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I livelli essenziali di assistenza: dalle prestazioni ai diritti di Elena Feriol
Diritti e servizi sociali nel nuovo titolo V della Costituzione
Com'e noto, alla fine del 2001 è entrata in vigore la legge costituzionale n. 3/2001, di revisione del titolo V, II parte, della Costituzione. Si tratta di un testo stralciato dal progetto di revisione dell'ordinamento costituzionale elaborato dalla Commissione bicamerale presieduta dall'onorevole D'Alema, i cui lavori si erano arenati definitivamente, per contrasti sorti tra le forze di maggioranza e quelle di opposizione, nel giugno del 1998. Tra le ragioni, non solo squisitamente politiche, che hanno portato all'approvazione della legge n. 3/2001 vi è stato, come si legge nella relazione parlamentare di accompagnamento al disegno di legge costituzionale, l’intento di apportare modifiche a istituti che risentivano di una concezione <<centralista>> della forma di stato italiana, e in generale quello di <<adeguare>> l'ambito delle competenze regionali, tanto legislative quanto amministrative, alla nuova impostazione che l'ordinamento si è dato a seguito della legge n. 59 del 19971 la quale, attribuendo alla competenza amministrativa delle autonomie territoriali anche le materie di competenza legislativa statale, richiedeva per cosi dire una legittimazione a livello costituzionale.
Il capovolgimento della ripartizione delle competenze legislative
Uno degli aspetti centrali della riforma e rappresentato, come noto, dal capovolgimento dell'originario impianto costituzionale di ripartizione delle competenze legislative tra stato e regioni. Allo stato, infatti, e riservata la potestà esclusiva e quella concorrente con le regioni in un elenco espresso di materie, mentre <<spetta alle regioni la potestà legislativa in riferimento a ogni materia non espressamente riservata alla legislazione. dello stato>>2. In quest'ultimo caso, previsto dal quarto comma del nuovo testa dell'art. 117 della Costituzione, le regioni sono titolari di una potestà legislativa < di tipo primario, ossia non limitata dai principi fondamentali della legislazione statale, ma soltanto dal rispetto della Costituzione, dell'ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali >3. Da qui la classificazione di questa nuova competenza legislativa regionale come piena o esclusiva. Non può sfuggire quindi il fatto che, come è stato efficacemente sottolineato, l'introduzione di tale potestà rappresenta <<uno dei punti cardini della riforma, un punto davvero di grande portata> (Falcon G., 2001), posto che in virtù di essa si introduce a favore delle regioni ordinarie una nuova tipologia di competenza legislativa, sciolta dall'obbligo di osservare i principi fondamentali stabiliti dalla legge statale, obbligo che riguarda specificamente soltanto l'elenco dettagliato di materie indicate nell'art. 117, terzo comma, della Costituzione.
2 Ddl Costituzionale n.c. 4462 e altri, art. 3.
Una competenza completamente regionalizzata
Per quanto riguarda il settore dell'assistenza sociaIe, tale materia non compare né nelle materie di competenza legislativa esclusiva dello stato, né nelle materie di competenza concorrente, dovendo quindi concludersi che, in base alla nuova disciplina costituzionale, l'assistenza sociale appartenga oggi all'ambito delle materie di competenza legislativa regionale primaria. Ne deriva che le regioni saranno d'ora in poi sciolte dai limiti posti in precedenza alla loro attività legislativa in materia socio-assistenziale. Ciò significa che l'ambito di attuazione per via legislativa del diritto all'assistenza sociale previsto espressamente dall'art. 38 della Costituzione viene in pratica completamente regionalizzato, e che spetterà d'ora in poi esclusivamente alle regioni la predisposizione di quelle strutture normative e organizzative indispensabili per 1'erogazione delle prestazioni socio-assistenziali. Le regioni potranno quindi compiere scelte più autonome in ordine alle modalità con cui disciplinare il sistema dei servizi sociali e garantire il soddisfacimento di tale diritto sociale all'interno dei propri territori. Uno dei settori classici delle politiche sociali, quello socio-assistenziale, viene dunque lasciato alle decisioni e alle scelte dei governi e dei legislatori regionali, i quali non saranno pin vincolati all'osservanza dei principi fondamentali e degli indirizzi indicati dallo stato.
Una garanzia del principio di uguaglianza sostanziale dei cittadini
Vi sono tuttavia nel nuovo ordinamento costituzionale altre tipologie di potestà statali idonee ad influire direttamente sull'autonomia legislativa regionale in ambito socio-assistenziale e sulle modalità di attuazione e tutela del diritto all'assistenza sociale. Ci si riferisce, in particolare, alla (già molto commentata) competenza dello stato per la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» prevista nell'art. 117, secondo comma, lett. m. Si tratta di una previsione posta, evidentemente, a garanzia dell'effettiva tutela dei diritti sociali e del principio di uguaglianza sostanziale tra gli individui, tesa cioè a impedire che la nuova autonomia riconosciuta alle regioni si traduca in forti disuguaglianze territoriali nelle prestazioni sociali e in contenuti deteriori della cittadinanza sociale dovuti unicamente al luogo di residenza. E quindi essenzialmente a questa norma che è destinato il compito di realizzare un equilibrio tra le ragioni dell'autonomia e quelle dell'unità, tra le esigenze della differenziazione e quelle dell'uniformità, nell'ambito di quelle materie, come l'assistenza sociale, in cui le competenze legislative e amministrative finalizzate all'attuazione del diritto sociale sono decentrate verso regioni ed enti locali. E’ evidente quindi che gran parte dell'effettiva portata innovativa della riforma costituzionale nel settore dell'assistenza sociale si gioca sulle modalità con cui verrà interpretata la disposizione costituzionale in questione e concretamente esercitata dallo stato. La nozione di livelli essenziali e l'effettiva portata di tale competenza statale meritano, pertanto, una riflessione più approfondita.
Riforma sanitaria e legge quadro sull’assistenza sociale
Sul piano legislativo, invece, nei due provvedimenti citati vengono fornite delle indicazioni più generali inerenti ai principi che devono orientate tale operazione di determinazione. Tra tali principi, il decreto n. 229/1999 menziona la dignità della persona, il bisogno di salute, l'equità nell'accesso, la qualità delle cure e della loro appropriatezza, l'economicità nell'impiego delle risorse. Attraverso tali principi si cerca cosi di delineare i caratteri di un sistema sanitario universalistico, capace di individuare delle prestazioni prioritarie da garantire a tutti i cittadini e conciliabili con il rispetto dei vincoli di bilancio (Dirindin N., 2000).
Quanto alla legge
quadro sull'assistenza, l’art. 22 indica una serie di misure e
interventi ritenuti essenziali e da erogare in base alle caratteristiche
e ai requisiti fissati nella pianificazione nazionale, regionale e
zonale. Si precisa inoltre che comunque le leggi regionali devono
prevedere per ogni ambito territoriale considerato almeno l'erogazione
di cinque tipologie di <<macro prestazioni»4. Nell'area sociale, invece, è mancata una determinazione parimenti dettagliata, in quanto il Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2001-2003 disegna tali prestazioni attraverso l'individuazione di tre dimensioni, ovvero le aree di intervento (responsabilità familiari, diritti dei minori, persone anziane, contrasto della povertà, disabili, droghe, avvio della riforma), le tipologie dei servizi (servizio sociale professionale e segretariato sociale, servizio di pronto intervento sociale, assistenza domiciliare, strutture residenziali e semi-residenziali, centri di accoglienza residenziali o diurni a carattere comunitario) e le direttrici per 1'innovazione (partecipazione attiva della persona nella definizione delle politiche, integrazione degli interventi nell'insieme delle politiche sociali ecc.), evidenziando come tali coordinate <<contribuiscono a connotare, ognuna da una diversa angolatura, i possibili contenuti dei livelli essenziali>> e come <<le tipologie di servizi e prestazioni costituiscono un'articolazione ... degli interventi che possono essere programmati e realizzati per rispondere alle esigenze delle aree di bisogno».
Livelli definiti in ambito sanitario, ma non in ambito sociale
Permane quindi nell'area sociale una maggiore magmaticità della materia, anche in considerazione della natura stessa delle prestazioni socio-assistenziali, che si prestano meno di quelle sanitarie a una puntuale e dettagliata enumerazione.
Definizione ancora in termini organizzativi e di spesa, non di diritti
Sembra quindi corretto concludere che in questi provvedimenti precedenti la modifica del titolo V della Costituzione, l'individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni sanitarie e sociali si giocava, per cosi dire, suI terreno della capacità di governo degli esecutivi, sul piano delle politiche di spesa, sulla dimensione amministrativa e organizzativa.
L’inserimento nella Costituzione dei Livelli Essenziali
Sorge quindi spontaneo domandarsi in che modo la costituzionalizzazione di tale nozione possa incidere sul suo significato e quale relazione intercorra tra i livelli essenziali e i diritti sociali menzionati nell'art. 117, secondo comma, lett. m, della Costituzione.
4 Si tratta del servizio sociale professionale e segretariato sociale, servizio di pronto intervento sociale per le situazioni di emergenza personali e familiari, assistenza domiciliare, strutture residenziali e semiresidenziali, centri di accoglienza residenziali e diurni di carattere comunitario.
A tale proposito, vi è chi ha richiamato l'idea in base alla quale ogni diritto sociale di prestazione sia «scomponibile in una serie di situazioni e interessi che possono essere diversamente qualificati e ricevere un grado maggiore o minore di protezione» (Rossi G., Benedetti A., 2001), con la conseguenza che il legislatore ordinario potrebbe individuare tra questi quegli interessi che debbono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, mediante prestazioni ritenute essenziali, lasciando alle regioni il compito di disciplinare e organizzare autonomamente la tutela degli altri.
In altre parole, i
diritti sociali di prestazione, per effetto dell'intervenuta modifica
costituzionale, «devono oggi differenziarsi sotto il profilo
strutturale: quanto a un nucleo essenziale, art. 117 introduce un
elemento di doverosità… il quale lascia intendere che, pur nel
decentramento (pseudo)-federale dello stato unitario, quest'ultimo
non pure rinunciare a garantire ai cittadini condizioni minima
essenziali per il dignitoso sviluppo della personalità; quanto a
un'ulteriore quota parte, ossia a ulteriori facoltà e poteri del
medesimo diritto, la Costituzione lascia ampia discrezionalità ora alle stato (art. 117, comma 2, Lett o
previdenza sociale), ora alle regioni (art. 117, comma 3, sicurezza del
lavoro, istruzione ecc.) in esercizio di protesta concorrente ... di
apportare la disciplina pin idonea, compatibile con le risorse
disponibili, a garantire un pin evoluto grado di tutela della persona,
oltre che dei bisogni essenziali» (Principato L, 2002). La disposizione
costituzionale in questione, cioè, sottenderebbe una costruzione a
gradi dei diritti sociali a prestazione positiva, precisando che spetta
all'autorità statale d'individuazione di quelle prestazioni destinate a
tutelare il nucleo essenziale degli stessi, mentre le regioni potranno
individuare ogni altra prestazione ulteriore idonea ad assicurare un
maggiore grado di tutela.
Contenuto minimo essenziale di un diritto: una nozione discussa
Se tuttavia si considera che con il nuovo art. 117, secondo comma, lett. m, c la stessa Costituzione oggi a fare riferimento a un concetto di essenzialità esplicitamente correlato alla tutela dei diritti sociali, si potrebbe ritenere che il livello essenziale delle prestazioni cui si riferisce la predetta disposizione costituzionale sia teso a tutelare appunto il contenuto essenziale dei diritti sociali di prestazione costituzionalmente garantiti. La teoria giurisprudenziale del contenuto minimo essenziale dei diritti troverebbe cosi un «appiglio» costituzionale la dove la legge n. 3/2001 ha riconosciuto al legislatore statale la potestà di determinare quel livello delle prestazioni che dovrebbe ritenersi essenziale proprio in quanto teso ad assicurare in ogni territorio la tutela del contenuto essenziale dei diritti costituzionalmente riconosciuti 7.
L’intervento della suprema Corte
Tale interpretazione sembra confermata dalla prima pronuncia emessa della Corte Costituzionale sulla nuova disciplina del titolo V della Costituzione. Nella sentenza n. 282/2002, infatti, la Corte precisa che: «Quanto poi ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, non si tratta di una materia in senso stretto, ma di una competenza del legislatore statale idonea a investire tutte Ie materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve pater porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull'intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti» 8. Con tale precisazione la Corte conferma che le prestazioni garantite tramite la determinazione del livelli essenziali si identificano con 1'insieme degli interventi che mirano a tutelare appunto il contenuto essenziale dei diritti. Non e quindi fuor di luogo sottolineare come la tematica del «contenuto minimo essenziale» dei diritti costituzionalmente garantiti potrebbe in futuro conoscere nuovi sviluppi nella giurisprudenza costituzionale. Sembra anzi ragionevole ritenere che l’art. 117, secondo comma, lett. m, potrebbe diventare in futuro un parametro di costituzionalità assai sfruttato nell'ambito dei giudizi innanzi alla Corte Costituzionale, sia per quelli in via incidentale, qualche limite al bilanciamento tra interessi costituzionalmente tutelati, ma anche all'interno dei giudizi costituzionali in via principale, data la stretta connessione tra definizione dei livelli essenziali e ripartizione delle competenze legislative tra stato e regioni. E’ evidente, infatti, che dalle modalità con cui il legislatore statale interpreterà ed eserciterà la competenza relativa alla determinazione dei livelli in questione dipenderà gran parte dell'effettivo contenuto della nuova potestà legislativa regionale in materia di assistenza sociale e anche negli altri settori di competenza regionali relativi all'attuazione dei diritti civili e sociali.
6 Corte Costituzionale, sentenza n. 307/1990, in” Giur. Cost.”, 1874; Corte costituzionale, sentenza n. 184/1993, in “Foro it”, I1329; Corte Costituzionale, sentenza n. 27/1998, in “Giur. Cost.”, 134.
7 Sul punto si vedano anche le considerazioni sul contenuto essenziale svolte da E. Balboni e altri, 2003.
8 Corte Costituzionale, sentenza 19 giugno 2002, n. 282.
Un concetto resosi indipendente da considerazioni finanziarie
Con la costituzionalizzazione, quindi, il concetto di .livelli essenziali sembra ormai aver assunto una valenza autonoma, solo parzialmente connessa a esigenze di natura finanziaria, in quanta esso si configura ormai come il parametro di riferimento in materia di diritti sociali (Balboni E. e altri, 2003).
Più in generale, si consideri inoltre come la riforma del titolo V obblighi a ripensare 1'intero assetto dello stato sociale italiano e la garanzia dei diritti sociali. Innanzitutto, l'introduzione della potestà statale di determinazione dei livelli essenziali appare tale da ridefinire, all'interno delle materie di potestà legislativa esclusiva regionale come quella socio-assistenziale, 1'ambito di applicazione dell'art. 3, secondo comma, della Costituzione, posto che l'uguaglianza sostanziale tra i cittadini nei sensi sociali dovrà d'ora in poi essere ricercata in riferimento ai livelli essenziali che devono appunto essere garantiti sull'intero territorio nazionale e non anche in relazione alle ulteriori e aggiuntive prestazioni eventualmente tornite dai singoli sistemi socio-assistenziali regionali.
Differenze tra i cittadini costituzionalmente legittime
In altre parole, cioè, al di là dei livelli essenziali delle prestazioni socio-assistenziali, tutte le differenziazioni di trattamento tra i cittadini residenti in regioni diverse dovranno essere ritenute costituzionalmente legittime in quanto naturale conseguenza dell'autonomia regionale riconosciuta nella materia in questione. Ciò ripropone l'annoso dibattito tra federalismo e stato sociale, tra uguaglianza e autonomia, la cui soluzione delineata nel nuovo titolo V ha destato non poche preoccupazioni nel mondo scientifico. Su queste problematiche, infatti, sono andate delineandosi sostanzialmente due posizioni interpretative. Da un lato, coloro che tendono a salvaguardare l'operatività degli strumenti che nel precedente sistema assicuravano l'unita e l'uguaglianza all'interno del decentramento politico (quali l'interesse nazionale e la funzione statale di indirizzo e coordinamento), sottolineando i rischi in termini di garanzia e tutela dei diritti sociali che, in mancanza di tali strumenti, il nuovo ordinamento costituzionale potrebbe determinare. Dall'altro, chi giudica invece con favore la regionalizzazione dell'attuazione dei diritti sociali, richiamando gli effetti positivi della maggiore vicinanza del governo ragionale ai bisogni della collettività e alle attività delle istituzioni del pluralismo sociale, evidenziando come il «paradosso del metodo implicato nel regionalismo dell'uniformità è stato quello di non essere riuscito, nonostante i vari decenni d'applicazione, a garantire l'unificazione delle condizioni di vita» (Antonini L., 2003).
La delicatezza della determinazione dei livelli essenziali
In effetti se, come dimostrano le esperienze di altri ordinamenti, ampiamente evidenziate dalla riflessione scientifica (Luciani M., 1997), la maggiore autonomia regionale in materie ad alta rilevanza sociale non può in se stessa ritenersi antitetica al principio di uguaglianza, il fatto che il nuovo quadro costituzionale ridefinisca l'ambito di applicazione dell'uguaglianza nell'attuazione dei diritti sociali ai livelli essenziali delle prestazioni rende particolarmente delicata l'operazione di determinazione dei livelli in questione, i quali dovrebbero intendersi come «condizioni necessarie per rispondere a bisogni (di promozione, mantenimento e recupero delle condizioni di salute della popolazione) e a un giudizio tecnico di appropriatezza rispetto alla valutazione del bisogno e all'efficace organizzazione dell'offerta» (Vecchiato T., 2001), e non come prestazioni minimali o di base, cosa che potrebbe invece ridefinite in peius il contenuto effettivo della garanzia costituzionale di tali diritti e penalizzare i valori fondamentali che ispirano il modello di stato sociale delineato nella prima parte della Costituzione.
Distinguere essenzialità da standard minimo uniforme
E’ quindi necessario che il concerto stesso di essenzialità sia ben interpretato dal legislatore statale, onde evitare che sia nei fatti assimilato e confuso con l'idea dello standard minimo uniforme, cosa che invece porterebbe a una «torsione» dello stato sociale italiano in senso residuale. D'altro canto, si deve anche sottolineare che, in base all'autonomia, i nuovi statuti regionali potranno, una volta assicurato il livello essenziale stabilito dello stato, anche «aumentare la portata e la garanzia sia dei diritti civili che di quelli sociali» (Rossi F..., 2002), introducendo una disciplina di maggior favore. Perchè, quindi, le nuove norme costituzionali non portino a una mera legittimazione delle differenze regionale ampiamente presenti in tema di attuazione e tutela del diritto all'assistenza sociale ex art. 38 delta Costituzione (Fargion V., 1997), la differenziazione consentita dovrà muoversi, per cosi dire, verso l'alto, permettendo alle regioni. che ne sono in grado di finanziare e promuovere ulteriori servizi, fermo restando la garanzia per tutti i cittadini di ricevere quelle prestazioni fondamentali e appropriate per fornire risposte ai propri bisogni socio-assistenziali.
Verso un nuovo strumento di tutela dei diritti
Si può inoltre
ipotizzare che la costituzionalizzazione della nozione di livelli
essenziali dovrebbe in futuro anche rafforzare 1'esigibilità dei
diritti sociali, posto che qualora una prestazione fosse compresa nei
livelli suddetti il cittadino potrà vantare nei confronti della stessa
una pretesa giuridicamente rilevante, potendo fare appello, se del
caso, all'intervento sostitutivo del governo nazionale ai sensi
dell'art. 120 della Costituzione, qualora regione ed enti locali
competenti non fossero in grado di garantirgli l'erogazione della
prestazione in questione. La disposizione costituzionale citata,
infatti, prevede espressamente che il Governo possa sostituirsi a organi
delle regioni e degli enti locali qualora lo richiedano esigenze di
tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi
locali»9. 9 Costituzione, art. 120, II comma
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Luciani M. (1997), A mo' di conclusione: le prospettive del federalismo in Italia, in A. Pace (a cura di), Quale, dei tanti federalismi ?, Padova.
I livelli essenziali di assistenza sociosanitari di Paolo Da Col
I Lea: come affrontare l’argomento Ogni giorno di più l'argomento dei livelli essenziali di assistenza (Lea) diventa attuale e rilevante. Apparentemente esauritasi una prima fase che ha portato alla ribalta quelli attinenti alle prestazioni sanitarie, a mio modo di vedere accettati e applicati con molto minor dibattito (o clamore) di quello che ci si sarebbe ragionevolmente dovuti attendere, rimane oggi ancora del tutto aperta la partita su quelli sociosanitari e su quelli sociali (Liveas). Vicenda non piccola, sia per le fasce di popolazione coinvolte - tutte, per definizione, in stato di fragilità e debolezza -, sia per gli aspetti economico finanziari (ordine di grandezza, secondo alcune stime, di oltre 40 mila miliardi di vecchie lire), sia per la molteplicità (complessità) degli interlocutori che siederanno al tavolo delle trattative (enti locali e aziende sanitarie). A ben guardare, l'applicazione dei livelli essenziali di assistenza sanitari elencati in Gazzetta Ufficiale (Gu) produrrà cambiamenti ben inferiori - salvo «impazzimenti regionali» - a quanti non ne potrebbero generare quelli socio sanitari e sociali. E allora va subito è affermato con chiarezza che questi cambiamenti attengono innanzitutto alla sfera dei diritti di cittadinanza da garantire più che del numero delle prestazioni da assicurare, o del livello di spesa da contenere. Concretamente: se si è preoccupati di non vedere più erogate alcune prestazioni ambulatoriali di riabilitazione (dall'esito molto incerto) o di chirurgia estetica (ma davvero devono essere a carico del Servizio sanitario nazionale?), oppure di veder sparire qualche giornata di degenza in ospedale per Drg (Diagnosis related groups, raggruppamenti omogenei di diagnosi) «spazzatura» «<mali di schiena e gas triti» non ben definite), che dire del fatto che persone in gravi condizioni di debolezza (ad esempio disabili gravi, persone non auto sufficienti) potrebbero rischiare di perdere (potenzialmente per sempre) la possibilità di cure, in assistenza domiciliare o residenziale, in fase estensiva (molti mesi!) o di lungoassistenza (molti anni!)?
La voce della gente:perché tanto silenzio? Ciò che stupisce maggiormente è la quasi assenza di dibattito pubblico sull'argomento. Come mai non basta il richiamo alla problematica dei diritti civili e sociali da rispettare, e invece la preponderante attenzione cade oggi sugli aspetti del volume dei costi? Almeno questa fosse rivolta al tema dell'appropriatezza di molte di tali spese e all'efficienza di produzione dei servizi! Tanto più ci si meraviglia, inoltre, per il fatto che decisioni di grande rilevanza sono prese senza aver nemmeno tentato di udire non solamente la voce dei cittadini, ma spesso poco o per nulla quella degli addetti ai lavori.
Il seminario di Malosco Questi appunti riassumono sinteticamente tre giorni di lavori seminariali cui hanno partecipato operatori di molte regioni italiane, sia di aziende sanitarie che di amministrazioni comunali o provinciali. Tale resoconto deriva dall'idea, rafforzatasi nel corso dei lavori, che la Fondazione Zancan, in coerenza con le sue finalità e con la sua già cospicua mole di documenti sull'argomento, inizi a produrre una serie di documenti utili alla presentazione e all'approfondimento del tema in dibattiti pubblici o ai tavoli di lavoro degli esperti e dei decisori politici. Documenti quindi brevi, agili, di facile comprensione e lettura. Gli obiettivi: stimolare la riflessione e l'approfondimento; rendere l'argomento più comprensibile anche attraverso l'acquisizione di un linguaggio comune, focalizzando i termini in uso; allargare il dibattito su basi valide dal punto di vista tecnico-scientifico e consentire a una platea ben più vasta di quella attuale di partecipare a una materia a prima vista sterilmente «burocratica». Il tono di questa esposizione potrebbe quindi apparire di «basso profilo», talora a scapito di una perfezione formale, ma ciò avviene per scelta consapevole.
I Lea:discendenti di stirpe di alto lignaggio Contrariamente a quanto la stampa ha fatto intendere (provvedimenti «salvaspesa» di questo governo), l'argomento dei livelli essenziali non è emanazione di un governo di «colore» diverso dal precedente, ma discende invece da progenitori illustri. Già la legge n. 833/78 aveva introdotto il concetto di livelli uniformi di assistenza, ben ripresentati però anche nell'art. 1 del d.l. n. 502/92 (firmato da Amato, De Lorenzo, Barucci) (ex c. 4: «livelli da individuare sulla base anche di dati epidemiologici e clinici, con la specificazione delle prestazioni da garantire a tutti i cittadini, rapportati al volume delle risorse a disposizione»). Nel successivo d.l. n. 517/93 (firmato da Ciampi, Garavaglia, Barucci), si legge (art. 1, comma a), «i livelli di assistenza da assicurare in condizioni di uniformità sul territorio nazionale e i relativi finanziamenti di parte corrente e in conto capitale sono stabiliti dal Piano sanitario nazionale, nel rispetto degli obiettivi della programmazione socio-economica nazionale e di tutela della salute individuati a livello internazionale e in coerenza con l'entità del finanziamento assicurato al Servizio sanitario nazionale»; e più oltre, al punto g: «[Il Piano sanitario nazionale indica] i finanziamenti relativi a ciascun anno di validità del piano in coerenza con i livelli uniformi di assistenza». Dunque sembra allentarsi l'enfasi isolata sul mero aspetto economico. E arriviamo al più recente d.l. n. 299/99, preceduto dal Piano sanitario nazionale (psn) 1998-2000. Qui i Lea sono presentati quale manifestazione della volontà del servizio sanitario, finanziato da denaro pubblico, di erogare esclusivamente prestazioni «che effettivamente servono per produrre salute», rispettando le tre nuove parole chiave: appropriatezza, evidenza scientifica, qualità. Nella logica di fondo che i primi sprechi da evitare sono quelli dei consumi inutili. Si cita solamente un passo a titolo di esempio: <<La regione determina, sulla base dei criteri posti dall'atto di indirizzo e coordinamento di cui al comma 3, il finanziamento per le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, sulla base di quote capitarie correlate ai livelli essenziali di assistenza» (d.l. 229, art. 3-septies, comma 6). In conclusione, nell'arco di sei anni la rotta oscilla significativamente, passando da un approccio sostanzialmente monetario a un altro sensibilmente centrato sulla salute e sui diritti. E oggi?
Dai principi alle parole In una sorta di conferenza di consenso, nel corso del seminario ci si è soffermati in dettaglio sul significato e sulle intenzioni dei tre termini: <<livelli»,«essenziali », «di assistenza». Si è cercato di comprendere e approfondire cosa/quanto sia in essi più o meno implicitamente contenuto, per convergere su di un linguaggio comune appropriato, evitare di cadere in facili fraintendimenti, già eccessivamente favoriti dalla stampa o da esuberanti interviste di alcuni personaggi politici. Alla ricerca di un approccio univoco all' argomento, si propone l'uso dei tre termini nelle accezioni e riferimenti qui illustrati.
Perché si parla di “livelli” Su questo punto il dibattito è proceduto spedito, senza grandi equivoci: al gruppo non è sembrato esistano sinonimi sostitutivi, possibilità di termini alternativi, per cui non si incorre nel rischio di usare termini diversi, impropri o altro. Perché dunque il termine <<livelli »? Come ricordato prima, riguardo ai contesti e significati giuridici, nel vocabolo è bene cogliere un aspetto fondamentale: con <<livelli»si fa riferimento a un concetto (e alla realtà) di gradualità degli interventi o, meglio, a quello di soglia variabile di accesso. È molto rilevante questo concetto di «soglia», perché in tal modo i livelli (e le prestazioni incluse) si configurano in un aspetto dinamico, modificabile; questi livelli sono quindi aggiornabili a seconda dell'introduzione di nuove tecniche e opzioni assistenziali, oppure – soprattutto - della disponibilità di nuove risorse, oppure ancora in base all'esito dei confronti tra amministratori-decisori e cittadini-stake holders (aspetto dei diritti e delle garanzie). È questa soglia che si configura (e va discussa) come eventualmente «minima»: quando/quanto servizi e prestazioni incluse sono idonei a garantire dignità e qualità di vita delle persone e delle famiglie in condizioni di svantaggio, a conferire pari opportunità di usufruire delle occasioni di progresso e di progetti per il futuro? Il concetto di soglia come «confine» di diritti esigibili racchiude in sé l'aspetto quantitativo e qualitativo delle prestazioni e dei servizi erogati, che saranno quindi non più minimi, bensì essenziali e uniformi rispetto a un criterio ispiratore. Inoltre, la soglia è definita per un aspetto e una visione globale della persona, per un insieme di prestazioni e servizi, più che per singole specifiche voci; ciò ha attinenza con l'aspetto dell'assistenza globale alla persona, più che della sommatoria di singole prestazioni erogabili e fruibili (come si dirà più avanti).
Perché i livelli sono “essenziali” Questo attributo genera attualmente ancora confusione: «essenziali» è sinonimo di «minimi»? Di «uniformi»? Non dovrebbe essere così. Innanzitutto l'essenzialità fa riferimento all'«essenza» dei diritti della persona. Durante i primi anni novanta il criterio fondamentale era stato quello dell'uniformità dell'offerta dei servizi (principio dell'uguaglianza) nell'esercizio del diritto alla salute, da cui si era generata la distribuzione del Fondo sanitario nazionale (Fsn) per quota pro capite. Questa aveva l'obiettivo di riequilibrare la spesa per abitante, ma non quello di soddisfare in modo adeguato i bisogni, ovvero di garantire le stesse condizioni di accesso al sistema sanitario e/o lo stesso livello di salute. Alla fine degli anni novanta cambiano i criteri di ripartizione, per tenere conto dei livelli qualitativi dell'offerta e delle condizioni di salute (principio dell'equità). Sancire un diritto non equivale automaticamente ad avere identificato chi si fa carico del dovere di salvaguardarlo. Di conseguenza oggi il termine «essenziale» dovrebbe fare riferimento a categorie di servizi o prestazioni (quindi atti e azioni concrete sulla persona in stato di bisogno) considerati nel modo seguente. - Necessari, perché attinenti a diritti (pur condizionati) costituzionalmente tutelati e garantiti per assunzione di responsabilità pubblica, pur se non necessariamente sempre e totalmente gratuiti, per tutti i cittadini, senza esclusione o discriminazione alcuna. È evidente che in tutto questo è contenuto un preciso giudizio politico. - Appropriati, perché congrui rispetto a un bisogno non auto-interpretato e riferito, ma che si intende valutato con la mediazione di tecnici, per farlo emergere da una soggettività e anche dal rischio di una sottovalutazione per incapacità della persona a riconoscere i propri bisogni (si pensi, ad esempio, alle persone decontrattualizzate, in primis alle persone con disturbo mentale grave). In questo aspetto va colta l'ineludibilità del giudizio tecnico nella valutazione del bisogno. - Di provata efficacia, come documentabile dalla letteratura e dall'evidenza scientifica, e di verificabile efficienza, in quanto l'erogazione avviene secondo standard definiti di impiego ottimale delle risorse assegnate (concetto di economicità: non si sottolinea mai abbastanza la rilevanza del tema della conoscenza dei costi delle decisioni da parte degli operatori). - Uniformi, perché garantiti su tutto il territorio nazionale e per tutte le persone (equità); è chiaro che la regionalizzazione dei servizi, a seguito della riforma del titolo V della Costituzione o di una più spinta devolution, rappresenta un forte elemento di criticità a riguardo. - Sostenibili dalle risorse assegnate dalla collettività al sistema di copertura pubblica: in merito si ricorda che purtroppo contestualmente alla definizione del decreto sui Lea sociali non sono state stabilite con pari chiarezza e precisione (e quindi certezza per il cittadino, l'operatore o l'amministratore dell'ente pubblico) le fonti e le modalità di finanziamento, a differenza di quanto avviene, ad esempio, nel Psn 1998-2000 nella definizione della quota capitaria. A ciò si collega, e andrebbe approfondito contestualmente, il problema dei fondi integrativi, in cui sono da coinvolgere gli enti locali, da considerare lo strumento che potrebbe colmare il divario bisogno-domanda-offerta. Va poi sempre definita, coerentemente, la quota di compartecipazione di spesa a carico del cittadino, notoriamente spesso elevata nei servizi socio sanitari e con aspetti contraddittori in un sistema di servizi pubblici alla persona che vuole (vorrebbe, ma per quanto ancora?) essere universalistico e solidaristico, pur con elementi di selettività. Né si scordi che questa selettività (e dalla definizione della soglia di cui sopra - vedi i livelli) discende anche dall'entità della compartecipazione alla spesa degli utenti. Va qui citata e colta l'esigenza di risolvere e superare le contraddizioni attuali tra prestazioni/servizi erogati nel medio-lungo termine in ambito sanitario (gratuitamente o quasi per l'utente, indipendentemente dal reddito; si veda ad esempio la reiterata «lungodegenza» inclusa nel livello ospedaliero, oppure anche l'assistenza dorniciliare, del tutto e sempre gratuita se di tipo sanitario), in ambito sociale (assistenza residenziale per gli anziani non auto sufficienti, dal costo fortemente dipendente dal reddito della persona o dei civilmente obbligati) o in ambito sociosanitario (mix tra le due situazioni). - Compatibili con l'allocazione delle risorse negli altri settori del sistema di protezione e benessere sociale (al di fuori di quelli peculiarmente «socioassistenziali», ad esempio casa, trasporti, viabilità, lavoro, istruzione, previdenza ecc.).
I livelli sono di “assistenza” e non di “spesa” Da quanto fin qui esposto si dovrebbe poter facilmente evincere che si tratta dunque di livelli essenziali di assistenza e non certo di spesa; la spesa dovrebbe seguire infatti la determinazione dei bisogni e delle modalità di loro copertura, collegandosi alla scelta di assicurare le risorse necessarie ex ante, non ex posto. Dovrebbero quindi essere livelli di spesa comunque garantiti per «quella» determinata tipologia di bisogno e conseguente assistenza, individuata e qualificata come irrinunciabile. Altro discorso è invece identificare gli standard organizzativi di produzione ed erogazione dei servizi quale momento di controllo della spesa e conseguente possibile contenimento dei costi. Tuttavia, a questo proposito è necessario introdurre non solamente indicatori di struttura e di processo (da rendere obbligatori da subito), ma anche di esito (outcome) di tali azioni, da adottare eventualmente in una fase successiva, a funzionamento consolidato dei servizi.- Ma verso quale assistenza? Nel seminario si è posto l'accento su: assistenza come insieme coordinato continuativo unitario e globale di azioni positive sulla(e) persona(e) - quindi integrate tra di loro - svolte da vari settori produttivi; senz'altro da quello istituzionale - sanitario, sociale, socio sanitario - ma anche da quello informale (terzo settore). Le prestazioni e i servizi considerati nei <<livelli»elencati nelle tabelle della Gu devono infatti costituire un insieme unitario incluso in un «contenitore» unico e coerente, in cui queste reciprocamente si correlano, interagiscono e si integrano, con il fine ultimo di farli giungere in maniera unitaria alle persone con bisogni complessi (ovvero prestazioni inscindibilmente legate tra loro, spesso indistinguibilmente a rilevanza sociale o sanitaria). Il decreto ministeriale individua tali azioni appartenenti a tre macro ambiti, da cui ne discende l'obbligo di ricollocare e saper riconoscere al loro interno ciascuna delle prestazioni erogate da un servizio/struttura: ambulatoriale o domiciliare; residenziale; semiresidenziale-intermedio. Tuttavia, i partecipanti al seminario suggeriscono di aggiungere un quarto macroambito, di pari rilevanza: prevenzione sulla collettività. Al momento non è stabilito in quale area organizzativa si posizioni e con quale copertura finanziaria, ma in esso già si identificano dei microlivelli di ambito di intervento (ad esempio in specifici gruppi di persone: anziani, minori, disabili ecc.). Assistenza in quanto attiene ad attività agite nell'ambito di un'organizzazione a questo scopo dedicata, volta a dare risposte concrete, appartenente a un particolare settore produttivo di servizi alle persone, in cui è richiesta la presenza di specifiche competenze tecnico professionali (il concetto collegato è quello dell'accreditamento); poiché ci troviamo nel subsistema sociosanitario, necessariamente l'integrazione diventa prerequisito ed elemento cruciale, strumento irrinunciabile per la continuità delle cure. Assistenza come organizzazione dell'offerta (output) coerente con le risorse e i fattori produttivi impiegati (input) ma, fattore innovativo, in grado di misurare gli esiti attesi (outcome). A riguardo si è rilevato che l'offerta dei servizi sociali e sociosanitari inclusi nei Lea deve oggi soprattutto risolvere l'ostacolo del «fattore tempo di intervento»: la tempestività delle azioni, il pronto intervento per una concreta capacità di (re)agire in modo contestualmente conseguente all'insorgenza dello stato di bisogno in persone che spesso non possono attendere il sostegno e la protezione.
Lea: le precauzioni d’uso È stato altresì rilevato che questa lista di «cose da includere» (ben più difficile da compilare rispetto a una «lista negativa» di pratiche escluse) genera il rischio di andare (tornare) verso una logica di intervento frammentato, esasperata dalle divisioni sorte nella ripartizione di copertura dei costi tra aziende Usl comuni-utenti. Questo è un palese ostacolo a un processo di integrazione socio sanitaria che, in linea molto generale, può trovare compensazione in due direzioni. - Nella creazione di fondi sanitari e sociali riunificati, perlomeno per aree di bisogno, a seguito di deleghe o specifici accordi di programma (richiamandosi ad esempio alle aree ad alta integrazione), o di qualsiasi altro atto istituzionale finalizzato a realizzare una gestione unitaria dei servizi (vedi ad esempio, per quelli sociali, l'art. 8, c. 3, della legge n. 328/00). Quantomeno vanno identificate le responsabilità sul caso, ferma restando la presa in carico globale e unitaria. In questa logica potrebbero sorgere i fondi integrativi con l'intervento degli enti locali o altre organizzazioni pubbliche. - Nell'immissione dei Lea in una forte logica programmatoria (ad esempio piano di zona, programma delle attività territoriali o, meglio, nel piano di salute integrato) che conferisce maggiori possibilità di tentare di governare i costi e le spese rispetto ai risultati attesi.
Una questione di diritti e non di contenimento La definizione dei Lea sociosanitari, lungi dal rassicurare i decisori politici e gli amministratori sull'efficace contenimento dei costi e delle spese, rappresenta una vicenda che deve riportare alla ribalta i diritti «dimenticati», l'obbligo di decidere su cosa il nostro sistema di we!fare vuole dare e fare, soprattutto per le categorie di persone in condizioni di svantaggio. Per operatori e cittadini partecipare alle scelte e decisioni significa anche muoversi in sintonia e con linguaggi condivisi. Attendiamo gli sviluppi del dibattito. |
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