IL PRIMO IMPEGNO DEL DOCENTE: MOTIVARE GLI ALUNNI

Umberto Tenuta

Il docente che entra nell’aula dovrebbe avere ben chiaro il suo piano d’azione, che in linea di massima dovrebbe seguire il seguente schema (1):

1) MOTIVAZIONE

2) ATTIVITÀ DI APPRENDIMENTO: Lezione frontale o ricerca/riscoperta/reinvenzione/ricostruzione (problem solving),

3) Sintesi magistrale

3) Consolidamento

4) Verifica

5) Recupero/approfondimento

Il primo momento di ogni attività didattica (lezione frontale o ricerca) è senz’altro la motivazione.

J.J. Rousseau, dovendo insegnare a leggere ad Emilio, si preoccupa innanzitutto di creare in lui un interesse, un bisogno, una motivazione.

È ormai acquisito che l’apprendimento è un processo attivo, che impegna il soggetto, se non altro ad ascoltare.

Non è possibile pensare di poter fare lezione o di impegnare gli alunni nei processi di ricerca/riscoperta/reinvenzione/ricostruzione (problem solving), se essi non sono motivati.

Prima di spiegare, illustrare, presentare, dimostrare o di avviare un’attività di ricerca, occorre fare in modo che gli alunni siano motivati: tutti gli alunni debbono essere motivati.

Debbono essere motivati, perché diversamente non sono attenti ad ascoltare o non si impegnano a ricercare.

Debbono essere motivati, perché quello che imparano deve rispondere ad un loro bisogno, possibilmente duraturo.

Nel momento in cui si affaccia la prospettiva di un apprendere che deve durare per tutta la vita, non basta riuscire ad imparare, ma è necessario maturare atteggiamenti favorevoli all’apprendere.

Se è vero che occorre imparare ad imparare, è ancora più vero che occorre maturare la gioia di imparare: se non è maturata la gioia di imparare, la capacità di imparare non serve.

Come affermano i Programmi didattici del 1955, <<lo scopo essenziale della scuola non è tanto quello di impartire un complesso determinato di nozioni, quanto di comunicare al fanciullo la gioia ed il gusto di imparare e di fare da sé, perché ne conservi l'abito oltre i confini della scuola, per tutta la vita>>.

È vero quello che scrive Freinet: <<puoi portare il cavallo alla fonte e fischiare quanto vuoi, ma se il cavallo non vuole bere, non beve>> (2).

Ma se anche si riuscisse a far bere il cavallo ed a far apprendere gli alunni, servirebbe poco, anzi sarebbe controproducente. C’è il rischio - forte e consistente - che, costretti ad imparare, gli alunni apprendano ad odiare l’apprendimento.

Pinocchio si vende l’Abbecedario!

Ma quanti ragazzi gettano via, non solo i libri, ma anche il ricordo dei teoremi, delle formule, delle battaglie ecc.

È forte, incombente, il rischio che, per imparare a leggere, i bambini imparino ad odiare i libri e la lettura.

Se, per imparare, i giovani maturano atteggiamenti negativi verso l’apprendere, sarebbe meglio che non imparassero.

Non c’è altra via che l’amore del sapere (philosophia): la stessa parola studente deriva dal latino studium che significa amore, passione, avventura (3).

Occorre creare le condizioni perché gli alunni, a qualsiasi livello di scuola, avvertano l’amore del sapere, la gioia ed il gusto di imparare.

Questo è possibile , se ogni giorno, in ogni momento, in ogni attività, la prima preoccupazione - prima in ordine di tempo e di importanza - è quella di motivare gli alunni.

Si chiederà come è possibile motivare gli alunni (4).

Discorso complesso, che affonda le sue radici nelle esperienze pregresse dell’alunno, nel suo background familiare e socioculturale.

A volte può sembrare disperante cercare di motivare gli alunni, alcuni alunni.

Ma se non si supera questo scoglio, è inutile, forse addirittura dannoso, andare oltre.

Non si apprende se non si è motivati.

Ma forse non è poi così disperante!

Come ritiene il Bruner, e con lui la quasi totalità dei pedagogisti moderni, l'apprendimento scolastico può essere originato e sostenuto soprattutto dalle motivazioni intrinseche, cioè dalla volontà di apprendere, che si manifesta come curiosità, desiderio di competenza, bisogno di identificazione, bisogno di reciprocanza (5).

La curiosità (6) è una caratteristica costitutiva dell'uomo, e non solo dell'uomo. I bambini nascono naturalmente curiosi, desiderosi di conoscere, come dimostrano le loro impegnative attività esploratorie della realtà e delle cose che li circondano, le domande ed i perché che essi continuamente pongono ed a cui purtroppo non sempre gli adulti rispondono.

Oltre che sulla curiosità, si può fare affidamento anche sul desiderio di competenza, cioè sull'innato bisogno di divenire abili nell'esecuzione delle attività che si svolgono. È a tutti noto che ci si interessa soprattutto delle cose che si riesce a fare bene e si abbandonano le attività nelle quali non si ha successo. Gli insegnanti debbono creare situazioni adeguate alle possibilità degli alunni, in modo che essi abbiano sempre ¾ quasi sempre¾ successo nell'esecuzione delle attività svolte, perché la riuscita accresce la loro motivazione a continuare ad impegnarsi in esse: il successo rafforza la motivazione e quindi crea successo, mentre l'insuccesso demotiva e perciò crea insuccesso. L'immagine positiva che l'alunno si forma di sé come essere capace, abile, "bravo", accresce la fiducia in se stesso e lo spinge a perseverare con sempre maggiore impegno nelle attività di apprendimento.

Bruner fa riferimento anche al bisogno di identificazione, cioè alla <<forte tendenza dell'uomo a plasmare se stesso e le proprie aspirazioni sul modello offerto da un altro individuo>>, in particolare dai genitori, dagli insegnanti, da figure particolarmente significative (compagni, protagonisti dei romanzi, dei films, delle attività sportive ecc.). Gli insegnanti debbono rappresentare dei modelli di identificazione e di imitazione, sia nelle attività di apprendimento che nei processi educativi, come si precisa anche nei Programmi didattici del 1985 (<<l'insegnante, anche testimoniando la sua consuetudine alla lettura, stimola e accresce la motivazione del fanciullo a leggere>>).

Tuttavia, nella scuola cha fa largo spazio al lavoro di gruppo, si può fare affidamento anche su quello che Bruner chiama bisogno di reciprocanza, cioè bisogno di rispondere in modo adeguato alle attese che gli altri nutrono nei nostri confronti.

In effetti, forse può risultare risolutiva una diversa impostazione delle attività scolastiche, percepite dagli alunni come strumenti di autorealizzazione, di crescita personale, di autoaffermazione.

Si impara per crescere, per diventare capaci, per sentirsi valorizzati.

La gioia di crescere, di affermarsi, di autorealizzarsi è innata in ogni essere umano.

Bisogna fare in modo che non si spenga, ma anzi cresca, si consolidi, alimentandola, giammai mortificandola con l’insuccesso.

Skinner valorizza il rinforzo positivo.

Forse il destino dei docenti è quello di essere ottimisti, di vedere sempre in positivo o, se si preferisce, di credere, come le mamme, che i loro alunni sono sempre capaci di apprendere.

Occorre tenere presente l’Effetto Pigmalione (7).

Non c’è alcun motivo perché docente ed alunno debbano stare sui contrapposti spalti delle barricate: forse il loro migliore destino è quello di vivere assieme la meravigliosa avventura della conoscenza, ambedue filosofi, ambedue studenti, ambedue coinvolti, presi, travolti da questa meravigliosa avventura che è il ricercare e l’imparare.

Auguri per questa meravigliosa avventura che riprende all’inizio di ogni nuovo anno scolastico e che è bello immaginare vissuta assieme da alunni, docenti ed operatori scolastici tutti.


Note:

1 Scrive il Clayton che <<si può tracciare il seguente modello dell'attività dell'insegnante:

Egli:
1.determina i risultati auspicati;
2.esamina lo scolaro e valuta il suo livello effettivo di apprendimento;
3.specifica gli obiettivi dell'insegnamento alla luce dei punti 1) e 2);
4.seleziona le informazioni, i temi di studio e mette a punto i metodi;
5.impegna lo scolaro in attività che presume lo portino all'apprendimento;
6.dirige e guida le attività di apprendimento;
7.crea situazioni che permettano di utilizzare gli apprendimenti acquisiti;
8.valuta i risultati del processo>>

(CLAYTON T.E., Insegnamento e apprendimento, Martello, Milano, 1967, p. 14)..

2 FREINET C., I detti di Matteo, La Nuova Italia, Firenze, 1962, pp.7-8.

3 Scrive F. Ferrarotti che <<riportare lo studio al suo significato originario di studium, ossia amore, passione, avventura>>.

4 In merito cfr.: PELLEREY M., Motivazione e volizione nell’apprendimento scolastico. Fondamentali teorici e orientamenti operativi, SEI, Torino, 1996; PETRACCHI G., Motivazione e insegnamento, La Scuola, Brescia, 1990; ANCONA L., La motivazione, in ANCONA L. (a cura di), Questioni di psicologia, La Scuola, Brescia, 1962, pp.397-433; STROLOGO E., La motivazione: prospettiva teorica, in ANCONA L.(a cura di), Nuove questioni di psicologia, La Scuola, Brescia, 1972, vol.I, pp.187-233.

5 BRUNER J.S., Verso una teoria dell'istruzione, Armando, Roma, 1967, pp.178ss.

6 HODKIN R.A., La curiosità innata - Nuove prospettive dell'educazione, Armando, Roma, 1978.

7 ROSENTHAL R., JACOBSON L., Pigmalione in classe, Angeli, Milano, 1974


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