più uguale per tutti bensì diverrebbe un privilegio per pochi "fortunati" .

Si potrà obiettare: ma la scuola non è un'azienda che deve rispettare rigidi parametri di produzione e pertanto ogni realtà è giusto si organizzi secondo criteri non standardizzati (o forse sarebbe più corretto dire, allo stato attuale delle cose, ... " come può").

Ma anche se questo è vero nel senso che la parte più importante della sua attività, la didattica appunto, è inevitabilmente delegata alla preparazione, sensibilità e capacità di ogni singolo docente che fornisce un'impronta unica ed irrepetibile nello svolgimento del suo lavoro, la mancanza però di "tracce" lungo un ideale percorso da seguire lascia ogni singola istituzione scolastica in una condizione di "anarchia" (nel senso letterale del termine e nella sua accezione più nobile) che potrebbe però determinare squilibri e scarsa omogeneità nell'offerta formativa, per esempio, nell'ambito di uno stesso circondario che vive problematiche simili o, peggio, all'interno della stessa istituzione scolastica.

E come è possibile ricondurre ad uno standard qualitativo minimo di "produttività" il lavoro che ogni scuola dovrebbe svolgere, magari con impegno e fantasia, senza avere alla base un riferimento, un parametro cui confrontarsi?

Certamente l'intuizione di introdurre figure quali le funzioni-obiettivo ha determinato una svolta importante soprattutto quando ha individuato quelle "figure di sistema" che hanno potuto in qualche modo svolgere un ruolo di programmazione e coordinamento.

Ma anche qui, con quale metodo?
Quale formazione hanno ricevuto le funzioni-obiettivo per assolvere al meglio i loro incarichi?
E non è forse sbagliato che molti abbiano ricevuto una pseudo-formazione a conclusione dell'anno scolastico ed in molti casi perfino in coincidenza con lo svolgimento degli esami? 
Ed il personale delegato a questa formazione con quale criterio è stato selezionato e quale preparazione specifica aveva ricevuto prima di confrontarsi con i colleghi?
Quale valore aggiunto è riuscito a trasmettere? 
Ed ancora, è corretto che le funzioni-obiettivo vengano prescelte secondo esclusive indicazioni fornite dal Collegio dei Docenti e non già anche attraverso parametri oggettivi minimi definiti e validi per tutto il territorio nazionale? 
Ed infine (parlo di soldi cosciente di suscitare qualche rimostranza) è adeguata per queste figure una remunerazione di 3 milioni lordi per lo svolgimento, io ho calcolato, di 200 ore di lavoro aggiuntivo in 10 mesi peraltro non computabile ai fini pensionistici?

Le risposte a tutte queste domande che ho ricevuto dall'evidenza da me riscontrata fanno emergere forti perplessità sul reale utilizzo di un criterio mirato all'innalzamento qualitativo del sistema scolastico.

In fondo oggi, a tutti i livelli ed in tutti i settori, si chiede il raggiungimento di elevati standard di qualità.

Certo non è semplice che un'organizzazione quale quella della scuola raggiunga presto e bene livelli di eccellenza per tutti i 750.000 docenti su cui può contare ma non è nemmeno pensabile la si possa raggiungere con gli strumenti ed i metodi finora adottati.

Nè tanto meno credo si possa contare su personale degli ex-Provveditorati o, oggi, dei Nuclei dell'Autonomia: mia moglie mi riferisce che in quindici anni di servizio pochissime sono state le occasioni di incontro e in sostanza poco si conosce sui compiti che tali soggetti sono chiamati ad assolvere (a conferma di uno scollamento di comunicazione tra la parte "istituzionale" e quella "operativa" della scuola).

E' necessario quindi, per ragioni di "vicinanza e sensibilità" ai problemi, attivare un processo di selezione, con criteri oggettivi, tra gli insegnanti, di predisporre per loro un piano formativo e quindi di istituzionalizzare delle figure professionali, meglio se a livello distrettuale, con il preciso compito di accelerare e diffondere tra i Colleghi quella cultura dell'innovazione a cui tanti sforzi sono stati dedicati in fase progettuale, di rendere consapevoli tutte le componenti della scuola dei processi in atto e soprattutto di essere in grado di far loro accettare e condividere nuove metodologie didattiche. 

Si tratterebbe quindi di creare quel tessuto di raccordo, in loco, tra l'Istituzione scolastica centrale e le singole scuole attraverso soggetti con comprovata esperienza di insegnamento ma dotati, grazie ad uno specifico percorso formativo loro dedicato, di una più ampia visione delle problematiche attuali ed in grado pertanto di intervenire con maggiore naturalezza (ed in conseguenza di ciò ritengo con maggiore autorevolezza) nel percorso innovativo delineato.

Queste figure dovrebbero in una prima fase rapportarsi con i dirigenti scolastici e con le funzioni obiettivo al fine di concordare azioni di carattere generale oggettivamente necessarie per un progressivo adeguamento al "nuovo", per porre successivamente le basi per una dinamica di rapporti volti alla riqualificazione dell' "ambiente" di lavoro e per pianificare azioni di supporto ad una prima introduzione dei nuovi metodi e processi.

Tale attività dovrà poi essere gradualmente estesa a tutti i Colleghi con una specifica azione formativa.

Chi fosse delegato a ricoprire tale ruolo dovrebbe essere inquadrato al primo grado dirigenziale e potrebbe rappresentare, nel tempo, il naturale ricambio agli attuali dirigenti scolastici; in questa ipotesi la loro funzione verrebbe ad essere sostituita da chi avesse già ricoperto l'incarico di funzione-obiettivo che libererebbe pertanto questo ruolo a favore di colleghi che, nel frattempo motivati e formati, troverebbero spazio per iniziare un percorso di crescita professionale.

Tutto ciò altro non è che il modo per poter introdurre anche nel mondo della scuola un sistema incentivante e di carriera.

Ritengo che interventi simili debbano essere attuati con estrema celerità poiché si corre il rischio che, con il passar del tempo, molti dei contenuti di questo processo riformatore si diluiscano e che dirigenti scolastici ed insegnanti, presi dai problemi del quotidiano, trascurino la sistematica applicazione di quei criteri operativi che possono portare a definizione il processo innovativo avviato con queste ultime riforme.

Concordo perfettamente con le considerazioni del Prof. D'AVOLIO in merito all'opportunità di sgravare le funzioni-obiettivo di parte del loro monte-ore onde poter concentrare l'attività per così dire di "progettisti" all'interno del normale orario scolastico al fine di poter essere fisicamente presenti ed a contatto con il dirigente scolastico e con i colleghi.

Per non vanificare però i contenuti delle loro ore di insegnamento è opportuno che tali docenti dispongano di orari scolastici che evitino la dispersione della propria presenza in molte classi e che vengano utilizzati a supporto dello svolgimento di progetti innovativi per la didattica.

Qualche altra considerazione mi sento di esprimere in merito all'annoso e dibattuto problema della remunerazione degli insegnanti.

Ho seguito quanto accaduto in occasione della proposta di aumento degli stipendi per una parte degli insegnanti, il cosiddetto "concorsone", e ciò mi ha lasciato fortemente perplesso allorquando, in particolare, una consistente parte delle rappresentanze sindacali ed un numero significativo di insegnanti hanno sostenuto, in buona sostanza, che fosse inaccettabile la condizione che gli aumenti fossero destinati solo a quei docenti cui fosse oggettivamente riconoscibile una maggiore capacità e competenza nello svolgimento del proprio lavoro affermando e ribadendo così il principio dell'uguaglianza del "ruolo".

Ma dove erano i sindacati quando è stato sottoscritto il nuovo Contratto Collettivo?

E' stato pienamente compreso che quanto si andava delineando era rivolto nella direzione del riconoscimento del "merito"? (mettiamo da parte l'aspetto dei criteri di valutazione che, comunque, sempre ad una selezione dovranno portare)

E come intendono si valorizzino quelle risorse (non possiamo nasconderlo, esistono per fortuna pure nella scuola) che, con l'applicazione dell'autonomia, inevitabilmente emergeranno rispetto ad altre e che, quindi, è corretto assumano ruoli di maggiore responsabilità e con una diversa remunerazione?

E chi, pur avendone le capacità, senza un adeguato riconoscimento in termini di gratificazione professionale ed economica, dedicherà il suo tempo ed il suo impegno più delle 18 ore previste?

E' vero che gli stipendi degli insegnanti sono sicuramente inadeguati ed è auspicabile che quindi l'Amministrazione Centrale faccia uno sforzo economico per equipararli, e per tutti, al ruolo di grande responsabilità sociale che la funzione svolge ma ciò non deve precludere la possibilità (direi meglio... la necessità) di prevedere forme di incentivazione che differenzino le retribuzioni in relazione ai ruoli ed alle funzioni utili all'attuazione del processo dell'autonomia, come sopra accennato, anche e soprattutto nella prospettiva di prevedere (e perché no pure per gli insegnanti) degli avanzamenti di carriera e di stipendio legate al merito e non già solo all'anzianità.

Tutto ciò non denigrerebbe affatto la figura del docente ma fungerebbe da naturale stimolo al raggiungimento di gratificazioni professionali senza per questo dover necessariamente significare istigazione volta a creare tensioni all'interno della categoria.

Sì, la Scuola deve perseguire la sua "mission" e può concretamente raggiungerla a patto che vengano abbandonate quelle remore che hanno poi differenziato, nel recente passato, l'evoluzione raggiunta dalle strutture organizzative di tipo privato (o privatizzate) rispetto a quelle pubbliche fermo ed inderogabile l'intento di mantenere e fortificare quella funzione di "servizio" che va erogato senza discriminazioni.