La Costituzione italiana del 1948, redatta dall’Assemblea Costituente alla cui elezione avevano partecipato anche le donne, afferma il principio dell’uguaglianza giuridica di tutti i cittadini, «senza distinzioni di sesso, di razza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» (articolo 3). La struttura della famiglia, afferma la Costituzione, si fonda sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, i quali hanno pari dignità e gli stessi diritti e doveri, primo fra tutti quello di «mantenere, istruire ed educare i figli». Perché si potessero attuare questi principi era necessaria una riforma radicale del codice civile approvato nel 1942 dal regime fascista e improntato al principio della supremazia del capo famiglia, al quale soltanto si riconosceva la potestà sui figli. Non fu facile riformare quegli articoli del codice e bisogna aspettare il 1975 perché la figura del capo famiglia venga eliminata e sia fatto valere il principio costituzionale dell’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi. Negli anni Settanta si attuarono altre significative riforme nel campo dei diritti civili delle donne:
· la legge sul divorzio (1970)
· la tutela delle lavoratrici madri (1971)
· l’istituzione dei consultori familiari (1975)
· la legge sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di
lavoro (1977)
· la legge sull’interruzione di gravidanza (1978).
Una volta acquisita sul piano giuridico la parità
delle donne, si trattava di garantire che questa venisse anche praticamente
attuata. Le abitudini culturali e i modelli di comportamento in vigore nella
società sono infatti talmente radicati che la parità dichiarata per legge
rischiava di rimanere solo sulla carta. Non basta una legge per superare la
tradizionale divisione , basata sul sesso, dei ruoli e dei compiti
all’interno della famiglia, divisione per cui la donna deve continuare ad
occuparsi da sola della casa e dei figli anche quando svolge un’attività
lavorativa. La stessa cosa va detta per quanto riguarda l’ingresso delle
donne in attività e carriere tradizionalmente maschili, si pensi soltanto
all’attività politica e al numero ancora molto basso di donne presenti nei
parlamenti e nei governi. Per correggere queste distorsioni viene introdotto
il concetto di pari opportunità e di azioni positive, come la legge del 1991
sulle «azioni
positive per realizzare la parità uomo-donna nel lavoro»
che istituisce corsi di orientamento e qualificazione professionale per le
donne, stabilisce norme nella gestione del personale che tengano conto delle
esigenze delle donne (part time, orario flessibile, ecc.), promuovere
l’attivazione di strutture particolari (asili nido, scuole materne ecc.). Un
interessante dibattito su questo tema si è sviluppato intorno alla proposta
di introdurre nelle leggi elettorali meccanismi che prevedano una quota fissa
di donne da eleggere.
Percentuale di seggi parlamentari occupati dalle donne |
1975 | 1987 |
Percentuale di seggi parlamentari occupati dalle donne |
1975 | 1987 |
Australia | 0.0 | 6.1 | Islanda | 5.0 | 20.6 |
Austria | 7.7 | 11.5 | Italia | 3.8 | 12.9 |
Belgio | 6.6 | 7.5 | Norvegia | 15.5 | 34.4 |
Canada | 3.4 | 9.6 | Nuova Zelanda | 4.6 | 14.4 |
Danimarca | 15.6 | 29.1 | Paesi Bassi | 9.3 | 20.0 |
Finlandia | 23.0 | 31.5 | Portogallo | 8.0 | 7.6 |
Francia | 1.6 | 6.4 | Spagna | - | 6.4 |
Germania | 5.8 | 15.4 | Svezia | 21.4 | 28.5 |
Giappone | 1.4 | 4.4 | Svizzera | 7.5 | 14.0 |
Gran Bretagna | 4.3 | 6.3 | URSS | 32.1 | 34.5 |
Grecia | 2.0 | 4.3 | USA | 3.7 | 5.3 |
(da A. Detassis e E. Zanette, Ottocento Novecento, Ed.Sc. B. Mondadori, Milano 1994)