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CARCERE
Raddoppiati gli stranieri: per loro custodia cautelare più facile e percorsi penali di fatto ''differenziati''. Anche quest’anno l'associazione Antigone, tramite il suo
Osservatorio sulle condizioni di detenzione, ha effettuato un vero e
proprio viaggio all’interno del pianeta carcere, osservandone i
numeri, la sua crescita, la sua composizione sociale, le
difficoltà. Ne scaturiscono delle “foto” che riportiamo per
ciascun lancio successivo, a partire dal sempre più rilevante
rapporto tra istituti penitenziari e stranieri.
Note:
Fonte:
Rapporto Antigone, 2001
Fonte:
Rapporto Antigone, 2001
Fonte:
Rapporto Antigone, 2001
Note: Antigone Indirizzo:Via
G. Modena - 00153 - Roma (RM) Tel: 06/5810299, Fax:
06/5810299 E-mail:associazione.antigone@tin.it
responsabile:Stefano Anastasia addetto alla
comunicazione: Susanna Marietti ( marietti@freemail.it
) http://www.associazioneantigone.it
Antigone,
associazione "per i diritti e le garanzie nel sistema
penale", è nata alla fine degli anni ottanta sulle ceneri
della omonima rivista contro l’emergenza. E’ un’associazione
politico-culturale a cui aderiscono prevalentemente magistrati,
operatori penitenziari, studiosi, parlamentari che a diverso titolo
si occupano o hanno a che fare con la giustizia penale. Antigone ha
come finalità lo studio e la ricerca sui temi del diritto, della
giustizia, delle pene. Promuove iniziative volte all’estensione
del dibattito su tali tematiche e sugli aspetti che da esse derivano
nel confronto politico; iniziative volte altresì alla crescita dell’attenzione
sociale sia ai problemi della legalità e della prevenzione del
crimine, sia ai problemi connessi con il rispetto della finalità
costituzionale della pena e, quindi, con l’effettivo reinserimento
nella società. L’associazione sviluppa la propria elaborazione in
un continuo confronto con la realtà degli altri Paesi europei.
L'Associazione fa parte della Conferenza nazionale volontariato
giustizia. Raddoppiata la presenza di tossicodipendenti. Calano sieropositivi e
malati di Aids Anche
per i tossicodipendenti, il numero dei detenuti negli ultimi 10 anni
fa registrare un andamento simile al dato generale sulla popolazione
detenuta. A rilevarlo è l’associazione Antigone con il suo
Osservatorio sulle situazioni di detenzione. Tale
tipo di ‘popolazione’ è più che raddoppiata in questi 10 anni
e la parte più consistente di aumento si è avuta tra il dicembre
del 1990 e il giugno del 1993. Successivamente aumenti e diminuzioni
si sono succeduti con una certa regolarità, fino ai dati rilevati
nel 1999 e nel 2000, che sembrano far intravedere un nuovo periodo
di aumento continuo della popolazione detenuta. I
detenuti sieropositivi aumentano in termini assoluti fino alla
rilevazione del 30 giungo del 1992, quando superarono le 3800
unità. Da allora il calo è continuo e a partire dal 1997 non sono
state più superate le 2000 unità. Tra i detenuti affetti da Hiv i
tossicodipendenti rappresentano sempre la maggioranza assoluta, ma
anche sotto questo aspetto si registra un cambiamento significativo:
alla fine del 1990 era tossicodipendente il 95,54% dei detenuti
sieropositivi, mentre secondo l’ultimo dato disponibile tale
percentuale è scesa all’86,77%. Oltretutto,
se è vero che nel lungo periodo sono aumentate le misure
alternative nei confronti di persone affette da Hiv, dal 1998 tali
provvedimenti alternativi sono calati in maniera costante passando
da 581 ai 213 del 2000. Non si può dunque invocare l’utilizzo
delle misure alternative per spiegare il calo dei detenuti
sieropositivi. Quanto
ai provvedimenti alternativi in sé, si evidenzia una grossa
discontinuità negli anni per la loro concessione. E su questa
discontinuità, per Antigone, pesano probabilmente l’evolversi e
il modificarsi del quadro legislativo e l’atteggiamento della
magistratura, influenzato dalle stesse norme e dall’impatto
emotivo dei fatti di cronaca. Un terzo fattore concerne l’evolversi
delle terapie che, migliorando la situazione sanitaria dei
sieropositivi e delle persone con Aids, hanno reso possibile la loro
compatibilità con il carcere. Quanto
ai detenuti con Aids conclamata, il loro aumento è consistente,
passando dai 39 del 1990 ai 128 del 2000. Rispetto a dieci anni fa
ci sono più persone in carcere affette da Aids conclamato e a
determinare questa situazione concorrono, probabilmente, sia l’aumento
generale della popolazione detenuta e, in essa, il numero dei
sieropositivi. Lasciando
il fenomeno Aids, va detto che secondo i dati ufficiali del
Ministero al 21/12/2000 erano presenti nelle carceri italiane 14.440
tossicodipendenti, pari al 27,23% della popolazione detenuta. Di
questi, solo 1293 (8,9%) erano in trattamento metadonico. Le persone
con problemi di alcol-dipendenza erano invece 647, pari a poco più
dell’1% del totale. La Regione con la percentuale più alta di
detenuti tossicodipendenti è la Liguria (49,05%), seguita da
Sardegna e Veneto (rispettivamente con il 37,99% e il 36,40%). Sui
valori vicini al dato nazionale si collocano poi Lombardia, Umbria e
Friuli Venezia Giulia, dove circa un quarto dei detenuti è
tossicodipendente. La regione con la percentuale più bassa sul
totale dei detenuti è la Calabria (10,34%). Ed
ancora: la regione dove il trattamento metadonico è più diffuso è
la Sardegna (211 casi, il 39,59% dei tossicodipendenti), seguita da
Friuli Venezia Giulia (23,66%), Trentino (22,40%), Lombardia
(16,18%) e Toscana (16,13%). La regione più distante è la
Basilicata, dove non è stato segnalato alcun detenuto in
trattamento. Infine
le caratteristiche. Per avere un’idea più precisa sono stati
utilizzati i dati di una indagine a copertura parziale del Dap (dati
che riguardano 6410 detenuti, pari al 44,4% dei tossicodipendenti
presenti in carcere alla data del 31.12.2000). La metà del campione
si colloca nella classe di età che va dai 30 ai 39 anni, mentre la
classe meno numerosa è quella che comprende le persone tra i 18 e i
20 anni. L’età media del campione è di circa 33 anni (32,8%). In
tutte le classi di età i titoli di studio più diffusi sono la
licenza media (44,04%) e la licenza elementare (28,74%). L’ultimo
dato riguarda le sostanze assunte dai detenuti: circa il 10% del
campione non ha dato indicazioni mentre per il resto le sostanze
prevalenti sono eroina (assunta dal 63,57% dei detenuti raggiunti
dall’indagine), cocaina (16,22%) e cannabinoidi (5,57%). Il
metadone è al quarto posto tra le sostanze dichiarate.
Fonte:
Rapporto Antigone 2001, su dati DAP
Fonte:
Rapporto Antigone 2001, su dati DAP
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Rapporto Antigone 2001, su dati DAP
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Rapporto Antigone 2001, su dati DAP
Fonte:
Rapporto Antigone 2001, su dati DAP
Fonte:
Rapporto Antigone 2001, su dati DAP Nel 2001
negli istituti di pena 6129 donne. 50 i bambini ''reclusi'' con la
mamma; in 40mila con un genitore dietro le sbarre I
numeri della detenzione femminile, secondo il lavoro di Antigone e
relativi al 31.12.2001, parlano di una percentuale del 4,29%, per un
complessivo 2369 unità: 1068 imputate, 1229 condannate e 72
internate. Il totale delle donne entrate in carcere nel 2001 dallo
stato di libertà è di 6129, un numero stabile rispetto al decennio
precedente tranne le più di 7mila detenute del triennio 1992-1994.
In questo lasso di tempo gli ingressi totali in carcere hanno
sfiorato le 100mila unità. Le
detenute sono suddivise in 8 istituti (Trani, Pozzuoli,
Arienzo-Caserta, Rebibbia-Roma, Perugia, Empoli, Pontedecimo-Genova
e Giudecca-Venezia) e in 52 sezioni femminili all’interno di
carceri maschili. Le
donne straniere sono 1002, il 42,29% rispetto al totale. Secondo i
dati Dap, il 21,82% giunge dal Marocco, il 12, 60% dalla Tunisia, il
10,02% da altri Paesi mediterranei; il 7,45% dalla ex Jugoslavia e
il 23,89% da altri Paesi dell’Est. Il
36,18% delle detenute possiede il diploma di scuola media inferiore,
il 21,45% ha quello di scuola media superiore o titoli di formazione
professionale, l’1,79% è laureata mentre il 17,62% ha la licenza
elementare, L’11,44%, infine, è priva di titolo di studio mentre
il 5,13% è analfabeta. Aspetto
importante e delicato è quello relativo alla condizione di madre
della detenuta. Tra gli ultimi atti della tredicesima legislatura è
stata approvata (febbraio 2001) la legge per le “Misure
alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute madri
e figli minori”. Il testo prevede, per le madri con figli di età
inferiore a 10 anni, l’applicazione di 2 tipi di provvedimenti:
detenzione speciale domiciliare e assistenza esterna dai figli
minori. I primi mesi di applicazione della nuova legge, tuttavia,
non hanno portato grossi risultati: pochissime le detenute che ne
hanno potuto usufruire. Su un totale nazionale di 959 detenute
madri, ad Avellino hanno beneficiato della nuova legge 6 detenute, a
Rovigo 1, a Mantova 2, a Rebibbia 5 e a Livorno 3. Nessuna donna è
stata riavvicinata ai figli, invece, a Pisa, Trapani, Forlì,
Camerino, Torino, Udine, Belluno, Nuoro, Taranto, Ragusa, Empoli,
Vercelli, Modena, Monza, Alessandria e Pesaro. Ciò è dovuto al
fatto che la legge in questione riguarda solo le donne che scontano
una condanna definitiva, quindi appena la metà delle recluse. Poi c’è
il problema della casa: sia le straniere che le nomadi, che sono la
maggioranze delle detenute madri, difficilmente hanno un posto dove
andare. Ulteriori limiti sono posti dall’eventuale pericolo di
commettere nuovi reati, lasciando così al di fuori dalla
possibilità di godere dei benefici proprio le tossicodipendenti,
che presentano un alto tasso di recidiva. Nel
2000, l’Assemblea parlamentare del Comitato per gli Affari Sociali
ha emanato una “Raccomandazione” ricorda che, nonostante un
precedente parere del ’95 per un ricorso più limitato all’incarcerazione,
il numero di donne detenute sta aumentando in molti Paesi (100mila
le donne in carcere nei Paesi europei). Un’associazione britannica
ha stimato che circa 10mila bambini sotto i 2 anni vivono in questa
condizione. L’assemblea ha poi riportato un dato interessante:
circa il 70% delle donne in carcere in attesa di giudizio non
vengono successivamente condannate alla pena detentiva. E gran parte
delle donne sconta una detenzione inferiore ai 6 mesi. Ciò
significa che gran parte delle donne potrebbe usufruire da subito
delle misure alternative invece di andare in carcere. Per
quanto riguarda l’Italia, da alcuni anni sono in media 50 i
bambini rinchiusi in carcere con la propria madre. Pur senza dati
ufficiali, la ricerca evidenzia che sono 16 a Rebibbia, 6 ad
Avellino e Torino, 3 a Vercelli. E in quest’ultimo carcere,
nonostante la presenza di bimbi, manca l’asilo nido. La stessa
Assemblea fa anche notare che sono molti gli effetti patologici che
l’ambiente del carcere provoca sui bambini. Questi sono infatti
soggetti a irrequietezza, pianto frequente e immotivato, problemi di
sonno e inappetenza, ecc... Più
in generale, sono oltre 40mila (grandi e piccoli) i figli che hanno
un genitore dietro le sbarre. Dati che, comparati a quelli
riguardanti i bambini entro, evidenziano il grande numero di figli
con la madre in carcere. Delicato
anche il rapporto donne-salute. Gli operatori sono concordi nell’affermare
che i nemici peggiori delle detenute sono ansia e depressione. Il
ricorso al medico è infatti costante e si riscontra una particolare
insofferenza alla detenzione da parte della detenuta, insofferenza
accentuata dal distacco dalla famiglia e dai figli. E nell’universo
‘chiuso’ la donna riempie il vuoto e la mancanza di affetto
attraverso piccoli gesti. Oltretutto l’omosessualità è molto
diffusa tra le detenute e vissuta in maniera molto aperta, a
differenza degli uomini.
Le donne straniere sono 1.002 il 42,29% rispetto al totale. Fonte:
Rapporto Antigone 2001, su dati DAP
Fonte:
Ministero di Grazia e Giustizia
Fonte:
Rapporto Antigone 2001, su dati DAP
Fonte:
Rapporto Antigone 2001, su dati DAP Il trend della delinquenza minorile è in calo. Sono 43.897 i
denunciati alle Procure Dibattito
sull’imputabilità a parte, i numeri dello studio di Antigone
dicono che in Italia, negli ultimi 10 anni, la delinquenza non è
aumentata. Anzi, è addirittura diminuita. Quanto
alla composizione penale della devianza minorile, viene notato che
“i crimini che più dovrebbero allarmare l’opinione pubblica
rappresentano una quantità insignificante rispetto al totale”.
Gli omicidi sono diminuiti del 60%, e se nel 1991 sono state 35 le
denunce per questo tipo di reato, nel 1999 si sono ridotte a 14.
Diminuzione anche per i furti mentre sono in ascesa scippi,
borseggi, rapine e reati connessi alla produzione e allo spaccio di
sostanze stupefacenti. Aumentano infatti del 46% le estorsioni, del
61% le rapine e del 65,4% lo spaccio di stupefacenti. In quest’ultimo
caso è facile cogliere il segnale del coinvolgimento non in ruoli
di leadership di giovanissimi nelle attività di cosche mafiose. Solo
il 10% dei minori coinvolti in fatti penalmente rilevanti ha
commesso delitti contro la persona (e si tratta in predominanza di
ragazzi italiani). Sono stati 36 in tutto il 2000 i casi di
omicidio, di cui 7 commessi da stranieri (A Roma 7 omicidi volontari
e 38 violenze sessuali, a Milano 7 omicidi e 63 violenze sessuali, a
Bari 9 omicidi e 11 tentati omicidi, a Reggio Calabria 3 omicidi e 8
violenze sessuali). E se i ragazzi italiani compiono meno reati,
aumentano invece le denunce a carico dei minori stranieri. Fenomeno
legato alla crescita dell’immigrazione. Quanto
alla detenzione, nel primo semestre 2001 il totale degli ingressi è
stato pari a 833 unità, di cui 718 maschi e 115 ragazze (104 sono
straniere). In generale sono stati 476 gli stranieri entrati negli
istituti penali minorili. In tutto il 2000 i minori entrati nei
Centri di prima accoglienza sono stati 3994. Gli
stranieri hanno raggiunto quasi il 50% della popolazione detenuta
minorile ristretta negli Ipm e superato tale percentuale nei Centri
di prima accoglienza.
Fonte:
Rapporto Antigone, 2001 Sempre meno i detenuti che lavorano. Pochi posti e poca la convenienza
delle aziende. Dalla
ricerca di Antigone sul carcere emerge che la percentuale dei
detenuti occupati in attività lavorativa è in costante
diminuzione. E questo per due motivi: in primis perché il numero
dei posti di lavoro disponibili negli istituti in lavori domestici
(quelli cioè necessari per far funzionare la macchina carcere) è
stabile e invariato, malgrado l’aumento esponenziale del numero
dei carcerati; inoltre vi è sia il sostanziale fallimento delle
lavorazioni (cioè del lavoro di produzione interno agli istituti,
privo di convenienza economica per le imprese esterne) e sia la
realtà del mondo del lavoro attuale, caratterizzato da
flessibilità in entrata che non si concilia con i tempi elefantiaci
e la rigidità dell’amministrazione penitenziaria. La
ricerca di Antigone riporta i casi e le esperienze degli sportelli
di Genova, Torino, Firenze e Milano, per giungere poi a delle
conclusioni circa la complessità del problema dei diritti e del
diritto al lavoro dei detenuti. Dalla pratica delle esperienze si
evidenziano alcune particolarità. Ogni territorio attiva un
servizio di orientamento e inserimento lavorativo per detenuti e i
servizi sono diversi, non solo per tipologia e caratteristiche del
territorio ma anche per le risorse che riescono ad attivare. Le reti
solitamente funzionano e sono l’unico strumento in grado di
fornire risposte integrate. I servizi sono spesso un connubio tra
pubblico e privato ed è questa la formula che sembra riuscire a
centrare meglio gli obiettivi, non solo in termini di erogazioni di
risorse. Solo in rari casi c’è il coinvolgimento diretto dell’Amministrazione
penitenziaria nelle sue articolazioni e questo diventa spesso un
problema. Ci dovrebbe essere invece un coinvolgimento istituzionale
in questi servizi, proprio per non lasciare al caso o alla buona
volontà degli operatori la loro riuscita. In nessun caso, inoltre,
si registra il coinvolgimento della Magistratura di sorveglianza. E
per incentivare tali percorsi, l’esperienza di Antigone suggerisce
alcune indicazioni: per sensibilizzare le imprese con circoli
emulativi, gli enti locali potrebbero fare da esempio assumendo
detenuti o ex detenuti nella aziende municipalizzate; allargare le
reti di sostegno esistenti tra pubblico privato, siglando protocolli
di collaborazione; ampliare l’utilizzo delle leggi esistenti, in
primis la legge Gozzini, oppure rendere operativa la legge Smuraglia;
sveltire l’iter burocratico delle procedure e aumentare gli
organici del personale competente nel pubblico; attualizzare i
parametri valutativi di una proposta di lavoro, pur senza mancare
alle norme di sicurezza. “La Magistratura di Sorveglianza e le
agenzie di controllo – affermano da Antigone – si attengono
ancora oggi ad una visione di un mercato del lavoro da anni ’70,
mentre le aziende da tempo utilizzano per gli inserimenti lavorativi
tutti gli strumenti di flessibilità a disposizione. Quindi quando
si presenta una richiesta di lavoro difficilmente è per l’ingresso
a tempi pieno e indeterminato e di conseguenza ci si trova spesso
con dei rigetti”.
Fonte:
Rapporto Antigone, 2001 Rapporto Antigone. ''Dopo Genova e l'11 settembre nel campo dei diritti
umani molto è cambiato'' Afferma
Antonio Marchesi nell'inchiesta di Antigone: "Il clima attuale
non è dei migliori per chi abbia a cuore i diritti umani. Dall’11
settembre 2001 siamo stati bersaglio di un martellante, assordante e
niente è più come prima. Nel campo dei diritti fondamentali il ‘niente
è più come prima’ contribuisce a giustificare l’idea che
questi non siano più così fondamentali, che possono essere
derogati per una buona causa (...). Il diritto a non subire torture
o altri maltrattamenti o pene crudeli, inumane o degradanti (ma
anche il diritto ad essere giudicati nel rispetto di certi standard
minimi di giustizia e, a nostro avviso, il diritto a non essere
condannati a morte) costituisce uno di quei diritti la cui
violazione non può essere mai, in nessun caso, giustificata. Una
barriera invalicabile, uno scudo impenetrabile deve proteggere l’integrità
fisica e psichica di ognuno di noi. Purtroppo l’invalicabilità di
quella barriera, l’impenetrabilità di quello scudo non sono
affatto garantiti...”. Venendo
all’Italia, afferma Marchesi: “I fatti accaduti a margine del G8
di Genova avrebbero dovuto, già prima dell’11 settembre, mostrare
pure a chi è normalmente poco attento a questi problemi come il
rispetto assoluto dell’integrità della persona umana(...) non sia
parte del patrimonio genetico delle nostre forze dell’ordine. E
avrebbe dovuto rendere evidente, credo, anche l’arretratezza
culturale di parte significativa delle nostre forze politiche, le
quali non hanno compreso l’importanza di una reazione forte (e al
tempo stesso equa) di fronte a quelle che se solo avvengono altrove,
magari nei ‘Paesi meno sviluppati del nostro’, vengono chiamate
con il loro nome: gravi violazioni dei diritti umani”. Di
fronte a questa valutazioni, Antigone evidenzia alcuni elementi di
una possibile strategia. “In primo luogo, occorre lavorare perché
nel nostro Paese, in particolare nelle istituzioni e nella pubblica
amministrazione, vi sia una migliore conoscenza dei sistemi di
protezione internazionale dei diritti umani e un maggiore rispetto
per il ruolo che questi, autorevolmente, svolgono (...). Affermare,
come abbiamo sentito fare, che uno Stato come il nostro potrebbe
fare anche a meno di un controllo internazionale, di questa specie
di ‘grado ulteriore di giudizio’ in quanto già rispettoso dei
diritti fondamentali significa non avere capito il significato più
vero di quei controlli. Quella verifica è l’espressione concreta
di un principio: dal principio per cui i diritti umani di tutti
riguardano tutti”. E per ciò che concerne l’ordinamento
giuridico italiano, viene ricordata l’insufficienza della
legislazione in materia. “Nonostante ripetute raccomandazioni del
Comitato dei diritti umani e del Comitato contro la tortura delle
Nazioni Unite, non esiste ancora nel nostri sistema penale un reato
specifico di tortura. Ciò non comporta che gli atti di tortura non
siano in linea di massima punibili nel nostro Paese. Ma non lo sono
certo in maniera adeguata alla loro gravità, come dimostrano le
pene lievi inflitte ai colpevoli nei casi in cui si è arrivati a
celebrare un processo. E’ auspicabile che le proposte di legge in
materia presentate anche in questa legislatura ricevano finalmente
dal Parlamento quel po’ di attenzione che il problema sicuramente
merita”. Nasce una Commissione per la difesa dei diritti Intervista
a Lorenzo Trucco, avvocato presidente dell'Associazione studi
giuridici sull'immigrazione (Asgi), da anni impegnato per la difesa
dei diritti umani e membro di un gruppo di lavoro internazionale
denominato"Commissione internazionale di inchiesta per la
difesa dei diritti fondamentali nella globalizzazione" con sede
a Ginevra. Per capire meglio cos'è questa Commissione e come
lavorerà. Testo
completo dell'intervista Diritti umani: annegati un un mare di petrolio La
Commissione dell'Onu dei diritti dell'uomo neutralizzata" Così
l'autorevole quotidiano parigino Le Monde ha intitolato un articolo
di commento sul consesso del più importante organo delle Nazioni
Unite sui diritti umani. Anche secondo autorevoli organizzazioni non
governative hanno prevalso le logiche di chi vuole violare
impunentemente i diritti umani. |
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