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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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La Legge 68/99: i compiti della scuola

Maria Giovanna Cantoni

 

1. Come si è arrivati alla legge n.68/99?

1.1. Rispondere a questa domanda significa cercare di capire come e quando e quanto sono cambiate nel nostro Paese la cultura dell’ handicap e soprattutto come è cambiata la concezione delle persone disabili.

La storia incomincia all’inizio di questo secolo: si tratta di una evoluzione lenta, complessa, frammentaria, a volte contraddittoria che soltanto con molta buona volontà possiamo considerare a favore dei disabili.

Se leggiamo i testi legislativi, anche recenti,che in qualche modo riguardano i cittadini in situazione di handicap, notiamo facilmente con quanti altri termini essi siano stati e vengano ancora indicati (mutilati, invalidi, subnormali, minorati, disabili, diversamente abili, portatori di menomazioni fisiche e sensoriali, etc.)

La proliferazione di queste diverse denominazioni è certamente un indicatore del modo disorganico e lacunoso con cui si è sviluppata la legislazione sociale a loro favore. Lo stesso continuo ricorso nel passato alla terminologia anglosassone riprodotta letteralmente in articoli di legge, è sintomatico di una carenza lessicale e quindi di una scarsa elaborazione concettuale a livello giuridico delle attese e dei bisogni delle persone in difficoltà; a tale proposito basti considerare che termini quali "portatore di handicap", "persona handicappata" sono apparsi solo di recente e hanno trovato una prima definizione di carattere giuridico nella legge-quadro 104/92. (1)

1.2. La normativa a favore delle persone disabili inizia a svilupparsi nel corso dei primi decenni del Novecento e si struttura subito come un sistema che procede in maniera separata e non senza contraddizioni, rispetto alla evoluzione della legislazione sociale.

Alla logica della separazione risponde anche la prima normativa che si occupa del settore scolastico

Le prime leggi che sanciscono l’istruzione obbligatoria ai minori non si preoccupano affatto degli allievi disabili: nella legge Casati (1850) che in quelle successive - Cuppino (1877) Orlando (1904), Credaro (1911) - non si riscontra alcuna disposizione che riguardagli alunni in difficoltà fisichee psichiche.

IL primo intervento dello Stato in materia di istruzione ai minori "anormali" risale alla riforma Gentile del 1923Il R.D.31 dicembre 1923 n.3126 affronta il problema della istruzione dei ciechi e dei sordomuti prevedendo la loro frequenza obbligatoria in apposite istituzioni scolastiche.

Nel 1928 il conseguente T.U. delle leggi sulla istruzione elementare, approvato con R.D.572/1928 n.577, ribadisce negli art.175 e 176 l’obbligo scolastico per i privi della vista, da impartirsi in scuole speciali e detta norme per l’istituzione di classi differenziali. In queste classi, come si precisa in una successiva disposizione dello stesso anno, potevano essere accolti anche alunni che manifestavano atti di indisciplina, le cui cause potevano derivare da anomalie e psichiche(2).

In quegli stessi anni e precisamente nel 1917, viene emanata la prima legge sull’assunzione obbligatoria riguardante i mutilati e invalidi di guerra. Questa disposizione fu promulgata per favorire il reinserimento di coloro che avevano riportato gravi menomazioni nella guerra, ma forse anche per la necessità di poter utilizzare i mutilati e gli invalidi in un periodo di crisi di manodopera.

A questa normativa seguì la legge n.1132 del 21 agosto 1924 modificata e ed estesa nel 1950 e nel 1963, che stabiliva per gli imprenditori pubblici le percentuali di invalidi di guerra da assumere obbligatoriamente.

Una gran parte delle politiche a favore dei disabili per quanto concerne il lavoro, sono state affrontate facendo ricorso ad una molteplicità di strumenti , utilizzati in modo vario, a seconda delle situazioni storiche, occupazionali e di contesto. Il principale strumento utilizzato in Italia, per l’inserimento lavorativo, è un’imposizione di obblighi alle imprese previsti anche dalla legge.

Si affermano così criteri e linee d’intervento che resteranno immutate nei decenni seguenti e che guideranno tutta la successiva legislazione e, in parte, quella tuttora vigente

Le caratteristiche fondamentali della legislazione di questo primo periodo sono:

la legittimazione della separazione dei disabili dal contesto sociale

la monetizzazione dell’handicap

la divisione dei cittadini con handicap in categorie.

1.3. La Costituzione Repubblicana sancisce diritti civili uguali per tutti e disposizioni a favore dei disabili. Queste norme non trovano completo riscontro nella legislazione ordinaria dove sono presenti solo provvedimenti settoriali e specifici(3).

1.4. Fino agli anni sessanta l'educazione e l'istruzione degli alunni disabili avveniva nelle scuole speciali, generalmente gestite da privati o da religiosi e anche dallo Stato italiano.

Spesso queste scuole speciali erano abbinate a istituti dove i giovani disabili entravano, ancora piccolissimi, lasciando la famiglia e il paese di origine.

I giovani crescevano con molte cure tese all'autonomia della persona, lontano dalla famiglia e dal loro ambiente d’origine; per anni e anni vivevano solamente con altri disabili.

Solo pochissimi giovani disabili erano ritenuti "educabili":fra questi la quasi totalità erano disabili con deficit visivo, uditivo e raramente motorio.

Quelli non educabili erano destinati a vegetare negli istituti per disabili fino al termine dei loro giorni

La contestazione giovanile del sessantotto, che mise in discussione tutta l'emarginazione, e le battaglie condotte da Basaglia contro l'"istituzione totale" portarono in luce la situazione di emarginazione in cui vivevano i disabili nelle scuole speciali".

I dibattiti, gli interventi, le battaglie condotte dai disabili e dalle loro associazioni testimoniano che quegli anni furono veramente gli anni della speranza o della utopia egualitaria alla insegna del desiderio di realizzare anche per i disabili il dettato costituzionale, cioè di realizzare la scuola di tutti e di ciascuno, una scuola che fornisse a tutti pari opportunità e il diritto al lavoro.

Una particolare importanza la rivestì,in quel periodo, il libro "Lettera ad una professoressa" scritto dai ragazzi che frequentavano la scuola di Barbiana.

La scuola di Barbiana era la scuola dove il ragazzino disabile sedeva al posto d'onore: vicino a don Milani, il priore di Barbiana.

Scrivono i ragazzi (4): "Abbiamo visto anche noi che con loro (i disabili) la scuola diventa più difficile: qualche volta viene la tentazione di levarseli di torno. Ma se si perde loro, la scuola non è più scuola è un ospedale che cura i sani e respinge i malati, diventa uno strumento di differenziazione sempre più irrimediabile".

In quel periodo furono tre le battaglie che si condussero non a caso,parallelamente: una per l'integrazione scolastica e il sostegno a favore dei disabili, l'altra per interventi compensativi e di recupero per gli alunni svantaggiati e la terza per la "sicurezza sociale" (5)

Queste battaglie segnarono in modo indelebile il decennio che va dal 1968 al 1977e lo segnarono come il decennio della speranza.

A tali speranze diede risposta il Parlamento inserendo nel corpo della legge n.118 del 30 marzo 1971 l'articolo 28 (6) e promulgando la legge n.821/ e la legge n.482/68,nota, quest’ultima, come la legge sul collocamento obbligatorio. Questa ultima legge aveva recepito la vecchia ’impostazione legislativa risalente al Regio Decreto n.1032/che prevedeva l’assunzione obbligatoria di invalidi e mutilati di guerra.

La legge n.482/68 introduceva il concetto che i disabili hanno diritto all’inserimento lavorativo con l’acquisizione di un ruolo attivo nella società In particolare questa legge :

coordinava in un unico testo tutta la produzione legislativa precedente del periodo che va dal 1947 al 1967, articolata secondo un criterio di rigida categorizzazione (mutilati ed invalidi del lavoro, privi della vista, sordomuti, ex tubercolotici, mutilati ed invalidi civili)

perseguiva l’inserimento del disabile prevedendo l’unicità dell’aliquota impositiva per aziende pubbliche e private con più di 35 dipendenti,

dava la possibilità di ricorrere a soggetti di altre categorie se erano assenti quelli della categoria interessata,

individuava in un organo di collocamento in cui sono presenti sia le associazioni degli aventi diritto che degli obbligati.

Nel 1975, proprio dopo la pubblicazione dello storico documento Falcucci che poneva le basi culturali per l’ormai matura e piena integrazione dei disabili nella scuola di tutti e contemporaneamente alla emanazione del D.P.R.970/75 che istituiva i corsi biennali di specializzazione per la formazione più qualificata dei docenti di sostegno, in un crescendo di dibattiti e di battaglie nella e sulla scuola a favore dei diversi - handicappati e svantaggiati- emergono le prime sollecitazioni a modificare la legge n.482/68. ormai divenuta obsoleta e gestita burocraticamente e non accettata persino dagli imprenditori che sarebbero stati disponibili all’inserimento lavorativo.(7)

Si assisteva alla evasione agli obblighi da parte di imprese in presenza di meccanismi poco certi e di modeste sanzioni.

Si registrava la presentazione di numerose richieste di esonero parziale o totale al Ministero del Lavoro ottenendo immediatamente la sospensiva dell’avviamento sino alla definizione della richiesta.

Era diffusa l’abitudine di chiedere la risoluzione del rapporto di lavoro in via conciliare prima che tale rapporto si instaurasse, concordando con il soggetto avviato la rinuncia al diritto (questo riacquista la sua posizione di disoccupato e l’azienda non incorre in sanzioni).

Nel 1975 in un convegno si chiede la modificazione della legge perché:

non poteva essere collegata alla formazione professionale

aveva una impostazione burocratica

era impositiva, mentre già allora si riteneva che occorresse agire in una logica di sostegno e di promozione

Eera poco efficace.

In tutti questi anni mentre si registravano una serie di opportunità lavorative mancate anche a causa della legge vincolistica , nella scuola l’integrazione avanza con alterne vicende, si muove con cautela e realismo in considerazione delle non poche difficoltà che il processo di integrazione incontra(8), in altre parole nella scuola avanza, sia nella normativa che nei documenti, un processo di revisione ispirato ad una visione realistica delle difficoltà incontrate.

Nello stesso periodo l’evoluzione della normativa per il lavoro cerca soprattutto di rispondere ai crescenti bisogni assistenziali di cittadini in situazione di svantaggio senza mai valutare le esigenze le abilità, lo status professionale dei disabili in relazione al mondo del lavoro.

1.5. Alla fine degli anni ottanta ci si trova di fronte ad una legislazione vasta, settoriale, disomogenea, frammentaria e largamente inapplicata.

Il quadro normativo risulta sempre più complesso, ma resta poco incisivo per migliorare il processo di integrazione delle persone handicappate.

La specificità delle norme, la carenza di adeguati strumenti applicativi e la modesta responsabilizzazione degli organismi istituzionali competenti alla loro osservanza, sono alcune tra le cause che limitano la piena fruizione dei diritti civili faticosamente riconosciuti.(8).

La crescente consapevolezza di questa situazione evidenzia, in modo sempre più forte, l’esigenza di superare la frammentazione delle leggi non solo nel settore lavorativo, attraverso un unico provvedimento legislativo.

Il dibattito sull’atto legislativo fa emergere due logiche contrastanti:

rispondere alla esigenza di stabilire tutti i diritti dei disabili e coordinare l’attività legislativa delle regioni,

riconsiderare i problemi dei disabili nel contesto della legislazione sociale generale, in quanto rappresentano diritti costituzionali comuni a tutti i cittadini e una normativa specifica potrebbe costituire una discriminazione o una "separazione giuridica". Nel corso del dibattito prevale la prima concezione. Si formula una legge di indirizzo che definisce i diritti delle persone disabili e coordina l’attività delle regioni. Dopo un iter lungo e faticoso il Parlamento approva la legge – quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate: la legge. n.104 del 5 febbraio 1992.

La promulgazione della legge fu seguita da un ampio dibattito sui limiti e sulle possibilità che la legge apriva. Tutti però riconobbero all’atto legislativo il merito di esprimere una concezione sociale della persona con handicap al passo con i tempi e diil porre, per la prima volta nel nostro Paese, al centro la persona nella sua globalità, indipendentemente dallo stato e dal tipo di handicap in cui si trova: un approccio innovativo che considera la persona disabile nel suo sviluppo unitario dalla nascita, alla presenza in famiglia, nella scuola, nel lavoro, nel tempo libero segnando di fatto per le persone disabili il passaggio dallo stato assistenziale allo stato sociale.(9)

Inoltre con la sua entrata in vigore, la legge n.104/92 ha avviato un processo di coinvolgimento sulla realtà dell’ handicap che ha interessato le diverse amministrazioni centrali e periferiche dello Stato e ha offerto nuovi spazi e nuove opportunità alle forze dell’associazionismo,del volontariato e del privato sociale.

Sul versante istituzionale e organizzativo la legge rappresenta il superamento di una situazione contraddistinta da una ormai cronica frammentazione delle competenze e dalla settorialità delle prestazioni, segnando, come si è detto, il passaggio dallo stato assistenziale allo stato sociale. Il testo infatti nel ridefinire e regolamentare a livello nazionale l’insieme delle norme per tutelare la dignità della persona handicappata prevede il coinvolgimento delle istituzioni sociali all’interno di una struttura integrata di rapporti.

Nel nostro Paese, fin dall’inizio degli anni settanta, l’evoluzione della legislazione statale è stata accompagnata da una crescente produzione normativa a livello regionale che ha avuto il suo culmine negli anni 1980/90.E’ in questo periodo che le regioni incominciano a dotarsi di leggi di carattere generale sulla problematica dell’ handicap: sono leggi che tutelano i disabili in vari campi della vita sociale e riguardano particolari esigenze come il diritto allo studio, la formazione professionale, l’inserimento lavorativo, l’eliminazione delle barriere architettoniche, i trasporti, etc.

E’ una normativa, quella regionale, che si presenta a scacchiera,cioè completa e avanzata in alcune regioni e carente in altre.

Una caratteristica è la presenza in diverse regioni non solo di leggi analoghe, ma addirittura di identiche norme. Si trova verifica che disposizioni promulgate da alcune regioni vengano riprese da altre per quanto concerne la finalità e la tipologia degli interventi. Non mancano leggi regionali nelle quali sono stati accolti interi articoli di provvedimenti emanati in altre regioni.(10)

La normativa regionale nel maggior parte dei casi, manifesta caratteri innovativi nei confronti della legislazione nazionale.

In particolare diverse normative cercano di integrare disposizioni in vigore a livello nazionale e di superare alcuni limiti di applicazione, .ad esempio nell’inserimento lavorativo. (12)

I vari modelli di inserimento lavorativo a livello locale, le esperienze realizzate in alcune regioni che si sono potute realizzate sulla base delle sollecitazioni di diversi gruppi e di associazioni, le richieste sempre più pressanti dei disabili e delle loro associazioni hanno portato alla promulgazione della legge n.68/99 detta la legge "sul collocamento mirato"

Da una prima lettura della legge si riconosce che essa tiene conto delle numerose e significative esperienze d’inserimento lavorativo condotte a livello locale in tutti questi anni. Precisamente

In modo analogo alla norme relative la scuola, si è cercato di riportare a unità la legislazione a favore degli invalidi attenuando le suddivisioni per categorie,

Si è previsto, come per la scuola, l’integrazione attraverso i servizi territoriali di sostegno,

È stato inserito il collocamento mirato con l’utilizzo anche di percorsi formativi,

Si è sostituito , nei confronti delle imprese, all’imposizione un sistema promozionale e premiante (agevolazioni, incentivi, rimborsi spese).

Questa legge, introducendo il concetto di "collocamento mirato", mette in gioco una serie di interlocutori sul territorio che dovrebbero ’offrire’ servizi ed opportunità per una migliore utilizzazione delle professionalità delle persone disabili.

La legge comporta una profonda trasformazione culturale: la realizzazione di servizi per il lavoro efficaci e la gestione degli interventi da parte degli Enti Locali.

.Si prefigura in altre parole un ambiente nel quale sono attivati strumenti di sostegno per il migliore inserimento dei disabili nelle imprese e attività di supporto alle imprese per meglio rendere efficace lo stesso inserimento . Il cambiamento rispetto alla normativa precedente è che l’inserimento non riguarda più solamente l’impresa che ha certamente un obbligo, ma riguarda la società di cui l’impresa è una componente. Attraverso strumenti messi a disposizione dal sociale l’impresa deve trovare risposte necessarie non ad ottemperare ad un obbligo di legge che pure esiste, ma ad assolvere un obiettivo della società di cui fa parte.

 

2. I giovani e il lavoro

Uno degli obiettivi, che l’U.E. si propone di realizzare, è quello di accrescere le opportunità occupazionali dei giovani disabili,fornendo loro una formazione utile per la crescita civile e lavorativa, cioè si pone l’obiettivo di costruire strumenti didattici e ipotesi di percorsi che servano anche per una prospettiva occupazionale nelle situazioni più problematiche a causa della disabilità.

Per questo è importante sviluppare la consapevolezza che quando le difficoltà appaiono maggiori, maggiore è l’esigenza di ampliare e, articolare le opportunità, di arricchire i contenuti, di moltiplicare i protagonisti , di personalizzare ulteriormente i percorsi formativi. A questo proposito serve una proposta metodologica utile a rinnovare gli investimenti per garantire anche nelle situazioni più complesse, la possibilità del divenire, del cambiamento, del futuro rispetto ad una attesa di integrazione sociale, civile e lavorativa da rendere sempre più realizzabile.

Per sviluppare la possibilità di un progressivo ed effettivo cambiamento e continuare a pensare in termini di futuro possibile è necessario comprendere che le autonomie, le abilità, le competenze si costruiscono insieme ( l’alunno, la scuola e la famiglia, le ASL, gli Enti Locali, le associazioni, etc) esercitandole secondo le esigenze operative e sociali,richieste dai vari contesti.

Per questo dobbiamo considerare il problema del divenire che va oltre la scuola,tenendo presente la condizione di quegli studenti che non sono in grado di confrontarsi in modo autonomo con la futura collocazione lavorativa.

Le recenti norme (13) sull’autonomia ci permettono di realizzare il necessario allargamento di spazi e di contesti all’interno dei quali sviluppare processi di apprendimento di differenziazione e di identificazione.

Non è questo il luogo per una riflessione e un confronto sul lavoro e sulla cultura e la socialità che lo caratterizzano: ci limitiamo solamente a ricordare che il lavoro, nella epoca attuale, è la condizione per esprimere un alto livello di integrazione sociale. Il lavoro infatti rappresenta un essenziale punto di collegamento alla società, rappresenta anche l’appartenenza strutturante, il collegamento fondamentale tra i destini individuali e i destini collettivi, la reciprocità e la complementarità tipica di una identità adulta.

Per questo motivo il progetto formativo e il progetto di vita devono misurarsi con i processi che conducono al lavoro

Sono processi legati ad insopprimibili esigenze di crescita vitale, che assumono particolari significati perché il lavoro è un formidabile fattore di autonomia in grado di influenzare diversi aspetti della vita economica, sociale e relazionale: il lavoro incide profondamente sulla qualità globale di vita di ogni persona, in particolare sulla qualità della vita della persona handicappata. Tuttavia il lavoro nel nostro caso, appartiene alla dimensione del divenire, del futuro e questo ci rimanda ai temi della possibilità o meno del futuro nella dimensione del lavoro.

Questo futuro è legato anche alle nostre rappresentazioni del disabile rispetto al lavoro che non sono sempre positive.

Alcuni ritengono che l’inserimento lavorativo di una persona disabile venga ritenuto possibile solo se lo si riduce a poche e limitate opportunità, collegate al deficit (ad esempio, l’essere centralinisti o musicisti o fisioterapisti per i ciechi ) e non invece connesse al mercato del lavoro, il quale presenta una vasta gamma di possibilità.

Altri lo intendono in un’ottica assistenziale nel senso di un dovere etico o di un tributo sociale comunque di una scelta che ha poco a che fare con le esigenze che sono ritenute proprie della produzione.Questie modialità di pensare l’inserimento lavorativo o il lavoro , evidenziano gli aspetti conflittuali della relazione disabile – lavoro e impediscono, di fatto, la ricerca di possibilità più ampie.

E’ importante agire su queste rappresentazioni per modificarle, costruendo le premesse per rendere possibile la prospettiva del lavoro anche alla persona disabile, cioè operando sia nella direzione di preparare utili percorsi formativi sia nella direzione della diffusione della cultura dell’integrazione e della diversità intesa come risorsa.

Questo significa andare oltre la concezione che considera la persona handicappata come soggetto da inserire la cui identità si esaurisce nell’identità dell’"inserito"

Questa concezione è molto rischiosa perché lascia in qualche modo intendere che in futuro continuerà a dipendere più dalle leggi e meno dall’impegno personale.

Occorre invece considerare la persona handicappata nel suo divenire e quindi concentrare l’attenzione sul ruolo che ciascuno è chiamato a ricoprire proprio in forza di questo suo divenire.

Questo è molto importante per la scuola.

Infatti la corte Costituzionale (Sentenza n.215/88) ha affermato che l’inserimento e l’integrazione nella scuola sino ai gradi più elevati ha fondamentale importanza al fine di favorire il recupero di tali soggetti giacché la partecipazione al processo educativo costituisce un rilevante fattore di socialipzzazione che può contribuire in modo decisivo a stimolare le potenzialità dello svantaggiato al fine di dispiegarsi di quelle sollecitazioni psicologiche atte a migliorare i processi di apprendimento di comunicazione e di relazione attraverso la progressiva riduzione dei condizionamenti indotti dalla minorazione. Inoltre la Sentenza n.216/87 afferma che garantire al disabile tale possibilità anche attraverso l’istruzione superiore corrisponde ad una precisa direttiva costituzionale.

Inoltre: la frequenza scolastica insieme alle pratiche di cure e di riabilitazione ed il proficuo inserimento nella famiglia sono un essenziale fattore di recupero del disabile e di superamento della sua emarginazione in un complesso intreccio in cui ciascuno di tali elementi interagisce sull’altro e . se ha evoluzione positiva, può operare in funzione sinergica ai fini del complessivo sviluppo della personalità.

 

3, Il diritto al lavoro dei disabili: la legge n. 68/993

3.1. I destinatari

I destinatari della legge n.68/99 sono (art.1,comma 1):

a. le persone in età lavorativa affette da minorazioni fisiche, psichiche, sensoriali ed i portatori di handicap intellettivo che comportino una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%;

b. le persone invalide del lavoro con grado di invalidità superiore al 33%;

c. le persone non vedenti o sordomute;

d. le persone invalide di guerra, invalide civili e invalide per servizio;

Ai sensi dell’art.18 comma 2 si continua ancora a contemplare (anche se transitoriamente) tra gli aventi diritto al collocamento obbligatorio l’ampia platea di soggetti non invalidi già presa in considerazione nel "vecchio" sistema di collocamento obbligatorio: i vecchi soggetti beneficiari non invalidi (orfani, vedove, profughi, etc.) restano pertanto ancora tali, sia pure secondo modalità distinte e meno favorevoli di quelle riferite ai disabili, dovendo accontentarsi dell’"ingresso di servizio"ad essi garantito quasi clandestinamente dall’art.18 comma 2.

Tutti i disabili aventi diritto di avvalersi della legge n. 68/99 VALEdevono, se risultano disoccupati, iscriversi in un apposito elenco con una unica graduatoria. Le Regioni devono definire le modalità di valutazione degli elementi che concorrono alla formazione della graduatoria . Per ogni persona che si iscrive nell’elenco (art. 8) vengono compilate due apposite schede : la scheda socio-professionale, ove si annotano le capacità lavorative, le abilità, le competenze e le inclinazioni, la scheda diagnostica,che rileva con la natura e il grado di minorazione.(13)

A questo proposito è utile richiamare la C.M.del20 luglio 2001 n.125 relativa alle certificazioni degli alunni in situazione di handicap. Questa circolare prevede che agli alunni disabili che non sono in grado di conseguire il titolo di qualifica professionale o di maestro d’arte, venga rilasciato un credito formativo. Alla circolare è allegata la modulistica per il rilascio della certificazione. Tale modulistica è in grado di

descrivere le competenze e le capacità acquisite dall’alunno disabile, indicando in quale contesto tali competenze e tali capacità possono realizzarsi;

permettere al servizio informativo per il Lavoro (SIL), all’ufficio di collocamento ed ai nuovi Servizi per l’impiego di leggere le competenze e le capacità conseguite dall’alunno disabile e quindi di avere la possibilità di offrire un lavoro il più rispondente possibile alle reali capacità dell’alunno;

fornire ad datore di lavoro informazioni chiare e univoche sulle capacità possedute dall’alunno disabile e su come tali capacità possono esplicarsi.

Significativo della situazione italiana è il fatto che gli uffici competenti per il collocamento obbligatorio ignorino le certificazioni scolastiche e le che le scuole non abbiano idea a che cosa servano le certificazioni che rilasciano. A questo si aggiunge il fatto che anche la formazione professionale regionale rilascia delle certificazioni di competenze. I linguaggi delle diverse certificazioni – statali e regionali - non solo non sono omogenei, ma sono difficilmente comparabili e questo porta per i ragazzi disabili, che vogliono passare da un sistema all’altro o che vogliono proseguire la formazione in un sistema differente. inutili e frustanti ripetenze.

3.2. IL "Collocamento mirato"

Per "collocamento mirato" s’intende quella serie di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto, attraverso l’analisi dei posti di lavoro,forme di sostegno, azioni positive e soluzioni dei problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro.(art.2)

La legge ha accolto le osservazioni formulate da una vasta letteratura che sottolinea l’importanza di valorizzare, al fine della realizzazione dell’inserimento lavorativo, le "capacità residue" dei disabili e l’utilità di una migliore interazione con l’organizzazione del lavoro datoriale.Un passo in questa ultima direzione è l’accesso ai "prospetti" delle aziende,resi pubblici dalle province. I n questi "prospetti sono indicati i posti disponibili nelle aziende e ciascun disabile può trovarvi indicazioni in base alla coerenza di qualifica alla convenienza logistica come pure in base a dirette conoscenze dei datori di lavoro o dell’ambiente lavorativo.,Inserire: Prospetti

Inoltre,sSecondo questea normea, l’ufficio competente deve utilizzare l’analisi dei posti di lavoro per una corretta assegnazione. Anche la scuola, per perseguire l’obiettivo di fornire competenze utili per un inserimento lavorativo, deve partire dal dato esperienziale (?) legato alla concretezza della situazione lavorativa, deve partire cioè dalla dall’analisi del posto di lavoro

Il lavoro è una realtà complessa: dentro al lavoro s’incontrano e s’intrecciano innumerevoli abilità: abilità riferibili alla capacità di leggere, interpretare e comunicare dati e informazioni, abilità di utilizzare strumenti e tecnologie, abilità nello svolgere controlli e di apportare correzioni. Capacità di riconoscersi e di relazionarsi all’interno di un sistema complesso di regole.

Questi e altri ancora sono gli aspetti che assume un processo lavorativo.

Per la scuola (124) i contenuti di un processo lavorativo non deprimono, come a volte si pensa, gli aspetti cognitivi della attività formativa. Viceversa all’interno di una corretta visione programmatica è possibile cogliere nelle azioni legate ai processi lavorativi elementi e circostanze che possono stimolare e valorizzare il progetto formativo considerato nella sua interezza.

IL progetto CIGNO(135) suggerisce un percorso per sviluppare questo approccio metodologico, aiutando l’allievo a dotarsi delle competenze idonee allo svolgimento di una attività lavorativa ed a costruirsi progressivamente l’immagine di un lavoro possibile.

Allo stato attuale della ricerca sono presenti sull’analisi del lavoro ampie bibliografie che contengono molteplici modelli , svariate metodologie e numerose tecniche di applicazione, caratterizzate spesso da alti livelli di sofisticazione. Non è mio compito esaminare queste metodologie, che pur partendo da un campo di indagine comune ( il lavoro) si diversificano in modi più o meno significativi, ma è quello di indicare il modello di analisi scelto dalla maggioranza degli istituti professionali(164).

Le ragioni della scelta sono molte: fra queste c’è il fatto che il modello di analisi proposto permette di realizzare percorsi formativi centrati sulle competenze e utilizzabili in modo ampio e generalizzato con riferimento a diversi settori e comparti produttivi ed a diversi contesti aziendali.(15)

I progetti di percorsi lavorativi in uso presso gli istituti professionali partono dalla analisi dei processi e non dalla analisi delle prestazioni.

L’analisi delle prestazioni, intese come analisi dei compiti specifici sembra presentare una maggior aderenza al contesto del lavoro, ma ad un esame approfondito appare che tale analisi non solo non riesce a fornire alla scuola strumenti utili per costruire un percorso formativo,ma può condurre invece a percorsi addestrativi.(176). Spiegare la differenza

3.3. Gli obbligati

Per quel che riguarda i soggetti obbligati la legge attenua il vincolo che, in precedenza, riguardava le imprese. Infatti i datori di lavoro pubblici e privati sono chiamati ad assumere :Il 7% dei lavoratori occupati se occupano più di 50 dipendenti

Due lavoratori se occupano da 36 a 50 dipendenti

Un lavoratore se occupano da 15 a un dipendente

La tabella sotto riportata indica la situazione nei vari Paesi europei

Tab.1.Percentuale d’obbligo di assunzione nei Paesi europei

Italia

7%

Francia e Germania

6%

Inghilterra

3%

Spagna

2%

(da : Istruzione formazione lavoro - Rapporto 1999 Regione Emilia-Romagna, pag. : 486

In alcune nazioni del centro e del Nord d’Europa tale percentuale è del tutto assente, grazie al fatto che il lavoro delle persone disabili è garantito da una forte tradizione di solidarietà sociale, dagli incentivi economici, da un adeguato sistema di formazione professionale, e da una costante azione di promozione e di informazione.

I criteri del computo dei dipendenti sui quali applicare la percentuale è dettato da disposizioni regolate dall’art.3 della legge. Nell’art.4 sono indicati invece i criteri per il computo del numero dei disabili da assumere; al comma 3 di tale articolo si precisa che i disabili dipendenti possono essere occupati a domicilio con modalità di telelavoro.(187)

IL riferimento al telelavoro presenta una possibilità molto interessante di svolgimento della prestazione lavorativa per molte persone disabili. Non vanno però sottovalutati i rischi di isolamento sociale che a tale modalità di esecuzione della prestazione pure si connettono.

3.4. Le convenzioni

Nella legge si concede largo spazio allo strumento delle convenzioni.

La convenzione è regolata all’art.11 – a differenza di quella già prevista dall’art.17 della legge Nazionale 56/1987, cui l’ordinamento conferiva funzioni eminentemente derogatorie - rappresenta una alternativa vera e propria all’adempimento dell’obbligo tramite "richiesta di avviamento" .

Si giunge addirittura nell’art.11 a fare riferimento a due tipologie di convenzioni differenti:

la prima,è stipulata al fine di favorire l’inserimento lavorativo dei disabili "attraverso la determinazione di un programma mirante al conseguimento degli obiettivi occupazionali" (art.11 comma 1) ;

la seconda detta di "integrazione lavorativa", è stipulata per l’avviamento al lavoro di disabili che presentino particolari caratteristiche e difficoltà d’inserimento nel ciclo lavorativo ordinario.( art.11 , comma 4).

In entrambe le convenzioni devono essere stabiliti i tempi e le modalità delle assunzioni che il datore di lavoro si impegna ad effettuare.

Quanto alle modalità e ai contenuti si concede una larghissima discrezionalità di determinazione essendo , ad esempio, inserito fra queste anche la facoltà di scelta nominativa, lo svolgimento di tirocini con finalità formative, l’ assunzione con contratto di lavoro a termine, lo svolgimento di periodi di prova più ampi di quelli previsti dal contratto collettivo, Si giunge addirittura a consentire deroghe ai limiti di età e di durata dei contratti di formazione e lavoro e di apprendistato se sono giustificate da specifici progetti. ( Art.11 comma 6)

La convenzione consente alle parti interessate una ampia libertà di determinazione, restando gli "uffici competenti" garanti esclusivi della correttezza dei differenti percorsi di volta in volta progettati. Si può forse affermare, in definitiva, che esiste finalmente la possibilità di realizzare percorsi personalizzati verso il lavoro che superino le vecchie rigidità tuttora connesse alla richiesta di avviamento al lavoro poiché pare che alle convenzioni ci sia un oggettivo interesse anche da parte dei datori di lavoro.

La legge introduce poi anche una terza tipologia di convenzioni (art.12) che costituisce, a mio parere. un esperimento ancora più audace e dirompente rispetto ai canoni tradizionali, consistendo in una sorta di vero e proprio trasferimento a terzi, diversi dai soggetti obbligati, della fase di "professionalizzazione" e "socializzazione al lavoro" del disabile, pur mantenendosi il rapporto diretto fra datore obbligato e lavoratore disabile e per un tempo determinato.

Il caso particolare che emerge, nella dissociazione tra titolarità formale del rapporto ed utilizzo della prestazione di lavoro, viene a costituire una sorta di ipotesi ulteriore ed assai speciale di lavoro temporaneo (189). Di questa operazione sono protagoniste le cooperative sociali di tipo b che svolgono una attività finalizzata all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate . L’art.12 fa pure riferimento, accanto alle cooperative sociali, a " disabili liberi professionisti anche se operanti con ditta individuale".

L’art. 12 inoltre consente la stipulazione di convenzioni a tre (uffici competenti, datori di lavoro, cooperativa sociale o disabili liberi professionisti) finalizzata all’inserimento temporaneo del disabile presso le cooperative sociali o i liberi professionisti disabili , invece che presso i datori obbligati in cambio questi ultimi, si impegnano ad affidare commesse di lavoro a chi appunto provvede al primo inserimento dei disabili.

La parte restante dell’art.12 è dedicata ad una serie di cautele con cui si circonda l’utilizzo dell’istituto: la convenzione è in particolare subordinata alla

alla contestuale assunzione a tempo indeterminato del disabile da parte del datore di lavoro

Si stabilisce anche che " l’ammontare delle commesse, che il datore di lavora si impegna ad affidare alla cooperativa o al libero professionista disabile, non deve essere inferiore a quello che consente alla cooperativa stessa o al libero professionista dei applicare la parte normativa e retributiva dei contratti collettivi nazionali di lavoro ivi compresi gli oneri previdenziali e assistenziali, e di svolgere le funzioni finalizzate all’inserimento lavorativo dei disabili ( comma l).

E’ però mia impressione che nonostante i risvolti positivi si continui a considerare il disabile non una persona ma un oggetto sul quale si fanno convenzioni trilaterali, si programmano sofisticati percorsi verso un lavoro scelto da altri con le migliori intenzioni del mondo, abbia come conseguenza, nella migliore delle ipotesi, una formazione priva di creatività, di flessibilità, di disponibilità al cambiamento, di capacità di entrare anche autonomamente e attivamente nel mondo del lavoro ma fornisca una "insegnata" mentalità passiva , permanentemente in attesa che altri progettino e che dicano cosa fare, dove e quando..

Questo definisce il disabile come colui che deve passivamente apprendere nozioni e tecniche senza aver la consapevolezza dell’itinerario che lui ha determinato con i suoi metodi, i suoi errori, i suoi successi ed i suoi insuccessi, con lo sviluppo e la realizzazione delle competenze conseguite.

"Pensami adulto" è la parola d’ordine che le scuole secondarie superiori hanno adottato per la progettazioni di percorsi verso il lavoro(2019) che significa non solo che gli alunni devono essere rispettati nella loro autenticità e nella loro originalità, ma anche che devono essere coinvolti nelle scelte che li riguardano, come la preparazione del "progetto di vita".

L’iniziativa di formazione , infatti, va considerata come un insieme di occasioni per far vivere esperienze che vanno al di là di una mera formazione professionale, occasioni per esistere da protagonisti, per ritrovare una propria originalità, per farla diventare oggetto di scambio, di relazione, di cambiamento, per ritrovare nell’altro la conferma della propria esistenza. Un tale percorso scuola-lavoro significa proporre all’alunno disabile più obiettivi, più punti di partenza, più punti di arrivo; questo non significa frammentare il percorso, ma collocare il percorso didattico in una realtà sistemica dove sono possibili più accessi, più itinerari, più punti di arrivo.

Infatti l’acquisizione di abilità, di conoscenze, non è mai un processo lineare, sommatoriosommatorio, rettilineo: è un percorso ricco di occasioni con molte opportunità, con possibilità di strade laterali, con anche la presenza di panchine su cui riposarsi per ammirare il cammino fatto, gli ostacoli superati e per riprendere con entusiasmo la strada.

3.5. Il ruolo dei servizi per l’inserimento lavorativo

I servizi per l’inserimento lavorativo dei disabili sono individuati dalle Regioni, hanno il compito di attuare la legge n.68/99 e sono chiamati a svolgere funzioni di programmazione, di attuazione, di verifica degli interventi volti a favorire l’inserimento dei disabili nonché compiti di ’avviamento lavorativo, di tenuta delle liste, di rilascio delle autorizzazioni e degli esoneri e delle compensazioni territoriali, della stipula delle convenzioni e infine della’ attuazione del collocamento mirato ( art.4).

Si tratta di competenze che la legge affida alle province (210) ; non va però dimenticato che compiti di politica del lavoro, tra i quali rientrano precisi riferimenti all’inserimento lavorativo di categorie svantaggiate, possono vedere un intervento diretto, nella programmazione , della Regione.

In ambito provinciale, in ogni caso viene costituito all’interno dell’apposito organismo chiamato a svolgere compiti e funzioni già appartenenti alla commissione provinciale per il collocamento obbligatorio, un "comitato tecnico" composto da funzionari ed esperti del settore sociale e medico-legale. A tale comitato si affidano importanti compiti relativi alla valutazione delle residue capacità lavorative, alla definizione degli strumenti e delle prestazioni atti all’inserimento e alla predisposizione dei controlli periodici sulla permanenza delle condizioni di inabilità.

L’art.6 della legge n.68/1999 precisa inoltre "che tali uffici competenti debbano provvedere in raccordo con i servizi sociali, sanitari, educativi e formativi del territorio secondo le specifiche competenze a loro attribuite": emerge quindi un approccio integrato. come richiesto in termini chiari, dalla problematica affrontata.

Il finanziamento dell’intervento regionale poggia soprattutto sul Fondo regionale per l’occupazione dei disabili, da costituire ex art.14 della legge n.68/1999, con apposita legge regionale; le incentivazioni accordate al datore di lavoro, che assume ai sensi dell’art.13. Fanno d’altra parte riferimento al diverso Fondo statale per il diritto al lavoro dei disabili le cui disponibilità sono ripartite tra le Regioni secondo i criteri già definiti dalla Conferenza Stato-Regioni.

Altri rilevanti adempimenti concernenti le Regioni sono previsti a proposito di interventi di riqualificazione professionale ai fini dell’inserimento mirato (art.4 comma 6) nonché della definizione di modalità di valutazione degli elementi che concorrono alla formazione della graduatoria dei disabili che risultano disoccupati.(art.8 comma4).

3.6. L’applicazione della legge n.68/1999.

In alcune regioni la prima fase della applicazione della legge 68/99 sul collocamento mirato sta per essere compiuta.

Notizie, non ancora ufficiali, informano che nelle regioni, (Lombardia . Veneto ed Emilia –Romagna) a regime di occupazione alta, il mercato del lavoro per i giovani disabili presenta meno tensioni che in altre situazioni.

Inoltre, dai dati raccolti, pare che il numero delle persone disabili "effettivamente disponibili" sia sensibilmente inferiore al numero dei posti di lavoro teoricamente messi a disposizione dalle imprese.

La conseguenza è che, sul mercato del lavoro di queste regioni, sono ormai carenti le persone disabili con grado medio di disabilità e di più facile collocabilità nel sistema regionale delle imprese.

Questi dati, comportano

  • la necessità di progettare e sperimentare iniziative finalizzate al collocamento mirato di disabili con elevato grado di difficoltà all’inserimento lavorativo sia per le disabilità sensoriali e motorie (ormai largamente minoritarie) sia per le disabilità psichiche sia per le disabilità intellettive.(221))
  • quella di formare tutor o assistenti o sostegni, cioè persone che sono in grado di sostenere il disabile nel percorso scuola - lavoro, nel lavoro, nel passaggio da un lavoro ad un altro lavoro o nel passaggio dal lavoro alla formazione.

In questa situazione per la scuola è presente l’esigenza di operare in due direzioni: quella di realizzare con gli allievi disabili percorsi scuola – lavoro e scuola -ritorno al lavoro e l’esigenza di formare professionalmente persone che "accompagnino il disabile nel suo percorso formativo e lavorativo" .

4.1. I compiti della scuola

Vale la pena riassumere brevemente i compiti della scuola in riferimento alla legge n.68/1999 che sono stati già indicati in questa nota via via che se ne presentava l’occasione.

La scuola deve

  • Disporre di una adeguata conoscenza del disabile avendo cura di non usare il deficit come unica chiave di accesso alla persona
  • Operare per l’individuazione di requisiti necessari per instaurare e mantenere un rapporto di lavoro , aumentando nel disabile la consapevolezza di sentirsi e di pensarsi come lavoratore ( quindi con la capacità di eseguire mansioni in modo autonomo, con la capacità di autoorganizzarsi, di relazionarsi..)
  • Fare la socializzazione : l’alunno disabile lavora con la classe e la classe lavora con l’alunno disabile.
  • Lavorare per certificare le competenze conseguite dal disabile in modo "trasparente"
  • Imparare ed insegnare a lavorare in gruppo, cioè essere in grado di cooperare

Alla base di questo lavoro vi è l’importanza di riconoscere il vissuto dell’alunno disabile perché tale riconoscimento può guidare la realizzazione della vita adulta nella quale il lavoro costituisce una parte importante, anche se la vita adulta non si limita ad esso.

Infatti non è utile pensare ad un progetto formativo che finalizzi i suoi obiettivi al mercato del lavoro e ordini le sue proposte di apprendimento in sequenza progressiva di insegnamenti, secondo un modello di tipo lineare ed evolutivo, cooptato dal mondo della produzione.

Un percorso di conoscenza riguarda prima di tutto le persone che imparano e sarà significativo per queste solo se riuscirà ad integrarsi nel loro vissuto. Occorre prima di tutto che gli allievi disabili ( e non solo loro), possano scoprire la possibilità di iscrivere gli apprendimenti proposti nella propria identità per poterli rielaborare secondo la propria ’originalità.

Si tratta di una possibilità scontata, come suggeriscono alcuni ricercatori emiliani (242), perché è generalmente molto alta la motivazione al lavoro che è giustamente sentito come una occasione per raggiungere risultati di autonomia, di qualità di vita, di soddisfazione personale. E’ la possibilità che prevede la ricerca e l’organizzazione di un contesto formativo che si proponga come sfondo su cui la complessità dell’identità di ciascuno possa collegarsi con quella del gruppo e con gli apprendimenti, scoprendone le connessioni, in un processo di tipo costruttivo.

La proposta dovrà essere in grado di integrare le aspettative e gli interessi personali, consentire la partecipazione del disabile all’organizzazione dello spazio e dei tempi, alla definizione delle regole e delle modalità di lavoro, alla ricerca degli ausili più adatti secondo le caratteristiche e le possibilità del disabile

Secondo una ricerca, sopra ricordata, condotta dalla Regione Emilia -Romagna(2325), gli apprendimenti e la crescita sono favoriti, dalla attenzione alle convinzioni, alle credenze, alle rappresentazioni che le persone sviluppano su di sé, sulle proprie competenze e sui propri limiti. Inoltre che l’’acquisizione di competenze cognitive, lavorative, sociali risulta strettamente correlata in senso positivo , alla consapevolezza dell’utilità di tali competenze da parte della persona stessa e al suo coinvolgimento attivo nella elaborazione di strategie di apprendimento adeguate.

Viene a delinearsi , sempre secondo la citata ricerca, un’impostazione formativa che si regge su un doppio binario di saperi formalizzati e di quotidianità da realizzare in rapporto ai saperi formalizzati.

Queste premesse risultano indispensabili quando si devono progettare e realizzare percorsi formativi rivolti a disabili, che non possono avere unicamente una caratterizzazione tecnicistica, ma necessitano di una più ampia caratterizzazione culturale. Il momento centrale dell’intervento formativo delle persone disabili non deve coincidere con una rieducazione funzionale, ma occorre accogliere il disabile nella sua globalità , nella considerazione che è parte di un sistema contestuale.

Si può affermare che un percorso formativo nasce e si sviluppa con l’intento di promuovere l’acquisizione di competenze,il loro consolidamento, e la capacità di renderle trasferibili

Questo processo incrocia da un lato i dati della personalità del disabile e il suo vissuto e dall’altra il contesto istituzionale e il quadro organizzativo entro cui il percorso formativo si realizza.

Proprio per questo intreccio di livelli non si può parlare di competenza senza tener conto del soggetto e inoltre non si può neppure parlare di competenza se si prescinde da un contesto in quanto la competenza , come processo realizzativo "integra" un individuo rispetto ad un contesto e "plasma" il contesto rispetto all’individuo..(265)

Competenza individuale e competenze organizzative si pongono quindi come due polarità complementari che non si contrappongono .Le potenzialità individuali si realizzano , cioè diventano competenza,

solo in un contesto organizzato, così come la competenza organizzativa si produce tramite il concorso di intelligenze individuali che interagiscono .

Sicuramente la formazione costituisce una tipologia di intervento prioritariamente rivolta allo sviluppo delle risorse individuali che, in uscita dai percorsi formativi, risultano spesso incrementate, ma ancora all’ordine della "competenza possibile" . Questo richiede il passaggio dalla logica del "sa fare" ad una logica del "sa fare…………. se" ovvero l’esplicitazione di una possibilità condizionata da un attento studio dell’ambiente, delle sue risorse, dei punti di forza e delle criticità.

In questo senso può essere corretto e maggiormente aderente alle situazioni formative fare riferimento alla competenza come a una struttura di nodi piuttosto che a una costruzione tassonomica, lineare e gerarchica.

Ancora occorre imparare da parte del disabile , e non solo,a documentare il proprio lavoro per poterlo ririvedere,riascoltare,valutare e farlo conoscere. Conoscere le proprie competenze e la loro proceessualità aiuta ad orientare le prospettive professionali, perché chiarisce le connessioni fra le capacità individuali e le richieste del mercato del lavoro, in un quadro di chiarezza reciproca , limitando i comportamenti di dipendenza e di assistenzialismo.

Si può riassumere con la conclusione della più volte citata ricerca della regione Emilia – Romagna.

Occorre che il problema dell’avviamento al lavoro dei disabili sia visto come un insieme di azioni coordinate che riguardano sia il disabile che il potenziale datore di lavoro ; in altre parole sia visto come processo che fa conseguire capacità professionali al primo ed interviene sulle caratteristiche tecnologiche, organizzative, ambientali del secondo ; esso richiede pertanto un intervento sia sulla costruzione del sapere, sia sulla sua utilizzazione cioè interviene sia sulle modalità di vivere e di operare del disabile sia su quelle produttive dell’azienda.(25)

4.2. In questi anni il lavoro e la realtà lavorativa assumono forme di grande flessibilità e dalla innovazione nascono inevitabili situazioni di disagio. Infatti quando si introducono novità che disarticolano, che fanno paura, si mettono in rischio abitudini ed a volte anche le sicurezze che si pensa di aver raggiunto.

La necessità di aver un posto per tutta la vita attualmente è difficilmente realizzabile: vi possono essere più occasioni, più posti nell’arco della esistenza

Qualcuno può considerare questo mondo, questa realtà troppo difficile per gli handicap psichici e mentali, ma altri invece possono pensare a questa realtà come un arricchimento di occasioni e di competenze.

Fa parte della interpretazione del ritardo mentale quella che attribuisce a soggetti ritardati mentalmente una necessità di ancorarsi saldamente ad abitudini ripetitive. Questo ha degli elementi di verità, ma anche elementi di verità indotta, di regresso indotto.

Sicuramente chi ha delle fragilità ha bisogno di essere accompagnato nel suo percorso esistenziale.

La certezza dell’accompagnamento può consentire di utilizzare meglio la realtà lavorativa che si sta delineando e in questo senso il percorso verso il lavoro può avere un ruolo attivo non tanto nel produrre abitudini, quanto piuttosto nell’indurre comportamenti che possono essere utilizzati in situazione lavorativa; e non è la stessa cosa, anzi vi è una grande differenza.

Ad esempio eseguire un ordine è diverso dal saper ascoltare chi impartisce un ordine ed eseguirlo, chiedendo eventualmente aiuto e/o affrontando eventuali casi imprevisti, ed inoltre saper ascoltare un ordine o una indicazione è un comportamento utile anche in situazione non lavorativa.(276)

La formazione di questi accompagnatori o tutor potrebbe essere compito della scuola.

Gli istituti professionali per i servizi sociali rilasciano la qualifica di tecnico dei servizi sociali con le competenze seguenti:

a.- Il diplomato ha una preparazione culturale consolidata e coerente con la specificità della sua formazione professionale .conosce la complessità dello stato di bisogno delle diverse età e delle diverse situazioni personali.

b.- Sa avvalersi dei metodi della ricerca, programma gli interventi e ne verifica l’efficacia, si inserisce in ambiti pubblici e privati del territorio per la rimozione degli stati di bisogno degli utenti, sa scegliere adeguate soluzioni dei problemi in campo giuridico-organizzativo e igienico sanitario.

Gli indirizzi che si realizzano riguardano il settore infantile, l’handicap e gli anziani

Se si tiene conto che nelle classi quarte e quinte vi è una terza area (circa un terzo del curricolo ) da dedicare ad una professionalità specifica ,ci si rende conto che tali istituti sono in grado di preparare i tutor che accompagnano i disabili nel loro percorso di vita e anche in quello lavorativo.

Un altro compito della scuola è quello di diffondere la cultura della integrazione. Scrive Andrea Canevaro:

"La necessità che noi vediamo impellente è quella che chi ha vissuto esperienze di integrazione nella scuola maturi una consapevolezza e una competenza di aiuto che gli permettano di trasferire in futuro gli stessi vincoli di solidarietà nella propria vita professionale. Ci aspetteremmo, per concludere con gli esempi minimali, che, dopo essere stato compagno di scuola di una persona Down chi diventa assicuratore capisca che ruolo possono avere le assicurazioni per garantire il futuro proprio e degli altri, chi diventa giornalista capisca la necessità di considerare attentamente il linguaggio perchè le parole siano adeguate e non vengano usate impropriamente, chi diventa conducente di mezzi pubblici capisca il dovere non solo di guidare ma anche di permettere che il viaggio sia fruibile da tutti" e aggiungiamo noi "chi lavora in azienda capisca che i bisogni speciali esistono e che bisogna avere la possibilità di intervenire positivamente nel progetto di integrazione perché questi bisogni trovino una risposta ".(28)

 

Note e bibliografia

1) In questa prima parte della nota mi sono servita delle informazioni contenute in Danilo.Massi ( a cura di ) "Handicap e legislazione" Dipartimento per gli affari sociali, 1996

2) "Quando gli atti di permanente indisciplina siano tali da lasciare il dubbio che possano derivare da anormalità psichiche, il maestro può, su parere conforme dell’ufficiale sanitario, proporre l’allontanamento definitivo dell’alunno al direttore didattico, governativo o comunale, il quale curerà l’assegnazione dello scolaro alle classi differenziali che siano istituite nel comune o, secondo i casi, d’accordo con la famiglia, inizierà le pratiche opportune per il ricovero in istituti per la educazione dei corrigendi ( art.415 del Regolamento Generale approvato con ..26 aprile 1928, n.1297.

3) Ad esempio:provvidenze economiche per ciechi L.66/92, per sordomuti L.388/68,
nel settore scolastico: istituzione della scuola materna L.444/68, istituzione scuola media L.1859/62

4) Scuola di Barbiana, Lettera ad una professoressa, libreria editrice fiorentina,1967, pag.20

5) La legge 118/71, la prima legge che favorisce l’integrazione, è destinata agli invalidi civili e ai cittadini affetti da minorazioni congenite e acquisite. E’ una legge che tende ad attuare i principi costituzionalied inoltre è una legge innovativa e completa che rappresenta una tappa fondamentale nell’evoluzione legislativa ed è stata un punto di riferimento per tutto il decennio successivo. Purtroppo alcune norme attendono ancora una completa applicazione. Tra queste la riserva dei posti nella formazione professionale In particolare l’'articolo 28 della legge 118/71 stabilisce che gli alunni invalidi civili adempiono all'obbligo scolastico nella scuola di tutti.

Angelo Errani (a cura di) "Equilibristi senza rete", Franco Angeli, Milano 1997, pag.40

8) Si fa riferimento alla sentenza n.478/81 della Corte Di Cassazione e alla pronuncia del CNPI del 1986

9) La Legge n.104/92 infatti accoglie sostanzialmente le definizioni proposte dall’ OMS che nel 1980 ha offerto una classificazione delle disabilità e della condizione di handicap corretta e universalmente condivisa.

10). Questa prassi non è negativa, ma certamente appare discutibile là dove le disposizioni estrapolate vengono accolte senza considerare se le variabili socio culturali, i livelli economici e altre condizioni di quella realtà ne consentono una completa applicazione.

11). Le regioni in cui sono presenti normative relative all’inserimento lavorativo sono: Valle d’Aosta, Piemonte. Liguria, Emilia .- Romagna, Toscana, Marche, Friuli, Puglia,

12) art.4 del regolamento dell’autonomia D.PR:275/99

13) In precedenza l’accertamento delle condizioni di invalido ( che conferiva il diritto all’inserimento nel sistema di collocamento obbligatorio) e l’accertamento della condizione di handicap (cui, invece va connesso il diritto a differenti benefici soprattutto di incentivazione economica e dell’inserimento professionale) erano attribuiti da organi differenti. Di conseguenza solo la doppia certificazione operata da tali organi consentiva alla persona disabile di poter usufruire di tutte le provvidenze messe a disposizione dall’ordinamento ed irrazionalmente connesse a due diverse qualificazioni nonché tipologie di accertamento. L’unificazione di tali distinti procedimenti pone fine ad una vistosa incongruenza dell’ordinamento.

Si veda CIGNO 5. In particolare Guida a Cigno 5 pag.116 . e ss.

14)Si veda CIGNO 5. In particolare Guida a Cigno 5 pag.118-119

.Si tratta degli istituti professionali ( sono circa il 65%) che utilizzano i progetti preparati dalla DGIP per l’integrazione e il percorso verso il lavoro dei giovani disabili: il progetto Cigno e il Progetto rete H –

15) Il progetto CIGNO è stato prodotto dalla DGIP e cofinanziato dal FSE per la formazione dei docenti degli istitutin professionali per realizzare l’integrazione scolastica e i percorsi verso il lavoro degli studenti disabili.

16) .IL modello d’indagine scelto è quello proposto dall’ISFOL (Istituto per sviluppo e la formazione dei lavoratori) le ragioni sono molte fra queste il fatto che i corsi di terza area, cioè i percorsi di scuola e lavoro, sono spesso fatti in modo integrato con la formazione professionale regionale.che opera secondo il modello ISFOL. I percorsi scuola e lavoro per i ragazzi disabili non devono differire metodologicamente da quelli preparati per la classe. Un altra ragione è che l’ISFOL è una istituzione di diritto pubblico che opera per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori in collaborazione con il Ministero del Lavoro, altre Amministrazioni dello stato e , in particolare con il Ministero della Istruzione e con le Regioni

17). si vedano i testi

  • isfol Unità capitalizzabili e crediti formativi Metodologie e strumenti di lavoro, Franco Angeli,Milano 1999
  • isfol Unità capitalizzabili e crediti formativi ,I repertori sperimentali, Franco Angeli, Milano 1999

  • isfol Competenze trasversali e comportamento organizzativo,Franco Angeli,Milano 1992

18) Ssi tratta di una delle poche norme del nostro Paese che tratta,senza però definirlo giuridicamente, di telelavoro.118.

19) Regione Emilia Romagna, Rapporto 1999, istruzione, formazione, lavoro, pag.378

20) "Pensami adulto" è il titolo di un testo scritto da Nicola Cuomo.

Il titolo é stato trovato da Mario Tortello ed è diventata in poco tempo la parola d’ordine degli Istituti professionali nella progettazione dei percorsi scuola –lavoro, non solo. (???)

21) Ai sensi dell’art.4 ( comma1 lettera l) del Decreto legislativo n.269/1997 le Regioni sono tenute ad affidare alle province le attività relative al collocamento obbligatorio.

22) Da Nota di lavoro n.27/01 AERL

23) Angelo Errani ( a cura di) Equilibristi senza rete , Franco Angeli,Milano,1997 pagg.261 e ss.. Si tratta di un progetto di inserimento lavorativo delle persone disabili.Finanziato dal FSE: Integra H7h, codice :IC 0085/Hh

24) idem pag.269

25)idem pag.274-275

26) idem pag.275

27) Andrea Canevaro, Pensando al Lavoro sta in Guida< al progetto Cigno 3, pag.7

28) Andrea Canevaro. l’integrazione e la presenza "normale" degli alunni Down ,sta in Gherardini, Nocera, L’integrazione scolastica delle persone Down, Erickson,2001,pag.21


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