Il Disturbo da Deficit Attentivo con Iperattività: definizione
clinica
1.1. Definizione e criteri diagnostici
1.2. Differenze tra le classificazioni e prevalenza
1.3. Decorso e prognosi
1.4. Il sistema dell’attenzione e le "Funzioni Esecutive”
1.5. Neurotrasmettitori e varianti geniche
2. Procedure per la diagnosi.
2.2. Questionari e Interviste Diagnostiche
2.3. Altri strumenti diagnostici.
3. Gli Interventi Terapeutici: principi generali
3.1. Gli interventi psicoeducativi
3.2. Strutturare l’ambiente e migliorare l’autostima
3.3. Parent training e consulenza agli insegnanti
4. Le Terapie Farmacologiche
4.1. Farmacocinetica e meccanismi d’azione degli psicostimolanti
4.2. Efficacia clinica a breve termine
4.3. Effetti collaterali e controindicazioni degli psicostimolanti
4.4. Tossicologia
4.5. Modalità di somministrazione. Potenziale d’abuso
5. Bibliografia
A. Premessa
Negli ultimi anni la definizione clinica del
disturbo, dei suoi criteri diagnostici e delle adeguate strategie
terapeutiche e’ stata oggetto di numerosi studi che hanno permesso a
diverse Società Scientifiche (es. American Academy of Child
Adolescent Psychiatry, American Association of Pediatrics, European
Society of Child Adolescent Psychiatry) ed Istituzioni
Sanitarie Internazionali (es. National Institute of Mental Health
[NIMH, USA], National Institute for Clinical Excellence [NICE,
UK] di definire specifiche linee guida.
Le presenti linee guide adattano i risultati dei
diversi studi alla specifica situazione Italiana. Sono composte da un
breve sommario, mutuato in parte dalle linee guida del NICE e da un’estesa
revisione della Letteratura Internazionale riportata nella sezione “referenze”,
da cui sono derivate specifiche raccomandazioni.
Le singole raccomandazioni sono definite in accordo
alla seguente classificazione, mutuate dalle linee guida dell’American
Academy of Child Adolescentt Psychiatry:
- Buona/Forte: Basata su evidenze scientifiche
di alta qualità e/o forte consenso clinico
Le presenti linee guida sono state inviate in via
elettronica per commenti a 130 neuropsichiatri infantili e sono state
approvate dal Consiglio Direttivo della Società di NeuroPsichiatria
dell’Infanzia e dell’Adolescenza (SINPIA) in data 24 giugno 2002.
Verranno inviate ai presidenti di altre Societa’ scientifiche e di
associazioni di operatori coinvolti nella diagnosi e terapia del
disturbo (Societa’ Italiana di Pediatria, Societa’ Italiana di
Psichiatria, Societa’ Italiana di Psicopatologia, Associziazione
Italiana Disturbi dell’Attenzione ed Iperattivita’ ed altre) e
rese operative dopo una apposita Consensus Conference.
B. Sommario
1. La diagnosi di ADHD deve basarsi su una
valutazione accurata del bambino condotta da un Neuropsichiatra
Infantile con esperienza sull’ADHD. La diagnosi puÚ essere
formulata anche da altri operatori della salute mentale dell’età
evoluiva (medici o psicologi) con specifiche competenze sulla
diagnosi e terapia dell’ADHD e sugli altri disturbi che possono
mimarne i sintomi (diagnosi differenziale) o che possono associarsi
ad esso (comorbilità). Tale valutazione deve sempre coinvolgere
oltre al bambino, i suoi genitori e gli insegnanti: devono essere
raccolte, da fonti multiple, informazione sul comportamento e la
compromissione funzionale del bambino e devono sempre essere
considerati fattori culturali e l’ambiente di vita. A tal fine e’
particolarmente utile l’uso di strumenti quali i questionari e
interviste diagnostiche semistrutturate, opportunamente
standardizzati e validati.
2. Una elevata percentuale di bambini con ADHD
presentano sintomi di altri disturbi associati ed il disturbo puo
associarsi a, o talvolta causare, situazioni sociali e ambientali
disagiate. La valutazione multidisciplinare (che puo’ comprendere
la collaborazione del pediatra, dello psicologo, del pedagogista e
dell’assistente sociale) e’ auspicabile. Come per altre
patologie, appare opportuna la definizione di un protocollo
diagnostico e terapeutico comune e condiviso, in accordo con le
presenti linee-guida e con l’algoritmo allegato.
3. Il programma di trattamento deve prevedere
consigli e supporto per genitori ed insegnanti e puÚ, ma non
necessariamente deve, comprendere interventi psicologici specifici
(es. psicoterapia). Sebbene la pi_ ampia gamma di possibili
interventi sia auspicabile, la mancata disponibilità di interventi
psico-educativi intensivi non deve essere causa di ritardo nell’inizio
della terapia farmacologica, quando essa sia ritenuta utile e
necessaria. Come per qualunque patologia, ogni operatore sanitario
che abbia formulato la diagnosi deve comunicare ai genitori o tutori
legali, e discutere con loro, le diverse strategie terapeutiche ed
inviare, quando opportuno, il bambini ed i suoi genitori ai Centri
di Alta Specializzazione.
4. Gli psicostimolanti (ed il metilfenidato in
particolare) sono i farmaci di prima scelta quale parte di un piano
multimodale di trattamento per bambini con forme gravi (invalidanti)
di Disturbo da Deficit Attentivo con Iperattività (ADHD secondo i
criteri del DSM-IV) o Disturbo Ipercinetico (secondo i criteri dell’ICD-10).
5. Per quanto gli effetti indesiderati del
metilfenidato siano in genere modesti e facilmente gestibili, la
possibilità di uso incongruo, specie in adolescenza deve sempre
essere considerata. Sono in fase di completamento numerosi studi
clinici di validazione/ registrazione di nuovi farmaci
non-psicostimolanti potenzialmente efficaci nella terapia dell’ADHD.
E’ auspicabile che tali studi permettano la definizione e la
verifica di terapie farmacologiche alternative di pari efficacia con
minore potenziale di abuso/uso incongruo.
6. Il metilfenidato deve essere utilizzato con
estrema prudenza nei bambini con ADHD di età inferiore ai sei anni
e nei bambini ed adolescenti che presentano sintomi o storia
familiare di tics o di sindrome di Gille de la Tourette,
ipertiroidismo o tireotossicosi, angina o aritmie cardiache,
glaucoma. Deve essere prescritto con cautela nei bambini ed
adolescenti con epilessia, disturbo bipolare, e precedenti di
dipendenza da alcool o da sostanze psicotrope.
7. Una titolazione attenta della posologia e’
necessaria per stabilire le dosi e le modalità di somministrazione
ottimali (orari, uso di preparazioni standard ovvero a rilascio
prolungato, quando disponibili). Gli effetti clinici del farmaco
sono rapidi: la sua somministrazione dovrebbe essere sospesa qualora
non vengano osservati miglioramenti clinici significativi dopo gli
appropiati aggiustamenti posologici.
8. I bambini in terapia con metilfenidato devono
essere monitorati regolarmente. Dopo aver osservato un miglioramento
stabile delle condizioni cliniche del bambino, il trattamento puÚ
essere sospeso sotto attento controllo dello specialista, al fine di
valutare i progressi ottenuti dal bambino/adolescente e la necessità
di continuare la terapia.
9. La terapia con metilfenidato puÚ essere
iniziata dal Neuropsichiatra Infantile operante in Centri di
Neuropsichiatria Infantile ad Alta Specializzazione individuati
dalle Regioni. La prescrizione successiva ed il monitoraggio della
terapia possono pero’ essere effettuati presso le strutture
territoriali di Neuropsichiatria Infantile. E’ auspicabile che i
centri ad alta specializzazione comprendano, in organico o come
consulenti, le figure del pediatra, dello psicologo clinico, del
pedagogista e dell’assistente sociale. E’ auspicabile che il
piano di trattamento e le modalità di monitoraggio siano registrati
su cartella clinica, che la prescrizione degli psicostimolanti sia
registrata su apposito registro regionale e che tutta la procedura
sia oggetto di un piano di farmaco-vigilanza su base nazionale ad
articolazione regionale.
10. Le presenti linee guida saranno riesaminate,
ed eventualmente riformulate, nel settembre 2004.
C. Revisione della letteratura
Il Disturbo da Deficit Attentivo con Iperattività:
definizione clinica.
1.1 Definizione e criteri diagnostici
Secondo i criteri del DSM-IV (APA 1994), il
Disturbo da Deficit Attentivo con Iperattività (ADHD, acronimo per
l’inglese Attention Deficit Hyperactivity Disorder, comunemente
utilizzato anche in Italia) e’ caratterizzato da due gruppi di
sintomi o dimensioni psicopatologiche definibili come inattenzione
e impulsività/iperattività.
L’inattenzione (o facile distraibilità)
si manifesta soprattutto come scarsa cura per i dettagli ed
incapacità a portare a termine le azioni intraprese: i bambini
appaiono costantemente distratti come se avessero sempre altro in
mente, evitano di svolgere attività che richiedano attenzione per i
particolari o abilità organizzative, perdono frequentemente oggetti
significativi o dimenticano attività importanti. L’impulsività
si manifesta come difficoltà, ad organizzare azioni complesse,
con tendenza al cambiamento rapido da un’attività ad un’altra e
difficoltà ad aspettare il proprio turno in situazioni di gioco e/o
di gruppo. Tale impulsività Ë generalmente associata ad iperattività:
questi bambini vengono riferiti "come mossi da un
motorino", hanno difficoltà a rispettare le regole, i tempi e
gli spazi dei coetanei, a scuola trovano spesso difficile anche
rimanere seduti. Tutti questi sintomi non sono causati da deficit
cognitivo (ritardo mentale) ma da difficoltà oggettive
nell'autocontrollo e nella capacità di pianificazione. Secondo il
DSM-IV per fare diagnosi di ADHD occorre che siano osservabili
almeno sei dei nove sintomi di inattenzione e/o iperattività
riportati in tabella 1, che i sintomi sopra descritti esordiscano
prima dei sette anni d’età, durino da pi_ di sei mesi, siano
evidenti in almeno due diversi contesti della vita del bambino
(casa, scuola, ambienti di gioco) e, soprattutto, causino una
significativa compromissione del funzionamento globale del bambino (APA
1994).
Tutti i bambini possono presentare, in
determinate situazioni, uno o piu’ dei comportamenti sopra
descritti. Qualsiasi bambino (e la gran parte degli adulti) tende a
distrarsi ed a commettere errori durante attività prolungate e
ripetitive. La ricerca delle novità e la capacità di esplorare
rapidamente l’ambiente devono essere considerati comportamenti
positivi dal punto di vista evolutivo e come tale stimolati e
favoriti. Quando tali modalità di comportamento sono persistenti in
tutti i contesti (casa, scuola, ambienti di gioco) e nella gran
parte delle situazioni (lezione, compiti a casa, gioco con i
genitori e con i coetanei, a tavola, davanti al televisore, etc.) e
costituiscono la caratteristica costante del bambino, esse possono
compromettere le capacità di pianificazione ed esecuzione di
procedure complesse (le cosiddette funzioni esecutive).
Secondo i criteri del DSM-IV possono essere
distinti tre tipi di ADHD: uno prevalentemente inattentivo, uno
prevalentemente iperattivo /impulsivo ed uno combinato (APA 1994). I
bambini con ADHD mostrano, soprattutto in assenza di un supervisore
adulto, un rapido raggiungimento di un elevato livello di
"stanchezza" e di “noia” che si evidenzia con
frequenti spostamenti da un'attività, non completata, ad un'altra,
perdita di concentrazione e incapacità di portare a termine
qualsiasi attività protratta nel tempo. Nella gran parte delle
situazioni, questi bambini hanno difficoltà a controllare i propri
impulsi ed a posticipare una gratificazione: non riescono a
riflettere prima di agire, ad aspettare il proprio turno, a lavorare
per un premio lontano nel tempo anche se consistente. Quando
confrontati con i coetanei, questi bambini mostrano una eccessiva
attività motoria (come muovere continuamente le gambe anche da
seduti, giocherellare o lanciare oggetti, spostarsi da una posizione
all'altra). L’iperattività compromette l’adeguata esecuzione
dei compiti richiesti. Questi bambini sono visti, nella gran parte
dei contesti ambientali, come agitati, irrequieti, incapaci di stare
fermi, e sempre sul punto di partire. Un adulto puÚ avere l’impressione
che il bambino abbia difficoltà a comprendere le istruzioni e
faccia un uso improprio delle abilità di memoria.
L’incapacità a rimanere attenti ed a
controllare gli impulsi fa si che, spesso, i bambini con ADHD
abbiano una minore resa scolastica e sviluppino con maggiore
difficoltà le proprie abilità cognitive. Frequentemente questi
bambini mostrano scarse abilità nell’utilizzazione delle norme di
convivenza sociale, in particolare in quelle capacità che
consistono nel cogliere quegli indici sociali non verbali che
modulano le relazioni interpersonali. Questo determina una
significativa interferenza nella qualità delle relazioni tra questi
bambini ed il mondo che li circonda. Il difficoltoso rapporto con
gli altri, le difficoltà scolastiche, i continui rimproveri da
parte delle figure di autorità, il senso di inadeguatezza a
contrastare tutto cio’ con le proprie capacità fanno sÏ che
questi bambini sviluppino un senso di demoralizzazione e di ansia,
che accentua ulteriormente le loro difficoltà. Mentre la normale
iperattività, impulsività e instabilità attentiva non determinano
significative conseguenze funzionali, il vero ADHD determina
conseguenze negative a breve e lungo termine.
1.2. Differenze tra le classificazioni e prevalenza
L’attitudine solo recente alla formulazione di
diagnosi categoriali, la scarsa tendenza, in presenza di altri
disturbi psicopatologici associati, a formulare diagnosi di
comorbidità e, soprattutto, la mancata disponibilità degli
psicostimolanti, hanno fatto si che fanno si che in Europa, ed in
Italia in particolare, l’ADHD sia stato diagnosticato meno
frequentemente che in Nord-America. Tre studi epidemiologici
condotti in Italia, uno in Umbria e Toscana da Gallucci e
collaboratori (1993), e due in Emilia da Camerini e collaboratori
(1999) e da Marzocchi e Cornoldi (2000), mostrano che, quando il
disturbo viene specificamente ricercato, nella popolazione infantile
generale la sua frequenza Ë di circa il 4% (in pratica un bambino
in ogni classe di 25 alunni), non dissimile dalle stime Nord
Americane e Nord-Europee (vedasi Swanson et al. 1998 per review).
L’iperattività non È una sindrome nuova:
descritta per la prima volta agli inizi del secolo (Still 1902), nel
corso degli anni ha ricevuto vari nomi quali sindrome ipercinetica,
disfunzione cerebrale minima. Sin dagli anni 60, quando i criteri
per i disturbi psichiatrici dell’età evolutiva sono stati
inseriti nei manuali diagnostici (ICD-8, 1966; DSM-II 1968), le
continue modifiche nelle definizioni e dei rispettivi criteri, hanno
causato incertezze classificative con conseguenti differenze
nazionali nell’epidemiologia del disturbo e nella definizione
delle strategie terapeutiche. Sulla base di evidenze genetiche e
neuro-radiologiche e’ oggi giustificata la definizione
psicopatologica del disturbo quale disturbo neurobiologico della
corteccia prefrontale e dei nuclei della base che si manifesta come
alterazione nell’elaborazione delle risposte agli stimoli
ambientali. (Swanson 1998a, 1998b).
Il Disturbo ipercinetico nella
classificazione diagnostica dell’Organizzazione mondiale della
Sanità (ICD-10; WHO 1992), viene oggi considerato simile al
Disturbo da Deficit Attentivo con Iperattività di tipo combinato (Inattenzione
+ iperattività/impulsività) dei criteri del DSM-IV. La
diagnosi di disturbo ipercinetico secondo l’ICD-10 richiede la
contemporanea presenza, nello stesso bambino, di sintomi di
inattenzione, iperattività ed almeno un sintomo di impulsività; la
contemporanea presenza di altri disturbi psichiatrici (es. disturbo
oppositivo provocatorio o della condotta) comporta l’inclusione in
specifici raggruppamenti diagnostici (es. Disturbo Ipercinetico
della condotta). L'incidenza del disturbo cosÏ definito
viene calcolata nel 1-2 % dei bambini in età scolare (Swanson
et al. 1998a). L’ICD10 non prevede alcuna categoria diagnostica
corrispondente all’ADHD di tipo prevalentemente inattentivo del
DSM-IV. Poiche’ anche in questi bambini e’ presente una
significativa compromissione funzionale ed e’ osservabile una
significativa risposta alle terapie farmacologiche, appare opportuno
valutare clinicamente questo bambini utilizzando il DSM-IV anziche’
l’ICD-10, che lascia tali bambini in un “limbo nosografico”.
1.3 . Decorso e prognosi
Il deficit attentivo puÚ essere presente già in
età prescolare. A quest’età Ë pero’ difficile formulare una
diagnosi differenziale con altri disturbi e determinare con
sicurezza la significativa compromissione del funzionamento globale:
ciÚ rende spesso indispensabile la formulazione di una diagnosi
provvisoria e discutibile l’opportunità di una terapia
farmacologica (Musten et al. 1997; Swanson et al. 1998a). Il
disturbo spesso persiste in adolescenza ed in età adulta: in queste
età, l’iperattività si manifesta come senso interiore di
irrequietezza piuttosto che come grossolana iperattività motoria, l’inattenzione
comporta difficoltà ad organizzare le proprie attività o a
coordinare le proprie azioni con conseguenti difficoltà
scolastiche, occupazionali e sociali, frequenti incidenti stradali,
etc (Cantwell 1996).
Fino a non molti anni fa si riteneva che il
deficit attentivo e l’iperattività si risolvessero con l’età.
In realtà, per circa un terzo dei bambini, l’ADHD costituisce una
sorta di “ritardo semplice nello sviluppo delle funzioni esecutive
(vedi oltre)”: all’inizio della vita adulta essi non manifestano
pi_ sintomi di inattenzione o di iperattività, indicando che il
disturbo era da correlarsi ad un ritardo di sviluppo delle funzioni
attentive. Circa la metà dei bambini con ADHD continuano a mostrare
anche da adolescenti e spesso anche da adulti i sintomi d’inattenzione
ed iperattività, accompagnati talvolta da difficoltà sociali ed
emozionali.
Altri soggetti (15-20 %) possono mostrare invece
una sorta di "cicatrici" causate dal disturbo:
divenuti adolescenti e poi adulti, mostrano oltre che sintomi di
inattenzione, impulsività ed iperattività, anche altri disturbi
psicopatologici quali alcolismo, tossicodipendenza, disturbo di
personalità antisociale (Cantwell 1996; Mannuzza et al. 1993;
2000). Il pi_ importante indice predittivo di tale evoluzione Ë la
presenza, già nell’infanzia, di un disturbo della condotta
associato all’ADHD: tale associazione presenta una prognosi
significativamente peggiore di quella del disturbo di condotta
isolato (Taylor et.al. 1996).
Un recente International Consensus Statement
on ADHD (2002), analizzando numerosi studi effettuati su
campioni clinici controllati con soggetti non affetti, riporta che
freqentemente i soggetti che soffrono di ADH,D non completano l’obbligo
scolastico (32-40%), raramente arrivano all’università (5-10%),
hanno pochi amici, sono frequentemente coinvolti in attività
antisociali, mostrano maggiore frequenza di gravidanze prima dei 20
anni, di malattie sessualmente trasmesse (16%), di incidenti
stradali dovuti a velocità eccessiva e, da adulti, soffrono di
depressione (20-30%) e di disturbi di personalità (18-25%). Sebbene
occorra considerare che tali dati fanno riferimento prevalentemente
a casistiche nord-americane, per cui dovrebbero essere valutati con
cautela, specie riguardo alla evoluzione antisociale, maggiormente
influenzata da fattori sociali e culturali, il significativo impatto
personale, familiare e sociale del disturbo deve sempre essere
considerato.
1.4. Il sistema dell’attenzione e le
"Funzioni Esecutive”
Negli ultimi dieci anni sono state individuate
specifiche regioni del cervello capaci di modulare i singoli aspetti
dell'attenzione. In particolare specifiche aree della corteccia
prefrontale mediale permettono la scelta tra i diversi possibili
comportamenti o attività mentali in risposta a ciÚ che accade
intorno all'individuo, coordinano un comportamento o attività ed
inibiscono gli altri (Posner et Peterson 1990). La capacità di
inibire alcune risposte motorie ed emotive a stimoli esterni, al
fine di permettere la prosecuzione delle attività in corso (autocontrollo),
Ë fondamentale per l’esecuzione di qualsiasi compito. Per
raggiungere un obiettivo nello studio o nel gioco, occorre essere in
grado di ricordare lo scopo (retrospezione), di definire ciÚ
che serve per raggiungere quell’obiettivo (previsione), di
tenere a freno le emozioni e di motivarsi. Durante lo sviluppo, la
maggior parte dei bambini matura la capacità ad impegnarsi in
attività mentali che li aiutino a non distrarsi, a ricordare gli
obiettivi ed a compiere i passi necessari per raggiungerli (funzioni
esecutive) (Barkley 1997; 1998).
Nei primi sei anni di vita, le funzioni esecutive
sono svolte in modo esterno: i bambini spesso parlano tra sÈ ad
alta voce, richiamando alla mente un compito o interrogandosi su un
problema (la cosiddetta memoria di lavoro, che,
inizialmente verbale diviene ben presto non-verbale).
Durante la scuola elementare, i bambini imparano a interiorizzare, a
rendere “private” le funzioni esecutive, tenendo per sÈ i
propri pensieri (interiorizzazione del discorso autodiretto).
Imparano quindi a riflettere su sÈ stessi, a seguire regole ed
istruzioni, ad auto-interrogarsi ed a costruire "sistemi
mentali" per capire le regole in modo da poterle adoperare.
Successivamente imparano a regolare i propri processi attentivi e le
proprie motivazioni, a posporre o modificare le reazioni immediate
ad un evento potenzialmente distraente, a tenere per sÈ le proprie
emozioni ed a porsi degli obiettivi (autoregolazione).
Mediante l’acquisizione di queste capacità, i bambini imparano
infine a scomporre i comportamenti osservati nelle loro singole
componenti ed a ricomporle in nuove azioni che non fanno parte del
proprio bagaglio di esperienze (ricomposizione). Tutto ciÚ
permette ai bambini, nel corso della crescita, di tenere sotto
controllo il proprio agire per intervalli di tempo sempre pi_ lunghi
e di pianificare i propri comportamenti, in modo da raggiungere lo
scopo prefissato (Barkley 1997; 1998).
Numerose evidenze indicano che il fattore
patogenetico fondamentale del disturbo possa essere costituito da un
deficit nelle capacità di inibizione delle risposte impulsive (response
inhibition) mediate dalla corteccia prefrontale (Schachar &
Logan 1990; Barkley 1997); tale deficit appare determinato dalla
ipoattività del Sistema di Inibizione comportamentale, forse
associato a deficit nelle capacità di condizionamento (Quay 1988,
1997). In contrasto con tale modello, Ë stato proposto che l’ADHD
sia la manifestazione di un’alterazione della capacità di
autoregolazione dovuta alla difficoltà di allocare uno sforzo
adeguato (“risorse energetiche”) alla attività mentale
richiesta. La “Attivazione Comportamentale” puo’ essere
definita come “prontezza comportamentale tonica alla risposta” (Sanders
1998). In accordo con tale modello cognitivo-energetico (Sergeant,
et al 1999) lo stato di Attivazione ottimale e’ il prerequisito
per una risposta ottimale agli stimoli. Tale Attivazione
comportamentale influenza l’attività motoria ed Ë a sua volta
influenzata dall’attività generale del sistema nervoso centrale,
dalla deprivazione di sonno, dalla fatica e, soprattutto, dall’intervallo
di presentazioni degli stimoli (Frowein 1981). Il livello di
attivazione aumenta infatti con la velocità di presentazione degli
stimoli; al contrario, quando tale intervallo si allunga, il livello
di attivazione diminuisce: numerosi studi mostrano come le
performance dei bambini ADHD diminuiscono quando vengono utilizzati
lunghi intervalli tra gli stimoli (intervallo preparatorio) ovvero
quando l’intervallo temporale tra avviso (cue) ed
obbiettivo (target) aumenta (Sergeant et al. 1999; Scheres et
al. 2001).
Indipendentemente dai meccanismi etiopatogenetici
coinvolti, nei bambini con ADHD risultano compromesse in modo
variabile le capacità di retrospezione, previsione, preparazione ed
imitazione di comportamenti complessi. Un’alterata o ritardata
maturazione della memoria di lavoro non-verbale comporta ritardi
nella maturazione e compromissione delle altre funzioni esecutive:
interiorizzazione del discorso autodiretto, autoregolazione del
livello d’attenzione e della motivazione, capacità di scomporre i
comportamenti osservati e ricomposizione in nuovi comportamenti
finalizzati. Questi bambini, non raggiungendo la capacità d’interiorizzazione
adeguata all’età, eccedono nelle verbalizzazioni e nel
manifestare i propri comportamenti. L’incapacità a frenare le
proprie reazioni immediate li rende meno accettati dagli adulti e
dai coetanei. La difficoltà nello scomporre e ricomporre i
comportamenti osservati fa si che questi bambini, sebbene siano in
grado di apprendere comportamenti adeguati in risposta agli stimoli
esterni, abbiano significative difficoltà a generalizzare tali
comportamenti nei diversi contesti di vita (Barkley 1997; 1998; Quay
1997; Scheres et al. 2001; Sergeant et al. 1999; Sonouga-Barke et
al. 1996; Tannock 1998).
1.5. Neurotrasmettitori e varianti geniche
Nella regolazione delle Funzioni esecutive
Ë specificamente coinvolta la corteccia prefrontale che risulta
anatomicamente e funzionalmente collegata con i nuclei della base (Lou
et al. 1998; Swanson et al. 1998b; Tannock 1998). Negli ultimi anni
Ë stato possibile studiare, con metodi non invasivi, le differenze
di volume e di funzionamento di specifiche aree cerebrali. Tecniche
di Risonanza Magnetica Nucleare hanno messo in evidenza che la
corteccia frontale ed alcuni nuclei della base (nucleo caudato ed il
globo pallido) dei bambini con ADHD risultano pi_ piccoli di quelli
dei bambini di controllo: tali differenze risultano maggiori nell’emisfero
destro, ed appaiono correlate in maniera statisticamente
significativa con alterazioni nelle capacità di inibire la risposta
motoria a stimoli ambientali (Casey et al. 1997; Catellanos et al.
1996; Filipek et al. 1997; Mataro et l. 1997). Con tecniche pi_
sofisticate Ë stato messo in evidenza che, nei bambini e negli
adulti con ADHD, tali regioni del cervello mostrano tempi di
attivazione pi_ lenti e consumano meno ossigeno delle regioni
corrispondenti dei bambini o adulti di controllo (Silberstain,et
al. 1998, Zametkin et.al. 1990).
Tecniche di risonanza magnetica funzionale hanno
permesso di studiare il ruolo delle diverse aree della corteccia
prefrontale (in particolare delle regioni laterali, mediali,
sopraorbitarie e del polo frontale) nella modulazione reciproca dei
processi cognitivi e di gratificazione (Pochon et al. 2002). Nei
bambini con ADHD, le stesse tecniche hanno messo in evidenza una
diminuzione di flusso ematico e/o consumo di ossigeno nei nuclei
della base (caudato e putamen) e della corteccia prefrontale
(cingolo anteriore e corteccia prefronatale mediale) durante test di
inibizione della risposta quali lo stop/change task ed il test di
Stroop (Bush et al. 1999; Rubia et al. 2001; Teicher et al. 2000;
Vaidya et al. 1998).
Diverse funzioni della corteccia frontale e del
nucleo caudato sono modulate dalle mono-amine (dopamina,
noradrenalina, e serotonina) (Goldman-Rakic 1990). Negli ultimi
cinque anni diversi gruppi di ricerca hanno dimostrato che nei
soggetti con ADHD sono maggiormente frequenti alcune specifiche
varianti di geni che codificano per il trasportatore della dopamina
e per il recettore D4 per la dopamina (DRD4), cui corrispondono
differenze quantitative di funzione (Cook et al. 1995; LaHoste et
al. 1996; Smalley et al. 1998; Waldman et al. 1998; Sunohara et al.
1999; Barr 2001). Una recente metanalisi su 8 studi caso-controllo e
15 studi su famiglie mostra che l’associazione tra DRD4 e ADHD
sebbene modesta, e’ statisticamente significativa (Faraone et al.
2001). Un recente studio di genomewide scan ha mostrato che
solo tre geni candidati (recettore dopaminergico D5, DRD5;
trasportatore per la serotonina 5HTT; e CALCYON, una proteina di
interazione con i recettori dopaminergici D1) presentano un lod-score
superiore a 2 e che due regioni con elevato linkage (2q24 and 16p13)
corrispondono a regioni ad elevato linkage anche per il disturbo
autistico. (Fisher et al. 2002).
D’altra parte, l’ADHD tende ad essere
presente in diversi membri di una stessa famiglia, e costituisce uno
dei disturbi psichiatrici con pi_ elevata ereditabilità. Tra il 50
ed il 90 % dei gemelli monozigoti di bambini con ADHD presenta la
stessa sindrome: studi su gemelli adottati suggeriscono che tale
familiarità sia genetica piuttosto che ambientale. Come per altri
disturbi psichiatrici Ë verosimile che i fattori genetici determino
la predisposizione per il disturbo, mentre l’attivazione di tale
predisposizione sia modulata anche da fattori “ambientali” (Jensen
et al. 1997; Jensen 2000; Zuddas et al. 2000).
1a Raccomandazione
(Standard Minimo. Forza dell’evidenze:
buona; forza della raccomandazione: forte):
Nei bambini/ adolescenti di età tra i 6 ed i 18
anni che presentino inattenzione, iperattività, impulsività e
scarso profitto scolastico il clinico (pediatra, psicologo,
neuropsichiatra infantile) deve iniziare o far iniziare la
valutazione diagnostica per ADHD.
2a Raccomandazione
(Linee Guida; forza dell’evidenze:
buona; forza della raccomandazione: forte):
La diagnosi di ADHD richiede che siano rispettati
i criteri del DSM-IV.
3a Raccomandazione
(Standard Minimo; forza dell’evidenze:
buona; forza della raccomandazione: forte): La
diagnosi si basa sull’osservazione clinica del bambino/adolescente
e sulle informazioni fornita da genitori, insegnanti ed altre figure
di riferimento. Da tali informazioni deve risultare evidente la
presenza in diversi contesti dei sintomi cardine del disturbo, l’età
di esordio, la durata dei sintomi e, soprattutto, il grado di
compromissione funzionale.
2. Procedure per la diagnosi
2.1. Principi generali.
La diagnosi di ADHD Ë in ogni caso
essenzialmente clinica e si basa sull’osservazione clinica e sulla
raccolta di informazioni fornite da fonti multiple e diversificate
quali genitori, insegnanti, educatori. Il disturbo va sempre
differenziato dalla vivacità dei bambini normali (vedi sez. 1.1),
dalle condizioni legate esclusivamente a contesti sociali
svantaggiati, ad esperienze traumatiche (abuso, neglect), ad
atteggiamenti educativi incongrui ed a modelli sociali o familiari
fortemente caratterizzati da impulsività. Il consenso e la
cooperazione dei genitori sono, d’altra parte, cruciali per la
valutazione del bambino in generale (King et al, 1997), in funzione
della comprensione del bambino e degli interventi psicoeducativi e
terapeutici.
Non esistono test diagnostici specifici per l’ADHD:
i tests neuropsicologici, i questionari per genitori ed insegnanti,
le scale di valutazione sono utili per misurare la severità del
disturbo e seguirne nel tempo l’andamento; spesso sono cruciali
per individuare eventuali patologie associate (disturbi d’ansia o
dell’umore, disturbi specifici dell’apprendimento) e per
studiare i meccanismi neuro-biologici che ne sono alla base (Cantwell
1996; Doyle et al. 2000; Hetchman 2000; Swanson et al. 1998). L’iperattività
motoria, il disturbo dell’attenzione ed il comportamento impulsivo
ed aggressivo possono essere sintomi di numerosi disturbi
psicopatologici. Occorre quindi sempre verificare se tali patologie
possono da un lato simulare l’ADHD (diagnosi differenziale), dall’altro
essere associate all’ADHD (comorbidità). Studi epidemiologici
nordamericani mostrano che, sia in campioni clinici che di
popolazione, circa 2/3 dei bambini con ADHD hanno un disturbo
associato.
Occorre inoltre considerare che ogni forma di
deficit sensoriale parziale, sia visivo che uditivo, puÚ
determinare sia un disturbo dell’attenzione, sia un aumento della
attività motoria. Disturbi dell’espressione linguistica spesso si
associano a disturbi dell’attenzione ed a iperattività, legati
alla difficoltà di esprimere compiutamente il proprio pensiero, ed
alla difficoltà nell’usare il linguaggio interno ed esterno come
sostituto dell’azione. L’iperattività puÚ essere considerata
in questo caso secondaria. L’ipertiroidismo puÚ simulare un ADHD,
ma esistono forme cliniche di ADHD associate ad ipotiroidismo.
Disturbi dermatologici, come ad es. l’eczema, possono produrre
comportamenti iperattivi. Forme pi_ rare sono rappresentate dalla
corea di Sydenham, che puÚ determinare una intensa iperattività.
Occorre, inoltre, sempre considerare che la trascuratezza, l’abuso,
ma anche diversi farmaci (es. antiepilettici, farmaci
cardiovascolari etc.) possono compromettere le capacità attentive e
di autocontrollo.
Quando si sospetta che un bambino possa essere
considerato come affetto da disturbo da deficit attentivo con
iperattività occorre (Hill and Taylor 2001):
Raccogliere informazioni da fonti multiple
(genitori insegnanti, educatori) utilizzando interviste
semistrutturate e/o questionari standardizzati sui diversi
aspetti del comportamento e del funzionamento sociale del
bambino.
Un colloquio (esame psichico) col bambino per
verificare la presenza di altri disturbi associati; anche in
questo caso, le scale standardizzate di autovalutazione del
bambino (ansia, depressione etc.) possono essere utili.
Valutare le capacità cognitive e
l'apprendimento scolastico; valutare in maniera oggettiva le
capacità attentive, di pianificazione delle attività e di
autocontrollo. Talvolta puÚ essere utile valutare la possibile
presenza di disturbi del linguaggio.
Effettuare l'esame medico e neurologico,
valutando la presenza di eventuali patologie associate e gli
effetti di eventuali altre terapie in atto.
Un elenco di patologie e disturbi da considerare
in diagnosi differenziale e’ riportato in tabella 2. Occorre
considerare che i sintomi di inattenzione ed iperattività
osservabili a seguito di trauma cranico o irradiazione del sistema
nervoso centrale possono essere indistinguibili dall’ADHD
idiopatico (Bloom et al 2001; Highfield et al. 1998; Komrad et al.
2000): numerose evidenze indicano che tali forme rispondano agli
psicostimolanti (metilfenidato in particolare) in maniera simile ai
sintomi dell’ADHD “primitivo” (Mahalick et al. 1998).
Quando si pone clinicamente un problema di
diagnosi differenziale, puo’ essere opportuno (King et al. 1997),
laddove sia patrimonio culturale dei valutatori, procedere ad una
valutazione che comprenda oltre al colloquio anche tecniche di
osservazione di gioco (Kernberg, 1998) e tecniche proiettive (Thomas
& Silk, 1990) per la valutazione del funzionamento mentale
globale della persona, della sua struttura di personalità e degli
aspetti di comorbidità..
2.2 Questionari e Interviste Diagnostiche
Per la raccolta di informazioni vengono spesso
utilizzati sia questionari che interviste semistrutturate. Tali
strumenti possono essere esclusivamente centrati sulla
sintomatologia ADHD, oppure spaziare sui diversi ambiti della
psicopatologia, in modo da mettere a fuoco possibili disturbi
associati (es. disturbi dell’umore, disturbi d’ansia, disturbi
della condotta).
I questionari maggiormente utilizzati, di cui
esistono versioni italiane standardizzate od in corso di
standardizzazione sono:
1. Child Behavior CheckList (CBCL,
Achembach 1991; validazione della versione italiana in corso).
Molto usata in studi epidemiologici, consente di definire e
misurare un fattore “generale” relativo ai disturbi “esternalizzanti”
del comportamento,
Conner’s Teacher, Rating Scale- Revised e
Conner’s Parent Ratig Scale (CTRS-R, CPRS-R, forme lunga “-L”
e breve “-S”; Conners 1997; validazione della versione
italiana in corso)
Disruptive Behavior Disorder Rating Scale (DBD;
Pelham 1992; versioni validate italiane: SCOD-I e SCOD-G,
Marzocchi et al. 2001; Marzocchi et al. (inviato per la
pubblicazione)
ADHD Rating Scale –IV (DuPaul et al;
1998, di cui esiste una versione italiana curata da Marzocchi
& Cornoldi)
SNAP-IV (Swanson 1992; Conners et al. 2001)
l’ICD-10/DSM-IV Questionnaire (IDQ;
Hartman, Geurt & Sergeant. Analisi dei dati della validazione
della versione italiana in corso).
Anche la somministrazione al bambino di scale di
autovalutazione per ansia e depressione (ad esempio: Multidimensional
Anxiety Scale for Children, MASC, March 1997; Children
Depression Inventory, CDI, Kovacs, 1992; Scale Psichitriche
di Autosomministrazione per Fanciulli e Adolescenti SAFA,
Cianchetti & Sannio-Fancello 2001) puo’ essere utile. E’
opportuno ricordare che le scale di valutazione completate da
genitori, insegnanti e dallo stesso bambino, non consentono di
formulare una diagnosi clinica: sono peraltro strumenti preziosi
come complemento diagnostico per una valutazione quantitativa, per
valutare l’andamento clinico o la risposta ai trattamenti.
Il loro utilizzo va sempre accompagnato dell’utilizzo
delle interviste diagnostiche che esplorano l’intera gamma della
psicopatologia: cio’ consente di individuare eventuali patologie
associate, quali disturbi del comportamento (disturbo
oppositivo-provocatorio, disturbo della condotta), disturbi dell’umore
(depressione e distimia, disturbo bipolare), disturbi d’ansia
(ansia generalizzata, panico, ecc.), disurbi di apprendimento, tic e
disturbo ossessivo-compulsivo. Tra le piu’ utilizzate:
Diagnostic Interview for Children and
Adolescents (DICA; Reich et al. 1997).
Kiddie-Schedule for Affective Disorders and
Schizophrenia, Present and Life-time version (K-SADS-PL;
Kaufman 1997).
Parent Interview of Child Symptom (PICS-IV,
Scachar 1996; di cui e’ in corso la validazione della versione
italiana).
2.3. Altri strumenti diagnostici
Non esistono test diagnostici specifici per l’ADHD:
la caratterizzazione e misurazione delle capacita di attenzione
prolungata, di pianificazione, categorizzazione e di inibizione
delle risposte autamatiche (funzioni neuropsicologiche localizzate
nei lobi frontali, vedi oltre) e dei processi di apprendimento
consentono una pi_ precisa caratterizzazione della sindrome, ed una
migliore impostazione dei piani di trattamento. E’ sempre
opportuno misurare il livello cognitivo del soggetto con strumenti
standardizzati (Matrici Progressive di Raven o, meglio, WIPPSI o
WISC-R) e valutare le capacità di scrittura, lettura e comprensione
del testo (diagnosi differenziale con i disturbi specifici dell’apprendimento
che possono simulare, ma anche essere associati ad un disturbo da
deficit attentivo con iperattività).
Va sottolineato che il disturbo cognitivo non Ë
limitato al disturbo dell’attenzione. L’elemento caratterizzante
sembra essere piuttosto quello di un deficit dei processi di
controllo e regolazione strategica delle risposte cognitive (le
cosidette “funzioni esecutive”), che si riflettono su diversi
ambiti del funzionamento dell’intelligenza (attenzione, memoria,
ecc.). Gli strumenti diagnostici devono essere quindi adeguati a
tale complessità. Il Continuous Performance Test (CPT)
valuta il mantenimento della vigilanza per un lungo periodo di
tempo, dovendo il soggetto dare risposte (premendo un pulsante) ad
uno stimolo target mescolato tra diversi distrattori (con possibilità
di omissioni per inattenzione o false risposte per impulsività). Un
altro test, il Matching Familiar Figure Test (MFFT) valuta la
capacità di inibire risposte eccessivamente rapide ed automatiche.
Un test recentemente molto utilizzato (pur con
significative varianti tra diversi gruppi di ricerca) Ë il Change
Task. In breve il test consiste in una serie di possibili
risposte di Go (premere un pulsante, la maggior parte) e di Stop
(in genere circa il 25%). Nelle prove di Go il bambino deve
scegliere tra due pulsanti da premere a seconda della localizzazione
di uno stimolo (es. un aereo) sullo schermo di un computer. In
quelle di Stop un segnale acustico presentato a diversi intervalli
di tempo prima dello stimolo visivo, deve indurre il bambino a
interrompere l’azione di pressione del pulsante corrispondente al
lato dello schermo, ma a schiacciarne un altro, situato su una “scatola”
separata. Oltre che calcolare il tempo medio di reazione, il numero
di errori sia di omissione (non premere il pulsante quando e’
presente lo stimolo acustico) che di commissione (premere il
pulsante quando e’ presente lostimolo sonoro o premere il pulsante
non corretto rispetto alla localizzazione dello stimolo visivo), il
test permette di misurare le funzioni di inibizione e di
riattivazione di processi mentali e motori (re-engagemnet).
Questo test e’ in grado di differenziare i bambini con ADHD da
quelli di controllo e dai bambini con disturbi d’ansia, dell’apprendimento
(meno da quelli con altri disturbi esternalizzanti), ed e’
sensibile alla somministrazione di psicostimolanti. E’ pero’
troppo lungo e complesso per la diagnostica di routine e la
standardizzazione su popolazione italiana e’ ancora in corso.
Anche alcuni items della WISC (quali il Cifrario)
sono fondamentali per una formulazione diagnostica iniziale. Il test
della Torre di Londra, infine, Ë spesso utilizzato per valutare la
capacità del bambino o dell’adolescente di usare strategie
complesse per la risoluzione di problemi.
Oltre alla somministrazione dell’intervista,
dei test e delle scale di valutazione, l’esame obiettivo medico e
neurologico Ë sempre necessario poichÈ molti bambini con ADHD
presentano all’esame obiettivo dei cosiddetti “soft
neurological signs”, quali ad es. asimmetria dei riflessi
profondi, movimento coreoatetoidi di modesta entità,
adiadococinesia, scarsa coordinazione. Occorre inoltre considerare
che ogni forma di deficit sensoriale parziale, sia visivo che
uditivo, puÚ determinare sia un disturbo dell’attenzione, sia un
aumento della attività motoria. Ne paesi scandinavi e’ stata
caratterizzata e viene correntemente utilizzata la categoria
diagnostica del Disorder of attention, motor control and
perception (DAMP). Sebbene goffaggine motoria e problemi
percettivi siano comuni tra i bambini con diagnosi di Disturbo
Ipercinetico (HYD; criteri ICD-10) e la gran parte dei bambini con
HYD (ma meno della metà di quelli con diagnosi di ADHD - DSM-IV)
possa essere diagnostica come DAMP, tali sintomi non sono
indispensabili per la diagnosi di HYD. La validità del concetto di
DAMP Ë stata inoltre messa in discussione dagli autori
Nord-Americani in quanto l’associazione tra anormalità del
neurosviluppo ed ADHD non appare specifica: la presenza di tali
anomalie di sviluppo risulta comune a molti disturbi psichiatrici
dell’età evolutiva.
4a Raccomandazione
(Standard Minimo; forza dell’evidenze:
buona; forza della raccomandazione: forte): Oltre le
valutazioni dei genitori, la diagnosi di ADHD richiede le
informazioni degli insegnanti sulla presenza dei sintomi cardine del
disturbo in diversi contesti, l’età di esordio, la durata dei
sintomi ed il grado di compromissione funzionale. Per formulare la
diagnosi, il medico deve sempre ottenere e valutare queste
informazioni .
5a Raccomandazione
(Opzione clinica; forza dell’evidenze:
buona; forza della raccomandazione: forte): L’uso
dei questionari per insegnanti e’ particolarmente utile per
raccogliere informazioni in maniera rapida e relativamente accurata.
6a Raccomandazione
(Standard Minimo; forza dell’evidenza:/
buona; forza della raccomandazione: forte): La
valutazione del bambino con ADHD deve sempre comprendere l’esame
medico generale, l’esame psichico e l’esame neurologico e la
valutazione del livello cognitivo; deve sempre includere la
valutazione diagnostica della presenza di eventuali patologie
associate sia neuropsichiatriche che mediche generali.
7a Raccomandazione
(Linea Guida; forza dell’evidenze: buona;
forza della raccomandazione: forte):
In assenza di patologie associate nessun altro
test strumentale od ematochimico Ë routinariamente indicato per la
diagnosi di ADHD.
3. Gli Interventi terapeutici
La terapia per l’ADHD si basa su un approccio
multimodale che combina interventi psicosociali con terapie mediche
(Taylor et al. 1996; NICE 2000; AACAP 2002). I genitori, gli
insegnanti e lo stesso bambino devono sempre essere coinvolti nella
messa a punto di un programma terapeutico, individualizzato sulla
base dei sintomi pi_ severi e dei punti di forza identificabili nel
singolo bambino. Una maniera di concettualizzare il piano di
trattamento Ë quello di considerare i sintomi cardine di
inattenzione, impulsività ed iperattività, come gestibili mediante
la terapia farmacologica, che si dimostra efficace in circa l’80-
90% dei casi; i disturbi della condotta, di apprendimento e di
interazione sociale richiedono invece interventi psicosociali,
ambientali e psicoeducativi, centrati sulla famiglia, sulla scuola e
sui bambini (Cantwell 1996; Elia et al. 1998; Guevara & Stein
2001).
Negli Stati Uniti, dove l’utilizzo degli
psicostimolanti e’ pratica accettata da decenni e alcune
restrizioni sono state allentate, le linee guida raccomandano l’utilizzo
degli psicostimolanti in tutti i casi di ADHD moderato o severo, a
condizione che il bambino viva con un adulto responsabile che possa
somministrare il farmaco, che il personale scolastico sia
disponibile per la somministrazione in orario scolastico e che siano
state considerate altre modalità di intervento quali il parent
training od altri interventi psicoeducativi (AACAP 2002).
In Europa, dove le attitudini cliniche e le
restrizioni legali hanno limitato l’uso degli psicostimolanti, le
linee guida cliniche (Taylor et al. 1998) raccomandano un primo
intervento basato su rigorosi ed intensi approcci psicosociali
(interventi comportamentali, terapia cognitiva, terapia familiare,
supporto per gli insegnanti), anche se, anche alla luce dei
risultati dello studio MTA (vedi oltre), la mancata disponibilità
di tali interventi non deve precludere, in via di principio, l’uso
degli psicostimolanti (NICE 2000, Santosh and Taylor 2000).
L’ADHD deve essere considerato come una
malattia cronica con alta prevalenza in età scolare: tutti gli
operatori sanitari dell’età evolutiva devono aver cura di (AAP,
2001):
Fornire informazioni scientifiche e clinche
sulla natura del disturbo al bambino, alla famiglia ed alla
comunità.
Sviluppare adeguate strategie terapeutiche,
aggiornandole periodicamente in accordo con lo sviluppo del
bambino/adolescente.
Verificare ed aggiornare periodicamente le
conoscenze della famiglia sul disturbo e sulle strategie educative
piu’ adeguate.
Assicurare il coordinamento delle strutture
sanitarie, scolastiche e ricreative (sociali) coinvolte nella vita
quotidiana del bambino, garantendo la propria disponibilità alla
famiglia.
Coordinare e favorire i contatti con altre
famiglie con problemi simili (AAP, 2001).
Scopo principale degli interventi terapeutici
deve essere quello di migliorare il funzionamento globale del
bambino/adolescente. In particolare gli interventi terapeutici
devono tendere a:
Migliorare le relazioni interpersonali con
genitori, fratelli, insegnanti e coetanei.
Diminuire i comportamenti dirompenti ed
inadeguati.
Migliorare le capacità di apprendimento
scolastico (quantità di nozioni, accuratezza e completezza
delle nozioni apprese, efficienza delle metodiche di studio).
Aumentare le autonomie e l’autostima.
Migliorare l’accettabiltà sociale del
disturbo e la qualità della vita dei bambini/adolescenti
affetti.
3.1. Gli interventi Psicoeducativi
L’approccio psico-educativo Ë costituito da un
varietà di interventi accomunati dall’obiettivo di modificare l’ambiente
fisico e sociale del bambino al fine di modificarne il
comportamento. Tali interventi sono focalizzati a garantire al
bambino maggiore struttura, maggiore attenzione e minori
distrazioni. Le modificazioni ambientali sono implementate istruendo
genitori ed insegnanti su specifiche tecniche di ricompensa per
comportamenti desiderati (rinforzo positivo) o di punizione/
perdita di privilegi per il mancato raggiungimento degli obiettivi
desiderati. L’applicazione ripetuta di tali premi e punizioni puÚ
modificare progressivamente il comportamento. Nel breve termine gli
interventi comportamentali possono migliorare le abilità sociali,
le capacità di apprendimento e spesso anche i comportamenti
disturbanti; generalmente risultano perÚ meno utili nel ridurre i
sintomi cardine dell’ADHD quali inattenzione, iperattività o
impulsività. Il maggior limite dei diversi programmi oggi
disponibili consiste nel fatto che, in molti bambini, si assiste
alla progressiva scomparsa del miglioramento comportamentale ed alla
mancata generalizzazione, nei diversi contesti ambientali, dei
comportamenti positivi acquisiti.
3.2.Strutturare l'ambiente e migliorare l’autostima
I bambini con ADHD possono essere aiutati
strutturando ed organizzando l'ambiente in cui vivono. Genitori e
insegnanti possono anticipare gli eventi al posto loro, scomponendo
i compiti futuri in azioni semplici ed offrendo piccoli premi ed
incentivi. » importante che genitori ed insegnanti siano (o
divengano) dei buoni osservatori: devono imparare ad analizzare ciÚ
che accade intorno al bambino prima, durante e dopo il loro
comportamento inadeguato o disturbante e a rendere
comprensibili al bambino il tempo, le regole e le conseguenze delle
azioni. Tutto ciÚ al fine di permettere ai bambini iperattivi di
ampliare il proprio repertorio interno di informazioni, regole e
motivazioni.
Per aiutare un bambino con ADHD genitori ed
insegnanti dovrebbero acquisire le seguenti abilità:
1. Potenziare il numero di interazioni positive
col bambino.
2. Dispensare rinforzi sociali o materiali in
risposta a comportamenti positivi del bambino.
3. Ignorare i comportamenti lievemente negativi.
4. Aumentare la collaborazione dei figli usando
comandi pi_ diretti, precisi e semplici.
5. Prendere provvedimenti coerenti e costanti per
i comportamenti inappropriati del bambino.
In generale gli interventi psicoeducativi diretti
sul bambino/adolescente basati su tecniche cognitive e metacognitive
tarate per età e focalizzate su:
Problem solving: riconoscere il problema,
generare soluzioni alternative, pianificare la procedura per
risolvere il problema, ecc.,
Autoistruzioni verbali al fine di acquisire
un dialogo interno che guidi alla soluzione delle situazioni
problematiche,
Stress inoculation training: indurre il
bambino/adolescente ad auto-osservare le proprie esperienze e le
proprie emozioni, soprattutto in coincidenza di eventi stressanti e,
successivamente, aiutarlo ad esprimere una serie di risposte
alternative adeguate al contesto. La acquisizione di queste risposte
alternative dovrà sostituire gli atteggiamenti impulsivi e
aggressivi.
3.2. Parent Training e consulenza per gli
insegnanti
Non esisteno a tuttoggi dati di validazione
attendibili (ovvero basati sui criteri stabiliti dalla Task Force
on promotion and dissemination of Psychological Procedures
(1995; Loinigan et al. 1998) sull’efficacia della psicoterapia
individuale o della play therapy sui sintomi nucleari dell’ADHD
(inattenzione, iperattività, impulsività; Stubbe & Weiss
1999). Interventi cognitivi individuali di training sulle abilità
sociali e di problem solving, possono peraltro risultare
efficaci quando associati a interventi comportamentali basati sul parent
training e sull’intervento in classe (Pelham 1992, 1996, 1998;
Lonigan 1998; Pfiffner et al 1998)
Classicamente il Parent Training Ë
inizialmente composto da 8-12 sessioni settimanali di un gruppo di
genitori con un terapista specificamente formato. Il programma delle
sessioni Ë focalizzato al miglioramento della comprensione da parte
dei genitori delle caratteristiche del bambino con ADHD e nell’insegnamento
di abilità che permettano di gestire e migliorare le difficoltà
che tali caratteristiche comportano. I programmi offrono tecniche
specifiche per guidare il bambino, rinforzare i comportamenti
sociali positivi e diminuire o eliminare quelli inappropriati; nell’ambito
di tale training vengono pianificate anche le attività di
mantenimento dei risultati acquisite di prevenzione delle ricadute (Barkley
1998; Pelham 1992; Vio, Marzocchi e Offredi, 1999). In una recente
review Pelham e collaboratori (1998) hanno identificato diversi
studi sull’efficacia di programmi di parent training rigorosamente
definiti e valutati contro gruppi di controllo (Firestone et al.
1981, 1986; Horn 1991). Sebbene il Parent training non sembri in
grado di indurre i marcati miglioramenti indotti dalla terapia
farmacologica (Stubbe & Weiss 2000, MTA 1999a, b) sui sintomi
cardine del disturbo, Ë in grado di migliorare in maniera
significativa il funzionamento globale dei bambini e adolescenti con
ADHD. Tale effetto appare strettamente correlato all’età dei
soggetti: due studi mostrano significativa efficacia nei bambini in
età prescolare (Pisterman et al; 1992) mentre i risultati in età
scolare sono contrastanti (Pelham et al. 1998). Tali interventi
appaiono efficaci anche in adolescenza ma tale miglioramento non Ë
superiore a quello osservato nei gruppi di controllo (Barkley et al.
1992). La superiorità in età prescolare del Parent training
strutturato rispetto alla lista d’attesa ed al semplice “Consiglio
e Supporto (Parent Counseling and support; PC&S) Ë stato
pi_ recentemente confermato anche da studi europei, che mostrano
come una variabile determinante per l’efficacia sia l’assenza di
ADHD nei genitori (madri in particolare; Sonuga-Barke et al 2001,
2002).
Anche gli interventi di consulenza per gli
insegnati sono focalizzati sul comportamento del bambino e
possono essere sia integrati nelle routine scolastiche per i tutti
gli alunni che focalizzati sui singoli bambini (AAP 2001). La
gestione delle attività che coinvolgono tutta la classe iniziano
con la definizione e progressivo incremento di attività strutturate
che includano modalità sistematiche di ricompensa per le attività
/comportamenti desiderati (rinforzo positivo), diminuzione
dei privilegi o delle ricompense (costo della risposta) fino
al blocco di ogni rinforzo positivo (time-out) per
comportamenti non desiderati o problematici; la combinazione di
rinforzi positivi e costo della risposta (es; il bambino guadagna
ricompense e privilegi per comportamenti desiderati e le perde per
comportamenti indesiderati, token economy) risulta in genere
particolarmente efficace. La frequente (spesso giornaliera)
comunicazione scritta con i genitori riguardo agli obiettivi ed ai
risultati dell’allievo, permette ai genitori di confermare premi e
punizioni anche a casa. Sia il Parent training che l’intervento
a scuola permette in genere di migliorare significativamente il
comportamento del bambino anche se non necessariamente riesce a
rendere da solo il comportamento del bambino con ADHD simile a
quello dei suoi coetanei (Pelham 1992; AAP 2001).
La diversa percezione del tempo, l’incapacità
a frenare le proprie reazioni immediate, la difficoltà a
pianificare e controllare i propri comportamenti fanno si che i
bambini con ADHD manchino di quel “savoir faire sociale”
che consente di cogliere stimoli sociali, modulare le relazioni
interpersonali, ricevere gratificazioni sociali ed integrarsi
socialmente con i coetanei e gli adulti. CiÚ causa frequentemente
senso di inadeguatezza, bassa autostima, bassa soglia alle
frustrazioni. Tali "sensazioni" rendono pi_ difficile
inibire la propria impulsività, pianificare i propri comportamenti
e stabilire relazioni sociali gratificanti. Il ruolo dei genitori
nella gestione di tali sintomi e’ cruciale: la ripetizione nel
tempo di attività piacevoli di collaborazione genitore-figlio puÚ
essere un valido mezzo a disposizione dell'adulto per poter
condividere alcuni interessi del bambino, e per quest'ultimo per
poter sperimentare un rilassante clima di interazioni positive,
utile anche per cancellare il segno dei conflitti trascorsi.
I principi ispiratori e la definizione delle
singole modalità di intervento psicoeducativo e /o psicoterapico
per l’ADHD saranno oggetto di specifiche linee guida.
8a Raccomandazione
(Linea Guida; forza dell’evidenze: buona;
forza della raccomandazione: forte):
Il personale sanitario coinvolto nell’assistenza
dei bambini/adolescenti con ADHD, deve riconoscere la natura cronica
del disturbo e mettere a punto un programma di intervento adeguato.
9a Raccomandazione
(Linea Guida; forza dell’evidenze: buona;
forza della raccomandazione: forte):
Il personale sanitario, i genitori ed il bambino
in collaborazione con il personale scolastico devono definire
obbiettivi adeguati ed oggettivi dell’intervento terapeutico e
pianificare, mettere in atto e verificare le strategie piu’
opportune per raggiungere tali obiettivi. A tuttoggi le strategie
terapeutiche non farmacologiche piu’ efficaci sono costituite
dagli interventi psicoeducativi basati sul parent training e
sulla consulenza agli insegnanti.
4. Le terapie farmacologiche
Dopo aver formulato la diagnosi, il clinico
responsabile della salute mentale del bambino con ADHD deve
disegnare e mettere in atto un piano di trattamento: deve
considerare che l’intervento farmacologico (gli psicostimolanti in
particolare) sarà particolarmente efficace nel controllare i
sintomi cardine dell’ADHD, ma anche che per molti bambini l’intervento
comportamentale puÚ essere particolarmente utile ed efficace quale
trattamento primario o aggiuntivo per il disturbo, specie in
presenza di condizioni, mediche, psichiatriche o sociali/familiari
associate.
Gli psicostimolanti sono considerati a tutt’oggi
la terapia pi_ efficace per bambini, adolescenti ed adulti con ADHD.
L’efficacia e la tollerabilità degli psicostimolanti Ë stata
descritta per la prima volta da Bradley nel 1937, ed Ë stata
documentata da circa 60 anni di esperienze cliniche. Su med-line
sono citate circa 2400 pubblicazioni (250 nell’ultimo biennio) di
studi condotti su diverse migliaia di soggetti. Dal 1996 sono stati
pubblicati 161 studi controllati e randomizzati, di cui 5 su
soggetti in età prescolare, 150 su soggetti in età scolare, 7 su
adolescenti e 5 su adulti con ADHD (AACAP 2002). Gli psicostimolanti
rappresentano la classe di farmaci maggiormente studiata in età
evolutiva. Parallelamente alla disfunzione dei sistemi dopaminergici,
numerose evidenze indicano che anche una disregolazione del sistema
noradrenergico possa avere un ruolo importante nella fisiopatologia
dell’ADHD.
Il sistema noradrenergico modula la funzione di
numerose aree cerebrali (corteccia prefrontale, parietale e del
cingolo, ippocampo, talamo, caudato e putamen) coinvolte nei
meccanismi di vigilanza, allerta ed attenzione. Tale sistema
neurotrasmettitoriale Ë in grado di modulare il mantenimento dell’arousal,
l’inibizione delle risposte automatiche e, pi_ in generale la
memoria di lavoro (Arnsten et al 1996 , 1999; Biederman &
Spencer 2000; Pliszka et al1996). Numerosi farmaci sono in grado di
modulare la funzione noradrenergica: triciclici antidepressivi a
struttura aminica secondaria quali desimipramina e nortriptilina,
agonisti alfa-2 adrenergici quali clonidina e guenfacina, agonisti
indiretti quali il bupropion e bloccanti selettivi del reuptake
della noradrenalina quali l’atomoxetina. L’efficacia di questi
farmaci sui sintomi dell’ADHD Ë stata provata da un numero
variabile (da 2 a 33 a secondo del farmaco considerato) di studi
controllati. Efficacia e tollerabilità di questi farmaci verranno
discussi nella sezione 4.8
4.1. Farmacocinetica e meccanismi d’azione degli
psicostimolanti
Il metilfenidato Ë lo psicostimolante pi_
utilizzato (Spencer et al. 1996; Santosh and Taylor 2000; AACAP
2002). Questo farmaco inizia a mostrare la sua attività clinica
dopo circa trenta minuti dalla somministrazione orale; raggiunge il
picco di concentrazione e attività dopo un’ora, la sua attività
terapeutica dura circa 3-5 ore. Il farmaco viene quindi solitamente
somministrato 2-3 volte al giorno. Destroamfetamina (a seconda dei
sali di esterificazione) e pemolina hanno una emivita pi_ lunga e
possono essere somministrati due volte al giorno (Swanson et al.
1998c).
Gli psicostimolanti agiscono sui trasportatori
per le monoamine (Volkow et al. 1998; Santosh and Taylor 2000): Il
metilfenidato modula soprattutto la quantità di dopamina (e di
noradrenalina), presente nello spazio inter-sinaptico. Il meccanismo
neuronale degli stimolanti non Ë ancora stato ancora completamente
chiarito. A seconda delle situazioni e dei modelli sperimentali,
tali farmaci sono in grado di potenziare una trasmissione
dopaminergica deficitaria (Volkow et al. 1998), che di attenuare uno
stato di iperattività dopaminergico (Solanto 1998; Zhuang et al.
2001). Cio’ puo’ essere spiegato considerando che basse dosi di
metilfenidato o destroamfetamina (>1mg/kg, come quelle usate in
clinica) possono aumentare, in condizioni di riposo, le
concentrazioni di dopamina intersinaptica; tale aumento
comporterebbe una stimolazione degli autorecettori ed una
conseguente diminuzione della quantità di dopamina rilasciata nello
spazio intersinaptico durante il potenziale d’azione, causando
quindi una diminuzione netta della funzione di questo sistema
neurotrasmettitoriale (Seeman & Madras 1998).
Numerosi studi hanno dimostrato che il
metilfenidato Ë in grado di migliorare l’inibizione delle
risposte (misura neuropsicologica dell’autocontrollo), la memoria
di lavoro ed i processi di discriminazione degli stimoli: tali
azioni appaiono correlate ad una diminuzione del flusso ematico
nella corteccia prefrontale dorso-laterale e parietale posteriore (Metha
et al. 2000). Nei bambini con ADHD, il metilfenidato aumenta l’attività
metabolica striatale, mentre la diminuisce nei soggetti di controllo
(Volkow et al. 1998).
4.2. Efficacia clinica a breve termine.
Sulla base dei risultati di varie decine di studi
controllati e di metanalisi, sono state elaborate, sia in Nord
America che in Europa, specifiche linee guida cliniche per la
diagnosi e la terapia del disturbo (AACAP 2002, AAP 2001, Joughin
and Zwi 1999; NIH 1998; Taylor et al. 1998). Numerosi studi
controllati, effettuati su bambini ed adolescenti, hanno dimostrato,
mediante l’uso di scale di valutazione per genitori o insegnanti e
di valutazione clinica da parte del neuropsichiatra infantile, che
metilfenidato, destroanfetamina e pemolina migliorano in maniera
consistente, rapida e duratura i sintomi dell’ADHD quali impusività,
inattenzione ed iperattività: che tale effetto risulta
statisticamente significativo anche quando i soggetti non sono
accuratamente definiti, i gruppi studiati sono poco numerosi ed i
dosaggi dei farmaci non omogenei (Elia et al. 1998; Rapoport and
Castellanos 1996). L’efficacia clinica degli psicostimolanti
permane costante anche nel corso di terapie prolungate per anni (
vedi oltre: Gilberg et al. 1997, MTA 1999a; 1999b).
Gli effetti del metilfenidato e degli
psicostimolanti sul comportamento dei bambini iperattivi sono rapidi
ed intensi. Questi farmaci permettono al bambino di controllare l’iperattività
e l’inattenzione (Klorman et al. 1991). Durante l’assunzione del
farmaco risultano migliorate le risposte ai test di attenzione
(diminuiscono, a seconda delle dosi, sia gli errori di omissione che
di commissione/impulsività), di vigilanza, di apprendimento visivo
e verbale e di memoria a breve termine (O’Toule et al. 1993). I
bambini con ADHD che assumono questi farmaci sono non solo meno
impulsivi, irrequieti e distraibili, ma anche maggiormente capaci di
tenere a mente informazioni importanti, di interiorizzare meglio il
discorso autodiretto, di avere un maggiore autocontrollo (Gadow et
al. 1990).
Spesso, alcuni atteggiamenti negativi dei
genitori nei confronti dei figli possono essere causati dal
comportamento inappropriato di questi ultimi: una volta che i
bambini migliorano dal punto di vista comportamentale, anche i
genitori riducono l'eccessivo controllo, il numero dei rimproveri e
dei richiami per le loro azioni. Dopo brevi periodi di terapia
risulta migliorata la qualità dell’interazione sociale con
genitori, insegnanti e coetanei e diminuiscono in intensità e
frequenza i comportamenti distruttivi, oppositivi ed aggressivi (Gadow
et al. 1990; Schacahr et al. 1987). E’ stato anche riportato che
nei soggetti con ADHD la farmacoterapia (anche con psicostimolanti)
in età scolare riduce il rischio di abuso di sostanze in
adolescenza che risulta aumentato nei soggetti con ADHD non curati
in maniera adeguata (Biederman et al. 1999).
4.3. Effetti collaterali e controindicazioni degli
psicostimolanti
Gli effetti collaterali degli psicostimolanti, e
del metilfenidato in particolare, sono in genere modesti e
facilmente gestibili (Spencer et al. 1996; Elia et al. 1998; Santosh
and Taylor 2000). I pi_ comuni sono diminuzione di appetito,
insonnia e mal di stomaco: l'insonnia puÚ essere prevenuta evitando
le somministrazioni serali, la mancanza di appetito e i disturbi
gastrointestinali somministrando il farmaco dopo i pasti. Quando il
farmaco Ë somministrato correttamente, perdita di peso o ritardo
dell'accrescimento, cefalea e dolori addominali sono rari,
temporanei e raramente impongono la modifica o la sospensione della
terapia (Barkley et al. 1990; Santosh and Taylor 2000; AACAP 2002)
In individui predisposti, gli psicostimolanti possono indurre o
peggiorare movimenti involontari, tics ed idee ossessive. In alcuni
bambini, gli psicostimolanti possono indurre variazioni rapide del
tono dell’umore con aumento o diminuzione dell’eloquio, ansia,
eccessiva euforia, irritabilità, tristezza (disforia). Questi
sintomi sono pi_ frequenti negli adulti che assumono psicostimolanti;
nei bambini, dosi elevate di farmaco possono indurre,
paradossalmente sedazione e diminuzione delle capacità di
apprendimento (Spencer et al. 1996).
Occorre peraltro considerare che tale bassa
incidenza di effetti collaterali emerge da studi a breve termine
anche se su un elevato numero complessivo di bambini: gli studi di
tossicià a lungo termine (piu’ di due anni) sono ancora
relativamente limitati. L’uso della pemolina Ë in genere limitato
dal rischio di epatotossicità.
4.4. Tossicologia
Studi di tossicità animale hanno mostrato come
alte dosi di stimolanti (25 mg/kg s.c. nel ratto vs 0.3- 0.5 mg/kg
nel bambino) possono indurre lesioni dei terminali serotoninergici e
dopaminergici in aree specifiche del Sistema Nervoso Centrale
(Battaglia et al. 1987; Moll et al. 2001). Altre evidenze mostrano
che tali lesioni sono rapidamente reversibili (Yuan et al. 1997;
Sadile et al. 2000). Altri studi mostrano che dosi elevate (oltre
40mg/kg per due anni) di metilfenidato possono indurre tumori
epatici nei roditori (Dunnick & Hailey 1995), ma tale evenienza
non Ë mai stata riportato nell’uomo. L’NIH Consensus Statement
sull’ADHD suggerisce cautela nell’uso di dosi estremamente alte
di psicostimolanti indicando peraltro che solamente dosi circa
trenta volte superiori a quelle utilizzate nei bambini
(intossicazione grave) potrebbero produrre tali effetti tossici (NIH
1998).
4.5. Modalità di somministrazione. Potenziale di
abuso
In genere il farmaco viene somministrato durante
la frequenza scolastica e si attua, quando possibile, una
sospensione nei periodi di vacanza (estate): va tenuto presente che
una volta sospesa la terapia gli effetti del farmaco svaniscono. La
somministrazione di metilfenidato dovrebbe iniziare alla dose di
5-10 mg al mattino (0.3-0.5 mg/Kg) e successivamente titolato in
due-tre somminitrazioni giornaliere. Per la titolazione sono
particolarmente utili le scale di valutazione compilate da
insegnanti e genitori che dovrebbero essere compilate
settimanalmente ovvero ogni 15 giorni nei primi mesi di trattamento,
mensilmente nei mesi successivi. La titolazione della terapia
dovrebbe avvenire sia sulla base del comportamento del bambino che
sul miglioramento del rendimento scolastico e della capacità di
interazione sociale con i coetanei). E’ stato suggerito che la
risposta clinica alla prima dose di metilfenidato possa essere
considerato un parametro predittivo di efficacia del farmaco a lungo
termine (Buitelaar et al. 1995).
Una volta iniziato, il trattamento viene in
genere proseguito per alcuni anni (Barkley et al. 1990). Nel corso
della terapia e’ opportuno un monitoraggio mensile della terapia:
le scale di valutazione di genitori ed insegnanti sono un utile
completamento della valutazione medica. Almeno una volta all'anno Ë
opportuno valutare l'utilità di continuare il trattamento: spesso
il bambino, diventato adolescente, riferisce di sua iniziativa di
non aver pi_ bisogno del farmaco per stare attento.
Nei bambini, gli effetti terapeutici degli
psicostimolanti non diminuiscono con l’uso prolungato, l'abuso e
la dipendenza sono praticamente inesistenti (Barkley et al. 1990;
Spencer 1996). Nonostante negli animali di laboratorio metilfenidato
e destromafetamina mostrino caratteristiche predittive di potenziale
d’abuso (self-administration, place- preference,
preferenza nei confronti del cibo), studi effettuati mediante
Tomografia ad Emissione di Positroni (PET), mostrano che nell’uomo
gli psicostimolanti di uso clinico assunti per via orale presentano
una cinetica significativamente differente dalla cocaina ed
amfetamina assunta per via parenterale e mostrano minore
(amfetamina) o nessuna (metilfenidato) capacità di indurre euforia
(Volkow 1995). Inotre, alcuni studi mostrano che tra gli adolescenti
ADHD trattati con psicostimolanti da bambini, la percentuale di
soggetti che fa abuso di sostanze psicotrope e’ significativamente
minore rispetto alle percentuali osservabili negli adolescenti ADHD
non trattati (Biederman et al. 1999, Huss et al. , in stampa).
Anche sulla base di tali dati recenti, la
possibilità di un uso incongruo da parte degli adolescenti deve
invece sempre essere considerata possibile: Ë sempre indispensabile
che il medico monitorizzi l’uso adeguato del farmaco e sia certo
che non venga utilizzato in modo incongruo dai familiari o dai
coetanei del ragazzo, o dal personale scolastico che dovesse
eventualmente somministrarlo E’ stato anche riportato che la
farmacoterapia dell’ADHD riduce il rischio di abuso di sostanze in
adolescenza (Santosh and Taylor 2000).
Uno studio recente, confrontando in animali molto
giovani ed adulti l’effetto di somministrazioni prolungate di
metilfenidato sulla successiva sensitizzazione alla cocaina, ha
dimostrato che la sommistrazione precoce di metilfenidato produce
avversione per la cocaina, anche in condizioni sperimentali che,
nell’animale adulto, favoriscono l’effetto gratificante delle
sostanze d’abuso: tali differenze appaiono correlate, nelle
diverse età della vita, all’attivazione di specifici meccanismi
genici (Anderson et al. 2002).
4.6 Enantiomeri e formulazioni a lento rilascio
Il metilfenidato e’ una amina secondaria con
due atomi di carbonio asimmetrici. Puo’ quindi esistere in quattro
forme isomeriche: d-treo, l-treo, d-eritro ed l-eritro. Inizialmente
il metilfenidato in commercio era costituito per l’80% da
dl-eritro e per il 20 % da dl-treo. Poiche’ solo gli isomeri treo
sono attivi, le prepazioni attualmente in commercio non contengono
piu’ forme eritro- responsabili invece degli effetti
cardiovascolari. Poiche’ il metilfenidato subisce un intenso
metabolismo al primo passaggio epatico, i derivati idrossilati
potrebbero presentare una significativa stereospecificità nel
modulare sia efficacia clinica che gli effetti indesiderati. Nel
ratto l’isomero d-treo risulta piu’ potente rispetto alla forma
l-treo nell’indurre iperattività motoria e inibizione del
reuptake di dopamina e noradrenalina. Recentemente Ë stata
presentata alla Food and Drug Administration degli Stati
Uniti la richiesta di autorizzazione alla commercializzazione di una
preparazione di d-treo metilfenidato. Studi preliminari indicano che
tale preparazione mostra una durata d’azione di 8-12 ore e non
presenta effetto rebound da fine dose (Swanson and Volkow
2000).
Le modalità di somministrazione degli
psicostimolanti,e del metilfenidato in particolare, possono
comportare alcuni problemi, quali il fatto che il picco plasmatico e
di attività viene raggiunto durante periodi di attività non
strutturata (es. percorso casa-scuola, periodi di gioco o riposo
post-prandiale), difficoltà nella somministrazione della dose
intermedia durante l’orario scolastico (sia per la possibile non
disponibilità del personale scolastico che lo stigma assocciato
alla sua assunzione in ambiente “pubblico”). Negli ultimi anni
sono state sviluppate diverse preparazioni a rilascio
prolungato che appaiono particolarmente utili quando insorgono tali
problemi.
Sono attualmente disponibili sul mercato degli
Statui Uniti due preparazioni a lento rilascio: Concerta Æ , basato
su un sistema di rilascio osmotico (Osmotic Release Oral System,
OROS) e Metadate-CD Æ basato su un sistema microsfere a doppio
rilascio. Sono state presentate per l’approvazione della Food and
Drug Administration altre due preparazioni : Ritalin-LA Æ,
preparazione che permette con una sola somministrazione di ottenere
due picchi ematici distinti, e Adderall-XL Æ, miscela di sali di
Amfetamina a rilascio programmato.
Per alcune di tali preparazioni Ë stato
riportato che una singola dose produce effetti identici alla
somminsitrzione giornaliera di tre dosi a rilascio immediato e che
la particolare formulazion e rende piu’ complesso se non
impossibile l’uso inconguo dello psicostimolante (Jaffe, 2002;
Pelham et al. 2001; Wolraich et al. 2001).
4.7. Effetti a medio termine: lo studio MTA.
A tuttoggi esistono relativamente pochi studi che
descrivono gli effetti del metilfenidato in trattementi a
madio-lungo termine: nel loro insieme indicano che l’efficacia del
farmaco viene conservata senza comparsa di tolleranza e senza
significativi effetti collaterali (Schachar et al 1997; Gillberg et
al 1997).
Recentemente sono stati pubblicati i risultati
del pi_ importante studio di efficacia delle terapie mai effettuato
su bambini con problemi psichici. Lo studio (Multimodal Treatment
Study of Children with ADHD, MTA) coordinato dall’Istituto
Nazionale per la Salute Mentale (NIMH) degli Stati Uniti, che ha
confrontato, su un totale di 579 bambini con ADHD di età compresa
tra i 7 e 9 anni, l’efficacia del trattamento psicoeducativo e
comportamentale intensivo (parent training manualizzato
prolungato, behavioural modification e social skill
training per i bambini, training e supervisone per gli
insegnanti), del trattamento esclusivamente farmacologico, dell’intervento
combinato farmacologico e psicoeducativo, confrontandoli con un
trattamento di routine, usato come gruppo di confronto (Richter et
al. 1995; MTA 1999a; 1999b). Le prime tre strategie terapeutiche
sono state effettuate in maniera rigorosa e rigidamente predefinita
presso centri universitari altamente specializzati, con controlli
clinici settimanali o, al massimo, mensili. Il trattamento di
routine effettuato presso le strutture territoriali, poteva
comprendere l’uso di farmaci, in genere psicostimolanti, consigli
ai genitori e talvolta agli insegnanti, con visite ogni tre-quattro
mesi.
Dopo 14 mesi, tutti i quattro gruppi (ciascuno
costituito da circa 145 bambini) risultavano migliorati; la terapia
esclusivamente farmacologica e quella combinata risultavano pi_
efficaci dell’intervento psicoeducativo intensivo senza farmaci o
del trattamento di routine presso strutture territoriali, nessuna
differenza era evidente tra il trattamento esclusivamente
farmacologico e quello combinato. Quest’ultimo risultava
moderatamente pi_ efficace nei bambini con ADHD e disturbi d’ansia
associati. D’altra parte il trattamento psicoeducativo intensivo
risultava di efficacia simile al sottogruppo di bambini cui venivano
prescritti i farmaci con modalità di routine presso le strutture
territoriali. Un’analisi alternativa dei risultati dello studio ha
misurato le percentuali di bambini che, trattati con le diverse
modalità prima descritte, risultano clinicamente indistinguibili
dai bambini non ADHD. CiÚ avviene nel 25% dei bambini che ricevono
il trattamento di routine, nel 34% di quelli che ricevono l’intervento
psicoeducativo e comportamentale intensivo, nel 55 % dei bambini che
ricevono l’intervento solo farmacologico e nel 67% di quelli che
ricevono l’intervento combinato. (Conners et al. 2001).
I risultati di questo studio suggeriscono alcune
considerazioni. La prima Ë che ogni intervento terapeutico per i
bambini con ADHD deve essere accuratamente personalizzato, preceduto
da una accurata valutazione clinica e seguito con frequenti visite
di controllo (almeno mensili). La seconda Ë che la terapia
farmacologica, quando accurata e rigorosa, costituisce la risorsa
pi_ efficace e potente per aiutare i bambini con ADHD. Ne consegue
che tale terapia dovrebbe essere disponibile per tutti i bambini con
ADHD, nei quali l’intervento psicoeducativo risulti solo
parzialmente efficace. La terza e’ che la combinazione della
terapia farmacologica con l’intervento psico-educativo offre
alcuni vantaggi rispetto al trattamento esclusivamente farmacologico:
migliora le relazioni con i coetanei, aumenta la soddisfazione dei
genitori per il trattamento, permette di utilizzare minori dosi di
farmaco. L’efficacia dell’intervento combinato sui sintomi
cardine dell’ADHD e’ pero’ simile a quella del trattamento
esclusivamente farmacologico. E’ stato suggerito che quando quest’ultimo
sia stato scelto come trattamento di prima scelta e risulti efficace
(bambino indistinguibile da un bambino non ADHD), l’aggiunta di un
intervento cognitivo comportamentale intensivo non dovrebbe essere
routinario, ma focalizzato a raggiungere specifici obbiettivi, in
casi selezionati (Santosh and Taylor 2000).
4.8. Altri Farmaci
Come precedentemente riportato numerose evidenze
sperimentali, insieme all’efficacia clinica di diversi farmaci ad
azione adrenergica indicano un coinvolgimento del sistema
noradrenergico nella fisiopatologia dell’ADHD. Farmaci quali la
desimipramina e la nortriptilina, caratterizzati dalla presenza di
un’ammina secondaria sono in grado di bloccare, sebbene in maniera
non selettiva, la ricattura (reuptake) della noradrenalina da
parte della terminazione sinaptica. Sono stati pubblicati a tutt’oggi
33 studi (21 controllati) sugli effetti di questi farmaci su
bambini, adolescenti (n=1139) e adulti (n=78) con ADHD. Il piu’
ampio studio randomizzato e controllato con placebo e’ stato
condotto somministrando desimipramina (dose media giornaliera
5mg/kg) per 6 settimane su 62 bambini: nel 68% dei bambini trattati
con farmaco attivo (contro il 10% del gruppo con placebo) e’ stato
osservata un significativo miglioramento clinico (Biederman et al;
1989). Simili risultati sono stati osservati con la nortriptilina
(2mg/kg/die) su 35 bambini in età scolare (studio controllato
contro placebo, randomizzato con su gruppi paralleli); A differenza
del metilfenidato gli effetti terapeutici appaiono dopo alcune
setttimane di terapia (Prince et al., 2000).
Tali effetti terapeutici dei triciclici
antidepressivi sono perÚ attenuati dal rischio di cardio-tossicità
di questi farmaci: sono infatti stati riportati una decina di casi
di morte improvvisa in soggetti in età scolare che assumevano tali
farmaci. Sebbene il nesso causale con l’assunzione di questi
farmaci sia tuttora incerto e la frequenza di eventi riportati
indichi un’incidenza simile al rischio basale di morte improvvisa
per tale fascia di età, un atteggiamento prudenziale suggerisce di
utilizzare tali farmaci solo dopo aver attentamente valutato il
rapporto rischi/ benefici attesi, rendendo tali farmaci utilizzabili
solo in situazioni particolari, in cui gli psicostimolanti sono
controindicati (tics, idee ossessive, rischio di uso incongruo) o
provocano gli effetti collaterali prima descritti.
Sono attualmente in avanzata fase di
sperimentazione clinica nuovi farmaci che, bloccando in maniera
altamente selettiva la ricattura della noradrenalina, sembrano
essere pi_ specifici per l'ADHD. Uno di questi farmaci, l’Atomoxetina
Ë attualmente in avanzata fase di registrazione. L’atomoxetina Ë
stato sviluppato, anche nella fase preclinica (tossicologia ed
effetti su accrescimento corporeo e maturazione sessuale e
cerebrale), specificamente come farmaco per l’età evolutiva.
Diversi studi controllati condotti sia su adulti (Spencer et al.
1998), che su bambini ed adolescenti (Kratochvill et al. 2001,
Michelson et al. 2001, Spencer et al. 2001) con dosi 1-1.8 mg/kg/die
in una-due somminitrazioni giornaliere, indicano che l’atomoxetina
mostra una efficacia simile agli psicostimolanti con minori effetti
collaterali (la diminuzione dell’appetito Ë in genere quello piu’
frequente) e nessun potenziale d’abuso. Tale caratteristica, se
gli effetti terepeutici e la tollerabilità saranno confermati anche
mediante lo studio accurato dei suoi effetti sulle funzioni
esecutive, potrebbe far diventare l’atomoxetina, e simili sostanze
ancora in fasi molto iniziali di sperimentazione (es. GW 320659), i
farmaci di prima scelta nella terapia dell’ADHD.
Sebbene siano stati pubblicati pochi studi che ne
documentino efficacia e tollerabilità (5 studi di cui solo due
controllati; n=258 bambini), la clonidina, farmaco capace di
modulare la trasmissione noradrenergica stimolando i recettori alfa
–2 (in corteccia sia pre- che post- sinaptici; Arnsten 2000) viene
frequentemente utilizzata nella terapia dell’ADHD. Gli effetti
terapeutici della clonidina appaiono limitati all’iperattività
con scarsi effetti cognitivi; il suo uso e’ limitato anche dalla
breve emivita e soprattutto dalla comparsa di tolleranza dopo pochi
mesi. (Singer et al. 1995 Spencer et al. 1996). Un recente studio,
controllato in doppio cieco, cross-over con placebo e con
metilfenidato, condotto su 136 bambini con ADHD e S. di Gille de la
Tourette per 16 settimane (4 settimane per ogni trattamento) ha
mostrato che clonidina e metilfenidato erano entrambe efficaci sui
sintomi dell’ADHD (Clonidina piu’ su impulsività ed iperattività,
Metilfenidato pi_ su inattenzione) e che l’associazione clonidina
+ metilfenidato era piu’ efficacacia dei due farmaci da soli sia
su sintomi di ADHD che sui tics (The Tourette’s Syndrome Study
Group, 2002). Negli anni scorsi sono stati riportati diversi casi di
morte improvvisa in bambini che assumevano clonidina + metilfenidato.
Tale assoiciazione farmacologica dovrebbe essere quindi limitata a
casi attentamente selezionati e monitorati. La guanfacina e’
un analogo della clonidina con piu’ lunga emivita e minore effetto
sedativo. Un recente studio controllato con placebo su 34 bambini
con ADHD di tipo combinato e tics ha confermato i risultati di tre
studi in aperto (totale 36 bambini, dosi tra 1.5-3 mg/die in tre
somministrazioni), dimostrando l’efficacia e la tollerabilità di
questo farmaco in bambini con ADHD (Scahill et al; 2001). E’ stato
recentemente riportato anche un caso di viraggio maniacale da
guanfacina (Horrigan & Barnhill 1999).
Recentemente e’ stata dimostrata l’efficacia
sui sintomi dell’ADHD di sostanze che modulano la funzione del
sistema dopaminergico ma non hanno attività psicostimolante quali
il bupropion (Wilens et al. 2001) e per farmaci che modulano
la funzione colinergica (ATB-418; Wilens et al. 1999). Il numero di
studi controllati su tali farmaci e’ pero’ estremamente
limitato.
10a Raccomandazione
(Standard Minimo; forza delle evidenze:
buona; forza della raccomandazione: forte):
A partire dall’eta’ di sei anni, gli
psicostimolanti costituiscono a tuttoggi la terapia piu’ efficace
per l’ADHD anche se numerosi farmaci non-stimolanti sono in
avanzata fase di valutazione clinica o di registrazione e potrebbero
costituire una valida alternativa terapeutica.
Prima di iniziare una terapia farmacologica Ë
indispensabile documentare una adeguata valutazione clinica, i
precedenti interventi terapeutici sia psicoeducativi che
farmacologici. Tali informazioni devono comprendere nome dei farmaci
utilizzati, dosaggi, durata del trattamento, risposta clinica ed
eventuali effetti collaterali, valutazione della compliance. Altre
informazioni utili comprendono l’uso di risorse scolastiche
aggiuntive (insegnante di sostegno, educatore) e le modalità di
intervento psicoeducativo (parent training, behavioral
modification, etc.).
11a Raccomandazione
(LineeGuida Cliniche; forza delle
evidenze: buona; forza della raccomandazione: forte):
Tutti i pazienti in etaÌ evolutiva devono essere sottoposti ad
esame medico e neurologico prima della prescrizione degli
psicostimolanti. Devono essere registrati in cartella pressione
arteriosa, frequenza cardiaca, peso ed altezza.
12a Raccomandazione
(LineeGuida Cliniche; forza delle
evidenze: buona; forza della raccomandazione: forte):
Prima di iniziare il trattamento, occorre definire le modalità di
titolazione del farmaco (es. 5 mg/die di metilfenidato con
successivi incrementi posologici di 5mg/dose/giorno) ed i metodi/
strumenti per valutare la risposta al farmaco (es. questionari per
genitori ed insegnanti) e gli eventuali effetti collaterali.
13a Raccomandazione
(Standard Minimo; forza dellÌevidenze:
buona; forza della raccomandazione: forte):
Prima di iniziare la terapia con psicostimolanti
Ë indispensabile concordare con i genitori ed il paziente la
periodicita’ dei controlli clinici. Tali controlli dovrebbero
avere cadenza settimanale durante la fase di titolazione, mensile
durante la fase di mantenimento. Ad ogni controllo clinico saranno
valutati effetti terpautici , segni vitali ed eventuali effetti
indesiderati.
14a Raccomandazione
(LineeGuida Cliniche; forza dell’evidenze:
buona; forza della raccomandazione: forte):
Gli effetti collaterali degli psicostimolanti
sono rari, di breve durata; quelli piu’ comuni sono: ritardo nell’addormentamento,
diminuzione dell’appetito, perdita di peso, tics, dolori
addominali, cefalea, ed irrequietezza. Tali effetti sono rapidamente
responsivi a modificazioni di dose od alla sospensione del
trattamento.
15a Raccomandazione
(Linee Guida Cliniche; forza dell’evidenza:
scarsa; forza della raccomandazione: forte): Qundo
la modalità di trattamento prescelta risulti inefficace, il clinico
deve riconsiderare: la diagnosi iniziale, la aderenza al trattamento
da parte del paziente e della sua famiglia, la presenza di altre
patologie associate, la possibilità di trattamenti alternativi.
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in sola versione elettronica e non a stampa)
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