cura di
Stefano CANALI
http://www.stefanocanali.com/PUBalter.htm
Alter Ego
DROGA E CERVELLO
Presentazione
La mostra "Alter Ego. Droga e Cervello",
realizzata dal Centro per la Diffusione della Cultura
Scientifica dell'Università di Cassino, è il risultato di un
lungo lavoro di preparazione, cominciato quasi casualmente,
dietro diretta sollecitazione di centinaia di giovani, di
insegnanti, di cittadini che visitavano "La fabbrica del
pensiero. Dall'arte della memoria alle neuroscienze",
l'esposizione sulla storia delle neuroscienze che l'Istituto e
Museo di Storia della Scienza di Firenze inaugurò al Forte di
Belvedere nella primavera del 1989.
La mostra, nelle sue tappe di Parigi (Cit‚ des sciences et
de l'industrie, La Villette, Aprile 1990-gennaio 1991) e di
Madrid (Ottobre 1991-febbraio 1992), e nell'itineranza in più
di trenta città tra Italia, Europa e Stati Uniti di un modulo
espositivo appositamente realizzato, venne visitata da milioni
di spettatori. Da questionari distribuiti in diverse
occasioni, e da un monitoraggio del comportamento del
pubblico, risultò ben presto chiaro che la piccola sezione
dedicata alle droghe era quella che maggiormente attirava
l'attenzione dei visitatori. Emergeva con forza la richiesta
di maggiori informazioni sulle principali droghe d'abuso, sul
loro effetto sul sistema nervoso centrale e, di conseguenza,
sulla personalità di chi le assume. Molte erano le domande:
è vero che l'hashish non provoca assuefazione? E' vero che un
certo numero di persone, per ragioni ancora non chiare,
subiscono danni irreversibili al cervello anche dopo poche
assunzioni di sostanze come l'eroina o la cocaina? Vi sono
cure che permettano di alleviare le sofferenze di chi è ormai
vittima della droga?
Nell'aprile del 1991, l'allora Ministro dell'Università e delle
Ricerca Scientifica e Tecnologica, Professor Antonio Ruberti,
istituiva, all'interno della Commissione Nazionale per la
Diffusione della Cultura Scientifica, un Comitato per
l'informazione scientifica sulle tossicodipendenze, con
l'incarico di elaborare il progetto di una mostra itinerante,
di filmati, testi e strumenti di divulgazione su supporto
informatico che potessero elevare il tasso di conoscenze di
base sull'azione delle droghe sul cervello e la personalità
umana.
I mutamenti di direzione politica del Ministero succedutisi negli
ultimi tre anni non hanno determinato, e' gradito
sottolinearlo, un allentamento dell'appoggio del MURST al
progetto, anche grazie alla convinzione con cui il Professor
Paolo Galluzzi, Vice-Presidente della Commissione Nazionale
per la Diffusione della Cultura Scientifica, ha caldeggiato la
realizzazione dell'iniziativa e alla dedizione del Dottor
Carmine Marinucci, per molto tempo segretario della
Commissione stessa. Un contributo significativo e' anche
venuto dal Ministero della Famiglia, nel quadro delle
iniziative di prevenzione e di informazione sulle
tossicodipendenze.
Come già per "La fabbrica del pensiero", la mostra
"Alter Ego. Droga e Cervello" è stata realizzata
grazie al concorso entusiasta di singoli ricercatori e di
centri di ricerca italiani ed internazionali. La Professoressa
Rita Levi Montalcini, i Professori Luigi Amaducci, Jean-Pierre
Changeux, Gianluigi Gessa, Giancarlo Pepeu e Gualtiero
Ricciardi hanno collaborato attivamente alla stesura del piano
della mostra, mentre il Professor Alessandro Tagliamonte ha
generosamente dedicato molte giornate del suo tempo a rivedere
i testi dei pannelli, delle didascalie e dei filmati,
permettendo cosi' quell'indispensabile dialogo tra scienziati
ed educatori senza cui non è possibile avventurarsi sui
frequentati ma raramente attendibili o efficaci sentieri
dell'informazione scientifica. La Cattedra di Botanica
Farmaceutica dell'Università "La Sapienza" di Roma,
e il Servizio Radiologico dell'Ospedale Amedeo di Savoia di
Torino hanno fornito una preziosa assistenza nel reperimento
di parte del materiale iconografico.
Una collaborazione entusiasta è stata generosamente fornita da amici
e colleghi americani, impegnati in modi diversi (ricerca,
cura, prevenzione ed informazione) sul fronte del contrasto
alla diffusione della piaga delle droghe.
Sue Rushe, dinamica fondatrice e animatrice dell'associazione di
volontariato National Families in Action di Atlanta, Georgia,
ha partecipato a molte delle nostre riunioni, e si è fatta
promotrice di una fattiva collaborazione tra il nostro
progetto ed analoghe iniziative negli Stati Uniti. Grazie al
suo interessamento, un contributo di grande rilievo e' venuto
dal Dottor Jerome H. Jaffe, Associate Director del Center for
Substance Abuse and Treatment del Department of Health and
Human Services del Governo degli Stati Uniti, dal Dottor
Christine R. Hartel, Acting Director della Division of Basic
Research del National Institute on Drug Abuse dei National
Institutes of Health, dal Dottor Herbert D. Kleber, Executive
Vice-President del Center on Addiction and Substance Abuse at
Columbia University, e dal Dottor Richard A. Lindblad,
Direttore dell'International Office del National Institute on
Drug Abuse. Tutti hanno messo a disposizione le loro
competenze, i risultati delle ricerche condotte nei loro
laboratori ed immagini di grande efficacia realizzate con le
tecniche piu' moderne di indagine non invasiva sulle funzioni
cerebrali.
Il Dottor Stefano Canali, storico della scienza e consulente del
Centro per la Diffusione della Cultura Scientifica
dell'Università di Cassino, oltre a coordinare in modo
efficiente ed attento i lavori del Comitato Scientifico, e'
l'autore dei testi della mostra e del catalogo: a lui va il
ringraziamento piu' sentito di tutti coloro che hanno lavorato
alla realizzazione di questa iniziativa. Un ringraziamento che
non può non estendersi al Dottor Roberto Lugli e alla
Dottoressa Maria Ferrara, animatori dell'esigua e motivata
équipe del Centro per la Diffusione della Cultura Scientifica
dell'Università di Cassino, e al Professor Federico Rossi,
Magnifico Rettore del nostro Ateneo.
Prefazione
Lo Zenone di Marguerite Yourcenar definisce il cervello un alambicco
dove si distilla l'anima. E' una definizione che molti
ricercatori impegnati nelle neuroscienze vorrebbero propria,
Ad essi interessa capire il processo di quella distillazione,
per cui sono impegnati a studiare la struttura dell'alambicco
e le eventuali differenze tra alambicchi, che definiscono
interindividuali. Essi studiano varie sostanze distillabili
(stimoli), cercando di stabilire se e quando il prodotto
finito (risposta/comportamento) sia ripetibile e,
eventualmente, se e in che modo lo stimolo sia capace di
modificare l'alambicco stesso.
Spesso utilizzano stimoli artificialmente costruiti per ottenere
risposte controllabili; ne studiano gli effetti immediati
(acuti), protratti e, con maggior interesse, quelli
conseguenti a esposizioni ripetute (cronici). Si è così
appreso che l'alambicco/cervello può essere strutturalmente
modificato anche stabilmente dagli stimoli che recepisce:
addirittura, l'elaborazione da parte sua di uno stimolo può
coincidere con una sua modificazione. Per cui, dopo aver
distillato certi stimoli, un cervello spesso modifica la sua
risposta sia allo stimolo modificante che ad altri stimoli
apparentemente con esso non correlati.
Il neurobiologo ha difficoltà a privilegiare il cervello
rispetto agli stimoli, siano essi ambientali che interiori, e
considera le risposte non in termini di anima ma di criteri di
valutazione di una funzione d'organo. Il religioso privilegia
il prodotto finito perché espressione dell'anima e non
epifenomeno d'una funzione d'organo. Il materialista
privilegia nella sua analisi le sostanze da distillare, cioè
l'ambiente, che attraverso i suoi stimoli influenzerebbe in
termini quasi deterministici i comportamenti di un individuo,
indipendentemente dalle caratteristiche dell'alambicco.
Il religioso ha il mandato di salvare le anime e il politico quello
di promuovere o imporre il suo modello di società civile. Con
tali mandati è difficile agire entro limiti rispettosi di
interessi e opinioni altrui. Nella accezione religiosa o
politica il tossicodipendente è un disadattato, peccatore o
vittima di una società ingiusta, e il rimedio alla sua
condizione deve essere salvifico. Tale rimedio però non
esiste, poiché la tossicodipendenza è malattia cronica ad
andamento recidivante, in certe forme controllabile
clinicamente con farmaci, ma non eradicabile. Questa risposta
del medico è scarna, lascia poche illusioni, mentre il tema
tossicodipendenza acquista una maggiore audience se trattato
con enfasi da chi propone soluzioni definitive che passano
attraverso percorsi di ristrutturazione della personalità o
sovvertimenti radicali della società.
Queste diverse posizioni potrebbero facilmente essere integrate nella
visione biologica. Infatti, a detta di Tommaso d'Aquino,
l'anima è puro spirito e non si ammala. Per cui, i disturbi
del comportamento non sono malattie o segni di sofferenza
dell'anima, ma qualcosa di fisico. Corpora non agunt nisi
fluxata: anche i farmaci che alterano il comportamento hanno
necessità di un substrato molecolare con cui interagire.
Gli stimoli ambientali e interiori, quali i ricordi carichi di
emotività, agiscono sugli stessi substrati molecolari con cui
interagiscono gli psicofarmaci. In certe condizioni uno
stimolo ambientale può produrre effetti e modificazioni
profondi: stress intensi e ripetuti giungono a superare i
limiti di adeguamento di qualunque cervello, producendo gravi
forme di patologia psichiatrica. Allo stesso modo, alcuni
psicofarmaci, quali le sostanze d'abuso, sono in grado di
produrre modificazioni cerebrali a livello subcellulare e
molecolare che si traducono in gravi e durature alterazioni
del comportamento. L'ambiente è, quindi, potenzialmente
patogeno anche per il cervello, sia tramite stimoli emotivi di
intensità e durata superiori alle capacità di adattamento
dell'individuo, sia come fonte di sostanze psicoattive.
Tutti questi stimoli agiscono sulle funzioni più complesse
del cervello: quelli del quotidiano modificano lentamente le
connessioni tra neuroni tramite i processi adattativi di
apprendimento e memoria. Quelli eccezionali per contenuto e
intensità, inducendo delle modificazioni profonde, vere forme
di patologia del comportamento, verosimilmente perché
superano le capacità adattative del sistema nervoso.
Dette capacità adattative non sono le stesse per tutti gli individui
e le differenze hanno una base genetica, innegabile anche se
non sempre dimostrata, e una appresa, culturale o adattativa.
Per cui il privilegiare l'individuo rispetto all'ambiente, o
viceversa, non ha senso se non per motivi strumentali alla
didattica. Chi lo fa aprioristicamente e non accetta il
dialogo, si pone in una posizione dogmatica di rifiuto del
nuovo che è incompatibile col progresso scientifico.
Definizione di droga
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Con il termine droga si indica ogni sostanza capace di
alterare gli equilibri dei diversi, ma interconnessi,
livelli su cui può rappresentarsi il nostro essere: il
livello biologico, quello psicologico e quello sociale.
Gli equilibri del primo livello sono quelli della
fisiologia. Le droghe interferiscono con i processi
biochimici finalizzati al mantenimento delle condizioni
normali dell'organismo e soprattutto agiscono sui
meccanismi delle funzioni cerebrali, interferendo sugli
eventi biologici che sono alla base delle normali
attività delle cellule nervose: la trasmissione e
l'elaborazione di impulsi nervosi, cioè a dire di
segnali ed informazioni.
Gli equilibri del livello psicologico costituiscono la
rappresentazione mentale e comportamentale dei
meccanismi cerebrali di cui abbiamo appena parlato.
Perturbando le funzioni delle cellule nervose, le droghe
compromettono o addirittura annullano gli equilibri
psicologici e quindi la capacità di adattamento
dell'individuo e le possibilità che esso ha di far
fronte a situazioni di disagio intra-psichico,
ambientale o interpersonale.
Le droghe condizionano le possibilità d'inserimento
sociale dell'individuo, minando da un lato le sue
capacità adattative e dall'altro determinando una
reazione di emarginazione da parte del tessuto sociale.
Gli equilibri del livello sociale sono legati alle
condizioni dei due livelli precedenti, ma, a sua volta,
il livello sociale influenza e vincola la dimensione
psicologica e quella biologica.
Il significato dei comportamenti, delle abitudini, degli
stili di vita che un individuo ricava dalla cultura e
dall'insieme dei valori della società è infatti uno
dei fattori che più condizionano l'esito del
riaggiustamento psicologico e quindi biologico
conseguente all'uso delle droghe. Il valore
storico-culturale di normalità e di devianza, infine,
è l'elemento che più contribuisce a determinare
l'atteggiamento della società nei confronti di chi fa
uso di droghe e quindi, conseguentemente, le
possibilità che ha quest'ultimo di adattarsi con i
minori danni possibili alla sua nuova condizione.
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Alter Ego e le droghe legali
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Alter Ego non affronta l'analisi dei meccanismi
d'azione delle droghe legali: alcoolici, tabacco e
psicofarmaci e dei danni che il loro consumo eccessivo
produce sull'organismo e sul comportamento. Ciò non è
dovuto ad una sottovalutazione del problema
dell'alcoolismo, del tabagismo e dell'abuso degli
psicofarmaci. Abbiamo ben presente il fatto che gli
alcoolici, il tabacco e gli psicofarmaci rappresentano
le droghe più incidenti, a livello epidemiologico,
sulla salute dell'uomo moderno, poiché sono le sostanze
psicoattive di cui si fa più uso.
La nostra scelta è stata dettata da esigenze pratiche,
legate alle strutture espositive della mostra e dalla
volontà di evitare inutili e dannose
"overdose" di informazioni. L'esame della
complessa realtà storica e scientifica delle droghe
legali sopraindicate avrebbe imposto una pesante
limitazione allo sviluppo dei temi importantissimi
legati alle droghe illegali (stimolanti, stupefacenti e
allucinogeni), riducendoli a presentazioni didascaliche
di difficile comprensione.
Queste ultime sostanze meritano invece una attenta e
ampia trattazione. Pur essendo meno diffuse, esse
infatti sono sicuramente più pericolose dell'alcool,
del tabacco e degli psicofarmaci, in quanto posseggono
un'attività farmacologica superiore e sono assunte con
modalità e sotto forma di presentazioni adulterate e
contaminate (dosi, polveri e pillole vendute dagli
spacciatori) che ne moltiplicano l'effetto tossico sino
a renderle mortali.
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Classificazione delle droghe
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In
base agli effetti positivi ricercati da chi ne fa uso,
le droghe possono essere classificate in sei gruppi:
- Stupefacenti:
oppio e derivati (morfina, eroina, codeina).
- Stimolanti:
cocaina, amfetamine, tabacco, caffè, tè e, se
assunti in dosi piccole, i derivati di sintesi come
le metossiamfetamine (DOM, conosciuta comunemente
come STP - serenita', tranquillita', pace -, DMA,
conosciuta come pillola dell'amore e MDMA, meglio
nota come ecstasy).
- Sedativi
o ipnotici: benzodiazepine, barbiturici.
- Inebrianti:
alcool, etere, solventi, colle e, fino alla fine
dell'Ottocento, il cloroformio e l'assenzio.
- Allucinogeni:
LSD, hashish e marijuana, mescalina, psilocibina,
psilocina e se assunte in dosi appropriate le
metossiamfetamine indicate sopra tra gli stimolanti
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Le Droghe nella Storia
Introduzione
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Si
ritiene comunemente che l'uso e l'abuso delle droghe siano
problemi tipici della società contemporanea e che le droghe
vengano usate nel tentativo di risolvere o di eludere le
difficoltà. Questa convizione trova conforto nella attuale
grande diffusione delle sostanze che modificano il
funzionamento del sistema nervoso e modulano o controllano
gli stati del cervello e della mente: psicofarmaci e droghe.
Le indagini storiche, etnologiche e geografiche, hanno
tuttavia dimostrato che la ricerca della manipolazione della
coscienza, dell'alterazione degli stati della mente e del
controllo del comportamento sono costanti della storia
dell'umanità. Lo psicotropismo infatti si presenta, con
metodologie e percorsi diversi, in tutte le epoche e a tutte
le latitudini geografiche e sociali.
Attraverso le droghe l'uomo ha sempre cercato di curare il
male, di fuggire gli affanni, le preoccupazioni, la
tristezza, di rompere i vincoli della quotidianità, di
acquisire una percezione mistica e giungere all'esperienza
del sacro.
Ma quali sono le ragioni di un fenomeno così vasto e
radicato nella storia dell'umanità? Perché l'uomo ricerca
con tanto accanimento di agire sugli stati di coscienza e di
modificare artificialmente i processi mentali, nonostante
tutti i rischi e i danni che ciò comporta? La
paradossalità dello psicotropismo forse si risolve se si
tiene presente il fatto che l'uomo è un animale
intelligente e dotato di coscienza. Vivendo l'esperienza
della propria coscienza, l'uomo sembra portato a controllare
gli stati mentali che percepisce, a riprodurre in maniera
artefatta tonalità emotive piacevoli, a fugare - con ogni
strumento valido al fine - le afflizioni e il dolore. In
quanto essere intelligente, l'uomo intende controllare la
sua coscienza con strumenti artificiali, le droghe, così
come controlla con utensili da lui messi a punto i fenomeni
naturali e le cose che maggiormente lo coinvolgono.
|
Par
.1 -
L'Oppio e i suoi derivati -
|
L'oppio è il succo lattiginoso, condensato all'aria,
estratto per incisione dalle capsule
non
mature del Papaver somniferum album (papavero
sonnifero). Il suo nome deriva dal termine greco opos:
succo. L'oppio grezzo e' la sostanza base di tutti gli
stupefacenti e contiene circa 20 tipi di alcaloidi,
composti organici azotati dotati di elevata azione
farmacologica a livello del sistema nervoso. Tra
questi alcaloidi sono presenti alcune sostanze di
diffuso uso clinico nella terapia del dolore e della
tosse, come la codeina, la papaverina, la narcotina.
L'alcaloide principale dell'oppio e' invece la
morfina. Per le sue elevate proprietà analgesiche,
essa e' stata anche soprannominata la "medicina
di Dio" e rappresenta tuttora il farmaco piu'
usato nella terapia contro il dolore. La morfina e'
stata anche la prima droga iniettabile e costituisce
la base da cui si sintetizza uno degli stupefacenti
più tossici e pericolosi: l'eroina.
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Papaver somniferum
Dioscoride, Codex Vidobonensis (512 d.C.).
Osterreische Nationalbibliotek, Vienna
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Storia
dell'Oppio
L'uso dell'oppio è attestato sin nei primi
documenti scritti prodotti dall'uomo. Hul gil,
l'ideogramma con cui i Sumeri indicavano, gia' nel 4000
a.C., il papavero da oppio, stava per pianta della
gioia, dimostrando così come le antiche popolazioni
della Mesopotamia conoscevano bene le proprietà
euforizzanti del succo di tale pianta.
L'oppio veniva usato dagli Egizi come calmante per i
bambini ed era l'ingrediente principale del pharmakon
nepenthes che Elena versa nel vino durante il banchetto
con Telemaco alla corte di Menelao, raccontato da Omero
nell'Odissea (IV, 219-228).Nella mitologia greca e
romana l'oppio era una presenza ricorrente. Un mito
raccontava come Demetra, la dea della terra feconda,
sorella di Zeus, usasse il papavero per alleviare il
dolore provocatole dal rapimento della figlia Persefone.
Per questa ragione, esso veniva usato nel culto
ufficiale di tale divinità e il
papavero
veniva collocato immancabilmente tra le spighe di grano
che Demetra tiene in mano nelle raffigurazioni, veniva
usato nelle decorazioni dei suoi altari e costituiva
l'insegna delle sue sacerdotesse.
|
Capsula
di papavero da oppio e
attrezzature per il raccolto
Litografia anonima dell'Ottocento. Wellcome
Institute for the History of Medicine, Londra
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Il
papavero è spesso presente nelle mani di Morfeo, dio del
sonno, mentre Nyx, dea della notte, dispensava papaveri agli
uomini. In talune rappresentazioni, anche Hermes si fa avanti
con un papavero, quando arriva a recare il sonno ristoratore e
la fantasia dei sogni.
L'oppio era presente in moltissimi tipi di pozione (teriaca)
messi a punto dai medici greci e romani. La teriaca più
famosa ed usata era il galenos (soave) elaborata dal cretese
Andromaco il Vecchio, medico alla corte di Nerone.
Il
galenos era raccomandato come una infallibile panacea. Il più
grande medico dell'antichità romana, Galeno, prescriveva tale
pozione diluita in alcool per una serie incredibile di
disturbi, tra cui sintomi di avvelenamento, cefalee, problemi
di vista, epilessia, febbre, sordità e lebbra.
Con questa pozione, stemperata in abbondanti dosi di miele,
Galeno curò il più eminente dei suoi pazienti, l'imperatore
Marco Aurelio, sino a farlo divenire dipendente dall'oppio,
come testimoniano i resoconti clinici compilati dal medico.
L'oppio era un principio curativo fondamentale della
farmacopea araba e da questa passò quindi nella medicina
europea. Il famoso alchimista Paracelso metteva a punto un
preparato a base d'oppio destinato ad avere una straordinaria
diffusione: il laudano.
A partire dal Cinquecento l'oppio diveniva d'uso comune nel
nostro continente, come testimonia il fatto che tale sostanza
si trasformava in una sorta di topos dell'immaginario
occidentale, tanto che in letteratura il riferimento all'oppio
costituiva una sorta di pretesto narrativo, una chiave
simbolica, per l'analisi e la descrizione delle lotte umane
contro le tristezze e le sofferenze, contro i ricordi
angosciosi, ma anche un elemento fondamentale nell'invenzione
e nello sviluppo del racconto di intrighi e illecite
macchinazioni.
Nonostante la crescente diffusione dell'oppio, tuttavia, l'uso
di tale droga non assunse mai livelli epidemici. Esistevano
consumatori occasionali e sporadici, individui
farmaco-dipendenti, ma socialmente accettati e capaci di
mantenere una vita di relazione nei canoni della normalita' ed
infine gruppi significativamente piccoli di tossicomani
completamente dipendenti ed asserviti alla droga, ma che non
rappresentavano un reale pericolo sociale, data la loro scarsa
consistenza numerica.
L'era
industriale e la sintesi in forma pura dei principi
psicoattivi
Questa
condizione doveva mutare con l'avviarsi della Rivoluzione
industriale, quando l'oppio, ormai prodotto in larga scala,
diveniva una merce acquistabile a basso prezzo. In
Inghilterra, ad esempio, l'oppio veniva venduto a prezzi dalle
cinque alle dieci volte piu' bassi di quelli della birra e
dell'alcool. Gli inglesi disponevano delle enormi piantagioni
d'oppio dell'India, la cui produzione, data la quantita' e
dato il basso costo della manodopera, poteva essere
commercializzata a prezzi estremamente concorrenziali. La
grande disponibilita' d'oppio a basso prezzo determinava,
soprattutto nella classe operaia, l'instaurarsi di un'epidemia
d'abuso ancora piu' grave di quella dell'alcoolismo.
Gli
interessi commerciali e l'avvio della produzione di farmaci a
livello industriale favorirono allo stesso tempo
un'impressionante proliferazione di rimedi a base d'oppio,
largamente pubblicizzati e distribuiti capillarmente.
Sciroppi,
cordiali e polveri dai nomi familiari ed accattivanti (lo
sciroppo dolce della signora Winslow, l'elisir all'oppio di
McMunn, il Cordiale Godfrey, lo Cherry di Ayer e così via) e
dalle confezioni appariscenti venivano reclamizzati su
giornali e riviste, venduti per posta o direttamente dai
medici, mentre nelle farmacie i preparati a base d'oppio
rappresentavano il prodotto più acquistato.
Questa
convergenza di interessi determinava quindi una rapida
estensione del consumo dell'oppio e dei suoi derivati anche ai
ceti sociali privilegiati. Negli Stati Uniti l'oppio diventava
una sostanza d'abuso tipica della borghesia e soprattutto del
sesso femminile. Stime ufficiali dell'Amministrazione
Sanitaria della confederazione americana indicavano un
rapporto variabile da uno a venti a uno a cento tra individui
dipendenti da oppioidi e popolazione totale, laddove oggi tale
rapporto negli Stati Uniti va da uno a duecento a uno a
cinquecento.
Fig.
2: Fumeria d'oppio nella Parigi dell'Ottocento
L'oppiomania divenne un grave problema nell'Europa
dell'Ottocento e molti intellettuali denunciarono i
pericoli derivanti dall'uso del succo di papavero. Ne I
paradisi artificiali , ad esempio, Baudelaire
scriveva: "quanti cercano il paradiso con l'oppio
si costruiscono un inferno, lo preparano, lo scavano con
un successo la cui previsione forse li
spaventerebbe"
|
L'abitudine di fare uso dell'oppio si diffuse
anche tra gli intellettuali e tra i letterati,
soprattutto inglesi: George Byron, Percy Shelley, Walter
Scott, John Keats, Wilkie Collins e Charles Dickens
facevano ricorso, saltuario o sistematico, al laudano
per curare i mal di capo, l'insonnia, l'ansia. I casi
più famosi però sono quelli di Samuel T. Coleridge e
soprattutto di Thomas De Quincey. Quest'ultimo ci ha
lasciato un mirabile racconto autobiografico della sua
esperienza di tossicomane, Le confessioni di un
mangiatore d'oppio. Anche la cultura francese produsse
originali posizioni sul problema dell'oppiomania
(fig.2), come quelle illustrate da Honorè de Balzac nel
racconto Massimilla Doni e quelle discusse da Charles
Baudelaire nei famosi saggi raccolti ne I paradisi
artificiali.
L'oppiomania
della Rivoluzione industriale e' un esempio eloquente di
come sia l'offerta delle droghe a creare la domanda, e
non viceversa.
La facile disponibilità di tale droga, sia in termini
di diffusione al minuto che in termini di prezzo,
contribuì in maniera determinante all'origine
dell'epidemia d'abuso del secolo scorso.
|
La
grande diffusione dell'uso dell'oppio nella società di quel
periodo, infine, rendeva il dominio della normalità sociale
molto diverso da quello che vige nella cultura attuale. La
gente considerava l'uso dell'oppio e l'oppiomania come
comportamenti non devianti e i governi continuavano a sancire
la piena legittimità di tali abitudini. La grave epidemia
d'abuso dell'oppio dell'Ottocento trasformava la produzione e
il commercio di tale sostanza in un colossale affare. Ciò e'
testimoniato eloquentemente dal fatto che proprio in quegli
anni l'Inghilterra si decideva a scatenare una guerra contro
la Cina per costringerla a ripristinare la legalita'
dell'oppio revocata nel lontano 1729 dall'imperatore Yung
Chiang.
L'espandersi dell'uso dell'oppio incitò a nuovi studi sulla
sostanza.
Nel 1804, Armand Séquin isolava per la prima volta il
costituente fondamentale di tale droga, chiamandolo morfina,
in onore a Morfeo, dio greco del sonno e dei sogni. Un anno
più tardi Wilhelm Setürner, un giovane speziale tedesco di
soli vent'anni, metteva a punto un efficace ed economico
metodo di isolamento e produzione della morfina.
Nel 1853, Alexander Wood inventava la siringa
ipodermica
(Fig.3), rendendo così possibile l'assunzione di droghe
in forma pura direttamente nel circolo sanguigno. Si
determinava così una svolta radicale nel rapporto tra
l'uomo e le droghe, in quanto l'iniezione endovena
aumenta in modo drammatico l'azione delle droghe sul
cervello. Il successo dell'accoppiata morfina-siringa
diveniva ben presto tale che su di essa cominciava a
svilupparsi una terapeutica dalla casistica praticamente
sterminata. La morfina non era soltanto un rimedio alle
patologie organiche, ma diventava anche un farmaco per
le malattie sociali.
L'alcaloide dell'oppio doveva servire, secondo teorie
mediche accreditate nella seconda metà dell'Ottocento,
a sconfiggere la piaga dell'alcolismo e a risolvere
così tutti i problemi sociali conseguenti a tale abuso.
Non si doveva attendere molto per assistere alle prime
tragiche dimostrazioni della pericolosità dell'uso
irrazionale della morfina iniettabile.
|
Fig.
3: La morfinomane
Eugene Grasset, Cromolitografia, 1897.
Biblioteca Jacques Doucet, Parigi
|
Durante
la guerra di secessione americana (1861-1865) e con il
conflitto franco-prussiano (1870-1871) decine di migliaia di
militari divennero assuefatti alla morfina, tanto che la
dipendenza a questa droga venne significativamente chiamata
"malattia del soldato". Gli
ufficiali medici avevano purtroppo imparato a somministrare la
morfina non soltanto come anestetico per le operazioni sui
soldati feriti, ma anche per dare sollievo ai più piccoli
malanni fisici e al disagio psicologico provocato dalla
tensioni delle battaglie. La guerra franco-prussiana
diffondeva la pratica della morfina anche tra lo stato
maggiore dell'esercito tedesco e quindi tra le classi più
agiate del Secondo Reich, sino al cuore dell'intellighenzia.
Il musicista ufficiale del regime, Richard Wagner, e
l'artefice dell'unificazione nazionale, paladino del
militarismo prussiano e cancelliere del Reich Otto von
Bismarck, erano consumatori abituali di morfina. La moda della
morfina si radicava anche in Francia, soprattutto tra i ceti
medio alti. Il derivato dell'oppio faceva adepti tra
intellettuali, scienziati, uomini di stato. Il generale
Georges Boulanger, ministro della guerra nella Terza
Repubblica francese e capo del movimento nazionalista e
autoritario del boulangismo, era stato visto varie volte
iniettarsi morfina in pubblico. Guy de Maupassant usava la
morfina a scopo voluttuario e per stimolare la creativita'.
Negli ultimi anni della sua vita, il grande neuropatologo e
maestro di Sigmund Freud, Jean-Martin Charcot, si iniettava
una dose di morfina al giorno per trovare sollievo da una
lombaggine cronica. Jules Verne ricorreva alla morfina per
ridurre il dolore che gli provocava una pallottola conficcata
nel piede che non poteva estrarre a causa del diabete che lo
affliggeva.
Tra
fine Ottocento e inizio Novecento, la morfina assurgeva a
simbolo caratterizzante la cerchia elitaria di esteti e
raffinati decadenti e per estensione degli intellettuali in
genere. Si fabbricavano astucci d'argento ornati da emblemi,
incisioni, stemmi e iniziali di famiglia, contenenti il
necessaire per la somministrazione della droga: una siringa
d'oro ed un grazioso flacone di vetro intarsiato. I
morfinomani della buona società si regalavano l'un l'altro
questi preziosi strumenti scegliendoli con grande cura ed
attenzione. Non era difficile incontrare nei caffé, al
teatro, negli angoli dei salotti alla moda, dame e signori del
bel mondo che si iniettavano con fare disinvolto la morfina in
una coscia, anche attraverso gli indumenti.
Così, la «medicina di Dio» si era rivelata essere anche un
potenziale veleno, il germe portatore di una delle più gravi
epimedie della storia moderna, la causa scatenante di una
piaga sociale apparentemente insanabile.
Occorreva
pertanto trovare un farmaco parimenti efficace contro il
dolore, che non provocasse pero' la dipendenza. Questa ricerca
rappresentava un nuovo colossale affare commerciale e le
maggiori industrie chimico-farmaceutiche dell'epoca
investirono su di essa ingenti quantità di denaro. Nel 1898,
la Bayer annunciava al mondo di essere finalmente pronta a
commercializzare questo farmaco miracoloso. Il lancio del
nuovo prodotto veniva preparato con una massiccia e capillare
campagna pubblicitaria. Foglietti illustrativi, depliant e
campioni gratuiti della sostanza vennero inviati praticamente
a tutti i medici e a tutte le farmacie dei paesi
industrializzati. «Contro tutti i dolori, sedativa della
tosse, per la cura dei tossicomani», cosi' recitava il
foglietto inviato con il campione. Era la diacetilmorfina, il
cui nome commerciale, Eroina, derivava dalla parola tedesca
heroisch, energico, eroico, che più caratterizzava, secondo
la Bayer, questo farmaco potente e apparentemente privo di
controindicazioni.
Par. 2 - Le droghe stimolanti -
|
2.1 Coca e Cocaina
I metodi di datazione applicati su reperti archeologici scoperti
nelle Ande centrali, testimoniano come l'uomo abbia
cominciato a masticare le foglie di coca, da cui si
estrae la cocaina, in epoche precedenti al 2500 a.C.
La pianta della coca ha avuto un'importanza enorme per tutte le
civiltà andine. Ciò è testimoniato dal fatto che essa
era protagonista principale di tutti i moltissimi miti
d'origine con i quali si raccontavano le vicende
leggendarie della fondazione delle varie civiltà andine.
La coca costituiva inoltre la pianta per eccellenza, la
classe paradigmatica dell'intero regno vegetale, come
attestavano i significati stessi della parola. Nel
linguaggio della civilta' Tiahuanaca, ad esempio, la
parola coca significava semplicemente pianta o albero.
La coca aveva un posto particolare nell'olimpo Incaico.
Essa era il dono che il dio Sole aveva fatto a suo
figlio, Manco Capac, mitico fondatore dell'impero Inca,
per alleviare le sofferenze umane ed infondere vigore
alla nuova civiltà.
Dato il carattere
sacrale della coca, la consuetudine e le leggi incaiche
ne limitavano l'uso all'aristocrazia imperiale e alla
potente casta sacerdotale. Sino all'arrivo degli
spagnoli, pertanto, la popolazione poteva consumare la
coca soltanto in occasione di particolari riti religiosi
e per scopi terapeutici. Nel 1532, con la caduta
dell'impero Incaico per mano degli eserciti spagnoli
guidati da Francisco Pizarro, la situazione doveva
mutare radicalmente. Con l'uccisione dell'ultimo
imperatore incaico, Atahualpa, gli indios dell'impero
cominciavano a fare libero uso della coca, tanto che,
sin dai primi resoconti che gli storici e i cronisti
spagnoli pubblicavano sulla nuova provincia, e' costante
il riferimento all'estrema diffusione del consumo di
coca e al fatto che gli indigeni considerassero la coca
una ricchezza inestimabile, tanto da preferirla
all'oro.Gli spagnoli usarono dunque la coca come
compenso per il massacrante lavoro nelle miniere e nelle
piantagioni degli Incas schiavizzati. Le complicanze
sull'organismo prodotte dall'abuso generalizzato di coca
amplificarono la mortale azione delle armi e dei virus
europei per i quali gli indigeni non avevano alcuna
resistenza immunitaria, accelerando il gia' rapido
processo di eliminazione degli indios da parte degli
spagnoli.
Coca
e bevande toniche
I primi seri studi di tossicologia e sull'uso della coca in
clinica iniziavano nella seconda meta'
dell'Ottocento, con la pubblicazione di
un'importante opera di Paolo Mantegazza, un
eclettico professore italiano di patologia
generale ed antropologia, intitolata Sulle virtu'
igieniche e medicinali della coca e degli alimenti
nervosi in genere. Il Saggio conobbe un successo
straordinario in tutta Europa e divenne il
maggiore veicolo di promozione del potente
stimolante nella societa' occidentale. Ispirandosi
all'opera di Mantegazza, un chimico farmacista
corso, Angelo Mariani, ideava nel 1863 una bevanda
preparata con coca sciolta in vino: il Vin Mariani
(Fig.5).
Questa bibita tonificante veniva usata anche in
medicina, perché si pensava capace di sollevare
il morale ai depressi e di curare praticamente
ogni tipo di disturbo fisico, dal mal di gola alle
affezioni nervose,dall'impotenza all'insonnia,
dall'anemia alle febbri, finanche ai morbi di tipo
contagioso.
La bevanda acquistava immediatamente una popolarità clamorosa,
annoverando tra i suoi acquirenti personalità
famose del mondo dell'arte e della cultura, come
Emile Zola, August Rodin, Charles Gounod,
Alexandre Dumas figlio, Paul Verlaine, Jules Verne,
Heinrik Ibsen, Thomas Alva Edison, della politica,
come Ulysses Grant, presidente degli Stati Uniti,
come lo zar di Russia e il Principe di Galles.
Mariani era ritenuto un benefattore dell'umanità,
tanto che papa Leone XIII regalava al chimico
corso una medaglia d'oro in segno di riconoscenza.
Il successo mondiale del Vin Mariani spingeva l'artigianato e
l'industria chimico-farmaceutica a mettere a punto
un preparato capace di trarre profitto dal
ricchissimo mercato creato dal tonico francese. Fu
un farmacista americano di Atlanta, John Styh
Pemberton, a commercializzare nel 1885 la prima
bevanda in concorrenza con il Vin Mariani, il
French Wine Coca.
|
Fig.
5: Manifesto pubblicitario del Vin Mariani
L'eccezionale campagna
pubblicitaria che accompagno' la
commercializzazione del Vin Mariani mirava non
solo a far conoscere la bevanda, ma anche a
provare la "realta'" delle straordinarie
virtu' del tonico attraverso le autorevoli e
favorevoli testimonianze delle grandi personalita'
che l'avevano usato. Per raccogliere e rendere
noti ai consumatori questi testimonial,
Mariani comincio' a pubblicare, dal 1891, una
elegante serie di quattordici Album. In essi erano
presenti i ritratti e le autografe attestazioni di
gratitudine che la gente illustre gli aveva
inviato.
Gentilmente concessa dall'editore Casamassima,
Udine
|
L'anno
successivo Pemberton modificava il suo preparato
eliminando l'alcool e aggiungendo estratto di noce Kola
- una sostanza ricca di caffeina -, oli di agrumi e
dolcificanti. Il nuovo analcolico (soft drink) era
destinato, secondo la pubblicità che ne accompagnò
l'immissione sul mercato, «agli intellettuali e agli
alcolisti in astinenza»: il suo nome commerciale era
Coca Cola. Sino al 1903, anno in cui il governo federale
statunitense imponeva la decocainizzazione delle foglie
di coca usate per la preparazione, la cocaina fu un
ingrediente della Coca Cola.
Dalla
Coca alla Cocaina
Nella storia dell'uso delle foglie di coca non si trovano, eccetto
che per il consumo coatto imposto agli indios dai
conquistadores, testimonianze di abuso e di problemi di
una certa rilevanza sociale (nella sanita' e nell'ordine
pubblico) connessi all'utilizzo della pianta peruviana.
Tali problemi invece apparivano drammaticamente a
partire dal 1860, quando Albert Nieman, un chimico di
Göttingen, riusciva ad isolare l'alcaloide principale
delle foglie di coca, la cocaina. La disponibilità
della cocaina in forma pura facilitava anche le ricerche
medico-scientifiche e l'impiego in clinica, soprattutto
nel settore delle malattie mentali. Fiorirono cosi' una
serie di bizzarre proposte per l'utilizzo
"razionale" del potente stimolante. In
Francia, alla fine degli anni settanta, si consigliava
la somministrazione della cocaina agli operai per
l'aumento della produzione nelle fabbriche.
Negli Stati Uniti si usava curare l'esaurimento nervoso e persino
la timidezza con dosi di cocaina. Nel 1878, il dottor
Bentley suggeriva di utilizzare la cocaina per la
disintossicazione dei morfinomani. La pratica del dottor
Bentley trovava purtroppo vasta applicazione,
soprattutto negli Stati Uniti, dove peraltro veniva
estesa al recupero degli alcolisti, producendo
infallibilmente nei pazienti la conversione della
dipendenza dagli oppioidi (e dall'al-cool) al farmaco
stimolante. Agli inizi degli anni '80, in Germania
furono condotti studi sulle proprieta' stimolanti ed
anoressizzanti della cocaina somministrandola di
nascosto ai soldati. Lo Stato Maggiore tedesco sperava
di trovare una sostanza in grado di migliorare il
morale, l'efficienza e la resistenza delle truppe alla
fatica e alla fame, in modo facile, sicuro e
relativamente economico.
Tali pericolose teorie erano ben conosciute e condivise da Sigmund
Freud e lo spingevano a sperimentare, entusiasmandosene,
gli effetti della cocaina su se stesso.
Nel suo famoso saggio Sulla cocaina, pubblicato nel
1884, il padre della psicanalisi raccontava come dal
1864 avesse cominicato a fare uso di cocaina per
combattere i suoi ricorrenti stati depressivi. L'ingenua
fiducia nel nuovo farmaco era tale da indurlo a regalare
la cocaina alla sua fidanzata, Marthe Bernays e a
consigliare il suo uso come farmaco disintossicante a un
caro amico, il patologo Ernst Fleischl, divenuto
morfinomane in seguito ad una lunga terapia del dolore.
Dopo aver trovato iniziale giovamento, Fleischl sviluppò una
fortissima dipendenza alla cocaina, sino ad aver bisogno
di dosi eccezionali, cento volte superiori a quelle
usate nei normali trattamenti: un grammo al giorno che
si autosomministrava per iniezione sottocutanea.
Fleischl cominciava quindi ad avere spaventosi episodi
paranoidei: allucinazioni e deliri che aveva
sperimentato talvolta anche Freud, nei quali
terrorizzato ed impotente doveva lottare contro i morsi
e le aggressioni di miriadi di insetti sopra e sotto la
pelle.
I racconti delle angoscianti allucinazioni sensoriali di
Fleischl costituiscono il primo resoconto di un sintomo
classico del cocainismo, la zoopsia, eufemisticamente
indicata come "sintomo delle bestioline". I
deliri di Fleischl divennero sempre più frequenti, sino
a renderlo vittima di una delle prime forme documentate
di psicosi cocainica.
La triste esperienza di Fleischl accomunava presto folte schiere di
ex-morfinomani e nuovi drogati, facendo finalmente
spegnere l'acritico entusiasmo della comunita' medica.
L'epidemia dell'abuso si diffuse quindi tra gli
intellettuali, dato che la cocaina veniva ritenuta una
sostanza capace di amplificare le capacità critiche e
creative. Scritto in tre giorni e tre notti da un autore
dedito all'uso dei piu' diversi farmaci, Robert L.
Stevenson, Lo strano caso del dottor Jeckyll e Mr Hyde,
è forse l'opera letteraria più famosa redatta sotto
l'effetto di cocaina.
Il famosissimo Sherlock Holmes, immaginario detective
dei gialli di Conan Doyle, al quale il suo ideatore
faceva consumare notevoli quantità di cocaina, diede un
indiscutibile contributo alla propaganda di questa
droga.
Tra fine Ottocento e inizio Novecento, la moda della cocaina
guadagnava consensi sempre più vasti anche al di fuori
delle elite intellettuali, soprattutto negli Stati
Uniti. Nelle grandi metropoli europee e americane si
inauguravano ritrovi per il consumo di cocaina. La
cocaina, come la morfina, si consumava poi durante le
feste private e nel buio delle platee dei teatri. La
cocaina conquistava nuovi adepti anche nelle classi
lavoratrici. I conduttori di mezzi di trasporto pubblico
o le guardie notturne lo usavano per sopportare il sonno
durante i turni di notte. Per le stesse ragioni, la
cocaina diveniva sostanza d'abuso nel variegato mondo
del popolo della notte. La assumevano scassinatori,
prostitute, giocatori d'azzardo, frequentatori di locali
più o meno alla moda.
Negli stati meridionali dell'unione americana la cocaina costituiva
una parte del compenso elargito ai negri raccoglitori di
cotone. In Europa l'abuso di cocaina trovava in Francia
la sua patria adottiva. Nel 1924 nella sola Parigi si
contavano almeno 80.000 cocainomani. Nel 1914,
un'indagine epidemiologica pubblicata sul Journal de
Médicine française rivelava che almeno metà delle
prostitute di Monmarte era dipendente dalla cocaina.
Molti tra i dadaisti e i surrealisti francesi erano
dediti a tale droga. La cocaina servì purtroppo a
qualcuno di loro per darsi la morte.
La cocaina dunque era divenuta un grande affare commerciale e,
attirando conseguentemente gli interessi della malavita,
si era trasformata in una grave minaccia per l'ordine
pubblico. A partire dagli inizi del Novecento, le
autorita' dei vari stati americani cominciarono a
prendere seri provvedimenti restrittivi e ad iniziare
una vigorosa campagna educativa nelle scuole e presso
gli eserciti.
L'atteggiamento degli Stati Uniti veniva presto imitato a livello
internazionale. Il documento elaborato per la
«Convenzione dell'oppio» all'Aja dalla Società delle
Nazioni, nel 1912 e nel 1914, sanciva infatti la messa
al bando della cocaina e restringeva la liceità del suo
uso esclusivamente alle applicazioni mediche e alla
ricerca.
2.2 Le amfetamine
La storia delle amfetamine e' piuttosto recente rispetto a quella
delle altre sostanze psicotrope che abbiamo gia'
illustrato. Le amfetamine, infatti, vennero sintetizzate
verso la meta' degli anni trenta da un chimico di Los
Angeles, Gordon Alles. Tali sostanze dovevano costituire
un sostituto sintetico dell'efedrina, un principio
farmacologico naturale della pianta Efedra molto
efficace nella cura dell'asma, ma di difficile
estrazione.
Le amfetamine, poste liberamente in vendita alla fine
degli anni trenta in confezioni con inalatore, ebbero
immediatamente un successo commerciale, non solo per la
loro efficacia nel trattamento delle affezioni
asmatiche, ma soprattutto per le proprietà stimolanti,
la cui conoscenza si diffuse immediatamente, in special
modo nel mondo degli studenti americani. Questi ultimi
avevano imparato ad assumere il farmaco per vincere il
sonno durante la preparazione agli esami.
In quegli anni le amfetamine venivano prescritte come
antidepressivi e per la cura degli "esaurimenti
nervosi". La potente azione anoressizzante,
inoltre, veniva utilizzata per la produzione di farmaci
per le cure dimagranti. Vennero dunque messe a punto
numerosissime "pillole dietetiche", la cui
pubblicità cominciò ad invadere non solo le riviste di
medicina ma anche i rotocalchi a larga diffusione. Ciò
determinava, agli inizi degli anni cinquanta, una grave
e particolare forma di epidemia d'abuso, con moltissimi
casi di persone diventate dipendenti all'amfetamina nel
corso di cure dimagranti, ed induceva i governi dei
paesi occidentali a regolamentare la produzione e il
commercio di farmaci a base di amfetamine.
Le amfetamine e la seconda guerra mondiale
La prima grave epidemia d'abuso, in realtà, si era verificata
durante la seconda guerra mondiale. Le pillole a base di
amfetamine venivano infatti distribuite ai soldati,
specialmente ai piloti, per aumentarne l'efficienza e
sostenerne il morale. Secondo alcune stime, circa il 10%
delle truppe inquadrate nell'esercito americano era
dedito all'uso cronico e pesante di amfetamine. Tra i
soldati dei corpi speciali e tra i prigionieri di guerra
tale percentuale si alzava sino al 25%. I tedeschi
distribuirono agli alleati giapponesi dell'Asse
grandissime quantità di amfetamine, esportando verso
l'Impero del Sol Levante anche le conoscenze e le
tecnologie necessarie allo loro intesi.
A differenza dei tedeschi, però, i giapponesi distribuivano le
amfetamine soprattutto alla popolazione civile, nelle
fabbriche di munizioni e materiale bellico, per
aumentare la produttività.
"Ammine della veglia" fu il nome dato dai
giapponesi a queste sostanze e che indicava
sinteticamente i loro effetti più manifesti ed
apprezzati.
Alla fine della guerra, le industrie farmaceutiche nipponiche
cercarono di vendere le enormi scorte di amfetamine
accumulate con anni di produzione esasperata, attraverso
una martellante campagna pubblicitaria, che decantava
l'efficacia di queste droghe nei casi di depressione,
sonnolenza, stanchezza cronica, obesità. La campagna
pubblicitaria ebbe un grande successo in quanto
sfruttava scientificamente il diffuso stato di
frustrazione e sfiducia che si era impadronito del
paese, soprattutto dei giovani, in seguito alla
sconfitta militare, proponendo un rimedio estremamente
economico, rapido e potente. Con gli inizi degli anni
'50, quindi, scoppiava in Giappone una vera epidemia
dell'abuso di amfetamine.
Una statistica del 1950 rivelava che circa il 5% della
popolazione compresa tra i 16 e i 25 anni era costituita
da tossicodipendenti dediti all'uso di amfetamine.
Un'altra statistica del 1954, invece, dimostrava che su
sessanta omicidi commessi nel paese, trentuno erano in
qualche modo in rapporto più o meno diretto con l'abuso
di tali sostanze.
Par. 3 - Gli allucinogeni -
|
3.1
La Canapa Indiana
La
canapa indiana (Cannabis indica) è una pianta
comune largamente diffusa nelle zone tropicali e
temperate della terra. Dalla canapa indiana si
traggono la marijuana e l'hashish, sostanze con
blanda azione euforizzante ed allucinogena. La
marijuana e' una miscela delle foglie, dei fiori e
degli steli della canapa indiana, mentre l'hashish
rappresenta la resina della cannabis estratta dal
polline dei suoi fiori. L'hashish possiede effetti
stupefacenti molto più forti rispetto alla
marijuana in quanto la resina del polline contiene
una percentuale di principi psicoattivi, i
cannabinoli, più elevata di quella propria della
pianta al naturale.
Dalla
preistoria agli "assassini"
Si suppone che l'uso della canapa indiana cominci in età
neolitica nei territori situati a sud ovest del
Mar Caspio e corrispondenti all'attuale
Afghanistan. La conoscenza della canapa si sarebbe
da qui diffusa verso la Cina, dove il suo uso e'
documentato nel Rhyya, un trattato cinese di
botanica del XV secolo a.C. Nel trattato
farmacologico risalente al leggendario imperatore
Shen Nung, la canapa veniva descritta come
sedativo e panacea. Il testo indiano Atharveda
indicava la canapa come elemento magico e
medicinale.
In India la canapa era ritenuta di origine divina,
in quanto derivava dalla metamorfosi dei peli
della schiena di Visnù.
Come tutti gli oggetti sacri essa possedeva vari epiteti tra i
quali quello di Vijahia (fonte di felicita' e
successo) e di Ananda (che produce la vita). La
canapa era coltivata dai bramini negli orti dei
templi e serviva alla preparazione di un infuso
chiamato bhang, che assunto in determinate
occasioni rituali favoriva l'unione con la
divinità.
Gli Assiri bruciavano una sostanza chiamata qunnabu nei loro
templi, mentre Caldei e Persiani la conoscevano
rispettivamente col nome di kanbun e di kenab.
Nell'Avesta persiano la canapa occupava il primo
posto in una lista di migliaia di sostanze
terapeutiche.
Nel mondo islamico la canapa era tenuta in
grandissima considerazione. Hashish in arabo
significa erba, anzi è l'erba per eccellenza,
come se l'attività psicotropa della pianta
costituisse la chiave definitoria dell'intero
regno vegetale.
La canapa è stata protagonista della vicenda leggendaria del
"Veglio della Montagna" e della feroce
setta dei suoi assassini, che Marco Polo
riprendeva con alcune varianti nel Milione, una
storia che ha stimolato per secoli l'immaginario
occidentale, soprattutto quello dell'epoca
Romantica. In essa si raccontava di come l'imam
Hasan, infallibile ed onnipotente capo della
città fortezza di Alamut si servisse dell'hashish
per arruolare dei giovani e renderli privi di
volontà e da lui assolutamente dipendenti in modo
tale da spingerli nelle imprese più pericolose,
non escluso l'omicidio. Il termine assassini, con
cui si indicavano in Europa i componenti di questo
devotissimo corpo armato di vendicatori, e quindi
per estensione gli autori di omicidio, derivava
dall'arabo hashishen, cioè dediti all'erba.
L'hashish
e l'indagine sulla follia
L'uso voluttuario della canapa veniva introdotto in Europa
(soprattutto in Francia), nell'Ottocento, in
seguito alla conquista delle province dell'impero
Ottomano da parte delle truppe napoleoniche. Gli
estatici abbandoni ed il vacuo torpore, il kif,
cui si lasciavano andare gli islamici e divennero
presto esperienza comune tra i borghesi e i
giovani romantici parigini. Nascevano quindi
circoli di fumatori d'hashish, luoghi consacrati
ad un nuovo culto laico. Il «Club des
Haschischins» era forse il più noto di questi.
Vi convenivano alcuni tra i maggiori letterati ed
artisti parigini dell'epoca, come Gérard de
Nerval, Théophile Gautier, Charles Baudelaire,
Honoré de Balzac.
Fig. 7: L'accenditrice di narghilè
Jean-Leon Gerome, olio su tela, 1898.
Collezione privata.
Il fumo della canapa, che gli europei
avevano riscoperto con le conquiste
coloniali nel Nord Africa ed in medio
Oriente, divenne una pratica piuttosto
diffusa nella buona società dell'Ottocento,
soprattutto in quella francese.
|
Diverso era l'approccio che caratterizzava
l'altro famoso cenacolo dei fumatori di hashish
(Fig. 7), quello di cui era capo indiscusso
il medico Jacques Joseph Moreau de Tours. In
questo circolo l'hashish era usato
"sperimentalmente", come una sorta
di sonda chimica per indagare la follia dal
di dentro.
Nel saggio Du haschisch et de l'aliénation
del 1845, Moreau de Tours scriveva di aver
visto «nell'haschisch, o piuttosto nella
sua azione sulle facoltà morali, un mezzo
potente, unico, per esplorare le patologie
mentali». Ciò perché, per comprendere le
straniate architetture del pensiero folle,
bisognava averci vissuto dentro, almeno per
un momento,
|
ma
senza perdere coscienza del delirio, mantenendo la
capacità di osservare e giudicare le alterazioni
via via sopraggiunte. Secondo Moreau de Tours,
questo era possibile assumendo hashish.
3.2 Piante allucinogene del sud America
Fig. 8: Statuetta messicana che rappresenta una
donna sciamano con fungomagico
La sacralità della Psylocibe mexicana, è
attestata dal gran numero di ritrovamenti di
statuette simili a quella raffigurata.
|
Molto
antica è anche la storia dell'uso religioso
del fungo magico del Messico e dell'America
centrale (Psylocibe mexicana Fig.8) in cui
sono presenti due potenti sostanze
allucinogene, la psilocibina e la psilocina,
straordinariamente simili nella struttura
chimica all'LSD.
Teonanacatl è il nome indio di questo fungo
e significa carne di dio, perché i
sacerdoti messicani pensavano che esso
permettesse di entrare in comunicazione con
gli dei e di acquisire facoltà magiche e
curative. L'idea dello Psylocibe come
veicolo di un viaggio a ritroso verso una
grandezza e una ricchezza perdute e' ancora
oggi comune in alcuni riti degli Indiani
mazatechi e zapotechi.
Gli aztechi, invece, ritenevano sacro il cactus peyote
(Fig. 9), la pianta da cui si ricava un
allucinogeno naturale, la mescalina, la cui
ingestione dà effetti simili a quelli
dell'LSD. I mescaleros, così i
conquistadores spagnoli chiamarono gli
indios del Centro America, avevano fatto
dell'assunzione di peyote il fulcro dei
cerimoniali religiosi.
|
L'esperienza di trascendenza e di illuminazione che questa
sostanza è capace di dare costituisce ancora oggi
un elemento centrale della cultura religiosa di
alcune tribù indiane d'America. I sacerdoti del
Peyotismo non impongono nessun dogma specifico ai
fedeli, poiché ritengono che ciascuno può
entrare in comunione con Dio tramite la
"grazia" che da' l'ingestione del peyote.
Il peyotismo e l'uso rituale del peyote e del
fungo psylocibe sono il tema fondamentale di
alcune delle opere più famose di un antropologo
brasiliano, Carlos Castaneda: A scuola dallo
stregone, Una realta' separata e Viaggio a Ixtlan.
Piuttosto che illustrare in maniera oggettiva i
risulati di una ricerca scientifica condotta sul
campo, esse tuttavia rappresentano una ingenua ed
acritica apologia della mistica e
dell'irrazionale, tanto che Castaneda è diventato
una sorta di guida spirituale per la ribellione
antintellettualistica condotta da molti giovani
negli anni della contestazione del '68.
La mescalina ispirava un'altra opera
letteraria di grande fortuna: Le porte della
percezione, scritta da Aldous Huxley,
l'autore de Il mondo nuovo. Egli riteneva
che la mescalina fosse il mezzo piu'
efficace per gettare luce su quelle zone
della coscienza umana che la cultura
occidentale, cosi' improntata alla
razionalita', aveva messo in ombra. Per tale
ragione, egli accettava di fare da cavia
agli esperimenti con cui gli psichiatri
Humphry Osmond, John Smythies e Abraham
Hoffer stavano indagando la possibilita' di
studiare i meccanismi biologici della
schizofrenia attraverso l'induzione di
psicosi sperimentali con mescalina. Le porte
della percezione narrano le esperienze e
raccolgono le riflessioni suscitate dai
viaggi allucinati condotti da Huxley sotto
l'effetto della mescalina.
|
Fig. 9: Cactus peyote (Lophophora williamsi)
In seguito alla loro conversione al
Cristianesimo, le popolazioni del centro
America hanno incorporato il culto del
peyote nei rituali cattolici. Nel 1918,
questo singolare sincretismo, che ancora
oggi viene praticato, e' stato proclamato
ufficialmente Chiesa indigena americana.
|
3.3 Gli allucinogeni di sintesi
Le metossiamfetamine
Tra gli allucinogeni di origine naturale, la mescalina è
sicuramente la sostanza meno attiva. Negli anni
'60, l'interesse sorto in ambito psichiatrico
intorno alla mescalina diede un forte impulso alle
ricerche chimiche e farmacologiche tese a
potenziare gli effetti del principio attivo del
peyote. Nascevano così le metossiamfetamine. Le
prime metossiamfetamine hanno conosciuto una
grandissima diffusione nel movimento hippy,
soprattutto tra gli hippies di quello che era il
centro mondiale della produzione di nuove sostanze
psicoattive e dell'esplorazione dei loro effetti,
San Francisco. Una tra queste, la
2,5-Dimetossi-4-metilamfetamina (DOM), cento volte
più potente della mescalina, era stata
soprannominata STP, abbreviazione di serenità,
tranquillità, pace, ma anche chiaro riferimento
ad un noto additivo della benzina usato per dare
più potenza al motore.
Il tramonto della cultura psichedelica hippy e l'avvento di
quella efficientistica e più "effimera"
degli yuppies determinava quindi il declino
dell'uso delle sostanze allucinogene. La
trasformazione del mercato delle sostanze
psicotrope impose così all'industria chimica
illegale la produzione di droghe capaci di
aumentare la vigilanza e la consapevolezza del sé
senza produrre effetti psicotici e distorsioni
percettive. La più tristemente famosa di queste
sostanze e' l'MDMA, nota come ecstasy. Una droga
che ha raggiunto il massimo della popolarità
negli anni '80, in quella parte della popolazione
giovanile che ha assimilato le istanze e gli
stereotipi più deteriori - soprattutto per quanto
riguarda le pratiche di aggregazione sociale -
proposti da alcuni nuovi modelli culturali.
L'ecstasy è così diventata una sostanza molto usata tra quelli
che maniacalmente cercavano e cercano
l'esasperazione del divertimento nelle discoteche,
nelle feste private e nei locali notturni, perché
conferisce euforia e possiede una potente azione
eccitante. Al suo uso non è certo disgiunta la
drammatica crescita della mortalità sulle strade
del sabato sera.
LSD: la dietilamide dell'acido lisergico
Nella grandissima varietà delle sostanze allucinogene, la
dietilammide dell'acido lisergico, o più
brevemente LSD (Fig.10), e' sicuramente la più
conosciuta. Essa è stata la prima droga
psichedelica ad incidere in maniera profonda sulla
cultura e sull'immaginario del mondo occidentale.
Intorno all'esperienza psicheledica prodotta
dall'LSD, infatti, si originarono alcuni tratti
fondamentali della "metafisica" e, in
certi casi, della mistica che animava la rivolta
hippy e che sul finire degli anni '60 si diffuse
da San Francisco in tutti i paesi
industrializzati. Il 16 aprile 1943, Albert
Hofmann, un chimico dei laboratori Sandoz,
ingerendo accidentalmente l'LSD nel corso di
esperimenti sull'attività farmacologica dei
derivati dell'acido lisergico, veniva colto da
allucinazioni, da un flusso ininterrotto di vivide
visioni, immagini distorte, giochi caleidoscopici
di colori, forme grottesche, durato qualche ora.
Egli aveva scoperto casualmente le
straordinarie proprietà psichedeliche
dell'LSD. Uno dei primi utilizzi dell'LSD
(Fig.10) tentati in medicina fu quello in
ambito psichiatrico. Esso venne usato con
l'intento di rendere conscio l'incoscio, ma
anche, come nel caso degli altri
allucinogeni, quale strumento per indurre
delle psicosi sperimentali e studiare quindi
i meccanismi della malattia mentale. Agli
scarsi successi terapici, tuttavia, si
accompagnava una straordinaria e rapida
diffusione nel consumo voluttuario di LSD.
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Fig.
10:
Pannocchia di granturco
infestata da Claviceps purpurea, fungo da
cui si estrae l'acido lisergico, sostanza
base la sintesi dell'LSD
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L'LSD diveniva in breve una bandiera ideologica, il simbolo
dell'anticonformismo e del rifiuto dei valori
della cultura occidentali.
Secondo gli hippies e i ragazzi della beat generation, l'LSD
doveva servire a promuovere quella rivoluzione
psichedelica che avrebbe finalmente liberato la
coscienza e i comportamenti dai legacci
dell'educazione all'individualismo e del pensiero
raziocinante imposti come norma dalla societa'
occidentale.
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