Prima Pagina
Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo

Ricerca

 


NUMERI SPECIALI DEL M.U.R.S.T.

marij.gif (3557 byte)

Marijuana, andata e ritorno
La lunga (retro) marcia di un proibizionista pentito

In bilico tra scienza e politica

Marijuana, andata e ritorno: la lunga (retro) marcia di un proibizionista pentito
di Lester Grinspoon

 

La prima volta che mi interessai alla marijuana fu quando il suo uso aumentò in modo esplosivo negli anni 60. In quel periodo non avevo dubbi che fosse una droga estremamente dannosa, disgraziatamente assunta da un numero crescente di giovani stolti che non volevano ascoltare, o non volevano credere o capire gli avvisi circa la sua pericolosità. Quando cominciai a studiare la marijuana nel 1967, il mio scopo era di definire scientificamente la natura e il grado di tali pericoli. Ma esaminando la letteratura scientifica, medica e comune, la mia prospettiva cominciò a cambiare. Giunsi a comprendere che, come tante altre persone di questo paese, ero stato mal informato e indotto in errore. Vi erano ben poche prove empiriche in sostegno di ciò che credevo circa i pericoli della marijuana. Allorché giunsi al completamento della mia ricerca, che fornì le basi per un libro, pubblicato per la prima volta nel 1971 dalla Harvard University Press, ero ormai convinto che la canapa indiana fosse molto meno dannosa di quanto avessi creduto. Il titolo del libro, "Marihuana Reconsidered" (la marijuana riesaminata), rifletteva questo mio mutamento di prospettiva.

 VIETATO.jpg (20117 byte)Dopo tre anni di ricerca sulla canapa indiana, ero giunto infatti alla conclusione che non solo era molto meno dannosa dell'alcool e del tabacco, ma anche che nessun danno che essa fosse in grado di provocare poteva essere lontanamente simile al danno attribuibile all'arresto ogni anno di 400.000 persone, per lo più giovani, per reati legati alla marijuana. Credevo ingenuamente che una volta che le persone avessero compreso che la marijuana era molto meno pericolosa di droghe che sono già legali, le leggi contro di essa sarebbero state abrogate. Predissi con fiducia che l'uso della canapa indiana da parte di adulti sarebbe stato legalizzato entro il decennio. Non avevo ancora imparato che c'é qualcosa di particolare nelle droghe illecite: se è vero che non sempre spingono l'utilizzatore ad un comportamento irrazionale, certamente portano molti che non le usano a comportarsi in tale modo. Invece di rendere la marijuana legalmente disponibile agli adulti, abbiamo continuato a criminalizzare molti milioni di americani. Ogni anno centinaia di migliaia di persone, soprattutto giovani, vengono arrestate con accuse connesse alla marijuana, e il clima politico si è ora deteriorato così gravemente che è divenuto difficile parlare apertamente e liberamente della marijuana. Si può quasi dire che ci troviamo in un'atmosfera di maccartismo psicofarmacologico.

Negli anni che seguirono alla pubblicazione di "Marihuana Revisited", divenne sempre più evidente che non vi erano validi motivi scientifici per la messa al bando della marijuana. Le nozioni dell'era Aslinger, sulle quali era basato l'Atto di tassazione della marijuana del 1937, e cioè che tale sostanza provocava crimini violenti, "eccessi sessuali" (checché si intenda per essi), e dipendenza, e che costituiva il primo passo verso l'uso di droghe più pesanti, sono state del tutto screditate. Poiché questi argomenti non erano più plausibili, i gruppi che si opponevano alla liberalizzazione delle leggi sulla marijuana cominciarono allora a parlare di "nuove ricerche" che avrebbero dovuto provare come la marijuana provochi altri tipi di danni. In questo tipo di atmosfera, il governo federale ampliò notevolmente il suo sostegno, soprattutto attraverso l'Istituto Nazionale sull'Abuso di Droghe, a studi progettati per scoprire nuovi rischi per la salute. Così, nei primi anni '70 fummo informati che la marijuana distruggeva le cellule cerebrali, causava psicosi, abbassava il livello di testosterone e il conto spermatico, portava allo sviluppo delle mammelle nei maschi adolescenti, danneggiava la memoria e le funzioni intellettive, comprometteva il sistema immunitario, e causava rottura cromosomica, danni genetici, e difetti fetali. La pubblicazione di questi risultati seguiva una procedura tipica. Ognuno di essi veniva presentato in articoli di prima pagina con commenti allarmistici. In seguito, dopo qualche mese o anno, i ricercatori riferivano che i risultati del primo studio non potevano essere riprodotti. Se e quando queste prove contraddittorie venivano pubblicate, era di solito in un breve trafiletto nelle pagine interne. Il pubblico rimaneva spesso con l'impressione che le più recenti scoperte di pericoli per la salute fossero state dimostrate scientificamente.

    Nel 1977 si era aggiunta una quantità di nuove conoscenze tale da giustificare una seconda edizione di "Marihuana Revisited", con un nuovo capitolo in cui James B. Bakalar e io analizzavamo le ricerche e gli sviluppi sociali nel corso dei sei anni trascorsi dalla prima edizione. Per nulla scoraggiati dal fallimento della mia predizione del 1971 che la marijuana sarebbe stata legalizzata entro quel decennio, concludemmo la seconda edizione con queste parole: "Qualsiasi siano le condizioni culturali che lo hanno permesso, non vi è dubbio che la discussione sulla marijuana è diventata più ragionevole. Stiamo diventando gradualmente consapevoli dell'irrazionalità di classificare questa droga come avente un alto potenziale di abuso e nessun valore medico. Se la tendenza attuale continuerà, è probabile che entro un decennio la marijuana verrà venduta negli Stati Uniti come intossicante legale".

In quel periodo , tre anni prima dell'elezione di Reagan alla presidenza degli Stati Uniti, avevamo buoni motivi per essere ottimisti. Nel 1971 la Commissione Nazionale sull'abuso della marijuana e delle droghe, incaricata dal presidente Nixon, aveva raccomandato l'abrogazione delle pene per il possesso di marijuana ad uso personale e per gli scambi casuali di piccole quantità.

Marijuana negli USA:
quando i pregiudizi condizionano la ricerca

di Stefano Canali
Centro per la diffusione della cultura scientifica, Università di Cassino

La prima conferenza nazionale statunitense sulla marijuana (National Conference on Marijuana Use Prevention, Treatment, and Research), organizzata dal National Institute on Drug Abuse e National Institutes of Health, si è svolta lo scorso 19 e 20 luglio 1995 a Crystal City, Arlington, Virginia, in due giorni di lavoro intensi, in cui gli organizzatori avevano condensato - tra sessioni plenarie e workshop - gli interventi di 62 relatori. L'elevato numero di relazioni, tuttavia, non ha affatto significato quella pluralità di approcci e posizioni che dovrebbe essere propria di ogni conferenza scientifica, soprattutto se affronta l'esame di una materia così controversa, dibattuta e oscura in molti lati, come quella legata alla marijuana.

Fedele alla dura filosofia proibizionistica adottata dall'Amministrazione statunitense da cui dipende, il NIDA ha invitato soltanto esperti che condividono senza riserve tale approccio e modellano su di esso, in materia spesso forzata, non solo le strategie politiche di controllo e prevenzione dell'abuso, ma anche la ricerca sperimentale e le interpretazioni dei dati ottenuti in laboratorio.

La sessione plenaria che riguardava la neurobiologia della marijuana si risolveva così in una lunga serie di interventi in cui venivano sciorinati, con sconcertante sicurezza, dati sui danni e sui pericoli dell'uso della marijuana estrapolati da ricerche su modelli animali, con evidenze parziali, non verificate in altri laboratori ed in aperto contrasto con altri risultati.
Ignorando ogni riserva critica, la gran parte dei relatori dava esclusivo rilievo alle dimostrazioni delle proprietà immunodepressive, dipententigene e cancerogene della cannabis, delle alterazioni che essa produce sulla fisiologia del sistema endocrino, in special modo sui meccanismi ormonali degli organi sessuali, sulle funzioni emotive e motivazionali, su quelle cognitive. Dimostrazioni a volte datate, molto spesso acquisite somministrando per lunghi periodi dosi giornaliere eccezionalmente alte di THC e per cui esistono almeno altrettante evidenze contrastanti. Molto poche, inoltre, sono state le cautele rispetto alla possibilità di generalizzazioni dalle situazioni sperimentali, dai modelli animali e dagli studi in vitro alla realtà clinica del consumatore, alla sua dimensione psicosociale e al valore culturale della marijuana in un dato ambiente sociale: variabili determinanti nella modulazione degli effetti e dell'instaurarsi delle complicazioni mediche, come hanno dimostrato i tre più noti studi sul campo condotti in larga scala negli anni '70 in Giamaica, Costa Rica e Grecia.

Nel suo intervento introduttivo, Alan Leshner, direttore del NIDA, aveva affermato che la prima conferenza nazionale sulla marijuana era finalizzata alla diffusione di informazione scientifica sulla marijuana, sui suoi effetti e sul suo uso. L'osservatorio epidemiologico del National Institute of Health e del NIDA ha registrato negli ultimi anni un aumento del consumo di marijuana e un preoccupante mutamento nella percezione del valore dell'uso della cannabis tra la popolazione giovanile. Esisterebbero quindi le ragioni per un rilancio di vasti progetti di prevenzione, nonostante i dati indicati da Leshner sono tali da non destare preoccupazioni di imminente diffusione epidemica.

Leshner, tuttavia, non evidenziava il fatto che la popolazione giovanile nella quale si stanno registrando tali fenomeni è proprio quella esposta alle campagne di prevenzione promosse e realizzate a partire dalla metà degli anni '80 dall'Amministrazione statunitense e dalle organizzazioni americane impegnate nella lotta alla droga. Progetti di prevenzione condotti con toni allarmistici e caratterizzati da un forte accento moralizzatore, ma soprattutto basati su un'informazione quantomeno parziale, se non distorta, sugli effetti, sui pericoli e sui danni del fumo di marijuana. Il fallimento di queste imprese, allora, dovrebbe forse far riflettere i governi e gli enti impegnati nel contenimento del consumo di sostanze d'abuso sulle strategie della prevenzione. E dimostra che l'informazione corretta ed obiettiva costituisce l'arma più efficace per la prevenzione e rappresenta allo stesso tempo il miglior modo per garantire ai cittadini scelte personali più responsabili e più coscienti giudizi sulla politica dei governi nei confronti del problema delle droghe.

Nel 1973 l'Oregon era diventato il primo stato a depenalizzare la marijuana, rendendo il possesso di quantità inferiori ad un'oncia ( 1 oncia = 28,35 gr) un reato civile punibile con una piccola ammenda. Nel 1975 l'Alaska aveva eliminato ogni pena per il possesso personale e la coltivazione di quantità inferiori a quattro once. Il presidente Carter aveva approvato la depenalizzazione, così come l'Associazione Medica Americana, la Società Psichiatrica Americana, l'Associazione Americana degli Ordini Forensi, e il Consiglio Nazionale delle Chiese. Entro il 1977 la maggior parte degli stati avevano ridotto il semplice possesso al rango di infrazione, e nel 1980 undici stati avevano effettivamente depenalizzato il possesso di marijuana.  Sfortunatamente, questa tendenza non continuò. Il movimento per la riforma delle leggi sulla marijuana raggiunse il suo apice alla fine degli anni '70. Nel 1978 il Dott. Peter Bourne, il consulente della Casa Bianca per i farmaci e le droghe, che aveva aiutato il presidente Carter a muovere verso una riforma, rassegnò le proprie dimissioni e fu sostituito da Lee Dogoloff, un sostenitore della linea dura. Nello stesso anno, la percentuale della popolazione in favore della legalizzazione della marijuana cominciò a diminuire rispetto al picco di 28% raggiunto nel 1978; oggi è scesa al 15%. Sotto la presidenza Reagan il governo istituì un programma di "tolleranza zero". Nel 1983 il pericoloso insetticida Paraquat veniva spruzzato sulle piantagioni domestiche di marijuana, e metodi militari erano utilizzati per sradicare piante di canapa indiana e arrestare coloro che le coltivavano nella California settentrionale. Nel 1987 un membro della Corte dovette ritirarsi in seguito a pressioni in quanto aveva fumato marijuana quando era un professore di legge. Nel 1989, sotto il presidente Bush, il governo federale cominciò l'operazione "Mercante Verde", confiscando liste di persone che avevano ordinato materiali ed attrezzi per la coltivazione casalinga e perquisendo le loro case. L'amministrazione Bush si impegnò inoltre a persuadere lo stato dell'Alaska a rendere il possesso di marijuana nuovamente un reato penale, riuscendovi nel 1990. Quello stesso anno, il Congresso approvò un disegno di legge che prevedeva la sospensione dei fondi federali per il trasporto a quegli stati che rifiutassero di comminare la sospensione della patente di guida per 6 mesi a chi fosse stato arrestato per possesso di marijuana.
E' importante ricordare che tali provvedimenti sempre più duri (e la crescente isteria dei comitati di cittadini contro la marijuana) non riflettevano alcuna nuova conoscenza circa la pericolosità di questa droga. Durante il quarto di secolo trascorso da quando iniziai a studiare la marijuana, i dati di laboratorio, sociologici o epidemiologici indicativi di seri problemi medici o sociali derivanti dall'uso di questa sostanza sono stati notevolmente esigui. L'attuale atteggiamento del governo e delle crociate anti-marijuana ha lo stesso rapporto con la realtà di quelle che il film "Refeer madness" (La follia dello spinello) aveva nel 1936.

Ma la dissonanza è ancora più notevole ora, poiché sappiamo tante cose in più. Dal 1971 sono stati spesi milioni di dollari per studiare i pericoli della canapa indiana, ma questa vasta opera di ricerca ha fallito completamente nello scopo di fornire una base scientifica per la proibizione. Sebbene continuino ad accumularsi prove contro la sua tossicità, il governo persiste nel condurre una azione repressiva sempre più intensa verso i consumatori di canapa indiana. Per giustificare la sua politica, (di solito usando come proprio portavoce la DEA, l'Amministrazione per il Controllo dei Farmaci e delle Droghe), esso distorce, allunga e tronca i risultati delle ricerche in un modo degno di Procuste. 

L'impegno del governo a sostenere grossolane esagerazioni sulla dannosità della canapa indiana ha reso necessario che si negasse l'utilità medica di questa sostanza pur di fronte a schiaccianti dati contrari. Nel 1991 la DEA fu inondata di richieste per l'uso della marijuana da persone affette da AIDS. In tutta risposta, James O. Mason, direttore del Servizio Sanitario Pubblico, annunciò che un programma IND (Investigational New Drug Application = Applicazione sperimentale di una medicina di nuova introduzione, ndt) compassionevole, che aveva consentito a un piccolo gruppo di pazienti di usare la marijuana legalmente come una medicina, sarebbe stato sospeso. Egli spiegò al proposito che questo programma intaccava l'opposizione dell'amministrazione all'uso di droghe illegali: "Se si avesse l'impressione che il Servizio Sanitario Pubblico va in giro a distribuire marijuana alla gente, si penserebbe che questa sostanza non dev'essere poi del tutto malvagia", disse Mason. "Ciò darebbe un segnale negativo. Non ho nulla contro il permesso di somministrazione se non vi è altro modo di aiutare queste persone... Ma non abbiamo uno straccio di prova che fumare marijuana giovi a un malato di AIDS".Nel 1971 osservai che poiché la marijuana era stata usata da tantissime persone in tutto il mondo, per migliaia di anni e con pochissime prove di effetti tossici significativi, la scoperta di un qualsivoglia serio rischio per la salute non individuato in precedenza era alquanto poco probabile. Proposi che le ricerche sulla canapa si orientassero piuttosto verso le sue applicazioni in campo medico e il suo potenziale come strumento per aumentare la nostra comprensione delle funzioni cerebrali. Sebbene i fondi stanziati in questi campi siano stati notevolmente scarsi, in entrambi si sono registrati interessanti sviluppi. 

   Nel 1990 i ricercatori hanno scoperto ricettori cerebrali stimolati dal THC (tetraidrocannabinolo). Questa emozionante scoperta implica che il corpo produce la propria versione di sostanze cannabinoidi per uno o più scopi utili. Il primo neurotrasmettitore del tipo cannabinoide fu identificato nel 1992 e venne chiamato anandamida (ananda è un termine sanscrito che significa estasi). Punti di ricezione delle sostanze cannabinoidi si trovano non solo nel cervello inferiore ma anche nella corteccia cerebrale, che regola il pensiero superiore, e nell'ippocampo, che è un locus della memoria. Queste scoperte portano a formulare alcune ipotesi interessanti. La distribuzione di recettori dell'anandamida nel cervello superiore potrebbe spiegare perché così tanti consumatori di marijuana sostengano che questa droga stimoli alcune attività mentali, incluse la creatività e la fluidità di associazione? Questi recettori giocano forse un ruolo nella capacità della marijuana di alterare l'esperienza soggettiva del tempo? E cosa concludere a proposto della sottile intensificazione della percezione e della capacità di sperimentare il mondo fisico con in parte quella sensazione di scoperta e di emozione che si prova nell'infanzia? Forse ulteriori ricerche su questi recettori, che potrebbero non essere limitate al solo cervello, promuoveranno nel contempo una migliore comprensione della notevole versatilità della canapa indiana come medicinale.


    Nonostante condizioni che scoraggiano i ricercatori, le applicazioni mediche della marijuana hanno registrato notevoli progressi dal 1971, in circostanze particolarmente insolite e difficili. Di norma, le nuove medicine sono accompagnate lungo il complicato percorso ad ostacoli per l'approvazione federale dalle compagnie farmaceutiche, che dedicano ampie risorse al compito di prendere una sostanza chimica con potenziale terapeutico e trasformarla in una proprietà da immettere sul mercato. Per molte ragioni, tra cui il fatto che è impossibile ottenere per essa il diritto di esclusiva, è altamente improbabile che alcuna compagnia farmaceutica si imbarchi in questo processo in favore della canapa indiana. Inoltre, il governo degli Stati Uniti è stato ed è adamantino nella sua opposizione al riconoscimento dell'utilità della marijuana in campo medico. Nonostante ciò, un numero sempre più elevato di persone sta usando la marijuana come medicinale.


    Una serie di sviluppi ha aumentato notevolmente l'interesse verso le applicazioni mediche della canapa indiana. Nei primi anni '70, molti si accorsero che la canapa indiana poteva dar sollievo all'intensa nausea e ai vomiti provocati dalla cura chemioterapica del cancro, che era allora una forma di terapia nuova. La marijuana si dimostrò spesso più efficace rispetto agli anti-emetici legali. Più o meno nello stesso periodo fu scoperto che la marijuana abbassava in modo efficace la pressione sul nervo ottico in pazienti affetti da glaucoma ad angolo aperto; molti pazienti scoprirono, per lo più parlandone tra di loro, che la canapa indiana era più efficace delle medicine convenzionali nel ritardare la progressiva perdita della visione causata da questa patologia. Verso la metà degli anni '80, alcuni malati di AIDS si accorsero che la canapa indiana portava sollievo alla nausea causata dalla loro malattia o dalle medicine che assumevano per combatterla. Inoltre, la canapa indiana migliorava il loro appetito, e consentiva loro di bloccare, o addirittura invertire, la tendenza a perdere peso. Come la maggior parte dei consumatori di canapa indiana per le sue virtù terapeutiche, la persone affette da AIDS hanno scoperto che la marijuana fumata è più efficace del THC sintetico (Marinol) che venne legalmente introdotto come farmaco prescrivibile nel 1985.

    Lo sforzo per rendere la canapa indiana stessa disponibile come farmaco soggetto a prescrizione fu iniziato nel 1972 dall'Organizzazione Nazionale per la Riforma delle leggi sulla Marijuana (National Organization for the Reform of Marijuana Laws), e proseguì con lentezza esasperante attraverso il sistema legale.

Finalmente, nel 1986 l'amministratore della DEA annunciò che avrebbe indetto le udienze pubbliche ordinate dalle corti legali sette anni prima. Queste udienze, che cominciarono nel 1986 e durarono due anni, videro l'intervento di numerosi testimoni, tra i quali sia medici che pazienti, e migliaia di pagine di documentazione. Il giudice legale della DEA, Francis J. Young, esaminò tutti i dati raccolti e comunicò le sue conclusioni nel 1988. Young disse che l'approvazione da parte di una minoranza significativa di medici era sufficiente per il raggiungimento degli standard stabiliti dalla Legge per le Sostanze Controllate (Controlled Substances Act) perché la marijuana fosse annoverata tra le medicine del gruppo II, cioè quelle sottoposte a prescrizione medica. Egli aggiunse inoltre che "la marijuana, nella sua forma naturale, è una delle più sicure tra le sostanze terapeuticamente attive conosciute... Si deve ragionevolmente concludere che vi è un'accettabile sicurezza per l'uso della marijuana sotto controllo medico. Una conclusione diversa, basata sui dati in nostro possesso, costituirebbe un'atto irragionevole, arbitrario e frutto di un capriccio". Young continuò raccomandando "che l'Amministratore (della DEA) concluda che la pianta della marijuana presa nel suo intero ha un uso medico a fini terapeutici attualmente accettato negli Stati Uniti, che non vi è alcuna carenza di sicurezza accettabile per il suo uso sotto controllo medico, e che può essere trasferita legalmente dalla Classe I alla Classe II".

La DEA non prese in considerazione l'opinione del suo giudice legale amministrativo e rifiutò di riclassificare la marijuana. Come commentò l'avvocato dell'ente, "Il giudice sembra appigliarsi a quella che lui definisce una "minoranza rispettabile di medici". Di che percentuale stiamo parlando? La metà dell'uno per cento? Un quarto dell'uno per cento?" L'amministratore della DEA, John Lang andò oltre, definendo le asserzioni sull'utilità della marijuana una pericolosa e crudele mistificazione".Nel corso degli ultimi vent'anni, mentre le potenzialità di applicazione terapeutica della canapa indiana divenivano sempre più evidenti, ho avuto modo di osservare la crescente frustrazione dei pazienti che non riescono ad ottenerla per vie legali. Il governo degli Stati Uniti deve assumersi la responsabilità delle sofferenze inutili causate da una politica che può solo essere definita ignorante e crudele, e perché spinge i suoi cittadini a compiere atti penalmente perseguibili. Nonostante l'ostruzionismo del governo, molti pazienti hanno imparato ad utilizzare la marijuana a scopo terapeutico, e molti altri ne stanno scoprendo i benefici. Sfortunatamente, devono sopportare l'ansietà imposta dal rischio di arresto e i loro sensi di colpa per il fatto di infrangere la legge, e sono costretti a pagare prezzi esorbitanti sulla strada per una medicina che dovrebbe essere assai poco costosa.Rileggendo ora la seconda edizione di "Marihuana Reconsidered" ho trovato alcuni capitoli, come quelli sulla chimica, farmacologia e le applicazioni mediche della marijuana, datati. Alcune delle idee espresse in quel libro ora sembrano leggermente bizzarre anche a me. Il tono è più cauto di quanto sarebbe se mi accingessi a scriverlo oggi. Infatti, sebbene sia ancora convinto che la marijuana non sia innocua, sono altrettanto sicuro che sia una delle meno pericolose, se non la meno pericolosa, di tutte le sostanze psicoattive, legali o legali, medicinali o ricreative.Un'altra impressione che ho avuto rileggendo il libro è di aver prestato poca attenzione agli usi della marijuana che non sono propriamente né medici né ricreativi. Nel 1971 avevo scritto che "La mia intenzione è di fornire una descrizione accurata di questa droga e delle sue proprietà, e di metterne in prospettiva i pericoli e le applicazioni utili".

Prima negli Stati Uniti...

Testimonianze dal libro Marijuana, the forbidden Medicine

"Non amo infrangere la legge. Non mi piace pagare un prezzo esorbitante a degli spacciatori per un prodotto non regolato e non contollato. Ma mi piace davvero camminare, parlare, leggere, scrivere e vedere"

 Greg Paufler che usa la marijuana per alleviare i sintomi della sclerosi multipla.


"Avevo sentito che la marihuana funziona contro la nausea. Ero titubante se usarla o no, perché non avevo mai fumato niente in vita mia. La marijuana funzionò benissimo. Va oltre la mia comprensione - ed io mi illudo di capire molte cose, anche senza senso - il fatto che una sostanza così benefica non sia disponibile a chi ne ha veramente bisogno, solo perché vi sono altri che la usano per altri motivi"

Stephen Jay Gould che ha usato la marijhuana durante il trattamento contro il cancro.

"I compiti giornalieri come lavarmi e vestirmi, diventano molto piu semplici. Non ho quasi piu nessuno spasmo e sono graziata da dover assumere dodici pillole al giorno, tossiche e da cui sarei diventata dipendente. Circa due terzi dei pazienti paralizzati che io conosco usano la marijhuana per controllare gli spasmi muscolari ed il dolore. Il govemo ora sta mettendo in atto una guerra contro le droghe che in effetti colpisce me ed altri pazienti paralizzati, perché abbiamo scelto una sostanza che e la migliore e la piu sicura per la nostra condizione, mettendoci sullo stesso piano dei criminali che abusano di eroina"


Chris Woiderski che usa marijuana per gli spasmi causati dalla paraplegia.


A quel tempo, soprattutto a causa della mia ignoranza, "l'utilità" era riferita solo alla medicina. L'esperienza accumulata negli ultimi vent'anni mi ha spinto a considerare molto più seriamente le asserzioni di coloro i quali credono che la canapa indiana abbia proprietà utili che non possono essere descritte come mediche. Per esempio, non ho più dubbi che la marijuana possa essere uno stimolatore intellettuale. Può aiutare colui che la usa a penetrare barriere concettuali, a promuovere la fluidità associativa, e ad aumentare la propria percezione interiore e creatività. Alcuni la trovano così utile per l'acquisizione di nuove prospettive o la visione dei problemi da un diverso punto di vista, che la fumano in preparazione per il lavoro intellettuale. Ho l'impressione che queste persone abbiano imparato a sfruttare l'alterazione della coscienza prodotta dalla canapa indiana. Altri modi in cui la canapa può essere utile hanno probabilmente poco a che vedere con l'acquisizione di conoscenza. Essa può acuire le sensazioni piacevoli derivanti dal cibo, dalla musica, dall'attività sessuale, dalle bellezze della natura e da altre esperienze sensuali. Nelle condizioni e nell'ambiente adatti, può promuovere l'intimità emotiva. Per quasi tutti, ha la capacità di evidenziare l'aspetto comico della vita e di catalizzare una risata piena e salutare.

E' forse in parte proprio perché così tanti americani hanno scoperto da soli che la marijuana è allo stesso tempo relativamente benigna e notevolmente utile, che il consenso morale circa i mali della canapa indiana è allo stesso tempo incerto e superficiale. Le autorità pretendono che eliminare il traffico di canapa indiana sia equivalente all'eliminare la schiavitù o la pirateria, o sia come sradicare il vaiolo o la malaria. L'atteggiamento ufficiale è che deve essere fatto tutto il possibile per impedire per sempre e a chiunque di usare la marijuana.

...ora anche in Italia


da "La Stampa" 12 agosto 1995

Ma allo stesso tempo vi è un bagaglio informale di conoscenze sull'uso della marijuana che è molto più tollerante. Molti dei milioni di persone che usano la canapa indiana in questo paese non solo disobbediscono alle leggi antidroga, ma altresì non le rispettano per principio. Essi non nascondono il loro amaro risentimento verso leggi che li rendono dei criminali. Credono che molte persone siano state ingannate dal loro governo, e sono giunti a dubitare che le "autorità" capiscano granché circa le proprietà di questa droga, sia quelle dannose che quelle benefiche.  Questa corrente sotterranea di ambivalenza e resistenza nell'atteggiamento pubblico verso le leggi contro la marijuana apre uno spiraglio alla possibilità di un mutamento, specie se consideriamo che i costi della proibizione sono notevoli e in continuo aumento. Attualmente, negli Stati Uniti, più di 300.000 persone vengono arrestate ogni anno per reati legati alla marijuana, contribuendo così all'intasamento delle corti giudiziarie e al sovraffollamento delle carceri. Oltre alle centinaia di miliardi sprecati per la proibizione, vi sono costi più difficili da quantificare. Uno di questi è la perdita di credibilità del governo. I giovani che scoprono che le autorità mentono a proposito della canapa accolgono con scetticismo le posizioni ufficiali a proposito delle altre droghe e tendono a disprezzare le dichiarazioni di impegno in difesa della giustizia da parte del governo. Un altro costo spaventoso della proibizione è l'erosione delle libertà civili. L'uso di informatori e di trappole test obbligatori delle urine, perquisizioni ed arresti senza mandato, e violazioni della legge del "Posse Comitatus" (che proibisce l'uso di forze militari nell'applicazione di leggi civili) stanno diventando più comuni. E' sempre più chiaro che la nostra società non può essere allo stesso libera dalla droga e libera.    E' altrettanto chiaro che la realtà dei bisogni umani è incompatibile con la richiesta di una distinzione legalmente applicabile tra l'uso medicinale della canapa indiana e le altre utilizzazioni. L'uso della marijuana semplicemente non si adatta ai limiti concettuali stabiliti dalle istituzioni del ventesimo secolo. Accresce molti piaceri e ha varie applicazioni mediche possibili, ma anche queste due categorie non sono le sole rilevanti. Il tipo di terapia spesso utilizzato per alleviare i malesseri quotidiani non rientra in nessuno schema di questo genere. In molti casi, ciò che la persona comune fa quando si auto-prescrive la marijuana non è molto diverso da ciò che fanno i medici quando forniscono prescrizioni per medicinali psicoattivi o di altro tipo. Il solo modo attuabile per realizzare tutte le potenzialità di questa sostanza così interessante, incluso il suo pieno potenziale medico, è di liberarla dal doppio gruppo di regolamenti attuali - quelli che controllano i medicinali soggetti a prescrizione medica in generale, e le leggi speciali criminali che controllano le sostanze psicoattive. Queste leggi, rinforzadosi a vicenda, stabiliscono un corpo di categorie sociali che strangolano le potenzialità eccezionalmente sfaccettate di questa sostanza. La sola via d'uscita è di tagliare questo nodo dando alla marijuana lo stesso status dell'alcool - e cioé legalizzarla per tutti gli usi da parte di adulti e rimuoverla completamente dai sistemi di controllo medico e criminale. Visto i miei passati fallimenti come profeta, potrebbe essere inopportuno da parte mia arrischiare ulteriori predizioni sul futuro della marijuana. Eppure credo ancora che prima o poi la popolazione degli Stati Uniti e del mondo riconoscerà i benefici individuali e sociali di questa droga e i costi enormi dell'attuale proibizione. Un giorno, mi auguro, ci guarderemo indietro e ci chiederemo perchè le nostre società fossero così perverse da trattare la canapa indiana come fecero per la maggior parte del ventesimo secolo.

1. Per un resoconto dettagliato del posto crescente della canapa indiana nella cura di un numero crescente di patologie, si veda Lester Grinspoon e James B. Bakalar, "Marijuana the Forbidden Medicine (New Haven: Yale University Press, 1993).  2"Marijuana Reconsidered" è stato ripubblicato di recente - Quick American Archives, Oakland, CA, 1994

grinspoon.jpg (5393 byte)

Lester Grinspoon, Dottore in Medicina Dipartimento di Psichiatria, Scuola di Medicina di Harvard e  Centro delMassachussetts per la Salute Mentale74 Fenwood Road, Boston, MA 02115

 

CANNABIS: PATOLOGIA E TERAPIA
di Robert B. Millman

 

La diffusione del'uso della cannabis, che a partire dagli anni '60 ha investito massicciamente la popolazione giovanile, ha raggiunto il massimo livello nel corso degli anni '70. Da allora, si è assistito ad un progressivo declino. Secondo una delle più nol indagini epidemiologiche sull'argomento, la High School Senior Survey (condotta sugli studenti delle ultime classi delle scuole superiori), nel 1969 il 20% degli intervistati aveva assunto cannabis almeno una volta nella vita. Nel 1979 la percentuale era salita; 60.4%, per poi ridiscendere, nel 1990, fino al 40.7%. Secondo la stessa indagine, Ia percentuale dei soggetti che facevano uso quotidiano di cannabis, e che possiamo pertanto considerare maggiormente a rischio, era passata dal 10.7% del 1978 al 2.2% del 1990.
Tra le ragioni di questa tendenza generale alla riduzione dell'uso di marijuana va annotata la modificazione dell'orientamento culturale ed in particolare la mutata percezione della pericolosità delle droghe.
L'uso della marijuana è stato storicamente associato ad una particolare cultura caratterizzata dalla perdita di interesse o anche dalla mancanza di riguardo per i simboli tradizionali della religione, dello stato, della famiglia e dell'autorità. L'atteggiamento dei giovani degli anni '60 e '70 era proteiforme e creativo, sebbene ansiogeno. La fine degli anni '70 e gli anni '80 sono stati caratterizzati invece da uno stile di vita più conservativo e controllato, dove la consapevolezza tra i giovani che il mondo non si può cambiare può avere reso meno desiderabile l'alterazione dello stato di coscienza prodotto dalla marijuana.
All'aumentata percezione della pericolosità della cannabis degli ultimi anni possono avere contribuito diversi fattori, quali la osservazione delle reazioni avverse negli amici che l'hanno utilizzata e il forte impegno contro le droghe manifestato dall associazioni dei genitori e dai media con le loro campagne. È probabile che anche l'aumento del prezzo della sostanza possa avere contribuito alla riduzione dell'uso.



MODELLI D'USO. Tra gli estremi dell'uso occasionale e di quello cronico, vi è una grande variabilità nella modalità di uso dei derivati della cannabis. Se considerazioni di carattere geografico, sociale e culturale sono importanti per la predisposizione, la frequenza e la modalità dell'uso dipendono invece fondamentalmente dalla interazione tra gli effetti psicoattivi della sostanza e le caratteristiche di personalità dell'individuo.
Nella vita dell'assuntore occasionale la marijuana svolge un ruolo marginale. Solitamente il consumo è ristretto ad incontri di gruppo, nei quali il rituale della preparazione e condivisione del "joint" è parte integrante dell'interazione sociale. In genere non si associa l'uso di altre sostanze.
L'uso continuativo può variare da quello di una sigaretta di marijuana al giorno, allo scopo di rilassarsi dopo la scuola o il lavoro, a quello compulsivo, nel quale la sostanza viene usata quotidianamente per tutto l'arco della giornata. Nel consumatore compulsivo, il procacciamento e l'assunzione della cannabis divengono le preoccupazioni dominanti della vita. Alcuni di questi individui sono dei "puristi", che usano solo cannabis; molti altri assumono anche una varietà di altre droghe.


MARIJUANA E DROGHE PESANTI. L'uso di marijuana solitamente precede l'uso di altre droghe. Ciò non necessariamente significa che la marijuana porti alla dipendenza da altre sostanze. La maggior parte degli individui prima di assumere marijuana ha assunto vino, sigarette, caffè e perfino latte. Non per questo si può parlare di causalità. È comunque ipotizzabile che la marijuana, chiamata anche "droga d'ingresso", un qualche ruolo sull'uso di altre sostanze lo svolga. Gli effetti piacevoli della marijuana, la constatazione che il suo uso non è poi così pericoloso quanto i genitori o i media danno ad intendere, possono incoraggiare la sperimentazione di altre droghe. Inoltre, essendo l'uso della marijuana illegale, per l'assuntore possono essere minori le resistenze verso l'uso di altre sostanze illegali: la stessa attività di ricerca della marijuana facilita l'incontro con persone che usano altre droghe. Infine va segnalato anche l'aspetto finanziario: mentre il costo della cocaina e della eroina si è progressivamente ridotto, quello della marijuana continua a crescere. I cosidetti "nickel bags" (confezioni da cinque centesimi), che un tempo costavano 5 dollari, oggi costano tra i 10 ed i 20 dollari.


LA STORIA NATURALE DELL'USO Dl CANNABIS.
Sebbene il modello di uso della marijuana nell'adulto non sia stato bene studiato, I'esperienza clinica suggerisce che con l'avanzare dell'età vi sia una tendenza alla riduzione dell'uso. La storia naturale del consumatore di cannabis sembra evidenziare un decremento dell'uso verso i 30 - 40 anni, quando la sostanza viene considerata meno attraente e fonte di effetti psicoattivi di tipo disforico. Noi abbiamo seguito un gruppo di persone che col tempo aveva ridotto significativamente la frequenza d'uso. Si trattava di persone di successo, appartenenti alla classe sociale media, di età compresa tra i 30 e i 50 anni e di razza bianca. Dopo molti anni di uso quotidiano costoro riferivano, non senza imbarazzo, che fumare quantità elevate di marijuana li rendeva ansiosi, irrequieti e paranoici. Continuavano ad affermare che a loro la cannabis piaceva, ma solo occasionalmente ed in piccole dosi. Col passare degli anni, per queste persone aumentava invece l'appetibilità di sostanze associate a sensazioni di potenza, di energia e di produttività, come l'alcol e la cocaina. Non importava se a queste sensazioni non si accompagnasse un reale miglioramento della performance. Ciò che contava era la sensazione prodotta.

L'intossicazione da marijuana è caratterizzata da una alterazione della percezione del tempo, che sembra rallentato, e da una ridotta capacità di concentrazione. È probabile che questo stato sia gradevole per i giovani che non devono confrontarsi con i limiti imposti dal tempo. Quando però I'individuo comincia a fare i conti col processo dell'invecchiamento e ad attribuire un qualche valore alla produttività e all'ambizione, la passività e la lassitudine indotte dalla marijuana possono essere causa di ansia. È anche possibile che l'aumento dei sintomi d'ansia e disforia che si osserva con l'uso cronico di cannabis, sia da mettere in relazione con i fenomeni di kindling e sensibilizzazione già ipotizzati per spiegare le convulsioni da cocaina e gli attacchi di panico nei disturbi d'ansia e depressivi.


EFFETTI PSICOATTIVI. Gli effetti psichici della cannabis variano in dipendenza della preparazione, della dose, della via di somministrazione, della personalità dell'assuntore, delle sue aspettative e del contesto nel quale viene utilizzata. È comune una alterazione della percezione dei suoni, dei colori, dei discorsi e del gusto. Anche l'umore viene interessato in modo variabile. Di solito viene sperimentato una sensazione di accresciuto benessere, ma talvolta anche di depressione ed ansia. Vi possono essere iperattività e ilarità o anche passività, apatia e sonnolenza. ll flusso ideativo può apparire accelerato e vi può essere un certo rilassamento delle associazioni. Gli individui possono diventare più loquaci o più silenti. ll tempo sembra trascorrere più lentamente ed il bisogno di attività è minore, ma senza sensazione di noia. I fumatori riferiscono di lunghi periodi di tempo trascorsi ascoltando musica o leggendo. l problemi possono apparire meno pressanti, sebbene si possa osservare anche l'opposto.


VALUTAZIONE E DIAGNOSI Dl DIPENDENZA E ABUSO. La valutazione di un individuo per il quale si sospetta l'uso di sostanze psicoattive, non può prescindere da una accurata raccolta anamnestica, dall'esame fisico e da una valutazione psichiatrica.
Poiché la marijuana viene utilizzata spesso in associazione con altre sostanze, è inoltre importante verificare il tipo di relazione esistente. Per esempio, per chi abusa di cocaina la marijuana può servire per alleviare le sensazioni d'ansia da essa prodotte, mentre per chi abusa di eroina o alcol può servire ad aumentarne gli effetti. In numerose circostanze il processo diagnostico può avvalersi di analisi tossicologiche per la ricerca delle sostanze d'abuso o dei loro metaboliti nei liquidi biologici. L'esame tossicologico delle urine, indicato quando si sospetti l'uso di cannabis, può aiutarci ad esempio a chiarire l'origine di uno stato di intossicazione acuto o di un improvviso cambiamento dello stato mentale, dell'umore o del comportamento.

A questo proposito va osservato che esiste una scarsa correlazione tra data ed entità del consumo di cannabis da una parte e concentrazione dei suoi metaboliti nei liquidi biologici dall'altra. A causa della loro elevata liposolubilità, il D-9-tetraidrocannabinolo (THC) ed i suoi metaboliti si accumulano nei tessuti adiposi e vengono eliminati dall'organismo molto più lentamente rispetto ad altre sostanze. Il principale metabolita, il 11-nor-D-9-THC-acido carbossilico, può essere rilevato nelle urine per 4-6 giorni dopo un uso acuto di cannabis e per 20-30 giorni dopo un uso cronico.

Sebbene con l'uso cronico di cannabis sia stata riportata la comparsa di tolleranza verso la maggior parte degli effetti prodotti, gli individui con dipendenza da cannabis solitamente non sviluppano dipendenza fisica.

TESSERA.jpg (20945 byte)
Tessera della Associazione Consumatori Cannabis

L'elemento centrale della dipendenza da cannabis è rappresentato dalla compulsione. Sintomi caratteristici, in accordo col DSM-IV sono: I'uso della sostanza durante tutto l'arco della giornata, per un periodo di mesi o anni; I'incapacità di ridurne le dosi o di controllarne l'assunzione; I'uso continuato nonostante la presenza di problemi fisici o psicologici causati o aggravati dalla sostanza; la compromissione di importanti attività scolastiche, lavorative o ricreative a causa del suo uso.La diagnosi di abuso trova posto laddove sia rilevabile un maladattamento, ma non siano presenti tutti i criteri necessari per la diagnosi di dipendenza.

REAZIONI AVVERSE ACUTE

Disturbi d'ansia. Le reazioni avverse più comunemente riportate sono l'ansia e gli attacchi di panico. Solitamente compaiono durante il periodo di intossicazione e si risolvono entro qualche minuto o qualche ora, persistendo solo raramente oltre le 24 ore.
È più facile che queste reazioni si manifestino fra i principianti, soprattutto se l'assunzione di marijuana avviene in un ambiente estraneo o minaccioso. L'intensità è variabile e va da uno stato di modesto disconforto ad un franco quadro isterico, con sensazione di impedimento motorio e respiratorio o di imminente attacco cardiaco.L'intervento più indicato consiste nella rassicurazione: in genere è sufficiente ricordare al paziente che i sintomi presentati sono abbastanza comuni, che sono prodotti dalla sostanza e che si risolveranno rapidamente. Talvolta può essere utile un ansiolitico, preferibilmente di rapido effetto e lunga durata d'azione, come diazepam, 10-30 mg, o lorazepam, 1-3 mg.
La persistenza dello stato ansioso è più probabile in individui psicologicamente predisposti.

FARE_SPIN.jpg (11772 byte)
Preparazione dello spinello

Psicosi. Un quadro clinico di rara osservazione è il disturbo psicotico indotto da cannabis. Esso si sviluppa rapidamente dopo l'uso della sostanza e in genere recede entro uno o pochi giorni. Solitamente comprende deliri di persecuzione o di gelosia, mentre la presenza di allucinazioni è rara. Altri sintomi associati sono: ansia, labilità emotiva, depersonalizzazione e, al cessare dell'episodio, amnesia.

I limiti tra stati d'ansia, attacchi di panico e disturbo psicotico indotto da cannabis non sono netti. Anche la comparsa di un disturbo psicotico dipende dalla dose assunta, dalla personalità premorbosa dell'individuo e dall'ambiente. In soggetti predisposti il disturbo psicotico indotto da cannabis può preludere ad una psicosi persistente.
Il trattamento di questo disturbo può includere, oltre agli interventi già enunciati per le reazioni d'ansia, l'uso di un neurolettico (aloperidolo 2-4 mg).

Delirium. La comparsa di delirium, con obnubilamento della coscienza, confusione, depersonalizzazione e alterazione del pensiero, spesso consegue all'ingestione di grandi quantità di cannabis in una delle sue numerose forme. Vi possono anche essere compromissione della memoria, allucinazioni visive ed uditive, paranoia e comportamento bizzarro o violento. Sono stati riportati quattro casi nei quali si associava mutismo. La durata del disturbo varia da poche ore a pochi giorni. La relazione di questo quadro con la psicosi schizofreniforme rimane poco chiara. Per il trattamento si usano farmaci ansiolitici e neurolettici.
Flashback
. ll flashback consiste nella transitoria ricomparsa di sensazioni e percezioni sperimentate sotto l'effetto di una sostanza psichedelica. Fumare marijuana può fungere da fattore scatenente il flashback. Altri fattori scatenanti sono la fatica, lo stress emotivo e l'alterato funzionamento dell'lo. Il flashback puòdurare secondi o ore e può essere vissuto come piacevole o terrifico. Spesso sono presenti distorsione visiva, alterazione dello stato affettivo, depersonalizzazione e sintomi fisici.

L'uso continuato di cannabis o di sostanze psichedeliche può aumentare l'incidenza di flashback. Anche per questo quadro l'intervento comprende la rassicurazione e la terapia ansiolitica. Anche la psicoterapia può essere utile. In casi estremi può essere indicato il trattamento con neurolettici.

USO CRONICO Dl CANNABIS E PSICOPATOLOGIA. Come per le altre sostanze d'abuso, le manifestazioni psicopatologiche che si osservano dopo l'uso cronico sono la conseguenza dell'interazione fra psicobiologia dell'assuntore e effetti psichici della sostanza. È ovviamente difficile verificare quanto I'uso della marijuana sia la conseguenza della psicopatologia di base del soggetto e quanto ne sia invece la causa.

autoterapia. L'abuso e la dipendenza da cannabis sono spesso associati alla presenza di disturbi psichiatrici come i disturbi dell'umore, la schizofrenia, i disturbi di personalità. L'uso autoterapico della marijuana nei portatori di patologie affettive, ben si accorda con le sue proprietà ansiolitiche e sedative. Essa può aiutare il soggetto ad alleviare le sensazioni di depressione, rabbia, vergogna e solitudine solitamente associate agli stati di sregolazione affettiva. Poichè la cannabis ha comunque effetti psicotomimetici, è difficile capire come anche gli psicotici possano utilizzarla in senso autoterapico. Sicuramente altre sostanze, ad esempio l'eroina, sarebbero più utili allo scopo. in realtà gli schizofrenici spesso riferiscono che i farmaci antipsicotici producono sensazioni di vuoto, di passività, di sottomissione. In relazione all'uso di cannabis questi pazienti riportano una esperienza bifasica: la prima caratterizzata da sensazioni di rilassamento, di energia e di innalzamento dell'umore; la seconda caratterizzata da deterioramento psichico, da disorganizzazione e da aggravamento delle allucinazioni uditive. È probabile che i pazienti schizofrenici, pur di poter sperimentare dei fugaci momenti di euforia e di fuga, siano disposti ad accettare un peggioramento della sintomatologia. È anche possibile che gli effetti anticolinergici della cannabis riducano l'efficacia dei neurolettici. Si è osservato che una delle cause più frequenti di ricovero per i pazienti schizofrenici è I'abbandono delle terapie neurolettiche e l'uso di cannabis.
Il tipo di trattamento da instaurare nei confronti di pazienti con disturbi mentali e abuso di cannabis deve tenere conto dello specifico quadro clinico. Vanno affrontate le tematiche della autoterapia e della razionalizazione. In tal senso può essere utile coinvolgere questi pazienti in terapie di gruppo. I pazienti in trattamento neurolettico devono essere specificamente avvertiti del pericolo legato all'uso di cannabis.

Psicosi. È stata ripetutamente segnalata la comparsa di episodi psicotici prolungati (giorni o settimane) e psicosi croniche scatenati dall'uso di dosaggi elevati di cannabis per lunghi periodi. I tentativi di distinguere queste sindromi dalla schizofrenia classica non sono stati coronati da successo. Non è chiaro se possano presentarsi anche in individui non psicopatologicamente predisposti. La nostra impressione clinica è che al termine di un episodio psicotico acuto scatenato dalla cannabis, possa persistere per lunghi periodi una sintomatologia psicotica attenuata, con pensieri paranoidi e allucinazioni uditive.
I quadri psicotici scatenati dalla marijuana, se i sintomi persistono, dovrebbero essere trattati come psicosi funzionali. Nel nostro centro, quando la componente ansiosa è predominante, usiamo gli ansiolitici (diazepam 40-60 mg al dì in dosi refratte), nel tentativo di far "abortire" I'episodio psicotico. In seguito, se è necessario, somministriamo dosi appropriate di farmaci neurolettici.

Sindrome amotivazionale. In utilizzatori cronici di cannabis è stata descritta una sindrome amotivazionale, caratterizzata da apatia, riduzione delle attivita finalizzate, incapacità di gestire nuovi problemi, distraibilità, compromissione del giudizio e delle abilità comunicative. Questa sindrome è stata utilizzata per spiegare il deterioramento della personalità e la compromissione della performance scolastica osservati nei giovani assuntori. Si tratta comunque di osservazioni non controllate e non replicate in altri studi sull'argomento.
Data l'azione farmacologica della cannabis, che include sedazione, compromissione della attenzione e della memoria a breve termine, è possibile che in alcuni giovani vulnerabili il suo uso possa essere responsabile di un ottundimento dell'ambizione e dell'iniziativa e di una compromissione della performance scolastica. In altri giovani comunque, sebbene l'uso di cannabis si associ a profondi cambiamenti nell'abbigliamento e nel comportamento, il grado di intraprendenza appare notevole, purchè valutato rispetto al perseguimento di obiettivi che hanno un valore nel loro contesto sociale.

È probabile che la sindrome amotivazionale sia semplicemente una variante del disturbo da dipendenza gia descritto precedentemente.

TRATTAMENTO DELL'ABUSO E DIPENDENZA DA CANNABIS. ll trattamento si articola nelle diverse fasi della disintossicazione, della remissione e della riabilitazione. Spesso il primo problema col quale ci si confronta è la tendenza del paziente a negare il suo stato di dipendenza e ad accettare il trattamento. Nella prima fase è importante aiutare il paziente a riconoscere che la sostanza sta interferendo significativamente con la sua vita. L'esecuzione di regolari test tossicologici urinari sono particolarmente utili in questa fase: oltre che costituire un indice obbiettivo dell'andamento della terapia, aiutano anche il paziente a controllare l'atteggiamento di negazione, sollevandolo dalla responsabilità di dover riferire regolarmente al terapeuta sull'uso della sostanza.

Non vi è accordo generale sull'esistenza di una sindrome di astinenza da cannabis. Una sintomatologia caratterizzata da nausea, mialgia, irritabilità, nervosismo, irrequietezza, depressione ed insonnia è stata descritta sia nell'animale che nell'uomo, dopo la brusca sospensione di un uso protratto e ad alti livelli. Gli stessi sintomi non sono stati riportati con altre modalità di uso. Nella maggior parte dei casi la sintomatologia è modesta ed influenzata dalla personalità premorbosa. In genere il supporto e la rassicurazione sono sufficienti a facilitare il processo astinenziale.

Nella fase di remissione l'intervento può richiedere da 2 a 12 mesi. ll trattamento è finalizzato alla prevenzione della ricaduta ed allo sviluppo delle competenze sociali. Alcuni degli elementi critici da affrontare sono: il riconoscimento dei segni precoci di ricaduta; la discussione dei cosidetti "ricordi euforici", consistenti nella tendenza a ricordare solo gli aspetti positivi dell'esperienza con le droghe; il superamento del desiderio di riguadagnare il controllo sulla sostanza; il rinforzo degli aspetti negativi della droga; I'evitamento delle situazioni condizionanti la riacquisizione di comportamenti tossicomanici ("persone, luoghi e cose"); I'isolamento delle "cadute", così che non diventino delle "ricadute"; I'apprendimento di nuovi metodi di gestione degli stati emotivi che sono alla base del craving; lo sviluppo di alternative piacevoli e gratificanti.

Sono pochi i programmi specificamente indirizzati al trattamento dei disturbi da uso di cannabis. Nel corso del trattamento a lungo termine il contratto può includere la semplice partecipazione alle sessioni settimanali di terapia di gruppo, allo scopo di rinforzare l'impegno nell'astensione, di migliorare le competenze relazionali e controllare la riemergenza della negazione. Dovrebbe anche essere incoraggiata la partecipazione ai gruppi di autoaiuto.

Nei programmi costruiti sull'esempio di quello degli Alcolisti Anonimi, gli individui vengono incoraggiati a considerarsi "in riabilitazione". Questo approccio, dimostratosi efficace per gli adulti, può non essere necessario nei giovani. Dopo un anno o più di astensione dall'uso di sostanze e di buon adattamento sociale, è meglio che i giovani vengano incoraggiati a considerarsi simili ai loro pari, sebbene a maggiore rischio. Le tecniche utilizzate durante queste fase possono includere varie forme di psicoterapia individuale e di gruppo, la terapia della famiglia, i programmi organizzati secondo il modello dei 12 passi degli Alcolisti Anonimi.
È ovviamente importante sottolineare che per molti adolescenti l'uso sperimentale o intermittente di marijuana è "normativo" all'interno del loro gruppo, esercita un minimo impatto sulla loro salute e nessuno sul loro adattamento psicosociale. Forzare questi giovani ad un trattamento può servire a rovinare le loro vite e le loro carriere scolastiche, rinforzare le insicurezze sulle loro capacità e stigmatizzarli. La valutazione dell'opportunità di un trattamento talvolta costituisce un difficile problema clinico che richiede un attento bilancio tra rischi e benefici.

Robert B. Millman è professore di medicina e psichiatria alla Cornell University e direttore dei Servizi per l'abuso di alcol ed altre sostanze al New York Hospital Payne Whitney Psychiatric Clinic. Dopo aver studiato medicina interna e psichiatria al New York Hospital, egli ha dedicato la sua vita alla ricerca, al trattamento ed all'organizzazione nelle aree dell'abuso di alcol e droghe, della psichiatria di comunità e della salute pubblica. Il Prof. Millman ha contribuito allo sviluppo di un range di programmi innovativi per il trattamento della tossicodipenza sia negli adolescenti che negli adulti.

Bibliografia

Beeder AB, Millman RB: Treatment of patients with psychopathology and substance abuse, in Substance Abuse: A Comprehensive Textbook, 2nd Edition. Edited by Lowinson JH, Ruiz P, Millman RB, et al. Baltimore, MD, Williams & Wilkins, 1992, pp 675-690

BradyJV, Fotin RW, Fischman MW, et al: Behavioral interactions and the effects of marijuana. Alcohol, Drugs, and Driving 2:93-103, 1986


Frank B, Golea J, Simeone R: Drug Use Trends in. New York City. New York, New York State Division of Substance Abuse Services, 1991, pp 5-61


Grinspoon L: Effects of marijuana. Hosp Community Psychiatry 34:307, 1983
aliKasJ: Marijuana use in psychiatric illness, in Marijuana: Effects On Human Behavior. Edited by Miller L. New York, Academic Press, 1974, pp 265-302


Johnston LD, O'Malley PM, Bachman JG: Drug Among American High School Seniors, College Students, and Young Adults 1975-1990. Rockville, MD, National Institute of Drug Abuse, U.S. Department of Health and Human Services, Alcohol, Drug Abuse and Mental Health Administration, 1991


Khantzian EJ, McKenna GJ: Acute toxic and withdrawal reactions associated with drug use snd abuse. Ann Intern Med 90:361-373, 1979


'Marlatt GA: Relapse prevention: a self-control gram for the treatment of addictive behaviors, in Adherence, Compliance, and Generalization Behavioral Medicine. Edited by Stuart RB. New York, Brunner/Mazel, 1980


Millman RB: Considerations on the psychotherapy of the substance of the substance abuser. J Subst Abuse Treat 3:10-109, 1986


Millman RB, Sbriglio R: Patterns of use and psychopathology in chronic marijuana users.
Psyclliatr Clin North Am 9:533-545, 1986

MILLMANN.jpg (5501 byte)    Robert B. Millman

CANAPA NEL CERVELLO
STORIA DI UN RAPPORTO CON MOLTE OMBRE
di Billy R. Martin

1. INTRODUZIONE


Nonostante il suo consumo si sia ridotto negli ultimi vent'anni, la marijuana è ancora oggi la sostanza d'abuso più frequentemente consumata negli Stati Uniti. I consumatori di marijuana costituiscono una popolazione eterogenea per età, etnia o sesso. Si stima che circa il 70% degli americani, di età compresa tra i 27 ed i 32 anni, abbiano consumato marijuana. Il 2-3% della popolazione ne fa uso quotidianamente. Il consumo di marijuana tra gli adolescenti costituisce un grave problema medico e sociale.
Le conseguenze del consumo di marijuana sulla salute sono ancora poco chiare e non ben caratterizzate. La ricerca scientifica, in questi ultimi anni, ha pero compiuto notevoli progressi. L'esistenza di un sistema "cannabinoidergico" endogeno è ormai unanimemente accettata: è stato clonato un recettore, è stato individuato un sistema di secondi messaggeri ed è stato isolato un probabile ligando endogeno.

2. FARMACOLOGIA NELL'UOMO


2.1. Effetti sulla performance

È noto che la marijuana influenza le funzioni sensoriali, psicomotorie e cognitive: il fumo di marijuana, in certi individui, determina una compromissione dell'abilità con cui determininati compiti, soprattutto se difficili ed impegnativi, vengono svolti. Ad esempio, è stata osservata una ridotta capacità nella guida dell'automobile, che risulta poi essere all'origine di tanti incidenti stradali. La marijuana non sembra tuttavia avere alcun effetto sui tempi di reattività e sulla risposta motoria ad uno stimolo visivo.
Esistono però dei fattori che complicano l'interpretazione dei danni indotti dalla marijuana, quali il contemporaneo abuso di altre sostanze, una certa variabilità tra individuo ed individuo, lo sviluppo di tolleranza a certi suoi effetti e le difficoltà nella valutazione dei dati provenienti da una popolazione così eterogenea. Non è quindi facile valutare le conseguenze del fumo di marijuana in milioni di individui in termini di danno, ridotta produttività e così via. È ormai chiaro che al trattamento cronico con alte dosi di
D9-tetraidrocannabinolo (D9-THC) segue lo sviluppo di tolleranza; mentre è meno certo che questo fenomeno si manifesti dopo assunzione non continuata di marijuana. L'intossicazione da cannabis in un consumatore abituale può essere riconosciuta solo se gli viene richiesto di svolgere un nuovo e difficile compito motorio. UOMOCHEF.jpg (8146 byte)Al contrario, l'intossicazione viene percepita facilmente da individui che consumano marijuana abitualmente. Riguardo al coabuso con altre sostanze, è stato dimostrato che la riduzione di capacità nella guida dell'automobile, dovuta all'assunzione di alcol, viene ulteriormente aggravata dalla marijuana. È superfluo precisare che la possibilità di stabilire una diretta correlazione tra la gravità del defic psicomotorio ed i livelli ematici di cannabinoidi sarebbe di grande aiuto nel determinare la causa di molti incidenti stradali. Purtroppo l'ampia variabilità che si osserva nella sensibilità individuale alla marijuana ed i fattori sovente confondenti citati poc'anzi rendono improbabile che la determinazione delle concentrazioni sanguigne di D9-THC o dei suoi più importanti metaboliti possano entrare nella pratica comune per la valutazione dell'intossicazione da marijuana.

2.2. Apprendimento e memoria

Gli studi sugli effetti della marijuana a carico dei processi di apprendimento e memoria hanno sovente dato origine a risultati contradditori. Il D9-THC sembra poter danneggiare soprattutto la memoria a breve termine; deficit nella memoria a lungo termine sono però stati rilevati in adolescenti che facevano uso cronico di marijuana. È stato inoltre dimostrato il D9-THC altera la percezione del tempo, determinando una dilatazione del tempo trascorso.

2.3. Disturbi psichiatrici

Il rapporto tra consumo di marijuana e malattie psichiatriche è stato oggetto di numerosi studi per via dei frequenti e numerosi casi di soggetti con disturbi psicologici che sono al tempo stesso consumatori di sostanze d'abuso. Nonostante sia stato proposto che la marijuana possa indurre diversi stati psicopatologici, la cosidetta "psicosi da cannabis" non è stata ancora ben caratterizzata. È probabile invece che la marijuana possa amplificare disordini mentali già esistenti. Nonostante gli effetti dannosi della marijuana negli schizofrenici siano ben documentati, una larga parte di questi individui continuano ad "automedicarsi" con la marijuana anche dopo aver avuto esperienza dei suoi effetti negativi. In questi pazienti, la terapia diventa più difficile e la sintomatologia peggiora anche in presenza di un appropriato trattamento con neurolettici. È stato proposto che l'abuso di marijuana in individui con problemi psichiatrici possa portare alla comparsa di schizofrenia ad esordio precoce.

2.4. Fisiologia del sistema nervoso centrale

Una delle piuù importanti scoperte degli ultimi anni è stata la determinazione degli effetti dei cannabinoidi sul flusso cerebrale sanguigno e sui parametri elettroencefalografici. È stato infatti osservato che la marijuana aumenta il flusso cerebrale sanguigno, soprattutto nella regione frontale e nell'emisfero destro. La marijuana induce inoltre un aumento della velocità cerebrale arteriosa, ritenuta essere la conseguenza dell'aumentata perfusione capillare. Riguardo ai parametri elettroencefalografici, è stato descritto come il D9-THC produca un aumento dell'intensità di tutte le frequenze in tutte le strutture corticali.

2.5. Riproduzione

Anche gli studi sinora condotti sugli effetti della marijuana e dei cannabinoidi a carico sistema riproduttivo, sia nell'animale di laboratorio che nell'uomo, hanno dato risultati contrastanti. È stato comunque riportato che il D9-THC produce effetti negativi sulla gametogenesi, sull'embriogenesi e lo sviluppo post-natale. È stato inoltre descritto che la marijuana provochi una riduzione della concentrazione spermatica ed oligospermia con disfunzione delle cellule di Leydig e Sertoli, conducendo alla conclusione che la marijuana possa essere associata ad infertilità. Solide evidenze sperimentali mostrano inoltre come la marijuana sia in grado di ridurre i livelli di ormone luteinizzante sia nella femmina che nel maschio. Non è invece stato chiarito se la marijuana eserciti alcun effetto sull'embrione e sul feto.

3. CHIMICA


Alcuni ricercatori hanno sintetizzato degli analoghi del
D9-THC, che risultano essere centinaia di volte più potenti dello stesso D9-THC in diversi test comportamentali. Sono stati sintetizzati anche enantiomeri diversi: la scoperta dell'alta potenza e dell'enantioselettivita di alcune molecole ha confermato l'ipotesi secondo cui i cannabinoidi interagiscano con una specifico recettore. Ciò dovrebbe condurre, prima o poi, alla sintesi di specifici antagonisti. Tali molecole sarebbero di estremo aiuto nello studio dei processi biochimici che mediano gli effetti farmacologici dei cannabinoidi e nello sviluppo di cannabinoidi utili in terapia e privi di effetti collaterali.

4. RECETTORI AI CANNABINOIDI


L'uso di cannabinoidi marcati ha consentito di scoprire l'esistenza di siti di legame ai cannabinoidi. È stata dimostrata una eccellente correlazione tra la potenza farmacologica di diversi cannabinoidi in differenti modelli sperimentali e la loro affinita per il sito di legame, dimostrando che questo recettore media tutti gli effetti farmacologici e comportamentali dei cannabinoidi. È stato anche dimostrato come questo sito di legame sia selettivo per i cannabinoidi.

Riguardo alla distribuzione anatomica dei recettori ai cannabinoidi, la massima densità è stata descritta nei gangli della base e nel cervelletto. Livelli di minore densità sono stati rilevati nel tronco encefalico, nei nuclei talamici, nell'ipotalamo e nel corpo calloso. Esistono però recettori anche in altre strutture cerebrali quali gli strati 1 e 6 della corteccia, il giro dentato ed alcune regioni dell'ippocampo.

La distribuzione dei recettori ai cannabinoidi nel cervello può fornire alcune informazioni sul significato funzionale di questi recettori. L'elevata densità nel sistema motorio extrapiramidale e nel cervelletto spiegerebbe gli effetti dei cannabinoidi sulle funzioni motorie. Gli effetti sui processi cognitivi e mnemonici potrebbero essere dovuti alla presenza di recettori nell'ippocampo e nella corteccia. La scoperta di recettori nello striato ventromediale e nel nucleo accumbens suggerisce invece l'esistenza di una relazione con i neuroni dopaminergici, e quindi con i processi di gratificazione cerebrale.
Recentemente è stato clonato il recettore umano ai cannabinoidi. La sua struttura dimostra l'appartenenza ad una famiglia di recettori, associati alle proteine G, a cui appartengono anche i recettori all'adrenocorticotropina ed alla melanotropina

5. PRESUNTI LIGANDI ENDOGENI


Devane e collaboratori hanno postulato che un ligando endogeno per i recettori ai cannabinoidi sia una sostanza altamente lipofila: per questo motivo hanno isolato le sostanze
D9-THC-simili presenti nell'estratto lipidico del cervello di maiale. È stato scoperto che un derivato dell'acido arachidonico si lega al recettore ai cannabinoidi ed inibisce la contrazione del muscolo liscio in modo simile al D9-THC. Questo composto è stato chiamato anandamide. Studi successivi hanno dimostrato che l'anandamide possiede proprietà farmacologiche simili a quelle del D9-THC e, come il D9-THC, inibisce l'adenilil ciclasi ed i canali al calcio di tipo N. Considerata la larghissima diffusione degli acidi grassi, non è improbabile che possa esistere un'intera famiglia di composti amandamide-simili. Recentemente, Hanus e collaboratori hanno identificato altre due sostanze, presenti normalmente nel cervello del maiale, che si legano al recettore dei cannabinoidi. Studi futuri dovranno stabilire il ruolo fisiologico dei cannabinoidi endogeni e comprendere se l'anandamide sia un neurotrasmettitore o un modulatore. Ed inoltre, i diversi derivati amidi degli acidi grassi possiedono ruoli neurochimici distinti? Qual è la funzione del sistema cannabinoidergico?

6. INTERAZIONI NEUROCHIMICHE


I cannabinoidi interagiscono con diversi sistemi neurotrasmettitoriali. Quello colinergico, ad esempio, sembra mediare gli effetti catalettici dei cannabinoidi, dato che vengono potenziati dagli agonisti colinergici ed è bloccato dagli antagonisti. Il sistema colinergico non media però altri effetti, come quelli discriminabili e quelli antinocicettivi. Anche il sistema dopaminergico sembra partecipare alla mediazione degli effetti catalettici dei cannabinoidi. Numerosi gruppi di ricerca hanno infatti dimostrato che la stimolazione del sistema dopaminergico attenua la catalessia indotta da cannabinoidi, mentre gli antagonisti la aumentano. Inoltre, il
D9-THC stimola il rilascio di dopamina nelle aree della gratificazione cerebrale. Il sistema adrenergico sembra invece essere il substrato neuronale degli effetti antinocicettivi dei cannabinoidi: la yohimbina, antagonista dei recettori di tipo alfa2, blocca infatti tali effetti. Anche la somministrazione di agonisti serotoninergici esacerba la catalessia indotta da cannabinoidi, mentre gli antagonisti ne provocano un'attenuazione. Questi risultati dimostrano che anche il sistema serotoninergico partecipa alla mediazione di questo effetto. Un gran numero di evidenze sperimentali indicano con chiarezza l'esistenza di un'interazione tra cannabinoidi e sistema GABAergico. In primo luogo, il D9-THC agisce sinergicamente con agonisti GABAA (quali, ad esempio, il muscimolo) e GABAB (come il baclofen), e con le benzodiazepine nell'indurre catalessia. Inoltre, gli effetti ansiogenici dei cannabinoidi possono essere bloccati sia da agonisti che da antagonisti del recettore alle benzodiazepine. Il D9-THC e il diazepam posseggono effetti discriminabili simili negli animali di laboratorio.
L'osservazione che i cannabinoidi e gli oppiacei hanno molte proprietà farmacologiche simili indusse molti ricercatori ad ipotizzare un comune meccanismo d'azione. Esiste infatti tolleranza crociata tra cannabinoidi ed oppiacei; inoltre i cannabinoidi, come gli oppiacei, producono analgesia e blocco della nocicezione. Tuttavia, sono pochi gli studi che hanno mostrato l'efficacia del naloxone, un antagonista del recettore oppioide, nell'inibire il blocco della nocicezione indotto dai cannabinoidi. Recentemente, e stato pero dimostrato che gli effetti antinocicettivi dei cannabinoidi possono essere bloccati da antagonisti al recettore oppioide di tipo K e non di tipo delta.

È stato inoltre proposto che i cannabinoidi possano influenzare la sintesi delle prostaglandine. Farmaci bloccanti la formazione di prostaglandine, quali ad esempio l'aspirina e l'indometacina, attenuano infatti gli effetti antinocicettivi, catalettici ed ipotensivi del D9-THC.

7. POTENZIALI USI TERAPEUTICI


MANO_fumo.jpg (10221 byte)Nessuno degli analoghi sopracitati è risultato essere utile, almeno finora, in clinica. L'ostacolo maggiore all'uso terapeutico dei cannabinoidi sembra essere la mancanza di specificità farmacologica. Comunque, lo stesso D9-THC è stato sperimentato in clinica, con il nome di dronabidol. L'interesse per l'utilizzo terapeutico dei cannabinoidi nasce da un gran numero di resoconti, sovente soltanto aneddotici, sulla loro efficacia nel trattamento di: dolore, convulsioni, glaucoma, spasticita muscolare, asma bronchiale, inappetenza, nausea e vomito. Tali risultati hanno scatenato un acceso dibattito tra coloro che sostengono l'efficacia terapeutica della marijuana e la sua mancanza di effetti collaterali e coloro che invece ritengono che la marijuana e il D9-THC siano non solo privi di efficacia ma altamente pericolosi. A nostro avviso, c'è un po' di verità in entrambe le tesi. Passiamo ora in rassegna alcune evidenze cliniche.

7.1. Nausea e vomito

L'indicazione terapeutica per la quale il D9-THC e stato più studiato è certamente la nausea ed il vomito. È stato infatti proposto che la marijuana, il D9-THC ed alcuni analoghi quali il nabilone e il levonantradolo siano efficaci farmaci contro il vomito indotto dai chemioterapici. Ed è con questa indicazione che, nel 1987, il D9-THC e stato introdotto nella pratica clinica negli Stati Uniti. La sua efficacia è stata ben dimostrata. Recentemente, la marijuana è stata utilizzata per bloccare la nausea stimolata dai chemioterapici e stimolare l'appetito nei malati di AIDS. Non va però scordato che i cannabinoidi alterano il sistema immunitario nell'animale di laboratorio. Il loro uso nei malati di AIDS risulta pertanto particolarmente inadatto.

7.2. Analgesia

Riguardo all'effetto analgesico dei cannabinoidi, esso viene ottenuto a dosi che producono effetti collaterali e che la loro efficacia analgesica non è superiore a quella degli analgesici oppiacei comunemente usati. Alcuni gruppi di ricerca stanno però dedicando molte risorse all'identificazione di cannabinoidi utilizzabili in clinica e privi di effetti collaterali. La scoperta, ricordata prima, che l'effetto antinocicettivo, e non altri effetti, è bloccato dagli antagonisti al recettore oppioide di tipo K costituisce una formidabile indicazione sul meccanismo di tale effetto.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE


1. Chait LD, Pierri J Effects of smoked marijuana on human performance: a critical review. In: Marijuana/Cannabinoids: Neurobiology and Neurophysiology. Murphy L, Bartke A Eds., Boca Raton, FL: CRC Press, 1992; 387-432.

2. Compton DR, Rice KC, De Costa BR et al. Cannabinoid structureactivity relationships: correlation of receptor binding and in vivo activities. J Pharmacol Exp Ther 1993; 265:218-226.


3. Devane WA, Hanus L, Breuer A et al. Isolation and structure of a brain constituent that binds to the cannabinoid receptor. Science 1992; 258:1946-1949.


4. Felder CC, Briley EM, Axelrod J, Simpson JT, Mackie K, Devane WA. Anandamide, an endogenous cannabimimetic eicosanoid, binds to the cloned human cannabinoid receptor and stimulates receptormediated signal trasduction. Proc Natl Acad Sci 1993; 90:7656-7660.


5. Gardner EL. Cannabinoid interaction with brain reward system: the neurobiological basis of cannabinoid abuse. In: Marijuana/Cannabinoids: Neurobiology and Neurophysiology. Murphy L, Bartke A Eds., Boca Raton, FL: CRC Press, 1992; 275-335.


6. Gerard CM, Mollereau C, Vassart G, Parmentier M. Molecular cloning of a human cannabinoid receptor which is also expressed in testis. Biochem J 1991; 279:129-134.


7. Hanus L, Gopher A, Almog S, Mechoulam R. Two new unsaturated fatty acid ethanolamides in brain that bind to the cannabinoid receptor. J Med Chem 1993; 36:3032-3034.


8. Howlett AC, Evans DM, Houston DB. The cannabonioid receptor. In: Marijuana/Cannabinoids; Neurobiology and Neurophysiology. Murphy L, Bartke A Eds., Boca Raton, FL: CRC Press, 1992; 35-72.


9. Levitt M. Cannabinoids as antiemetics in cancer therapy. In: Cannabinoids as therapeutic agents. Mechoulam R Ed. Boca Raton, FL: CRC Press, 1986; 71-103.


10. Mathew RJ, Wilson WH. The effects of marijuana on cerebral blood flow and metabolism. In: Marijuana/Cannabinoids: Neurobiology and Neurophysiology. Murphy L, Bartke A Eds., Boca Raton, FL: CRC Press, 1992; 337-386.


11. Matsuda LA, Lolait SJ, Brownstein MJ, Young AC, Bonner TI. Structure of a cannabinoid receptor and functional expression of the cloned cDNA. Nature 1990; 346:561-564.


12. Mendelson JH, Mello NK, Ellingboe J, Skupny AS, Lex BW, Griffin M. Marijuana smoking suppresses luteinizing hormone in women. J Pharmacol Exp Ther 1986; 237:862-866.


13. Onaivi ES, Green MR, Martin BR. Pharmacological characterization of cannabinoids in the elevated plus maze. J Pharmacol Exp Ther 1990; 253:1002-1009.


14. Perez-Reyes M, Hicks RE, Bumberry J, Jeffcoat AR, Cook CE. Interaction between m~rijuana and ethanol: effects on psychomotor performance. Alcoholism: Clin Exp Res 1988; 12:268-276.


15. Pertwee RG, Greentree SG, Swift PA. Drugs which stimulate or facilitate central GABAergic transmission interact synergistically with ~9-tetrahydrocannabinol to produce marked catalepsy in mice. Neuropharmacology 1988; 27:1265-1270.


16. Plasse TF, Gorter RW, Krasnow SH, Lane M, Shepard KV, Wadleigh RG. Recent clinical evidence with Dronabinol.
Pharmacol Biochem Behav 1991; 40:695-700.


17. Schwartz RH.
Chronic marijuana smoking and short-term memory impairment. In: Cannabis: Physiopathology, Epidemiology, Detection. Nahas GG, Latour C Eds. Boca Raton, FL: CRC Press, 1993; 61-71.


18. Tuchmann-Duplessis H. Effects of cannabis on reproduction. In: Cannabis: Physiopathology, Epidemiology, Detection. Nahas GG, Latour C Eds. Boca Raton, FL: CRC Press, 1993; 187-192.

19. Welch SP. Blockade of cannabinoid-induced antinociception by nor-binaltorphimine, but not N,N-diallyl-tyrosine-Aibphenylalanine-leucine, ICI 174,864 or naloxone in mice. J Pharmacol Exp Ther 1993; 256:633-640.



Da: Martin B.R., Marijuana. In: Psychopharmacology: The Fourth Generation of Progress. Bloom F.E., Kupfer D.J. Eds., New York: Raven Press, 1995; 1757-1765.

Nonostante sia la sostanza d'abuso illegale più popolare negli Stati Uniti, la marijuana produce sull'uomo degli effetti non ancora del tutto noti ai ricercatori.
lo studio di farmaci agonisti e il potenziale uso terapeutico

di Billy R. Martin


La pagina
- Educazione&Scuola©