La
legge 180
In questi ultimi mesi nuove proposte di legge hanno
riacceso il dibattito sulla necessità o meno di modificare la Legge
Basaglia, legge che ha sancito, oltre il superamento degli ospedali
psichiatrici, anche un cambiamento culturale nel senso di un
riconoscimento dei diritti del paziente a partire della qualità della
vita. Il fronte del dibattito attuale, che si sta svolgendo all’interno
della Commissione Affari Sociali, dove proprio in questi giorni si
susseguono le audizioni delle principali associazioni, è
rappresentato dalla convinzione che a 20 anni dalla sua emanazione, la
legge 180 non sia riuscita nel proprio intento, lasciando il carico
maggiore di peso e responsabilità sulle famiglie.
Il Dossier che segue, prende spunto da questo dibattito e ricostruisce
le “ragioni” che oggi si confrontano: quelle delle famiglie che
denunciano a gran voce la loro incapacità di aiutare i familiari e
chiedono una revisione della normativa vigente soprattutto in materia
di Trattamento sanitario obbligatorio, e quella di chi invece vorrebbe
veder completata, non necessariamente attraverso la revisione della
legge, l’applicazione della normativa attuale.
Nel dossier viene raccontata la discussione in atto in questi giorni
proprio a partire dai contenuti dei “ddl della discordia” e dalle
richieste delle famiglie, espresse dalle associazioni. Ne sono state
ascoltate quattro, che rappresentano due schieramenti ideologi: Arap e
Diapsi da un lato più propensi all’obbligo della cura e Unasam e
Diapsigra, dall’altro, che non ritengono necessaria la revisione
della legge, ma chiedono regolamenti che sanino subito i vuoti
attuali.
Sulla questione sono stati sollecitati pareri autorevoli. Il
Sottosegretario di Stato alla Sanità con delega alla Salute Mentale Antonio
Guidi, che ha delineato le proposte immediate per il futuro a
partire dal considerare le nuove forme di disagio emergente che
toccano principalmente anziani e adolescenti. Massimo Cozza
della Consulta Salute Mentale che ha sottolineato come il dato forse
più eclatante sia dato oggi dalla mancanza di operatori; don
Mario Vatta fondatore della Comunità al Campo di Trieste che
ha lavorato al fianco di Franco Basaglia ed ha vissuto direttamente l’evoluzione
della situazione. Si è poi raccolto il parere della Campagna della
Salute Mentale in particolare per la situazione che si delinea in
Lombardia anche in relazione al Piano regionale Socio Sanitario
2002-2004 della Lombardia. Infine la voce di Ornella Bortolotti,
consulente Asl, che ha coordinato la chiusura dell’ospedale
psichiatrico di Como.
A cura di Carla Chiaramoni e Daniele Iacopini
"Il
Redattore Sociale"
La Legge 180 è ancora un punto fermo? E, se no, in che
direzione muoversi nell’ottica di una riforma psichiatrica?
E’ questo in Italia il dibattito di fondo sulla cura e la
gestione dei malati psichiatrici, che contrappone entusiastici
sostenitori a detrattori altrettanto convinti della cosiddetta Legge
Basaglia. Il dibattito si è riacceso in questi mesi con il riavviarsi
della discussione in Commissione parlamentare di proposte di legge che
prevedono un superamento della 180 e sta proseguendo proprio in questi
giorni sulla base delle audizioni delle associazioni più
significative e di quelle professionali.
La legge 180 ha demandato tutta l'attuazione alle Regioni.
Al momento della sua approvazione nel 55% delle province italiane
esisteva un ospedale psichiatrico pubblico, il 18% si avvaleva di
istituzioni private ed il 27% inviava i propri cittadini in manicomi
di altre province. Alcune Regioni hanno emanato in modo tempestivo le
normative regionali, ma altre hanno ritardato. Di fatto ogni Regione
ha legiferato da sé, producendo realtà alquanto diversificate nelle
tipologie delle strutture e dei servizi, che tuttora fanno registrare
in Italia una situazione a macchia di leopardo non solo per la
quantità dei servizi erogati, ma soprattutto per la qualità dell’assistenza,
che spesso ripropone, con altro nome, la stessa logica manicomiale.
Solo nel 1994, dopo 16 anni, è arrivato il Progetto Obiettivo, che
delineava quali fossero le strutture da attivare a livello nazionale e
dava l’avvio ad una riorganizzazione sistematica dei servizi
preposti all'assistenza psichiatrica.
Uno dei nodi cruciali della discussione, oggi, è la
condizione di quei malati cosiddetti non collaborativi che, non
riconoscendo la loro malattia, sono recalcitranti alla cura e quindi
secondo la legge attuale non possono essere avviati al trattamento di
cui avrebbero bisogno. Situazione questa che spinge a più di 20 anni
dall’entrata in vigore della 180 alcune associazioni ma anche alcuni
parlamentari, come ad esempio la deputata di Forza Italia Maria Burani
Procaccini, a chiedere una ridefinizione della normativa vigente e in
particolare di tutta l’area del Trattamento sanitario obbligatorio (Tso)
verso forme di cura obbligatorie, non nella veste manicomiale
tradizionale, ma attraverso un modello che può finire per
somigliargli molto.
Di fatto una delle critiche più forti che ha raccolto
negli anni la 180 è proprio quella di non aver predisposto
adeguatamente il “dopo chiusura”. Trasferendo le competenze della
cura nella cosiddetta “psichiatria territoriale”, senza che però
le regioni fossero pronte, il problema dell’assistenza
socio-sanitaria è passata di fatto dallo Stato direttamente ai
familiari, lasciando il carico di concretamente il proprio congiunto
malato.
Tuttavia le indicazioni che sono emerse in questi giorni di
audizioni non si sono indirizzate tutte verso una riforma della Legge
Basaglia, quanto piuttosto verso un approfondimento dell’unico
strumento oggi disponibile per operare sul territorio, ovvero il
Progetto Obiettivo. Alcune associazioni ritiengono infatti questo uno
strumento utile, che ha dato dei risultati anche se insufficienti.
Restano ad esempio tra le priorità la necessità di una copertura
finanziaria adeguata del Progetto Obiettivo ed il bisogno di linee
guida più vincolanti, che non lasciano troppo margine alla
sensibilità di questa o quella regione.
Il problema sembra dunque incentrarsi essenzialmente sulla
qualità dei servizi sostitutivi e la strategia da perseguire quella
di arrivare a non disperdere i buoni principi contenuti dalla Legge
180, “non difendendola come un dogma”, ma salvandone i valori,
anche se allo stato attuale del dibattito parlamentare è difficile
prevedere in quale direzione si procederà.
Significativo il documento siglato dalla Conferenza dei Presidenti
delle Regioni e delle Province autonome, nello scorso gennaio, in cui
si sottolinea come la Regione sia il “livello istituzionale più
adeguato per la realizzazione ottimale di servizi alla persona e per
la piena integrazione socio-sanitaria”.
Le Regioni con questo documento hanno ribadito il proprio
concreto “impegno per la completa attuazione del Progetto Obiettivo
Salute Mentale 1998-2000 nelle singole realtà regionali” e quello
di “destinare la quota del 5% dei Fondi sanitari regionali per le
attività di promozione e tutela della salute mentale”.
Sottolineavano inoltre la necessità di realizzare “in ogni Regione
un programma di azioni integrate per la tutela della salute mentale
che abbia al centro degli interventi i bisogni del paziente e che
operi in stretta connessione con gli altri soggetti della Comunità
sociale e territoriale pubblici e privati per il raggiungimento dell’obiettivo
comune della prevenzione, della cura e della riabilitazione fino al
reinserimento nel luogo di lavoro della persona con disturbi mentali”.
Disturbi mentali nel mondo
In milioni
di pazienti - Anno 2000
|
Nevrosi e
stress
|
490
|
Disturbi
umore
|
230
|
Ritardo mentale
|
100
|
Epilessia
|
50
|
Demenza
|
40
|
Schizofrenia
|
20
|
Totale
|
930
|
Fonte: World Development Report - Prima
Conferenza nazionale per la Salute Mentale Gennaio 2001
Salute
mentale
Prevalenza dei disturbi psichiatrici in Italia
|
|
Maschi
|
Femmine
|
Totale
|
Famiglie
coinvolte
|
Qualsiasi disturbo
|
3.200.000
|
6.992.000
|
10.192.000
|
47,7%
|
Disturbi
psicosessuali
|
24.000
|
25.610
|
49.314
|
0,2
|
Disturbi
dell'infanzia e dell'adolesc.
|
24.000
|
204.884
|
228.588
|
1,1
|
Psicosi
non affettive
|
118.000
|
230.494
|
349.013
|
1,6
|
Abuso/dipendenza
da sostanze
|
142.000
|
204.884
|
347.107
|
1,6
|
Disturbi
del comportamento alimentare
|
94.000
|
281.715
|
376.531
|
1,8
|
Disturbi
del sonno
|
190.000
|
563.431
|
753.061
|
3,5
|
Disturbi
da controllo degli impulsi
|
332.000
|
435.378
|
767.231
|
3,6
|
Disturbi
da somatizzazione
|
450.000
|
793.925
|
1.244.297
|
5,8
|
Disturbi
d'ansia
|
2.180.000
|
5.702.361
|
7.943.110
|
37,2
|
Disturbi
affettivi
|
2.560.000
|
5.506.000
|
8.066.266
|
37,8
|
Fonte:
ISS - Prima Conferenza nazionale per la Salute Mentale
Gennaio 2001
Psichiatria
– Il processo storico e culturale che ha portato alla Legge 180
L’istituzione manicomiale vede negli anni ’50 oltre
100mila cittadini internati. I manicomi svolgono una funzione
prevalente di contenitore sociale di una serie di problemi
diversificati, la popolazione è costituita non soltanto da persone
con disturbi mentali, ma anche da disabili gravi e gravissimi,
disadattati sociali, emarginati, alcoolisti. C’è perfino chi nasce
in manicomio e vi trascorre tutta la vita. Il ricovero, quasi sempre
deciso da altri, è obbligatorio e spesso dura fino alla morte, in
quanto non esistono stimoli o soluzioni alternative. Il criterio per l’internamento
non è la malattia mentale ma la pericolosità o il "pubblico
scandalo" ed è quindi evidente che la funzione del manicomio è
solo in minima parte di "cura”.
A partire dalla seconda metà degli anni ’50 le attività di
assistenza psichiatrica in tutto l’Occidente sono attraversate dal
movimento di de-istituzionalizzazione, che pone in discussione il
manicomio e apre il dibattito rispetto a nuove modalità di presa in
carico dei pazienti psichiatrici. In Italia il movimento
anti-istituzionale nasce soprattutto a Gorizia e Trieste, grazie all’iniziativa
di Franco Basaglia. Ciò che egli teorizza ed attua negli anni 60/70
diventa patrimonio della psichiatria internazionale La nuova cultura
antimanicomiale introduce concetti quali il decentramento, la
territorialità, la continuità terapeutica tra ospedale psichiatrico
e territorio, il lavoro in équipe, la formazione per la creazione di
nuove competenze professionali che mettano in grado gli operatori di
lavorare sia nella struttura ospedaliera, che in ambulatorio, che al
domicilio e nelle strutture di accoglienza intermedia fra l’ospedale
e la famiglia. Si fa strada anche l’idea della prevenzione, con il
lavoro nella comunità, nell’ambiente di vita e di lavoro dei
cittadini, un lavoro rivolto non soltanto ai malati mentali ma anche
alle cause che minacciano al salute mentale di tutti.
Emerge un’altra linea fondamentale, quella di partire
dall’organizzazione sanitaria di base, e non dall’Ospedale
Psichiatrico, fornendo alternative al ricovero in ospedale e
collegando la lotta contro il manicomio con quella per il servizio
sanitario nazionale e la riforma dell’organizzazione sanitaria. I
protagonisti dell’esperienza italiana furono principalmente gli
psichiatri; l’associazionismo dei familiari in Italia,
contrariamente a quanto avviene in altri Paesi, nasce parecchi anni
più tardi, al varo della 180. Nel 1968 la Casa Editrice Einaudi
pubblica "L’Istituzione negata", vero e proprio manifesto
del movimento antiistituzionale italiano.
Fonte: Ornella Bortolotti, Fogli di informazione e di coordinamento, n.
2 marzo-aprile 2000, Movi
Le
leggi:
Misure di razionalizzazione della finanza pubblica - Legge
Finanziaria 1995
E’ la legge Finanziaria, nel quale viene disposta la
definitiva chiusura degli ospedali psichiatrici entro il 31 dicembre
1996 (Art. 3, comma 5). La legge dispone inoltre che i beni mobili ed
immobili degli ospedali psichiatrici dismessi, che non possono essere
utilizzati per altre attività di carattere sanitario, sono destinati
dall'Unità sanitaria locale competente alla produzione di reddito,
attraverso la vendita, anche parziale, degli stessi con diritto di
prelazione per gli Enti pubblici, o la locazione. I redditi prodotti
sono utilizzati per l'attuazione di quanto previsto dal
progetto-obiettivo "Tutela della salute mentale 1994-1996".
"Misure di razionalizzazione
della finanza pubblica"Legge
23 dicembre 1994, n. 724 (pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale n. 304 del 30 dicembre 1994)
Tutela della salute mentale - Riforma della psichiatria
E’ questa la storica legge che dispone la chiusura dei
manicomi.
La sua completa attuazione è stata data dalla legge
Finanziaria del 1996, che dettava i termini della chiusura delle
strutture di igiene mentale.
La base
teorica della legge risiede nella convinzione secondo cui un effettivo
recupero del malato di mente non può prescindere dal suo
reinserimento nella società
"Accertamenti e trattamenti sanitari
volontari e obbligatori" Legge
13 maggio 1978, n° 180
Tutela della salute mentale
1994/96 - Progetto-obiettivo 1994/96 E’ il D.P.R.
7 aprile 1994, (Pubblicato
nella Gazz. Uff. 22 aprile 1994, n. 93),
sulla tutela della salute mentale. Il progetto-obiettivo giunge
a quindici anni di distanza dalla legge Basaglia (la 180/78), sull’onda dei risultati insoddisfacenti delle
sperimentazioni spontanee seguite alla legge sul territorio nazionale.
Con il decreto viene definita una strategia di intervento che,
attraverso tale progetto-obiettivo triennale, mira a realizzare il
modello organizzativo del Dipartimento di salute mentale; promuovere
progetti specifici per il superamento del residuo manicomiale;
promuovere un sistema informativo per il monitoraggio della spesa
psichiatrica; individuare un sistema di indicatori di qualità dell’assistenza
psichiatrica; promuovere la formazione degli operatori
NORMATIVE AREA SALUTE MENTALE
Requisiti
Minimi Strutturali, Tecnologici e Organizzativi - Ministero della Sanità - Dipartimento delle professioni
sanitarie delle risorse umane e tecnologiche in sanità e
dell'assistenza sanitaria di competenza statale. Osservatorio
sul superamento dei manicomi D.M. 24 maggio 1995
DECRETO
21 maggio 2001, n. 308 "Requisiti minimi strutturali e
organizzativi per l'autorizzazione all'esercizio dei servizi e delle
strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale
PROGETTO
DI LEGGE " CENTO' " DI RIFORMA DELL'ASSISTENZA PSICHIATRICA
NUMERO 844
PROGETTO
DI LEGGE " CE' " DI RIFORMA DELL'ASSISTENZA PSICHIATRICA
NUMERO 152
PROGETTO
DI LEGGE " BURANI " DI RIFORMA DELL'ASSISTENZA PSICHIATRICA
NUMERO 174
PROGETTO
DI LEGGE " GUBETTI " DI RIFORMA DELL'ASSISTENZA PSICHIATRICA
NUMERO 683
CONFRONTO
TRA LA LEGGE 180/78 e i PROGETTI DI LEGGE BURANI-CE'
LEGGE
180/78 - TESTO COMPLETO (3 ottobre 2001)
SENTENZA
CONSIGLIO DI STATO: IGIENE MENTALE EQUIPOLLENTE A PSICHIATRIA (9 MARZO
2001);
LEGGE
401/2001: SANATORIA PER I PRECARI APPROVATA DEFINITIVAMENTE (6
febbario 2001)
NOTE
CUF: ABOLITE QUELLE DEI FARMACI NEUROPSICHIATRICI (13 gennaio 2000);
FINANZIARIA
2001: LE NOVITA' PER LA SALUTE MENTALE (31/12/00);
DECRETO
MINISTERIALE 20 luglio 2000: Protocollo di monitoraggio dei piani di
trattamento farmacologico per la malattia di Alzheimer (2 novembre
2000);
Approvata
al Senato la LEGGE QUADRO SULL'ASSISTENZA SOCIALE (18 ottobre 2000);
Approvato
il Decreto correttivo della Riforma ter 229/99: ecco cosa cambia nel
S.S.N. (2 agosto 2000)
Ddl
4932 sulle professioni approvato alla Camera: psicoterapeuti
legittimati via libera alla dirigenza SSN (19 luglio 2000)
Ordinamento
della professione di psicologo
Sentenza
Consiglio di Stato: La mobilita' ha la precedenza sui concorsi (6
luglio 2000)
Sentenza
Consiglio di Stato: per i dirigenti sanitari la prova pratica e'
obbligatoria nei concorsi (29 giugno 2000)
Circolare
FONMCeO: Medici, pubblicita' anche via Internet (18 giugno 2000)
Decreto
4980 sulle professioni approvato alla camera: infermieri e terapisti
della riabilitazione diventano dirigenti (16 giugno 2000)
Protocollo
Ministeriale sui Piani di Trattamento farmacologico per il Morbo di
Alzheimer (3 giugno 2000)
Legge
Delega 419/98 - Riforma "TER": Cosa cambia per la
Psichiatria Italiana?
CORTE
DI CASSAZIONE Sezione Lavoro: Sentenza 24/11/1998 - 29/05/1999 N.5152
"Ancheal Portatore di Handicap Psichico Spetta L'indennita' di
Accompagnamento"
"Progetto
obiettivo materno-infantile: la tutela della Salute Mentale in
etàevolutiva" (2 luglio 1999)
Progetto
Obiettivo 98-2000: Parte il Piano (1 ottobre 1999)
L'elencodelle
patologie neuropsichiatriche esenti dai Ticket
PROGETTO
OBIETTIVO TUTELA SALUTE MENTALE 1998-2000 - testo completo
PROGETTO
OBIETTIVO PER LA TUTELA DELLA SALUTE MENTALE 1998-2000: tabelle e
commenti (G.U. n° 274 del 22/11/99)
DISCIPLINE
EQUIPOLLENTI: PRONTA UNA BOZZA CON MODIFICHE DELLE TABELLE
·
DECRETO
ATTUATIVO del Dlgs 230/99 - TRASFERIMENTO DEGLI ORGANICI DEGLI
ISTITUTI PENITENZIARI
I PARERI DI ALCUNE ASSOCIAZIONI
PSICHIATRIA – Famiglie1/Arap: ''La nuova cronicità nasce
dalla mancanza dell’obbligo alla cura''.
Diapsi: ''Necessario che il malato venga curato''
Le proposte di riforma della Legge 180 dell’area di destra
che tanto preoccupano gli operatori, trovano invece consenso più
ampio di una parte delle associazioni che rappresentano le famiglie.
Tra queste Arap e Diapsi che ne criticano i limiti di applicazione e
ne propongono modifiche, mentre di segno opposto è il parere dell’Unasam,
che si batte per la piena applicazione della legge. Di seguito
ospitiamo il parere di alcune della associazioni che sono state
ascoltate nei giorni scorsi dalla Commissione parlamentare Affari
Sociali.
Arap
-Associazione per la riforma dell’assistenza psichiatrica
Marcella Vanni (Vicepresidente):
“Noi sosteniamo che se non c’è un’integrazione della
legge 180 continueremo a girare intorno al problema. Inutile dire che
la legge non è stata applicata perché non è vero. Nel suo spirito
riformatore la legge è stata applicata perché quando un malato va in
crisi lo si porta al Trattamento sanitario obbligatorio ma se il
malato, e ce ne sono tantissimi, non va in crisi anche se è molto
grave, è libero di scegliere se curarsi o no. Di solito non si cura e
peggiora; la nuova cronicità si è formata per questo motivo. Il
problema non sta nella mancanza di strutture, perché, anche dove le
strutture esistono, se il malato non ci vuole andare nessuno lo può
obbligare. Se non si ha un malato di mente in casa, non si sa cosa è
accaduto dopo la legge Basaglia e quanti piccoli manicomi si sono
formati nelle case e nei condomini delle famiglie italiane. La nostra
associazione è composta solo da familiari di malati di mente e quindi
siamo stati liberi di denunciare quando i Servizi non facevano il loro
dovere. Questo non era gradito a chi voleva far apparire che il
mancato funzionamento andava addebitato solo alla mancanza di
strutture e alla mancata applicazione della legge. Ma chiedo: cosa è
più civile, lasciare che un malato vada alla deriva, sia deriso
quando cammina per strada, che una ragazza sia abusata e rimanga
incinta e poi le venga tolto il figlio perché è malata di mente o
dar loro il diritto di curarsi?”
Diapsi
(Associazione difesa ammalati psichici)
Grazia Gozzellino:
“Per noi è necessario che il malato venga curato e non
resti in balia di se stesso nel momento in cui deve decidere se
curarsi o no, perché non è in grado di stabilire che è giusto
curarsi e non è giusto non curarsi. E siccome non può essere
ricoverato se non lo vuole, resta in famiglia, non si cura e peggiora.
In Piemonte il Progetto Obiettivo è stato attuato solo parzialmente e
non per la cattiveria di alcuni operatori della Asl, che in Piemonte
sono 22, quanto perché non ci sono i fondi. La legge dice che il
direttore della Asl deve dare almeno il 5% al Dipartimento di
Psichiatra. Il realtà c’è l’Asl di Torino che ha il 7.9% e
quella di Tortona che ha il 2,8% e non si sa se perchè a Torino c’è
maggiore necessità o se il direttore è stato più bravo a farseli
dare di quello di Tortona. Inoltre il Progetto Obiettivo non prevede
obblighi di rispetto né sanzioni, per cui chi l’ha attuato bene e
chi non l’ha attuato bene lo stesso. Rimane una libera scelta dei
Dipartimenti di Salute Mentale. Per quanto riguarda i Centri di Salute
Mentale abbiamo segnalato che non sono aperti come previsto dalla
legge, ma soltanto dalle 9 alle 17 e rimangono chiusi il sabato e la
domenica. Non effettuano le visite domiciliari se non in casi
eccezionali ed è il paziente che deve andare al Csm, ma a volte il
malato non riconosce la propria malattia e non lo fa. Noi chiediamo
che il medico del Csm vada a casa come quello di base. Per i centri
diurni invece il problema che ci sembra più rilevante è che gli
operatori non hanno una preparazione professionale specifica per
affrontare i malati psichici. La maggior parte dei centri sono gestiti
da cooperative dove gli operatori vanno e vengono anche perché sono
pagati poco e quando trovano di meglio se ne vanno. Non esiste inoltre
una suddivisione per patologia: gli anziani stanno con i giovani e i
gravi con i meno gravi. Succede allora che tanti pazienti non vogliono
andare nel centro diurno perché “non si sentono matti e non
vogliono strare con i matti”. Fondamentale infine che siano
monitorate le comunità perché non smarrivi a casi come quello di San
Gregorio Magno.”
I PERCORSI DEI PAZIENTI PSICHIATRICI - Azienda
USL/7 Ancona -2000
Linee operative per le strutture e le attività del
Dipartimento di Salute Mentale
autore/i:Campi S., Russo T.
Il documento presentato nel quaderno del centro studi e
documentazione dell’Azienda USL n. 7 di Ancona vuole promuovere il
coordinamento tra le diverse strutture del Dipartimento di Salute
Mentale e l’integrazione delle stesse con le istituzioni esterne, al
fine di creare una rete di servizi più adeguata ai bisogni di cura
assistenza e riabilitazione dei pazienti psichiatrici. Gli argomenti
sono stati affrontati scegliendo l’ottica del paziente come criterio
principale di osservazione. Il sistema curativo riabilitativo ed
assistenziale del Dipartimento di salute Mentale vuole offrire
risposte adeguate alle diversificate necessità degli utenti, facendo
fronte a quelle che sono le contraddizioni e nodi critici quali: il
ricorso al ricovero come risposta, in modo improprio, ai bisogni di
tipo assistenziale-residenziale o di contenimento delle crisi; la non
completa risposta alle persone che hanno bisogno di una
residenzialità protetta permanente; pazienti inseriti a termine in
strutture semiresidenziali per i quali non si prevedono le dimissioni;
difficoltà e momenti di crisi nel passaggio da una struttura, o
momento riabilitativo, più protetta ad una più autonoma.
Psichiatria, documento congiunto
di alcune associazioni in vista delle audizioni
I
Rappresentanti delle seguenti Associazioni:
Arap Roma
Arap Bologna
Arap Sardegna
Arap Friuli Venezia Giulia e Trieste
Arap Catania
Aris Trento
Associazione per la Promozione della Salute mentale di Pinerolo
Avap Verbania
Di.A.Psi. Piemonte – Torino
Di.A.Psi. Acqui Terme
Di.A.Psi. Ciriè
Di.A.Psi. Chivasso
Di.A.Psi. Cuneo
Di.A.Psi. Vercelli
Di.A.Psi. Fossano-Savigliano-Saluzzo
Di.A.Psi. Torre Pellice
Di.A.Psi. Valsangone e Val Susa
Di.A.Psi. Valle d'Aosta
Fondazione IDEA Istituto per la ricerca e la prevenzione della
Depressione e dell'Ansia
Associazione SPES di Varese
Psiche 2000 Veneto e Marche
Psiche 2000 Camposanpiero
Psiche 2000 Dolo
Psiche 2000 Este
Psiche 2000 Padova
Psiche 2000 Piove di Sacco
Psiche 2000 Thiene
Psiche 2000 Valdagno
Psiche 2000 Verona
Psiche 2000 Vicenza
Psiche 2000 Vittorio Veneto
Psiche 2000 S. Benedetto del Tronto
Psiche 2000 Servigliano(AP)
in previsione
delle “audizioni” delle Associazioni dei familiari di
malati psichici alla XII Commissione Parlamentare Affari Sociali della
Camera dei Deputati, indette a seguito delle proposte di legge
presentate dagli On.li Burani-Procaccini, Cè, Cento e Gubetti
riguardanti la riforma della legge 833/78 ovvero della legge 180 sulla
psichiatria,
si sono riuniti
a Torino, il 25 novembre 2001, nella Sede della Di.A.Psi.
Piemonte (Difesa Ammalati Psichici), hanno concordato e
sottoscritto direttamente, per delega, per successiva sottoscrizione
una linea comune da considerare nel quadro della revisione e
miglioramento della citata legge.
I punti più
significativi sono:
1.
MALATTIA
MENTALE: la malattia mentale deve rimanere di competenza sanitaria.
2.
FINANZIAMENTI:
i finanziamenti destinati alla Psichiatria devono essere aumentati
fino a raggiungere il livello dei paesi europei più evoluti (10-11%
del fondo sanitario nazionale).
3.
RICERCA:
la ricerca sulle malattie mentali deve essere finanziata con budget
diverso da quello destinato alla psichiatria e adeguata ai livelli dei
paesi più progrediti.
4.
CURE:
si ribadisce il diritto alle cure per tutti i malati psichici, con
particolare attenzione per i malati inconsapevoli e non collaboranti i
quali, se non curati, rischiano la cronicizzazione; si riaffermano la
necessità di una presa in carico effettiva da parte del DSM
(Dipartimento di Salute Mentale) con un progetto terapeutico
personalizzato e scritto, con obbligo di informare i parenti e la
possibilità, per la famiglia collaborante, di diventare supporto
terapeutico, ma con sostegno infermieristico e psicoeducazionale.
Chiunque, associazione o privato, venga a conoscenza di una situazione
in cui esista un malato abbandonato, può richiedere l’intervento
del DSM che dovrà essere obbligato provvedere.
L’assistenza psichiatrica domiciliare deve essere garantita e
obbligatoria. La visita domiciliare dello psichiatra può essere
richiesta oltre che dal malato anche da un familiare e deve essere
esperita entro 24 ore. Il malato o i tutori hanno il diritto di
scegliere liberamente il medico curante e le eventuali strutture di
ricovero o supporto. Medico e strutture possono essere proposte dal
DSM, ma non imposte. Nel caso di mancata presa in carico e di
abbandono del malato si configura il reato d’omissione di soccorso.
5.
La
Neuropsichiatria Infantile deve essere collegata con la Psichiatria
Adulti.
6.
RICOVERI E TRATTAMENTO SANITARIO OBBLIGATORIO (T.S.O): si
prevedono tre tipi diversi di TSO:
a) d'urgenza;
b) terapeutico domiciliare;
c) terapeutico residenziale;
(sono da sviluppare le modalità di attuazione, i tempi di durata ed i
vincoli per evitare abusi).
7.
Si
propone che il SERVIZIO PSICHIATRICO DI DIAGNOSI E CURA (S.P.D.C)
assuma il ruolo di Pronto Soccorso Psichiatrico presso l’Ospedale
Generale, sede di DEA (Dipartimento d’Emergenza e Accettazione), che
risponda a tutte le emergenze, anche mediante interventi domiciliari
urgenti per i casi di crisi acute, che accolga il paziente volontario
o in T.S.O. per un tempo di breve durata (esempio: non superiore alle
72 ore) per trasferirlo, quindi, in strutture d’osservazione,
diagnosi e cura, ove, se necessario, il regime di trattamento di
T.S.O. possa essere protratto per un periodo da determinarsi in sede
di stesura della Legge.
8.
STRUTTURE
RESIDENZIALI: si richiede la creazione effettiva di sostegno
residenziale con tipologie diverse, a seconda della patologia, della
gravità, dell’autonomia raggiunta o esistente, con un massimo di 20
posti, e precisamente:
-
strutture residenziali con protezione tipo comunità “A”
(art. 4,comma 2 del DPR 14.01.1997);
-
strutture residenziali con protezione tipo comunità “B”(art.
4,comma 2 del DPR 14.01.1997);
-
strutture residenziali tipo gruppo appartamento, alloggi
assistiti;
-
affidamento intrafamiliare o eterofamiliare;
-
strutture semiresidenziali per il reinserimento nel
quotidiano;
-
appartamento singolo, assegnato dall''Agenzia territoriale
di edilizia popolare regionale o provinciale, per il malato che ha
raggiunto un’autonomia accettabile.
In queste residenze si deve puntare alla qualità del servizio, e non
solo alla quantità di operatori e di strutture; si deve riprodurre il
più possibile l’ambiente quotidiano del vivere in famiglia,
prevedendo attività propedeutiche che siano di stimolo per il malato
e volte al miglioramento delle capacità residue, attività ludiche,
attività manuali, finalizzate tutte al conseguimento di capacità
lavorative.
9.
FORMAZIONE
OBBLIGATORIA DEGLI OPERATORI CON UN BUDGET VINCOLATO: la qualità
umana e professionale degli operatori psichiatrici è determinante per
raggiungere un livello soddisfacente di assistenza e di riabilitazione
del malato, pertanto è necessario un addestramento altamente
specializzato, affinché la formazione non si limiti a una
trasmissione di nozioni e teorie. Va rivalutata e sottolineata l’importanza
della figura dell’"Educatore".
10.
PREVENZIONE:
la prevenzione, praticamente mai attivata, è oggi indispensabile,
stante il dilagare di vecchi e nuovi disturbi e disagi nella
popolazione. Ovviamente si fa riferimento non solo a una prevenzione
secondaria e terziaria, ma anche primaria, intesa come promozione dell’educazione
sanitaria sui temi di pertinenza psichiatrica, ad esempio attraverso
la collaborazione dei medici di base, che dovranno seguire corsi
integrativi e di aggiornamento obbligatori. E’ anche necessario
svolgere un monitoraggio nelle scuole, tenere conferenze informative e
formative per docenti e studenti e fornire agli insegnanti strumenti
idonei a riconoscere i casi a rischio.
11.
MONITORAGGIO
E SANZIONI: si devono operare controlli sull’effettiva attuazione
dei servizi, sul loro funzionamento e sulla qualità di lavoro, sia
sulle molteplici piccole comunità private, sia sulle attività svolte
dalle tante cooperative sociali cui, vengono demandate parti sempre
più importanti dei servizi psichiatrici pubblici.
Tali controlli non devono essere autoreferenti, ma devono essere
effettuati da una Authority (Commissione di Sorveglianza Psichiatrica)
non legata al servizio erogante, con componenti di diversa provenienza
(es.: un rappresentante delle associazioni dei familiari, un
rappresentante degli operatori, un giudice di pace….). Tale
Commissione, nel caso d’inadempienze, ritardi, omissioni e
disfunzioni potrà sanzionare amministrativamente i responsabili a
tutti i livelli, potrà fare esposti alla magistratura per richiedere
un’azione penale, potrà dirimere con giudizio informale, ma
vincolante per le parti, i contrasti fra utenti e familiari di utenti
e i servizi eroganti, sia essi pubblici sia privati.
12.
INSERIMENTO
LAVORATIVO: al fine di assicurare un’attività lavorativa
compatibile con le sue possibilità, il malato di mente ha il diritto
di essere inserito nelle liste di collocamento obbligatorio (art. 4,
comma 2, proposta di legge Burani Procaccini).
13.
CARICO
FAMILIARE: per le famiglie conviventi, o comunque con un membro
malato, si devono prevedere supporti psicologici, supporti
psicoeducazionali, supporti antistress e sussidi finanziari. Se il
malato convivente non è collaborante si rende necessario un costante
sostegno infermieristico.
14.
DOPO
DI NOI: diritto alla certezza che alla morte dei familiari o alla loro
incapacità di gestire il congiunto malato, questi venga
obbligatoriamente preso in carico dal S.S.N. congiuntamente con tutti
i servizi istituzionali di appoggio e tutela.
15.
CONSULTAZIONE
OBBLIGATORIA: per definire una programmazione adeguata agli effettivi
bisogni del territorio (distrettuale, dipartimentale, ASL, regionale e
nazionale) le Associazioni dei familiari devono essere consultate
obbligatoriamente.
16.
OSSERVATORIO
EPIDEMIOLOGICO: si richiede la creazione dell’osservatorio
epidemiologico Regionale e Nazionale sulla malattia mentale.
17.
AREE
E EDIFICI EX OSPEDALI PSICHIATRICI: le aree e gli edifici degli ex
ospedali psichiatrici, non utilizzabili per la realizzazione di
strutture a favore dei malati di mente, possono essere alienati o
affittati, purché il ricavato venga destinato alla costituzione o al
funzionamento di strutture destinate ai malati di mente.
18.
SI
AUSPICA LA CHIUSURA DEGLI OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari) e si
devono prevedere strutture alternative con finanziamenti aggiuntivi.
19.
Inoltre,
si ribadisce la necessità di stabilire SANZIONI PENALI nei confronti
dei direttori generali delle ASL e dei direttori dei DSM inadempienti
ai loro compiti istituzionali.
La parola d'ordine:NO
AL MANICOMIO, NO ALL’ABBANDONO, SÌ ALLE CURE.
PSICHIATRIA - Famiglie Diapsigra:
''Il
superamento della 180 non è indispensabile ''.
Diapsigra
(Associazione difesa ammalati gravi)Anna
Rosa Lugli Andretta (Presidente)
Unasam
(Unione nazionale delle associazioni per la salute mentale Ernesto
Muggia (Presidente):
Unasam:
''Assurdo un
progetto di legge statale se vanificato dalle Regioni ''
“L’Unasam è in totale accordo con l’associazione
Diapsigra; abbiamo ritenuto utile unire i nostri sforzi per
rappresentare da voce alle famiglie nel modo più ampio possibile.
Riconosciamo la necessità di un intervento diffuso riguardo alcuni
capitoli importanti: la presa in carico di giovani che rifiutano la
propria condizione di malato e la revisione in termini di regolamento,
senza la necessità di una nuova legge, delle procedure del
trattamento sanitario obbligatorio, che preferiamo pensare preceduto
da un accertamento sanitario obbligatorio con relativo invito alle
famiglie e al paziente ad accedere ai servizi in modo volontario,
senza escludere, in caso di necessità, un intervento obbligatorio. La
legge di riforma non costituisce ostacolo al perseguimento di buone
qualità e conseguimento dei risultati positivi, mentre è la sua
inapplicazione o distorsione a determinare insoddisfazione e proteste,
danni e sofferenze che restano impuniti in mancanza di strumenti di
vigilanza e sanzionatori. Nessuna legge può essere ben applicata in
assenza di finanziamenti e se non si interviene a sanzionare chi non
applica. Chiediamo che le esperienze del passato non vadano disperse,
che le conclusioni a cui giunta la prima conferenza nazionale per la
salute mentale trovino attuazione. Chiediamo inoltre che il progetto
obiettivo 1998-2000 venga integrato nella parte carente, ad esempio
modi e siti per effettuare il Tso, presa in carico di pazienti non
collaborativi, provvedimenti necessari per rispondere alle esigenze
del “dopo di noi”, ma anche la previsione di una copertura
assicurativa dei rischi per disturbi di salute mentale. Andrebbe
riconsiderata la misura dell’intervento finanziario, originariamente
indicata almeno nel 5% del finanziamento regionale, andrebbe
commisurata sempre in sede regionale ai programmi per la salute
mentale specifici delle singole aziende. Il federalismo è andato
talmente avanti che sarebbe assurdo proseguire l’iter di un progetto
di legge statale se poi tale impiego venga vanificato dalle regioni”.
DIAPSIGRA
- Difesa Ammalati Psichici Gravi
Presente in Piemonte, Veneto, Toscana, Emilia Romagna,
Lazio, Campania, Calabria e Sardegna l’associazione nasce
inizialmente con lo scopo di operare “una revisione della legge 180
che portasse al ripristino dell'internamento” col tempo alcune
sezioni distaccate della DIAPSIGRA hanno cercato di svolgere una
attività di intervento sulle realtà locali e regionali. Oggi
l'associazione avvia interventi volti a denunciare situazioni
inaccettabili e a promuovere la conoscenza del problema del disagio
psichico. Promuove momenti di sensibilizzazione dell'opinione
pubblica; rapporti di collaborazione e di sollecitazione con
componenti politiche e di governo e con tutti gli operatori del
settore perché “agli aspetti più prettamente medico-clinici siano
integrati anche quelli socio-sanitari”. L’interesse è spesso
rivolto verso un'assistenza adeguata non solo per la terapia dei
pazienti ma anche per il sostegno delle famiglie,. Organizza: corsi di
convivenza diretta per i familiari in difficoltà e di formazione per
gli operatori volontari.
UNASAM
- Unione nazionale associazioni per la salute mentale
Si è costituita nel 1993 e rappresenta l’incontro e l’unione
nazionale di un gran numero di associazioni per la salute mentale. È
un'aggregazione di realtà che perseguono gli stessi fini nel campo
della sofferenza psichica, uno strumento per rappresentare in maniera
unitaria le associazioni aderenti nei confronti delle Istituzioni e
delle Organizzazioni Nazionali ed Internazionali e delle società in
generale.
Obiettivi: promozione delle condizioni necessarie per una
idonea assistenza agli ammalati psichici, tutela dei loro diritti e
supporto delle famiglie; riconoscimento della dignità e dei diritti
di base dei malati di mente e dei loro familiari; assistenza adeguata
sia nella fase di cronicità sia in quelle di acuzie e di emergenza;
riabilitazione psicosociale continuativa; creazione di una rete di
piccole comunità residenziali protette; prevenzione e diagnosi
precoce nel campo della salute mentale, a partire dalle scuole; uso
moderato e razionale degli psicofarmaci.
PSICHIATRIA – Ad ottobre i risultati definitivi del
Progetto Progres: 270 le strutture analizzate ed oltre 3000 i pazienti
Nell’ambito della Legge 180, uno degli aspetti più
importanti è stata la nascita di numerose Strutture Residenziali (SR)
non ospedaliere su tutto il territorio nazionale, rispetto alle quali,
sino a oggi sono state disponibili solo informazioni molto limitate.
Qual è la tipologia dei pazienti che vi sono ospitati, quali i
bisogni assistenziali e le modalità di trattamento erogate? A queste
domande una risposta la sta fornendo il Progetto Progres, voluto dall’Istituto
Superiore di Sanità, che ha appunto lo scopo di censire le strutture
residenziali, sia pubbliche che private, presenti sul territorio
nazionale. Attualmente è in atto la Fase 2 del progetto che prevede
la selezione di un campione comprendente il 20% delle Strutture
residenziali di ciascuna Regione. Le informazioni su questo campione
riguardano sia gli aspetti edilizi e strutturali (locali,
attrezzature, arredi, personale) che i costi, che il processo
assistenziale (tipi di attività programmate e di interventi
riabilitativi attuati, trattamenti farmacologici). Vengono anche
esaminati tutti i pazienti ospitati in queste strutture e le loro
condizioni.
“Ad ottobre di quest’anno abbiamo previsto a Milano un convegno,
in cui presenteremo tutti i risultati del Progetto Progres che per
allora saranno tutti rigorosamente analizzati. – spiega Giovanni Di
Girolamo che da tre anni è impegnato in questo lavoro di ricerca - Le
analisi della seconda parte sono tuttora in corso ed è difficile dare
ad oggi un quadro preciso. I dati a disposizione sono molti perché
riguardano 270 Strutture residenziali e più di 3000 pazienti, mentre
le risorse sono scarse e questo ci costringe ad andare avanti non con
la stessa rapidità che si sarebbe potuta mantenere se avessimo avuto
risorse ben differenti. Siamo ancora ad un livello di analisi
descrittive che è ancora insufficiente per poter dire qualche cosa.”
“Ad esempio – prosegue - ad una prima elaborazione fatta su questi
3000 pazienti è risultato un tasso di suicidi che è di molto
superiore, e parliamo di svariate decine di volte, rispetto alla
popolazione generale. Ma è una dato che in se non sorprende se si
pensa che una ricerca analoga recentemente condotta negli Stati Uniti
su un campione di oltre 11mila pazienti, con disturbi gravi come la
schizofrenia, ha messo in evidenza un tasso di suicidio 70 volte
superiore a quello della popolazione generale. Tuttavia è un dato su
cui dovremmo riflettere e che potrebbe acquistare un senso diverso se
messo in relazione con delle specifiche caratteristiche. Ad esempio il
numero dei suicidi è più elevato in un certo tipo di strutture e
meno elevato in altre? Questo tipo di analisi non descrittive non sono
state ancora disponibili”.
Progetto
Progres
Con la legge di riforma dell’assistenza psichiatrica, la
Legge Basaglia, si è prodotta una radicale trasformazione dello
scenario italiano. La progressiva chiusura degli ospedali Psichiatrici
(PO) ha portato ad un tipo di assistenza comunitario, coordinato dai
Dipartimenti di Salute Mentale (DSM), e all’apertura di numerose
Strutture Residenziali (RS) non ospedaliere su tutto il territorio
nazionale.In considerazione della scarsità di informazioni relative
alle SR, l’Istituto Superiore di Sanità ha promosso un PROGetto di
ricerca-intervento sulle strutture RESidenziali, denominato PROGRES.
Tale Progetto è in linea anche con quanto stabilito dal “Progetto
Obiettivo Tutela Salute Mentale 1998-2000”, che afferma la
necessità del monitoraggio e della valutazione, e ad esso hanno
aderito ufficialmente tutte le Regioni e le Province Autonome
italiane.
Gli obiettivi del progetto Progres, sono di effettuare un censimento
di tutte le Strutture Residenziali (SR) psichiatriche presenti in
Italia (Fase 1), e di condurre una approfondita valutazione delle
strutture e dei pazienti ospitati in un campione rappresentativo pari
al 20% delle SR censite (Fase 2). In una fase successiva del progetto,
saranno attivati corsi di formazione per il personale delle SR, volti
a favorire l’impiego di modalità di valutazione e intervento per le
quali siano disponibili evidenze di validità ed efficacia.
Fonte:ISS
Tutela salute mentale 1998-2000
A ventidue anni dalla chiusura dei manicomi in Italia, la
realtà normativa, che ha affrontato progressivamente la
riorganizzazione dell’assistenza psichiatrica, vede nel progetto
obiettivo “Tutela salute mentale 1998-2000”, che sarà
riconfermato anche per i prossimi tre anni, un punto di riferimento
innovativo ed importante.
Principali obiettivi del progetto la costruzione di una rete
di servizi in grado di fornire un intervento integrato, lo sviluppo
dipartimentale del lavoro attraverso l’assunzione di responsabilità
tecnica e gestionale della rete servizi, l’aumento delle competenze
professionali degli operatori per far fronte a tutte le patologie, con
particolare riguardo a quelle più gravi, e l’attuazione di
programmi mirati ad una sistemazione diversa dall’ospedale
psichiatrico per i degenti.
Di particolare rilievo l’istituzione del Dipartimento della Salute
Mentale (DSM), in ogni azienda sanitaria, con funzione di
coordinamento dei servizi sul territorio attraverso l’individuazione
delle risorse disponibili e le componenti organizzative (il Centro di
salute mentale, il Day hospital, il Centro diurno e le strutture
residenziali) e grazie alla collaborazione con altri servizi legati
come la medicina di base, la medicina scolastica o servizi di
consultorio.
Un’attenzione specifica dedica il progetto ai problemi della salute
mentale dell'infanzia e dell'adolescenza indicando la necessità di
fornire in modo prioritario interventi di prevenzione, cura e
riabilitazione dei disturbi mentali gravi, con rischio di
cronicizzazione e di emarginazione sociale. Inoltre ai Comuni spetta
il dovere di garantire un più ampio sviluppo degli interventi di
prevenzione primaria, il diritto alla casa, strutture per i servizi, e
partecipare alla programmazione locale e regionale, nonchè una
verifica dei risultati conseguiti dalle aziende sanitarie nel campo
della tutela della salute mentale.
PSICHIATRIA – Antonio Guidi (Sottosegretario Sanità): ''La salute
mentale non è la 180'' ore 12,27
Un
contributo al dibattito in corso, viene dal Sottosegretario di stato
Antonio Guidi, con delega alla salute mentale, che ha ripensato l’Osservatorio
sulla salute mentale occupandosi anche di nuove forma di disagio,
emergenti nella nostra società, che riguardano adolescenti e anziani.
Onorevole Guidi, come giudica quanto è stato fatto in Italia in
applicazione della Legge 180?
“La
salute mentale non è la 180. E questo è il grande dibattito dei
nostri giorni. La 180 è una legge, in parte superata in parte di
grande importanza, che riguarda il superamento della struttura
ospedaliere psichiatrica per adulti. La salute mentale così come la
vedo va dalla mamma che ha un bambino in grembo all’anziano. La
salute mentale riguarda prima di tutto gli stili di vita, di cui ho
delega, per evitare in tutti i modi le premesse dell’ammalarsi dal
punto di vista mentale e psichiatrico; una visione assolutamente
trasversale a tutti gli stili di vita”.
In che direzione va oggi affrontato il problema della riforma
psichiatrica?
“La
visione del sottosegretario di stato Antonio Guidi con delega alla
salute mentale, lo dico in maniera formale, è di tre indirizzi. Primo
superare la 180 perché è una legge datata rispetto all’attuale
cercando di valorizzare quello che la 180 ha portato di positivo. Ai
manicomi non ci si può tornare in ogni caso, indietro non si torna,
ma occorre lottare contro i microcomi o manicomi nascosti che esistono
nel nostro presente. E’ troppo facile dire il governo Berlusconi
riapre i manicomi quando in realtà tantissimi manicomi mascherati
oggi sono aperti: possono essere case di cura poco controllate,
strutture pubbliche come quelle di San Gregorio Magno che segregano in
sé o interi reparti di ospedali psichiatrici che cambiano nome e
vengono definiti residenza psichiatrica ma rimangono strutture
manicomiali. Secondo punto, rispetto all’esistente, la lotta all’illegalità.
Io ho instaurato un monitoraggio contro l’illegalità: i ricoveri
impropri, persone con handicap o anziani all’interno di strutture
psichiatriche protette, eccesso fuorilegge di ricoveri, carenze di
personale non qualificato (il 20% dei dirigenti non hanno qualifiche),
lotte alle irregolarità dei sistemi di sicurezza (estintori, sistemi
elettrici, vie di fuga). Terzo discorso, sostegno a domicilio e alle
famiglie perché in realtà la 180, negando di fatto la malattia
mentale, ha dato carico alle famiglie di gestire la sofferenza
mentale. Questa è l’ingiustizia che ci siamo portati dietro per
più di 20 anni”.
Quali sono le sue proposte per il futuro?
“Tener
conto che la sofferenza mentale esiste e basta con le accuse al
sociale di rimanere indifferenti. Si può ridurre la sofferenza
mentale o addirittura guarire. Siamo nel 2000 non nell’800. Le
proposte sono tecniche. Attivazione di servizi psichiatrici di pronto
soccorso soprattutto notturno, perché la salute mentale non tiene
conto dei tempi di ufficio, e soprattutto i disturbi di panico e
solitudine esplodono di notte. L’esperienza ci dice che se
interveniamo la prima volta in tempo non si entra nel circuito della
psichiatria. Poi consulenza di psichiatri, dove anche la psicoterapia
possa essere giocata in termini seri, lotta a qualsiasi forma di
struttura manicomiale nascosta e dare legalità a quelle che esistono”.
Rispetto al sostegno a domicilio invece quali le priorità.
“Il
sostegno alla persona e cura e il sostegno alla famiglia. Dove questo
sostegno diventa una violenza alla persona o alla famiglia,
piccolissime strutture inserite nel contesto urbano che si devono
chiamare, ma devono essere realmente, piccole case famiglia o
comunità dove il numero delle persone deve essere limitato. Deve
essere accertata la sofferenza mentale, ma deve essere stabilito anche
un percorso. Dire che una persona è inserita nella piccola comunità
per fare questo, non per essere parcheggiata. Tutto questo discorso
riguarda, diciamo così, lo stock quantitativo delle persone adulte,
che purtroppo alcuni operatori definiscono “residuo manicomiale”
che è una cosa che riguarda le discariche ed è veramente indecente”.
Lei ha ridisegnato l’Osservatorio sulla salute mentale. Con quali
priorità?
“La
mia proposta può essere sia di carattere culturale che di valenza
legislativa. Io esprimo in questo senso non un punto di vista ma un
percorso. Ho ridisegnato, stravolgendo un po’ le regole del gioco, l’Osservatorio
sulla salute mentale che ha due compiti: quello di vigilanza ma anche
di proposta che poi si deve calare nel Parlamento e nelle Regioni. Gli
osservatori precedenti erano destinati agli adulti e rimarranno degli
ottimi colleghi che si occupano degli adulti, ma le due code della
curva di Gauss sono le priorità. L’anziano e il bambino devono
avere nel progetto di salute mentale priorità non perché di moda, ma
perché esistono delle emergenze. Con l’allungamento della vita
media abbiamo l’esplosione di malattie a valenza psichiatrica, come
l’Alzheimer che nel passato non c’erano e abbiamo poi un’emergenza
nell’adolescenza perché il cambiamento della società e della
famiglia sempre in continua evoluzione (non dico in crisi ma in
continua evoluzione), la configurazione delle città non più a misura
di adolescente, stimoli molto forti all’interno dei media stanno
creando non dico un’emergenza, perché non voglio essere allarmista,
ma fenomeni che hanno una grande valenza di allarme. C’è una
sofferenza estrema che viene vista con l’aumento dei suicidi intorno
ai 15 anni, nuove patologie alimentari come la bulimia e l’anoressia,
esiste la tossicodipendenza, molti infortuni stradali mascherano un
suicidio, l’alcolismo giovanile esiste e queste sono le punte di un
iceberg. Esiste un problema solitudine e paura del futuro nell’adolescenza
che se non è malattia è disagio e di questo bisogna farsi carico”.
E che cosa propone?
“Nessun
politico ha la bacchetta magica ma ha la possibilità di introdurre
uno stimolo forte. Il mio stimolo possibile da tecnico è quello di
dire svegliamoci, pensiamo soprattutto a chi abbiamo dimenticato. L’adolescenza
che si conosce poco e l’anziano che si emargina troppo. All’interno
dell’istituzione che io presiedo sotto l’egida del Ministro
Sirchia l’Osservatorio dove accanto si colleghi che si occupano di
adulti e forse è la parte più facile anche se non semplice, ho
inserito geriatri, pediatri, neuropsichiatri infantili per dare non
solo una lettura ampia ma anche uno stimolo tecnico nei futuri servizi
di salute mentale dovrà dire la sua con più autorevolezza chi si
occupa dell’anziano e del bambino e non ruota di scorta di chi
essendo adulto è più scomodo per la società. E’ facile far star
zitto un bambino o emarginare un anziano e quando non parlarne nemmeno
all’interno della salute mentale. E io lo voglio riproporre con
forza”
DSM - Le strutture e le loro funzioni
Secondo
il Progetto Obiettivo “Tutela della salute mentale” 1998-2000, le
strutture costituenti il dipartimento di salute mentale sono:
CSM
(Centro di salute mentale) è la sede di elaborazione del progetto
terapeutico. In esso lavora una équipe a carattere multiprofessionale,
che svolge attività di prevenzione, cura e riabilitazione tra loro
integrate. In particolare: svolge attività di valutazione delle
richieste che giungono da utenti, familiari, servizi sociali e medici
di medicina generale; attività di filtro e prevenzione dei ricoveri
psichiatrici; visite ambulatoriali, visite domiciliari; colloqui di
supporto psicologico; psicoterapie individuali e di gruppo; attività
di sostegno infermieristico.
SPDC (Servizio psichiatrico di diagnosi e cura) è collocato in
un ospedale generale. Esso accoglie pazienti per i quali si rende
necessario il ricovero in ambiente ospedaliero. Durante il ricovero
vengono impostate terapie farmacologiche; viene valutata, con la
collaborazione del personale del CSM, la situazione personale e
relazionale del paziente.
Strutture semiresidenziali che si distinguono in: day hospital in cui vengono
attuati programmi terapeutici e riabilitativi a breve e medio termine;
il centro diurno che è una struttura indirizzata a pazienti
che necessitano di trattamenti a lungo termine con attività tese a
prevenire il ricovero.
Strutture residenziali sono piccole strutture con non più di 20 posti letto in
grado di accogliere pazienti dimessi dagli ospedali psichiatrici e
cosiddetti “nuovi cronici”. Esse rappresentano uno strumento
essenziale del DSM per portare a termine il definitivo superamento
degli ospedali psichiatrici e per fornire una adeguata assistenza ai
pazienti più gravi. Secondo Il Progetto Obiettivo promosso
dall’ISS queste strutture non devono essere considerate soluzioni
abitative definitive, ma devono essere concepite come uno spazio
privilegiato per realizzare soluzioni abitative individualizzati. Lo
standard previsto è di 1 posto letto ogni 10.000 abitanti, con la
possibilità di un posto letto aggiuntivo per specifiche situazioni
locali, condizionate dalla chiusura degli ospedali psichiatrici.
Rientrano nelle strutture residenziali: la Comunità
terapeutico-riabilitativa che è un luogo assistito nelle 24 ore
dove si svolgono attività terapeutiche e riabilitative in condizioni
di residenzialità. Il Gruppo appartamento detto anche casa
famiglia, è invece una normale casa in cui va ad abitare un gruppo
ristretto di pazienti (da 3 a 5) provenienti prevalentemente dal
manicomio, che spesso si conoscono tra loro, o che comunque sono
disponibili alla convivenza. La Comunità alloggio che è un’organizzazione
simile alla precedente, con due differenze: i pazienti sono presenti
in maggior numero (da 8 a 10) e con rapporti “meno stretti” tra
loro; la gestione sociale della casa è affidata a persone esterne (un
ente, una cooperativa) che provvedono alla preparazione del vitto ed
alle pulizie. La comunità alloggio è normalmente più assistita
dagli operatori del DSM di quanto non avvenga per il gruppo
appartamento.
PSICHIATRIA - Cozza (Consulta salute mentale): ''Apatia delle Regioni e
aziendalizzazione, queste le difficoltà''
Massimo
Cozza, responsabile della Consulta nazionale per la salute mentale,
traccia un quadro della psichiatria in Italia. Un punto sulla
situazione a distanza di 23 anni dall’approvazione della 180 e nel
momento di piena discussione sulla stessa norma.
“La
situazione attuale si configura a “macchia di leopardo” –
attacca Cozza -, nel senso che ci sono zone in cui i servizi ci sono e
funzionano e altre invece in cui sono carenti. Non c’è una
distinzione geografica tra Nord e Sud: vi sono buoni e cattivi servizi
in tutte le zone del Paese. In generale la situazione è in lento ma
costante miglioramento: a 23 anni dall’adozione della legge 180
sicuramente le cose, in termini di servizi e strutture, sono
enormemente migliorate e continuano a migliorare. Però ancora non ci
siamo. Non si è arrivati, cioè, a quella applicazione dei principi
che caratterizzano proprio la legge 180”.
Quali sono le maggiori difficoltà, i problemi più evidenti?
“Il
dato forse più eclatante è rappresentato dalla carenza di operatori.
Ne mancano ancora 7000, rispetto ai 30mila già esistenti. Si tratta
di un grave handicap, perché l’operatore in salute mentale e la
maggiore risorsa che c’è: tutto si gioca sul rapporto personale,
umano e relazionale tra paziente e operatore. Tutta una serie di
prestazioni di assistenza (domiciliare, di urgenze, ecc) richiedono
personale qualificato. C’è infine una carenza di investimenti e di
risorse nel settore, che si riverbera soprattutto sugli stessi
operatori, che rappresentano il 60/70% della spesa per la salute
mentale. E anche una inadeguatezza qualitativa delle strutture: se si
va a vedere il reparto di psichiatria in un ospedale, di solito è
quello più malandato, magari sistemato in un sottoscala. E’ il
reparto che spesso viene accumunato con il Sert o il centro Aids. I
“reietti”, insomma. E se ci sono degli investimenti da fare per
rimodernare strutture e servizi, essi non vanno certo alla psichiatria”.
La storia della psichiatria è storia segnata da un iter abbastanza
faticoso…
“Si
è avuto uno scatto verso la chiusura dei manicomi alcuni anni fa.
Precisamente nel ’94, sotto il primo governo Berlusconi, la Consulta
nazionale per la salute mentale fece notare che erano in piedi ancora
76 manicomi sul territorio nazionale e propose la loro immediata
chiusura. Successivamente un ulteriore e importante provvedimento fu
adottato dal Ministro della Sanità, Rosi Bindi. Il Ministro decise
delle penalizzazioni per le Regioni inadempienti (visto che delle
Regioni è la competenza sanitaria ed è quindi loro la
responsabilità circa i ritardi nella chiusura delle strutture
psichiatriche di vecchia impostazione) e il provvedimento fu l’unica
vera arma. Arma che diede i suoi frutti e le Regioni, di fronte a
sanzioni economiche, si attivarono per la chiusura. Il dato oramai è
incontrovertibile, nel senso che i manicomi oramai sembrano
appartenere al passato. Ma il problema vero non è quello della
chiusura delle ultime strutture rimaste, bensì quello dei servizi
alternativi agli ospedali psichiatrici. In questo caso le ragioni sono
complesse e sicuramente non si tratta di ragioni, come da qualche
parte ipotizzato, addebitabili alla legge 180. Essa, infatti, è stata
soprattutto una legge di principi, una legge-quadro, ed è stata
sostanziata nel 1994 e nel 1998 col progetto-obiettivo”.
Quali, allora, i motivi di questi ritardi?
“Sul
perché questi servizi non siano stati attivati e non ci si sia
attenuti a quanto disposto dai progetti-obiettivo, le motivazioni sono
molteplici. In primis va segnalata una problematica “istituzionale”.
Vi è stata una disattenzione da parte delle istituzioni a vari
livelli. Il primo livello, più importante, è quello regionale: la
Regione ha le competenze in materia sanitaria. Poi vi è stata
disattenzione e noncuranza da parte delle Aziende Sanitarie Locali. E’
un problema inserito nel processo di aziendalizzazione della sanità:
bilanci da chiudere in pareggio, prestazioni con determinate tariffe,
ecc. In questo meccanismo la salute mentale è improduttiva da tutti i
punti di vista, sia economica (chiede molti investimenti in termini di
risorse umane e ha un ritorno povero, anche in fatto di immagine. Non
dà la possibilità di interventi chirurgici eclatanti, all’avanguardia,
che catalizzano l’attenzione di tutti, e non promette la guarigione
immediata) che sociale. A proposito di questo secondo punto va
ricordato, per esempio, che l’apertura di nuovi servizi invece di
essere accolta con favore dalla cittadinanza provoca malessere. E’
questo un fatto che si lega allo stigma, al pregiudizio. Se si apre
una comunità in un quartiere della Asl è facile che nel quartiere si
propaghi la paura sulla presenza di “matti” che potrebbero girare
e provocare danni e disagi. C’è ancora, insomma, la percezione del
malato di mente come soggetto pericoloso, imprevedibile e incurabile.
Ci sono dati e strumenti, invece, che permettono di raggiungere la
guarigione anche per i malati più gravi, con farmaci strumenti
psicologici, di relazioni sociali e via dicendo. Tutto questo ha
inciso, e incide, sui ritardi accumulati nel nostro Paese verso la
istituzione di una realtà efficiente, come sancito dalla legge”.
Terapia e reinserimento: i servizi esistenti sono efficaci?
“Uno
dei servizi stabiliti dal progetto-obiettivo è la comunità. Anche in
questo caso bisogna stare attenti perché vi sono comunità che
svolgono funzioni di esclusione e di parcheggio per tutta la vita e
comunità che, invece, hanno uno stile di lavoro orientato al
reinserimento del paziente nella società. Il servizio di per sé non
è sinonimo di qualità. Ci sono comunità che non dovrebbero avere
più di 20 posti e invece possono diventare strutture gestite secondo
una logica manicomiale. Vi sono allora comunità che non dimettono o
strutture in cui vi sono ancora pazienti contenuti o perfino legati.
Questa logica, insomma, permane. La nuova concezione presuppone che vi
sia dietro tutto un dipartimento attrezzato, che tutti i vari servizi
siano collegati tra di loro: assistenza domiciliare, Day hospital,
centro diurno, comunità. Questo per consentire un intervento
integrato e finalizzato al reinserimento. Reinserimento che non sempre
può essere fatto in famiglia; nel contempo il paziente non può
essere lasciato in mezzo ad una strada. Laddove non ci sono le
condizioni per rientrare in famiglia, per esempio, una possibilità è
data dalla creazione di case famiglia. Per tutto ciò non basta un’azione
di natura sanitaria ma anche un’opera di sensibilizzazione della
società, del condominio o del posto di lavoro, dove il paziente
potrebbe anche trovare un’opportunità di rilancio. Un’opera
culturale molto difficile da portare avanti”.
Quali le differenze tra strutture pubbliche e private?
“La
stragrande maggioranza dei servizi di salute mentale sono pubblici. E’
difficile che un privato riesca a mettere in piedi tutti gli strumenti
che non sono solo di natura medica ma anche sociale e psicologica. Il
paziente ha bisogno di servizi diversificati, di diverse
professionalità. Il privato agisce o nello studio dello psichiatra o
dello psicologo o nella gestione di alcune strutture, di cui la
maggioranza sono comunità. In questo caso, poi, sono poche quelle
realmente private, tra l’altro convenzionate. Il privato è anche
nelle case di cura neuropsichiatriche, che hanno oggi circa 6000 posti
letto. Anche in questo caso la maggioranza è convenzionata con le Asl”.
Sono in atto dei tentativi di riforma della legge 180. Che ne pensa?
“I
progetti di riforma della legge 180 rappresentano un falso problema e
non costituiscono una soluzione. La soluzione sta appunto in un
impegno forte da parte delle Regioni, delle Aziende Sanitarie Locali e
delle società nell’affrontare compiutamente il problema. Il
progetto di legge ha un suo senso solo se non si crede a una
psichiatria comunitaria, che è quella sancita dai principi della
legge 180. Una legge che oggi è anche patrimonio dell’Organizzazione
mondiale della sanità. Se invece uno crede che la risposta debba
essere in strutture con cinquanta posti letto, per persone con
disturbi psichici che per anni (dai 14 anni in su) devono essere
ricoverati e obbligatoriamente “trattati”, allora sì che c’è
bisogno di una nuova legge! Ma è una visione completamente diversa,
è una visione di esclusione dalla società. Nel caso contrario si
punta invece sulla psichiatria di comunità, sugli strumenti
multifattoriali. La legge, per giunta, non può dare dei principi né
può costringere le Regioni ad attuare. Ci vuole più una
mobilitazione e un impegno da parte di tutti gli attori. Cosa che noi,
come Consulta, cerchiamo di fare mettendo insieme operatori,
sindacato, familiari, volontariato laico e cattolico, per tentare di
avere una forza di pressione tale da ottenere provvedimenti che
incidano sulla quotidianità delle persone”.
DSM: Risorse umane e componenti organizzative dei
dipartimenti di salute mentale in Italia
dati riferiti a: 2000
fonte: OMS - Progetto obiettivo '98/2000
DSM*:
Le figure professionali
Risorse umane e componenti
organizzative dei dei dipartimenti di salute mentale in Italia
|
Operatori
|
Numero
|
%
|
Medici
|
5.094
|
16,6
|
Psicologi
|
1.795
|
5,8
|
Educatori professionali
|
1.054
|
3,4
|
Assistenti
sociali
|
1.544
|
5
|
Infermieri
professionali
|
15.482
|
50,5
|
Operatori addetti all'assistenza e
ausiliari
|
3.731
|
12,2
|
Amministrativi
|
472
|
1,5
|
Sociologi
|
148
|
0,5
|
Terapisti della riabilitazione
|
138
|
0,4
|
Altro*
|
1.530
|
5
|
Totale operatori presenti
|
30.988
|
|
*Lla
voce "Altro" comprende: Infermieri 'psichiatrici'
provenienti dall'ex O.P. (In Piemonte e in Puglia le % maggiori) e
Operatori di cooperative sociali in convenzione (Molise e Umbria in
testa).
Fonte: OMS - Progetto obiettivo '98/2000
DSM: Le figure professionali
Per
permettere il funzionamento delle diverse strutture del DSM e per
costruire efficacemente i vari complessi progetti d’intervento, sono
indispensabili diverse figure professionali che operano in
collaborazione e costituiscono l’équipe. Un breve profilo degli
operatori dei Dipartimenti di Salute Mentale in Italia:
-
Psichiatra:
E’ laureato in medicina e chirurgia ed ha successivamente conseguito
la specializzazione quadriennale in psichiatria, è responsabile dell’intervento
clinico-farmalcologico e degli aspetti medico legali, ha competenza
psicologica e psicoterapeutica.
-
Psicologo:
E’ laureato in psicologia nel corso di 5 anni dell’Università, si
occupa di psicologia clinica e diagnostica ed ha prevalente interesse
per lo studio dello sviluppo della persona e delle dinamiche
interpersonali, ha inoltre competenza psicoterapeutica.
-
Assistente
sociale:
Consegue il diploma nel corso triennale universitario, al quale si è
ammessi con il diploma di scuola media-superiore, svolge l’intervento
socio-terapeutico ed assistenziale, anche tramite la conoscenza e l’impiego
delle risorse socio-sanitarie della collettività.
-
Educatore
professionale:
Consegue il diploma nel corso triennale universitario, al quale accede
con il diploma di scuola media-superiore, svolge interventi di tipo
socio-terapeutico e psico-educativo, collabora alla realizzazione del
progetto terapeutico.
-
Infermiere
professionale:
Consegue il diploma nel corso triennale al quale accede con il diploma
di scuola media-superiore, per e conoscenze cliniche e farmacologiche
che gli sono proprie collabora alla realizzazione del progetto
terapeutico. In alcuni casi è specializzato in psichiatria attraverso
corsi regionali.
In alcuni DSM sono presenti figure quali: Amministrativi
(quasi sempre), Sociologi, Operatori tecnici di assistenza
(OTA), Terapisti della riabilitazione psichiatrica.
La percentuale dei Medici presenti nei Dipartimenti di Salute Mentale
varia dal 6,3% del Molise e 8,5% della Basilicata al 18,9% del
Piemonte e Valle d’Aosta, 19,5% di Calabria e Sicilia, 21,3% del
Lazio; la percentuale degli Psicologi varia da 1,3% del Molise, 2,8 di
Valle d’Aosta e Veneto a 8,2% della Toscana, 9,1% della Calabria e
13,9% del Lazio; i sociologi sono presenti quasi esclusivamente nelle
regioni meridionali: sopra l’1% Puglia e Sicilia, e quasi 2% in
Campania. Scarsamente presenti i Terapisti della riabilitazione
psichiatrica in tutte le regioni, più rappresentati gli Educatori
professionali con percentuali più alte in Piemonte, Lombardia, Marche
ed Emilia Romagna. La percentuale degli Assistenti sociali è più
elevata nelle regioni del Centro Sud rispetto a quelle del Nord. Gli
Infermieri rappresentano la figura professionale di gran lunga più
numerosa con l’unica eccezione del Molise (14%). Il tasso nazionale
operatori/popolazione è pari a 0,95% .
Consulta nazionale per la salute mentale:c/o Funzione
Pubblica Cgil
La Consulta Nazionale per la Salute Mentale, promossa dalla
Funzione Pubblica Cgil, Psichiatria Democratica, Unasam, Arci e
Cittadinanza Attiva, insieme a Caritas Italiana in qualità di
invitato permanente, vuole rappresentare una sede di confronto,
elaborazione e promozione per chi opera per l'affermazione dei diritti
dei cittadini con sofferenza mentale, e per la realizzazione nella
comunità della loro emancipazione, secondo i principi della legge
180. Opera a favore della chiusura definitiva di tutti gli ospedali
psichiatrici, del superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari e
contro ogni forma di istituzionalizzazione, contrapponendo ad una
salute mentale "di attesa" , una psichiatria di comunità,
organizzata sulla presenza di reti di protezione e di servizi sul
territorio, aperti anche 24 ore su 24, capaci di una presa in carico
evolutiva in grado di ridurre la sofferenza personale ed il peso sulle
famiglie.
Promuove la trasparenza delle procedure, il monitoraggio e il
miglioramento della qualità, e sviluppando tutte le modalità di
partecipazione civica e opera affinché le istituzioni pongano la
questione salute mentale come una delle priorità del paese.
Si attiverà affinché in tutte le Regioni venga recepito ed attuato
il progetto obbiettivo 'Tutela della salute mentale' e venga destinato
a questo settore almeno il 5% dei fondi sanitari regionali, così come
formalmente deciso dalla Conferenza dei Presidenti.
PSICHIATRIA
– Don Vatta (S.Martino al Campo): ''Si gioca sulle definizioni,
palleggiandosi le responsabilità''
"Sono arrivato nel manicomio di Trieste un mese prima
dell’arrivo di Franco Basaglia e poi, per più di quattro anni, ho
vissuto quotidianamente l'evolversi della situazione. Assieme a
qualche collaboratore, in quei tempi costituivamo un gruppo
piccolissimo, facevamo del volontariato e volevamo capire come si
stava sviluppando quell’idea che ha poi portato alla nascita della
legge 180”.
Chi parla è don Mario Vatta, il fondatore della Comunità
S.Martino al Campo di Trieste e, da anni, uno dei riferimenti per chi
fa dell’accoglienza ai disagiati psichici una scelta di vita. Vatta
è la persona più indicata a ripercorrere l’iter della 180, dagli
albori fino alla dimensione attuale, fatta ancora di carenze e
principi mai attuati.
Anni ’70, un periodo di grandi cambiamenti e di grandi idealità…
“Sono stato vicino agli operatori, tra cui quel professor
Dell’Acqua che oggi è uno dei successori di Basaglia e direttore
del Dipartimento di salute mentale. Con Basaglia stesso ho avuto un
periodo si strettissima collaborazione e abbiamo partecipato allo
smantellamento del manicomio locale, fino a quando sono stati aperti i
primi servizi alternativi, i primi centri di salute mentale sul
territorio. Direi che è stata una stagione di grande entusiasmo, di
grande idealità e anche di conseguimento di grandi risultati. A
livello legislativo tutto ciò ha portato all’emanazione della
legge-quadro 180/78. Forse non una grandissima legge, ma sicuramente
un evento molto importante a livello nazionale forse anche mondiale. E’
diventata, infatti, un punto di riferimento imprescindibile per tutti.
A Trieste la struttura psichiatrica si prendeva carico dei malati (ne
aveva circa 1600, ‘trovati’ in manicomio) in maniera totale, per
cui si occupava del dopo ospedale, dell’inserimento nel lavoro
(mettendo su anche lavoratori, cooperative ecc…)”.
Si parla di Trieste come di un esempio in fatto di corretta
applicazione della legge 180. E’ così?
“Beh, direi che è la 180 che è stata fatta sul modello
di Trieste! In fondo il promotore, colui che ha ispirato la 180 è
stato Franco Basaglia e dunque la legge non ha fatto altro che
codificare ciò che in questa città stava avvenendo in concreto. Un
altro fatto importante è che questa città, considerata alle volte
indifferente e intollerante, ha permesso che questa esperienza si
radicasse molto bene. La legge 180, poi, non è stata applicata. Era
una legge-quadro, quindi avrebbe dovuto avere un’applicazione sul
territorio da parte delle istituzioni ma ognuno ha fatto un po’
quello che voleva”.
Per molti il problema delle 180 è stato la sua forte connotazione
ideologica, arrivata al punto di negare la malattia mentale. Con
successive, gravi ripercussioni sulle famiglie. E’ d’accordo?
“Non posso negare, visto che ho vissuto all’interno di
tutto questo, che alla base vi fosse una grande spinta ideologica. E
anche di un certo ‘colore’. Onestamente a me andava molto bene, ma
non perché fossi di sinistra o di destra ma semplicemente perché
vedevo che il malato veniva messo al centro delle attenzioni. Quanto
alla negazione della malattia, era una posizione iniziale di Basaglia.
Egli era abituato ad enfatizzare i problemi, ad assolutizzarli. Diceva
che la malattia mentale non esisteva perché voleva evidenziare il
fatto che c’erano fattori ambientali che negavano al paziente di
poter venire curato in maniera adeguata e, quindi, riaccolto nella
società in maniera da non venire sepolto per sempre. Per esempio si
diceva che i farmaci erano in mano agli psichiatri, che avevano il
potere. Dunque il potere del farmaco per assoggettare l’individuo.
Erano concetti di tipo ideologico, anche abbastanza grossolani, che
tuttavia avevano lo scopo di rompere la barriera storica che si era
alzata sui malati di mente. Uno scopo davvero dirompente. Poi non è
vero che i pazienti non venissero curati con gli psicofarmaci.
Storicamente, infatti, tutto questo strato ideologico rientra e
comincia un atteggiamento corretto nei confronti della malattia.
Rimane un fatto storico: che i malati non vengono rinchiusi e curati
nei padiglioni nei manicomi. E questa apertura è stata graduale: E c’è
stato un coinvolgimento della città che ha risposto in maniera più
che tollerante. Da qui l’apertura dei centri di salute mentale”.
Rimane l’osservazione circa le famiglie lasciate sole con i loro
problemi, che chiama in causa l’inefficienza dei servizi.
“In questo caso facciamo un salto a quella che è la
situazione odierna. E ricavo la mia convinzione da quella che è l’esperienza
a Trieste, dove continuiamo ad accogliere giovani psicotici e lo
facciamo in convenzione con il Dipartimento salute mentale, con la Asl,
e ci confrontiamo con gli operatori dei centri e dello stesso
Dipartimento. E’ quest’ultimo che ci invia i giovani e noi curiamo
la parte sana, lasciando alle strutture sanitarie il compito di curare
la malattia. Certo è una situazione in fase di stallo e anche Trieste
si sta adeguando a questo. La città vive un po’ delle antiche
glorie, nei convegni o nei congressi, ma in effetti sul territorio vi
sono dei servizi che in effetti mostrano di essere fortemente in
crisi: lacune varie, personale fortemente limitato. E in generale si
nota un fortissimo calo di idealità, di fede in quello che si sta
facendo. Non so quanti operatori oramai si identifichino con il
messaggio di Basaglia, cioè quello di mettere la persona al centro
degli interessi. Ci sono servizi in cui si fa quello che si può, dove
vengono usati farmaci credo in maniera abbastanza corretta, dove però
anche molte famiglie devono farsi carico di molti problemi”.
Com’è cambiata, negli anni, la patologia mentale?
“Secondo me è evidente che c’è una fascia giovanile
che viene interessata dalla psicosi, se non altro agli esordi della
patologia. Ci sono molti giovani. E quando dico a Trieste ‘molti
giovani’ significa molti davvero, visto che si tratta di una
popolazione vecchia e i giovani sono un’eccezione. Quindi il
problema è ancora più forte. Ci sono molti giovani che sono
interessati a delle crisi psicotiche che tante volte, però, rientrano
spontaneamente. Lavorando con i centri di salute mentale riscontriamo
tutto ciò e spesso prima di fare degli interventi pesanti o di
decretare l’invio in comunità si vedono dei ‘rientri’
soddisfacenti che negli anni non si ripetono più. Questo è un dato
che, secondo noi, rispetto al passato rappresenta una novità. E che
ci dà l’impressione che il fatto che si sia una risposta di tipo
psichiatrico al disturbo psichico, faccia sì che la gente abbia meno
impedimenti e sia meno restia a chiedere delle cure. Può essere che
in passato ci fosse più paura, ritrosia. E le famiglie si
nascondessero di più prima di rivolgersi ai servizi”.
In definitiva, come sta oggi una persona con dei problemi psichici?
“La situazione non è soddisfacente e la risposta non è
all’altezza. Un fatto generalizzato e non solo per la psichiatria:
credo che in Italia la Sanità è in crisi nonostante delle isole
felici. Penso però che rispetto ad altre situazioni Trieste sia una
città dove almeno l’esperienza fatta con Basaglia dia ancora dei
segnali importanti. La psichiatria è una branca isolata, non c’è
grande raccordo con il resto della sanità, della medicina sul
territorio. E mi sembra che sia isolata anche da ciò che non è
sanitario, ma che è sociale. Non c’è un lavoro di rete e ad un
certo punto nel centro di salute mentale, oppure in ambulatorio o a
casa c’è l’intervento dell’operatore psichiatrico che porta i
farmaci e fa i colloqui ma in fatto di reinserimento attraverso il
lavoro o altre cose ci sono difficoltà. C’è sempre un palleggiarsi
di responsabilità e competenze e i servizi sono sempre abili nell’indicare
all’altro le cose da fare. E’ una questione fondamentale di ordine
economico, giocata spesso su aspetti terminologici. Se dico che non è
un disturbo psichico ma si tratta di un ‘disagio’, ecco che non è
più competenza dell’azienda sanitaria ma è del Comune. Allora c’è
una gara a fare delle diagnosi che si ritaglino perfettamente all’altra
struttura! Manca dunque un coordinamento, un lavoro in rete che sia
veramente efficace. E dopo un periodo di cura terminato la persona
torna in una stato di solitudine”.
DSM: Situazione attuale relativa
alla disponibilità di strutture e posti letto per gli utenti in
Italia
DSM*:
Le Strutture
Situazione attuale relativa alla
disponibilità
di strutture e posti letto per gli utenti in Italia
|
|
Strutture
|
Posti
letto
utenti
|
SPDC
(Servizio psichiatrico ospedaliero)
|
320
|
4.084
|
Strutture residenziali
(C.T.R. Comunità terapeutica
Riabilitativa - G.A. Gruppo Appartamento - C.A. Comunità
Alloggio)
|
1.341
|
17.343
|
Strutture semiresidenziali
(D.H. Day hospital)
|
257
|
942
|
Imprese Sociali
(Residenziali e semiresidenziali)
|
433
|
3.942
|
Strutture semiresidenziali
(C.D. Centri diurni )
|
481
|
|
Centri di Salute Mentale
|
695
|
|
* Dipartimento di Salute Mentale
Fonte: OMS - Progetto obiettivo '98/2000
PSICHIATRIA
- Campagna Salute Mentale: ''Se ritardano progetti territoriali, la
sofferenza delle famiglie esploderà''
La Campagna per la salute mentale, cartello di 60 tra
associazioni di familiari, sindacati e Caritas ha espresso critiche e
perplessità nei confronti del piano regionale in tema di salute
mentale. Le associazioni che aderiscono alla Campagna denunciano da
tempo una situazione preoccupante determinata dalla carenza di centri
diurni e residenziali, a cui si aggiunge la scarsità di mezzi di
sostegno e supporto alle famiglie.
Qual è dal punto di vista dei servizi la situazione attuale in
Lombardia?
“Sembra che i servizi, che dovrebbero essere il fulcro
della progettazione, siano fortemente carenti sul territorio di Milano
e nelle aree a grossa densità metropolitana”.
Il piano Socio-sanitario 2002-2004 della Regione Lombardia è stato
duramente criticato dalle associazioni che aderiscono alla Campagna
sulla salute mentale. Quali sono a vostro giudizio i punti critici di
questo piano?
“Un punto è fondamentale. Benché adesso, nelle varie
correzioni del Piano, inizi a comparire ancora il Dipartimento di
salute mentale, di fatto diminuisce sempre più la presenza
territoriale. Un altro fortemente sottolineato dalle associazioni dei
familiari era la richiesta di un vincolo di destinazione delle risorse
finanziarie degli ex ospedali psichiatrici: dovevano essere
riconvertite e messe a disposizione della psichiatria. Tale vincolo in
realtà non c’è”.
Nel passaggio tra la chiusura degli ospedali psichiatrici e le nuove
strutture di cura, che cosa è mancato, cosa non ha funzionato?
“Certo la chiusura è stata attuata in tempi troppo brevi. Un punto
fondamentale è stato uno scarso potenziamento delle strutture
territoriali e quindi il rischio è che alla chiusura degli ospedali
psichiatrici corrisponda ad un inadeguato supporto alternativo. Le
famiglie, inoltre, che hanno un malato cronico in casa avranno sempre
più difficoltà. Si pensi che su più di 1000 malati cronici in
Italia ben 190 sono quelli lombardi. Le strutture sul territorio non
sono aumentate ne in qualità ne in risorse e quindi il rischio è che
la situazione di abbandono continui. Questo non può e non deve
significare tornare ad una mentalità istituzionalizzante di chiusura,
ma se ritardiamo ancora a fare progetti di natura territoriale, la
sofferenza delle famiglie esploderà e non è detto che poi non s’invochi
ancora ciò che è stato chiuso”.
Quali sono oggi le priorità in Lombardia?
“Le priorità sono diverse. Prima di tutto bisogna
aumentare i processi di prevenzione. Un’altra priorità è quella di
aumentare i processi di reinserimento e riabilitazione sociale
puntando sul tema della psichiatria di comunità”.
Che cosa è emerso dalla ricerca che state conducendo sulla regione?
“Non abbiamo ancora a disposizione dei dati aggiornati a
livello regionale. Dalle ultime stime a nostra disposizione in Italia
ci sono oltre 10 milioni di malati psichiatrici. Il 30 percento sono
uomini e per il 70 percento donne. I disturbi più frequenti
riguardano la sfera affettiva e l’ansia, rispettivamente per un
totale di 2,5 e 5,5 milioni di ammalati”.
Alle famiglie che dichiarano di dover sostenere ancora sulle proprie
spalle il peso del familiare malato, che cosa è possibile rispondere?
“Hanno ragione, ma non tocca alle famiglie soltanto
sostenere questa fatica, tocca anche alla solidarietà informale,
quella dell’auto aiuto e dell’associazionismo. Tocca poi a noi,
invece, dare voce a chi non ne ha ed intervenire nella dimensione
politica per gridare di fronte alle ingiustizie e agli abbandoni”.
I ddl Ce’, Burani Procaccini, e Gubetti vanno nel senso da voi
sperato?
“Speriamo che questi ddl vengano accantonati in quanto
frutto di una cultura contenitiva, che non affronta i problemi che ci
sono, ma cerca di far fare un salto indietro. Non si può tornare alla
vecchia cultura della repressione. La domanda di attenzione e d’implementazione
della 180 deve andare verso la valorizzazione e la
de-istituzionalizzazione. Fatta così è solo una legge-manifesto.
Oltretutto è una legge di natura nazionale, oggi invece c’è
bisogno di una legge quadro che tenga conto delle articolazioni
diverse a livello regionale”.
Psichiatria: i numeri in
Lombardia
Il processo di chiusura e superamento degli ospedali
psichiatrici regionali si è concluso nel 1999. Esso ha coinvolto 12
presidi e 2.315 pazienti che sono ora ospitati in strutture sia
pubbliche che private. I pazienti psichiatrici della Lombardia possono
comunque fare affidamento su una rete di servizi diffusa sul
territorio in cui le strutture residenziali (comunità protette e CRT)
sono integrate con le strutture ambulatoriali (centri psicosociali e
ambulatori psichiatrici), con i servizi ospedalieri (servizi
psichiatrici di diagnosi e cura) e con i centri diurni.
Dei dipartimenti pubblici di salute mentale fanno parte 110
centri psicosociali, 104 ambulatori, 65 centri diurni, 54 servizi
ospedalieri (con 802 posti letto) e 148 strutture residenziali (con
1.537 letti).
Le strutture private accreditate che dispongono degli
standard previsti dal processo che regola tutto il sistema sanitario
lombardo sono: 50 strutture residenziali (con 611 posti letto), 3 case
di cura 8 (con 281 posti letto) e 4 istituti psichiatrici (con 851
posti letto).
Nel complesso le strutture si prendono cura di oltre 94 mila utenti,
per un tasso di offerta (1,1 posti letto per ogni 4.400 abitanti) che
è più elevato di quello richiesto dalla legislazione nazionale e
regionale
PSICHIATRIA
– Bortolotti: ''Le vere esperienze di riconversione degli ospedali
psichiatrici sono pochissime''
Ornella Bortolotti ha fondato il Coordinamento Lombardo
Psichiatria, un movimento di associazioni di familiari e di operatori,
ed ha coordinato la riconversione dell’ospedale psichiatrico di
Como. “Sono entrata qui a Como – spiega - come consulente a
partire da una mia grossa esperienza nell’area dell’informale: ho
lavorato in cooperative sociali o messo in piedi il Coordinamento
Lombardo Psichiatria. Uno dei problemi della riconversione degli
ospedali psichiatrici era proprio l’impatto che questo aveva sui
familiari e sulle associazioni e quindi hanno chiamato una consulente
che proveniva da questo tipo di esperienza, forse anche per fare un
ponte sul lavoro di coinvolgimento delle famiglie”.
Come giudica, in base alla sua esperienza diretta, il passaggio dagli
ospedali psichiatrici alle nuove strutture?
“La chiusura degli ospedali psichiatrici avrebbe dovuto
avvenire tanti e tanti anni fa, nel senso che tanti anni fa si sarebbe
potuta fare una riconversione reale, riconvertendo le aree e non
trasferendo i pazienti. In Italia le vere e proprie esperienze di
riconversione degli ospedali psichiatrici sono pochissime, tra queste
Trieste che ha modificato tutta l’area in modo che non fosse più un’istituzione.
E’ diventata una strada, un luogo della città e non è stato
necessario fare l’operazione di spostare i pazienti. Questa
operazione a mio avviso doveva essere fatta perché altrimenti non se
ne sarebbe usciti più, c’era il rischio che all’infinito si
sarebbero riproposte cose di questo tipo. Certamente è un processo
che ha avuto luci ed ombre. Che la 180 lasci degli spazi che sarebbero
da colmare sono d’accordo. Non c’è una strenua difesa della 180,
ma credo che comunque rimanga una legge di riferimento importante”.
Quando è arrivata alla struttura di Como qual era la situazione?
“A Como sono arrivata nel 1997 e c’erano ancora 450
pazienti, tra cui una fetta elevatissima di persone con handicap ed
anziani con demenza. Sono andati tutti a star meglio, anche in
strutture belle. La regione Lombardia poi ha fatto una cosa molto
positiva, mettere tutto a carico del servizio sanitario nazionale e
quindi le famiglie non hanno dovuto pagare come temevano.
Evidentemente però mentre per i pazienti psichiatrici che sono stati
messi in comunità territoriali c’è stato secondo me proprio anche
un discorso di vera e propria riabilitazione, per gli altri…insomma.
Mi viene da pensare che se si metteva un po’ a posto e si lasciavano
morire qui forse era meglio”
Qual è stato l’aspetto più difficile da affrontare?
“Complessivamente è stata una operazione positiva,
dolorosa per alcuni, con una grossa resistenza delle famiglie. Di
questo mi sono occupata molto, ho fatto tantissimi colloqui con i
familiari. Contrariamente a quanto si pensa la famiglie non li hanno
scaricati, li ha spinti la disperazione: non c’era altro e li hanno
portati qui. Riprendere in mano questo discorso, anche solo per
cambiare non certo per rimandarli a casa, creava resistenza”.
Secondo lei le strutture attuali sono in grado di aiutare le più
diverse patologie, compresi anziani e adolescenti, o si tende a
lavorare soprattutto sui casi cronici o acuti?
“No, non si riesce a rispondere a tutto. E’ molto
difficile e complessivamente la situazione è carente. La cronicità
è la cosa più impellente, persone che non si sanno dove mettere, i
pazienti più gravi. Si tende a dare più risposte laddove il problema
è più scottante. Qui a Como con altri tre dipartimenti la regione
Lombardia ha attivato un progetto per l’individuazione precoce dei
disturbi mentali perché in effetti lavorare in modo precoce sui
giovani, prima che le cose diventino croniche, ancor prima che
esplodano, lavorare sulla famiglie sarebbe molto utile. Ma in genere
questo avviene pochissimo”.
Dove si trovano oggi in Italia le persone che hanno passato tutta una
vita in manicomio?
“In qualche comunità pubblica, attivata dai dipartimenti,
oppure in comunità convenzionate del privato accreditato. Sono state
molte le organizzazioni che hanno attivato delle strutture ad hoc per
la riconversione. Moltissimi si trovano in case di riposo che, come ad
esempio è successo qui a Como, hanno attivato delle sezioni apposta.
Nelle comunità pubbliche non sono tantissimi . In alcuni luoghi non
direi che stanno male.
Strutture Residenziali (SR)
psichiatriche in Italia
Strutture
Residenziali (SR) psichiatriche in Italia
Riepilogo nazionale
|
Regioni
|
Tot. SR
|
Tot. posti
residenziali
|
Tasso posti per 10.000 ab.
|
Piemonte
|
139
|
1.594
|
3,71
|
Valle D'Aosta
|
1
|
8
|
0,67
|
Lombardia
|
180
|
2.075
|
2,66
|
P.A. Bolzano
|
19
|
198
|
4,36
|
P.A. Trento
|
14
|
158
|
3,40
|
Veneto
|
113
|
1.379
|
3,09
|
Friuli Venezia Giulia
|
55
|
378
|
3,18
|
Liguria
|
38
|
780
|
4,73
|
Emilia
Romagna
|
105
|
1.248
|
3,17
|
Toscana
|
89
|
761
|
2,15
|
Umbria
|
41
|
382
|
4,61
|
Marche
|
25
|
322
|
2,22
|
Lazio
|
108
|
1.261
|
2,41
|
Abruzzo
|
64
|
913
|
7,16
|
Molise
|
14
|
203
|
6,14
|
Campania
|
61
|
899
|
1,55
|
Puglia
|
94
|
1.215
|
2,97
|
Basilicata
|
21
|
286
|
4,71
|
Calabria
|
41
|
704
|
3,39
|
Sicilia
|
118
|
2.165
|
4,24
|
Sardegna
|
34
|
414
|
2,48
|
Totale
|
1.374
|
17.343
|
3,02
|
Fonte: Progetto
'PROGRES' - ISS
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