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Nella Giornata della memoria in rete sono diverse le possibilità e le occasioni di riflessioni sul tema dell'olocausto. Tra le tante la rivista elettronica bolognese www.bandieragialla.it, sulla strage di Marzabotto-Monte , www.olokaustos.org il sito italiano dedicato all’olocausto ed in particolare www.romacivica.net che offre una documentazione sul progetto T4, "Progetto action T4", per lo sterminio dei disabili e dei malati psichiatrici. I disabili infatti furono le prime vittime. Oltre 70mila persone uccise nella fase iniziale della Shoah, il primo passo verso l’olocausto in cui persero la vita anche ebrei e zingari. Internamento, deportazione, eliminazione fisica, furono prima provate su portatori di handicap fisici e mentali per essere poi essere attuati su larga scala. Nel ‘33 Hitler emanò la famosa legge sulla sterilizzazione, ma la campagna contro i disabili, si avvalse anche di una serie di normative regionali cui fece seguito, nel 1935, la legge sulla salute coniugale, che impediva i matrimoni e la procreazione tra persone disabili, favorendo una serie di pratiche abortiste per tutta una serie di patologie come schizofrenia, epilessia ereditaria o la grave deformità fisica ereditaria. Le pratiche di sterilizzazione venivano inoltrate dai singoli ospedali ad una specifica commissione territoriale composta da medici e membri del Partito, che ne vagliava la positività. Le donne furono la maggioranza. A capo dell’operazione, che si avvaleva delle denunce di ospedali e case di cura il medico generale del Reich, Gherard Wagner, sostituito però negli ultimi mesi del 1938 dal suo vice Leonardo Conti, patologo italiano. "Quelle dei disabili – diceva Hitler – erano vite indegne di essere vissute” . Il primo passo fu uccidere i bambini disabili prima di arrivare all’ eliminazione dei disabili adulti. Un gruppo di medici e dirigenti sviluppò il sistema di eutanasia e le prime uccisioni ebbero luogo intorno all'ottobre del 1939. Poi si passo agli adulti disabili. I criteri sembravo più improntati ad una logica economica visto che secondo i calcoli di uno statistico del Reich, l’eutanasia dei disabili adulti, se calcolata su base decennale, avrebbe fatto risparmiare all’erario tedesco qualcosa oltre 8oo milioni di marchi. ….Hitler l’attuò, in assoluta segretezza ma convinto dell’assoluta impunità. Progetto T4: lo sterminio dei disabili a cura di Michele Pacciano Forse non tutti sanno che il genocidio nazista cominciò proprio dai disabili. Le persone handicappate, minori e adulte, furono le prime cavie designate di tutte le tecniche di annientamento, sterilizzazione e eutanasia sviluppate poi nella Shoah. Le prime prove documentali degli orrori nazisti, riguardarono proprio la persecuzione e i campi di uccisione dei disabili, anticamera dell’universo concentrazionario. Come vedremo le campagne di sterilizzazione, internamento e deportazione delle persone handicappate, presero il via nei mesi immediatamente successivi all’ascesa di Hitler, trovando terreno fertile nelle teorie eugenetiche e nella difesa della razza. Dopo un’intensa campagna di sterilizzazione, si passò all’uccisione sistematica dei bambini disabili, cui è dedicata una larga parte di questa ricerca, in quanto uno degli aspetti più oscuri dell’olocausto. Il progetto T4, l’eutanasia di massa degli adulti disabili, che condusse alla morte circa 70.000 cittadini tedeschi, iniziò solo nel 1939, per interrompersi poi, ma solo formalmente, su pressione dell’opinione pubblica e delle Chiese, nell’agosto del 1941. Con l’estendersi dei fronti di guerra, lo sterminio dei disabili non risparmiò certo i Paesi occupati, con drammatici strascichi anche in Italia, come testimonia la deportazione dei disabili ebrei internati negli ospedali psichiatrici di Venezia, deportati ad Auschwitz-Birkenau. Perché nella tragedia di ognuno, si ritrova la Storia di tutti. Sono passati 56 anni dalla Liberazione, ma la Shoah non è poi così lontana. Solo un anno fa in Austria si è celebrato l’ultimo processo contro il dottor Henrich Gross, psichiatra di Vienna, già citato nella ricerca, accusato di aver effettuato oltre 300 esperimenti usando bambini disabili come cavie umane. E’ di questi giorni la notizia che, anche in Italia, un’apposita commissione sta quantificando i risarcimenti dovuti alle vittime dell’olocausto, tra le quali rientrano, a pieno titolo, anche le persone disabili che abbiano patito persecuzioni. Il risarcimento, per quanto simbolico, potrà dare dignità a tutte quelle "Persone" che la gli artefici della Shoah avevano preteso di cancellare con "Più" o con un "Meno". Lo sterminio dei disabili, scenario e modalità Lo sterminio dei disabili, non fu solo la parte scura e misconosciuta dell’olocausto. L’eliminazione sistematica di più di settantamila handicappati da parte del Terzo Reich fu la fase iniziale della Shoah, una sorta di macabra prova generale di quello che sarebbe poi accaduto ad ebrei e zingari. La presa di potere da parte dei nazisti, il 30 Gennaio 1933, pose le condizioni per una politica di epurazione e soppressione a difesa della razza, ma le teorie eugenetiche alla base del progetto, non erano certo nuove. La difesa della razza non è un parto della sola filosofia tedesca, ma affonda le sue radici nelle teorie sull’ereditarietà e sull’evoluzione della specie, che animò tutto il diciannovesimo secolo e i primi anni del ventesimo, con importanti contributi che vennero soprattutto dalla scuola americana di Princeton e da una attualizzazione delle teorie lombrosiane. A Lombroso si deve, infatti, una prima classificazione degli esseri inferiori, mutuata poi dal nazismo. La Germania di Hitler fu dunque il terreno di coltura dove queste teorie prosperarono e si attuarono. Le prime vittime furono i disabili. Le tecniche di annientamento, attraverso i vari stadi dell’ostracismo, internamento, deportazione ed eliminazione fisica, furono prima provate su portatori di handicap fisici e mentali per essere poi essere attuati su larga scala. Il 14 Luglio 1933, a pochi mesi dalla presa di potere, Hitler emanò la famosa legge sulla sterilizzazione, che entrò in vigore per tutto il Reich solo il 25 Luglio dello stesso anno, per motivi eminentemente politici. Il 14 Luglio, infatti, il Reich aveva firmato un accordo economico con il Vaticano. La promulgazione della legge sulla sterilizzazione avrebbe quindi potuto incrinare i rapporti con la Santa Sede. L’attuazione della campagna contro i disabili, si avvalse anche di una serie di regolamenti emanati su base regionale cui fece seguito, il 18 Ottobre 1935, la legge sulla salute coniugale, che impediva i matrimoni e la procreazione tra persone disabili, favorendo una serie di pratiche abortiste, previo consenso della donna, per quei soggetti affetti dalle seguenti patologie:
A capo di tutta l’operazione, articolata in base a denunce di ospedali e case di cura, fu posto, su espressa menzione del Furher, il medico generale del Reich, Gherard Wagner, sostituito negli ultimi mesi del 1938 dal suo vice Leonardo Conti, patologo di chiara origine italiana e convinto assertore della superiorità della razza. Le pratiche di sterilizzazione venivano inoltrate
dai singoli ospedali ad una specifica commissione territoriale
composta da medici e membri del Partito, che ne vagliava la
positività. Se si guarda a un dato statistico, ci si accorge come
le donne fossero in maggioranza rispetto agli uomini e le pratiche
di sterilizzazione fossero improntate più a un criterio di
utilità sociale che a una vera e propria difesa della razza. A questo proposito appare calzante l’esempio della
diagnosi effettuata su Erwin Ammann, maschio ventottenne del Tirolo,
incluso nella categoria delle persone asociali e proposto per la
sterilizzazione. Il test su Ammann dette esito negativo e un
funzionario della commissione riuscì a provare l’utilità sociale
del soggetto, rivelando la sua effettiva capacità lavorativa e la
possibilità di svolgere mansioni manuali complesse. Questo a
riprova della effettiva discrezionalità delle commissioni
esaminatrici. Ciò nonostante tra i soggetti proposti per la
sterilizzazione, guardando il dato relativo agli anni tra il 1933 e
il 1938, solo il 7,2% delle domande fu respinto, salvo la
possibilità di appello degli ospedali richiedenti. Il 1938 segna comunque uno spartiacque nella
politica eugenetica nazista. Se si assiste ad un primo picco delle
sterilizzazioni dovuto alla campagna espansionistica di Hitler, dopo
l’annessione dell’Austria e dei Sudeti, si assiste anche all’inizio
di quell’operazione di eutanasia collettiva, tenuta strettamente
segreta, e partita direttamente dalla cancelleria privata del Furher,
che culminerà nel 1939 con l’inizio del famigerato progetto T4. Il primo passo: l'uccisione dei bambini disabili L’offensiva contro i pazienti disabili ricoverati
in ospedali di stato e case di cura si era inaugurata nel 1933 con
l'introduzione della sterilizzazione e una riduzione del livello di
assistenza. Ma era solo il principio. Nel 1935 Adolf Hitler aveva
dichiarato a Gerhard Wagner, capo dei medici del Reich, che una
volta iniziata la guerra avrebbe attuato l'eutanasia; e il Fuhrer fu
di parola. Quando, il primo settembre 1939 ebbe inizio la guerra,
l'apparato per sopprimere i disabili era pronto e le uccisioni
ebbero inizio. E cosi come alla legislazione sulla sterilizzazione
emanata contro i portatori di handicap aveva fatto seguito quella
promulgata contro gli ebrei e gli zingari, all'assassinio dei
disabili segui l'assassinio degli ebrei e degli zingari. Il primo passo fu l'assassinio dei bambini disabili.
Nel 1938 Hitler prese a pretesto il caso del neonato di una famiglia
di nome Knauer per attivare il progettato programma di eutanasia. A
quanto pare il figlio (o la figlia: il sesso non ci è noto) degli
Knauer era nato con gravi handicap. Non è possibile ricostruire con
certezza l'esatta natura del suo disturbo, ma le testimonianze
sembrano concordare sul fatto che fosse cieco e che i medici
avessero formulato nei suoi confronti la diagnosi di
"idiotismo". Tuttavia non tutti gli osservatori rilevarono
la sua cecità e per quanto riguarda la diagnosi di idiotismo non
furono offerti argomenti sufficientemente precisi; Il neonato
soffriva inoltre di convulsioni. Il padre del bambino consultò Werner Catel,
direttore della Clinica infantile dell'Università di Lipsia, e gli
chiese di accogliere il figlio.Catel ricoverò il neonato, ma più
tardi avrebbe affermato che il padre gli aveva chiesto di sopprimere
il bambino, richiesta cui aveva opposto un rifiuto trattandosi di un
atto punito dalla legge. Tali appelli pervennero a Hitler attraverso la sua
cancelleria privata, dove già erano state raccolte suppliche
analoghe. Questa Cancelleria del Fuhrer diretta da Philipp Bouhler,
preparava le informazioni per il Fuihrer, il quale decise di
intervenire nel caso Knauer. Hitler ordinò a Karl Branda, suo
medico di scorta, di visitare. il neonato degli Knauer, di
consultarsi con i medici di Lipsia e di uccidere il bambino nel caso
in cui la diagnosi avesse ratificato le condizioni fisiche e
psichiche descritte nella supplica. A Lipsia Brandt si consultò con
i medici curanti, confermò la diagnosi e autorizzò l'eutanasia: il
bambino fu ucciso. Dopo l'uccisione del neonato degli Knauer, Hitler
autorizzò Brandt e Bouhler a istituire un programma di soppressione
dei bambini portatori di difetti fisici o mentali. Pertanto egli
nominò Brandt e Bouhler, suoi plenipotenziari per questo cosiddetto
programma di eutanasia infantile. Come la maggior parte dei capi
nazista, i due uomini erano relativamente giovani: Brandt aveva 35
anni e Bouhler ne aveva 39. Il primo, a cui era stata affidata la
responsabilità di prendere una decisione nel caso Knauer, era una
scelta scontata; il che non si può dire nel caso del secondo. Non
vi è dubbio che Bouhler fu scelto perché Hitler voleva affidare
alla KdF (Cancelleria privata di Hitler), la responsabilità
dell'impresa. Un ufficio doveva organizzare e dirigere l'operazione
di sterminio e la KdF, che era già stata coinvolta nel caso Knauer,
era una scelta perfetta. Se la direzione fosse stata affidata a un
dipartimento governativo, I'RMdI ad esempio, la cerchia degli
iniziati si sarebbe allargata e non si sarebbe potuto mantenere il
segreto sulle uccisioni. Si sarebbe resa necessaria la
collaborazione di troppi uffici governativi e di troppi pubblici
funzionari.Inoltre incaricare il governo dell'esecuzione di questo
compito avrebbe richiesto ordini ufficiali scritti che Hitler non
intendeva emanare. Se la direzione fosse stata assegnata a un
ufficio del partito nazista, ad esempio la Cancelleria del partito
nazista o la Schutzstaffell del partito (le SS), un simile aperto
coinvolgimento dei capi e degli uffici locali del partito avrebbe
reso difficile un'attuazione del programma ordinata e segreta.
Inoltre Hitler non voleva rischiare di generare un'ondata di
disapprovazione nei riguardi del partito prima di essersi accertato
di avere l'opinione pubblica dalla sua parte. La KdF era l'ufficio più idoneo ad attuare il
programma di eutanasia perché non aveva nessuno degli inconvenienti
sopra elencati. Non era un ente statale. Sebbene fosse un'agenzia
del partito (il suo nome completo era Cancelleria del Fuhrer del
partito nazista), essa era totalmente indipendente dal quartier
generale del partito a Monaco, la Cancelleria del partito nazista
diretta da Martin Bormann. La KdF fungeva da cancelleria privata di Hitler,
accanto ma separata dalla Cancelleria presidenziale di Hitler,
diretta da Otto Meissner, e dalla Cancelleria del Reich, diretta da
Rans Reinrich Lammers. Celata alla vista del pubblico e di dimensioni
relativamente modeste, la KdF poteva gestire le uccisioni senza
coinvolgere troppe persone e senza acquistare troppa visibilità. La
KdF, ubicata a Berlino sul Lutzow Ufer e, successivamente, al numero
8 della Voss Strabe, era suddivisa in cinque uffici centrali. Il
primo si occupava degli affari privati di Hitler ed era diretto da
Albert Bormann, fratello di Martin. Il secondo affrontava questioni
riguardanti il governo e il partito ed era diretto da Viktor Brack.
Tale ufficio si occupava anche delle domande di clemenza, ivi
incluse quelle che richiedevano la morte pietosa; la domanda degli
Knauer era giunta fino a Hitler passando per questo ufficio. Il
terzo ufficio centrale gestiva le amnistie per i membri del partito
condannati dai tribunali del partito, il quarto si occupava di tutti
gli affari economici e sociali e il quinto affrontava questioni
concernenti l'amministrazione interna e il personale. Bouhler
assegnò il compito di organizzare le uccisioni per eutanasia al II
ufficio centrale e quindi affidò al trentaquattrenne Brack la
gestione quotidiana del programma di eutanasia. Nel II ufficio centrale della KdF Viktor Brack aveva
creato quattro uffici. L'ufficio IIa era occupato da Werner
Blankenburg, vice di Brack; gli uffici IIc e IId si occupavano degli
affari delle forze armate, della polizia, delle SS e del partito
nazista. L'ufficio IIb, che si occupava del governo del Reich,
fatta eccezione per le forze armate e la polizia, era anch esso
responsabile delle domande di clemenza. Brack affidò a questo
ufficio l’incarico di coordinare l'eutanasia infantile. Hans
Hefelmann lo diresse e Richard von Hegener svolse la funzione di
aggiunto. Hefelmann era nato a Dresda nell'ottobre del 1906 e
dunque aveva soltanto 32 anni quando assunse un ruolo centrale nella prima
massiccia operazione di sterminio del regime nazista. Figlio di un
produttore agricolo, Hefelmann aveva ricevuto il dottorato in
agricoltura nel 1932. Si era iscritto al partito nazista nel
febbraio del 1931 e, dopo aver condotto per un breve periodo
un'attività commerciale privata, era entrato a far parte dello
staff del dipartimento di economia del quartier generale nazista,
passando quindi alla KdF nel gennaio del 1936. Posto a capo
dell'ufficio IIb nel 1937, diresse questo dipartimento e eutanasia
fino alla sua chiamata alle armi avvenuta nel 1943. Nel 1942 Bouhler
raccomandò Hefelmann per una decorazione di guerra; come molti
altri, responsabili delle operazioni di sterminio, Hefelmann fu
decorato per il suo servizio dietro le linee. Sebbene Bouhler si
avvalesse della terminologia utilizzata per dissimulare le stragi,
la motivazione da lui fornita per conferire a Hefelmann la Croce di
guerra di seconda classe conteneva un evidente riferimento
all'eutanasia infantile: "Oltre a fornire contributi
particolarmente importanti nella gestione di problemi di sanità
pubblica di competenza del II ufficio centrale, il camerata Dr,
Hefelmann ha fornito la base intellettuale per l'esecuzione di un
compito speciale, importante per lo sforzo bellico e assegnato dal
Fuhrer. Egli dirige un dipartimento separato, con responsabilità
autonome, finalizzato a questo compito speciale. Von Hegener, figlio di un ufficiale dell'esercito,
era nato nel settembre del 1905 nella Prussia orientale e dunque
aveva soltanto un anno più di Hefelmann. Dopo aver ottenuto il
diploma di scuola secondaria nel 1923, entrò nel mondo degli
affari; lavorò per la Dresdner Bank dal 1923 al 1929, per una ditta
di trasporti fino al 1931 e quindi come statistico per
l'Associazione tedesca dei produttori di ferro e acciaio. Nel 1931
si era Iscritto al partito nazista e aveva partecipato attivamente
all'attività della cellula locale. Nel 1937 entrò a far parte
dello staff della KdF per svolgere infine l'incarico di vice di
Hefelmann nell'ufficio IIb e nell'ambito del programma di eutanasia
infantile. Il lavoro di von Hegener fu altamente stimato: lo stesso
giorno e con la medesima motivazione, Bouhler lo propose per la
stessa decorazione per cui aveva proposto Hefelmann. Tra il febbraio e il marzo del 1939 gli uomini
incaricati della direzione dell'eutanasia dei bambini si riunirono e
misero a punto i metodi della sua attuazione. Dapprima Brack e
Hefelmann della KdF s'incontrarono privatamente con Herbert Linden
dell'RMdI. Linden rappresentava il IV dipartimento, la cui
collaborazione era indispensabile per una efficiente attuazione
dell'operazione di sterminio per eutanasia. Nell'RMdI il IV dipartimento si occupava della
sanità pubblica e dunque aveva imposto la legislazione razziale ed
eugenetica, inclusa la legge sulla sterilizzazione. Il dipartimento
supervisionava le autorità sanitarie degli stati federali [Lànder]
e delle province prussiane; gli ospedali di stato e case di cura [Heil-und
P.flegeanstalten]; e gli ufficiali sanitari [Amtsarzte]
locali.Ministerialdirigent Arthur Gutt fu a capo del dipartimento
fino alla fine del 1939, quando fu costretto ad andare in pensione
per incapacità. Nato nel 1891, Gutt aveva ottenuto l'abilitazione
all ' esercizio della professione medica nel 1918. Nel settembre del
1932 si era iscritto al partito nazista e, nel luglio del 1933 si era unito alle SS,
raggiungendo nel 1938 il grado di generale di brigata. Manifestò
uno spiccato interesse per le tematiche razziali e l'eugenetica
divenendo il coautore di due commenti semiufficiali sulle leggi
dell'ereditarietà e sulle leggi razziali di Norimberga. Sul conto di Herbert Linden disponiamo di
informazioni assai più scarse. La sua qualifica era quella di
Ministerialrat (consigliere ministeriale), un gradino al di sotto
del Ministerialdirigent. Linden svolse l'incarico di capo sezione [Referent]
nel dipartimento di Gutt e pare che fosse responsabile sia degli
ospedali di stato e case di cura sia dell'applicazione delle leggi
sulla sterilizzazione e il matrimonio. Fatto più importante, fu
l'autore insieme a Gutt e Mabfeller del commento sulle leggi
razziali di Norimberga e sulla Legge per la salute matrimoniale.
Linden era nato nel settembre del 1899 a Costanza, nel Baden, e nel
1925 aveva ottenuto l'abilitazione all'esercizio della professione
medica. Non sappiamo quando entrò a far parte dell'amministrazione
statale, ma sembra che trascorse gran parte della sua carriera nella
veste di pubblico funzionario; dal suo certificato d'iscrizione
all'ordine dei medici non risulta che egli abbia mai esercitato la
professione privatamente, o che si sia mai specializzato in una
branca della medicina. Egli aderì presto al partito nazista, il 23
novembre del 1925, ma a quanto pare non svolse alcun incarico nel
partito, ne entrò a far parte delle SA o delle SS. Alla fine della
Linden sfuggi all ' arresto e all'interrogatorio; si suicidò il 27
aprile 1945. In tal modo Linden il più oscuro fra i principali
responsabili dell'eutanasia. Dopo che Brack, Hefelmann e Linden ebbero concordato
le modalità con cui procedere, essi ampliarono il gruppo di
pianificazione includendo alcuni medici scelti: Karl Brandt, Werner
Catel, Hans Heinze, Hellmuth Unger e Ernst Wentzler.Ad eccezione di
Brandt, il quale era nato nel gennaio del 1904, questi medici
avevano tutti una quarantina d'anni. Brandt, che si era iscritto al
partito nazista nel 1932 e alle SS nel 1934 era una scelta scontata:
aveva gestito il caso Knauer e era stato nominato da Hitler
plenipotenziario per l'eutanasia.Catel, che si era iscritto al
partito soltanto nel maggio del 1937, era un ‘altra scelta
obbligata perché il neonato degli Knauer era stato ucciso nella sua
clinica.Heinze, uno specialista in psichiatria e neurologia che
dirigeva l'ospedale statale di Brandenburg-Gorden, aveva preso la
tessera del partito nel maggio del 1933; si era aggiunto al gruppo
su indicazione di Linden. Unger era un oftalmologo la cui domanda
d'iscrizione al partito era stata respinta. Nel romanzo Sendung und
Cewissen (Missione e coscienza) aveva difeso l'eutanasia;
successivamente da quest'opera si sarebbe ricavato un adattamento
per il grande schermo intitolato Ich klage an (Io accuso), una
pellicola propagandistica. La sorella di von Hegener aveva
raccomandato Unger a Hefelmann.Wentzler, che si era iscritto al
partito nel 1934, era un pediatra che esercitava con successo a
Berlino; era stato raccomandato alla KdF da Leonardo Conti, il
fuhrer dei medici del Reich. Fin dall'inizio la pianificazione e l'attuazione
dell'eutanasia furono classificate "top secret" [geheime
Reichssache] e la KdF doveva restare invisibile. Pertanto i
pianificatori crearono un'organizzazione fittizia per camuffare la
direzione dell'eutanasia infantile da parte della KdF.Essi scelsero
il nome fantasioso di Comitato per la registrazione scientifica di
gravi disturbi ereditari [Reichsausschufb zur wissenschaftlichen von
erb und anlagebedingten schweren Leiden].Questo ente fittizio,
chiamato per brevità "Comitato del Reich", esisteva
soltanto sulla carta: il suo indirizzo era una casella postale. Esso
serviva esclusivamente a coprire le attività della KdF. Hefelmann e
von Hegener la dirigevano senza ovviamente usare i loro nomi,
firmando i documenti come "Dr, Klein"; come vedremo, tutti
i funzionari della Kdf usavano nomi in codice quando gestivano le
operazioni di eutanasia. Per i non iniziati il Comitato del Reich,
serviva a celare l’operazione di sterminio; il suo nome contorto
si adattava alla perfezione al suo presunto ruolo di istituto di
ricerca scientifica. Questo piccolo gruppo di medici e dirigenti
sviluppò il sistema di eutanasia durante le riunioni tenutesi nella
primavera del 1939. Essi decisero che il processo di selezione si
sarebbe basato su moduli di dichiarazione (Meldebogen).Concordarono
inoltre che i dati così raccolti sarebbero stati valutati da
periti, che avrebbero deciso il destino del bambino preso in esame.,
Verso l'estate del 1939 il gruppo aveva terminato la fase di
pianificazione e il progetto poteva entrare nella fase attuativa.Le
prime uccisioni ebbero luogo intorno all'ottobre del 1939. Né la KdF né il Comitato del Reich potevano dare
inizio e portare a compimento il progetto di sterminio. Per questo i
pianificatori avevano bisogno dell'RMdI, perché soltanto un
ministero poteva garantire che si ottemperasse alle disposizioni del
programma di eutanasia. Perciò il 18 agosto 1939 1'RMdI fece
circolare un decreto intitolato Meldepflicht fur mibgestaltete usw.
Neugeborene (Obbligo di dichiarazione di neonati deformi ecc.). Esso
recava il timbro "strettamente confidenziale" e non fu
pubblicato sulla gazzetta ufficiale del ministero; preparato dal IV
dipartimento, fu siglato dal segretario di stato Wilhelm Stuckart a
nome del ministro del Reich Wilhelm Frick. Il decreto ordinava alle ostetriche e ai medici di
dichiarare tutti gli infanti nati con specifiche condizioni mediche: 1. idiotismo e mongolismo (in
particolare i casi che presentavano anche cecità e sordità); 2. microcefalia (dimensioni della
testa abnormemente piccole); 3. idrocefalia grave o progressiva; 4. ogni deformità, in particolare arti mancanti, chiusura gravemente difettosa della testa e della colonna vertebrale ecc.; 5.
paralisi, incluso il morbo di Little (dìplegia spastica). Oltre ai neonati, i medici dovevano dichiarare tutti
i bambini sotto i tre anni affetti da tali condizioni. Al decreto fu allegato un campione del modulo di
dichiarazione Quest'ultimo richiedeva le seguenti informazioni,
oltre al nome, l’età e il sesso del bambino: una descrizione
particolareggiata della malattia; una spiegazione del modo in cui la
funzionalità del bambino veniva compromessa dalla malattia;
dettagli relativi alla degenza e al nome dell’ospedale; una stima
della speranza di vita; e possibilità di miglioramento. Il modulo
occupava soltanto un lato di una pagina; lo spazio per le
descrizioni particolareggiate non era quindi molto. Ostetriche e
medici dovevano sottoporre le loro dichiarazioni all’ufficio di
sanità pubblica locale, che doveva verificare le informazioni e
quindi inviare la dichiarazione al Comitato del Reich presso la
casella postale 101, Berlino W 9. La frase di apertura del decreto si prefiggeva di
dare l'impressione che l'obiettivo del ministero fosse quello di
realizzare un'indagine scientifica che avrebbe aiutato i bambini
sofferenti di gravi disturbi: "La registrazione tempestiva dei
casi appropriati in cui siano presenti deformazioni e ritardo
mentale ereditari è essenziale per la chiarificazione di problemi
scientifici".Sebbene la mancata pubblicazione del decreto da
parte dell'RMdI e l'uso di un istituto di ricerca privato munito di
casella postale avrebbe potuto destare dei sospetti, sembra che
nella maggior parte dei casi il provvedimento venisse accolto come
una semplice richiesta di informazioni per un'indagine statistica.
In nessun luogo il decreto rivelava le vere ragioni dietro questo
obbligo di dichiarare bambini disabili. Il modulo originale,
utilizzato per dichiarare i bambini, si rivelò insufficiente.
Perciò il 7 giugno 1940 I'RMdI emanò una circolare che annunciava
l'introduzione di un nuovo modulo. Quest'ultimo richiedeva una
maggiore dovizia di particolari.Mentre il vecchio modulo domandava
soltanto il nome, l'età e il sesso del bambino, il nuovo richiedeva
anche il suo recapito e la sua fede religiosa. Le domande
concernenti lo stato di salute del bambino erano maggiormente
dettagliate ma non presentavano differenze sostanziali. Fatto più
importante, il nuovo modulo richiedeva informazioni circa la nascita
del bambino e le storie cliniche di genitori, fratelli, sorelle e
altri parenti. L'RMdI aveva messo in moto il programma che avrebbe
condotto all'uccisione dei bambini disabili. Tuttavia il ministero
era soltanto "l'addetto al trasporto della posta"; era il
Comitato del Reich ad amministrare il programma. Quest'ultimo
assolveva a due funzioni, una considerata amministrativa e l'altra
medica. L'amministrazione s'imperniava sull'ufficio IIb della KdF,
dove Hefelmann e von Hegener dirigevano l'impresa. La direzione
medica del Comìtato spettava al valutatori esperti. I moduli con cui si dichiaravano i bambini furono
compilati da ostetriche e medici, che li consegnarono agli uffici
sanitari locali; per evitare confusioni, gli uffici provinciali e
statali tenevano registri e controllavano che i moduli venissero
trasmessi al Comitato del Reich. Hefelmann e von Hegener rientravano
in possesso dei moduli attraverso la casella postale e alla KdF li
registravano e classificavano. Questi due funzionari, che non
avevano alcuna formazione in campo medico, decidevano quali fra i
casi dichiarati meritavano la particolare attenzione dei periti
medici e li inviavano a questi ultimi perché prendessero una
decisione. I periti erano Werner Catel, Hans Heinze ed Ernst
Wentzler, tutti membri del comitato di pianificazione e sostenitori
militanti dell'eutanasia. Essi presero tutte le decisioni unicamente
sulla base dei moduli di dichiarazione; non visitarono mai i bambini
e neanche consultarono la casistica medica esistente. I periti
annotavano un voto accanto ai propri nomi su una carta da lettera
che recava l'intestazione "Comitato del Reich", ma che era
preparata dalla KdF per ogni bambino preso in esame. Non vi era
spazio per lunghi commenti. Un semplice segno più (+) indicava
l'inclusione nel programma e dunque l'uccisione del bambino; un
semplice segno meno (-) indicava l'esclusione, il che voleva dire
che il bambino poteva continuare a vivere. Se il perito era
indeciso, annotava "osservazione", il che differiva la
decisione. Poiché la KdF non possedeva una copiatrice, non era
possibile inviare ai valutatori più copie dei moduli di
dichiarazione. Pertanto Catel, Heinze e Wentzler non votavano
separatamente; lo stesso foglio per registrare i voti e lo stesso
modulo di dichiarazione passavano dall'uno all'altro, in modo tale
che ognuno era a conoscenza dei voti espressi dagli altri due. Per l'uccisione dei bambini, che una volta presi
nella rete dell'operazione diventavano noti come "bambini del
Comitato del Reich", il Comitato creò i cosiddetti reparti per
l'assistenza esperta dei bambini presso ospedali e cliniche statali.
Il primo di questi reparti fu istituito rapidamente sotto la
direzione di Hans Heinze presso il suo istituto a Brandenburg-Gorden;
per creare gli altri ci volle del tempo perché la KdF doveva
reclutare direttori di istituti disposti a ospitare reparti per
l'eutanasia e medici disposti a realizzarla. Il primo luglio 1940 I'RMdI emanò una circolare che
annunciava la creazione (che in realtà era avvenuta qualche tempo
prima) del primo reparto infantile del Comitato del Reich a
Brandenburg-Gorden vicino Berlino. Il provvedimento, continuando a
dissimulare l’intento reale del programma, informava gli uffici
sanitari che: "sotto esperta supervisione medica, il reparto di
psichiatria infantile a Gorden, vicino Brandeburgo sull’Haven,
fornirà tutti gli interventi terapeutici disponibili, resi
possibili da recenti scoperte scientifiche". La stessa disinformazione caratterizzò tutti gli
atti successivi fatti circolare dall’RMdI. Il 18 giugno 1940, ad
esempio, il ministro chiese che il sistema assistenziale coprisse le
spese di ricovero di bambini appartenenti a famiglie indigenti. Il
ministero avvisava gli enti assistenziali che il denaro sarebbe
stato ben speso perché, anche se solo in pochi casi la salute del
bambino sarebbe migliorata, i risparmi futuri in ordine all’assistenza
avrebbero compensato le spese. Tuttavia non era possibile svelare ai genitori o
agli enti assistenziali il costo effettivo del cosiddetto
trattamento perché avrebbe voluto dire rivelare troppo; i genitori
si aspettavano che il trattamento durasse per anni o decenni e
dunque costasse molto, e le autorità, che sapevano che trattamento
si sarebbe concluso rapidamente, non potevano dargli chiarimenti. Da principio perfino i medici che compilavano i
moduli di dichiarazione non si resero conto della verità. Un
ufficiale sanitario, interessato a organizzare il trasferimento
alcuni bambini presso il nuovo istituto di Gorden, si lamentò del
fatto che quest’ultimo non rispondeva alle sue domande relative ai
costi. Il Comitato del Reich possedeva i fondi per coprire tutte le
spese quando non vi era alternativa, ma cercava, ogniqualvolta era
possibile, di indurre i genitori o gli enti assistenziali a pagare
per le uccisioni segrete. Il sistema di sterminio si fondava sulla
collaborazione di burocrati, medici e genitori: l'RMdI facilitava la collaborazione dell’amministrazione
pubblica, incluso il servizio sanitario, la KdF reclutava i medici,
le infermiere e il personale per le uccisioni effettive e i
burocrati e i medici lavoravano affinché i genitori dessero il loro
consenso. Quando il sistema di dichiarazione e valutazione dei
bambini disabili fu attivato, si fece pressante esigenza di
istituire altri reparti di eutanasia e di reclutarne lo staff; da
solo il reparto infantile di Gorden non poteva gestire tutte le
vittime attese. La KdF reclutò i medici necessari per compiere le
uccisioni, i quali poi divennero affiliati al Comitato del Reich.
Hefelmann, von Hegener e Linden direttamente o tramite le autorità
sanitarie degli stati federali e delle province prussiane. La
maggior parte dei medici scelti collaborarono con l'operazione di
sterminio; una minoranza si rifiutò e fu dispensata dal
partecipare. Come vedremo, l'uccisione dei disabili adulti
avrebbe presto superato l’uccisione dei bambini, coinvolgendo un
numero assai più elevato di assassini e di vittime, Molti medici
(per esempio i direttori degli ospedali statali di Gorden, Eichberg
e Eglfing-Haar) avrebbero svolto un ruolo nell'uccisione sia di
bambini che di adulti, e spesso non è più possibile ricostruire
esattamente il modo in cui il coinvolgimento di tali medici nel
programma di eutanasia infantile si trasformò in partecipazione
all'eutanasia degli adulti. Infine il Comitato del Reich aveva
istituito almeno 22 reparti di eutanasia infantile. Su alcuni
reparti non si hanno altre informazioni oltre alla loro mera
esistenza; altri sono stati ricoperti da infamia in seguito alle
rivelazioni emerse nel corso dei processi che ebbero luogo dopo la
fine della guerra. Non è difficile capire perché Gorden fu scelta
quale sede del primo reparto di eutanasia infantile. Gorden era un
grande complesso ospedaliero, che assolveva il ruolo di istituto
pubblico per la provincia prussiana di Brandeburgo. Era situata
vicino alla città di Brandeburgo e al suo centro di uccisione di
pazienti adulti che, come vedremo, fu istituito addirittura prima
che Gorden inaugurasse il suo reparto infantile. Quest'ultima non
era lontana da Berlino e dunque non vi era alcun problema di
comunicazione rapida con la KdF. Inoltre Gorden era diretta da Hans
Heinze, che era uno dei tre periti per l'eutanasia infantile. Il reparto di Gorden e i metodi ivi introdotti da
Heinze costituirono il modello per altri reparti infantili; Gorden
divenne un centro di formazione per medici incaricati di dirigere
l'uccisione dei bambini. Hermann Wesse, ad esempio, si formò a
Gordon nel maggio del 1941 prima di assumere il comando del reparto
infantile nell'istituto renano di Waldniel vicino Andernach; e
svolse un nuovo tirocio a Gorden nel gennaio e nel febbraio del 1942
prima di essere trasferito ai reparti di eutanasia di Uchtspringe e
Kalmenhof, vicino Idstein. Inoltre, a differenza di quasi tutti gli
altri reparti infantili, Gorden aveva ampie attrezzature di ricerca
dove Heinze e i suoi allievi eseguirono esperimenti medici sui
bambini prima e dopo l'uccisione. Inoltre Gorden utilizzava il
vicino centro di uccisione di Brandeburgo per garantire l’uccisione
rapida di gruppi di bambini. Nel 1940 furono istituiti almeno altri due reparti
di eutanasia infantile. Uno fu istituito nel grande istituto statale
Am Steinhof a Vienna. Nel luglio del 1940 fu inaugurato il sanatorio
pedagogico per bambini Am Spiegelgrund con 640 posti letto in
edifici situati entro i confini dell’Amo Steinhof, Esso svolse la
funzione di reparto di eutanasia infantile per l'Austria. Il primo
direttore medico fu Erwin Jekelius e il secondo direttore, che
assunse l'incarico nel luglio del 1942 dopo la chiamata alle armi di
Jekelius, fu Ernst Illingo. Questi aveva lavorato a Gorden come assistente di
Heinze; qui aveva appreso il suo lavoro ed eseguito le prime
uccisioni. Il trasferimento fu il frutto di trattative fra Heinze e
il servizio sanitario viennese, ed entrambe le parti sapevano che
l'incarico di Illing a Vienna prevedeva l'attuazione dell'eutanasia
infantile "senza attirare l'attenzione dell'opinione
pubblica". Nel 1940 un altro reparto di eutanasia infantile fu
istituito nello stato federale della Bavaria, nel grande istituto
pubblico Eglfing-Haar, vicino Monaco. In questo complesso
ospedaliero erano ricoverati sia adulti che bambini; il reparto di
eutanasia infantile fu collocato lontano dai padiglioni in cui si
trovavano i pazienti ordinari. Eglfing-Haar era diretto da Hermann Pfannmuller, uno
dei primi artefici dell'eutanasia di bambini e adulti. Pfannmuller,
che aveva ottenuto l'abilitazione all'esercizio della professione
medica nel 1913 e il diploma di specializzazione in psichiatria
ne11918, aveva lavorato in vari istituti statali (concentrandosi
spesso sul trattamento degli alcolisti) prima di essere nominato
direttore di Eglfing-Haar. Era un membro del partito nazista di
vecchia data; si era iscritto nel 1922, ma poco dopo era stato
costretto, in quanto pubblico funzionario, a lasciare il partito e
non aveva potuto reiscriversi fino al maggio 1933. Contribuì
all'attuazione delle leggi razziali ed eugenetiche, dirigendo nel
1935 l'ufficio per l'ereditarietà razziale di Augusta; fu anche uno
dei primi sostenitori dell'eutanasia. A Eglfing-Haar egli introdusse
rapidamente un sistema che sottoponeva i pazienti a un regime
rigoroso; guidò anche delle visite all'istituto al fine di istruire
il pubblico sui difetti biologici dei pazienti affidati alle sue
cure. Possediamo una testimonianza insolitamente vivida
delle visite guidate da Pfannmuller e del trattamento cui venivano
sottoposti i pazienti di Eglfing-Haar addirittura prima che
l'eutanasia avesse ufficialmente inizio, Ludwig Lehner, un
insegnante bavarese, testimoniò nel 1946 a Londra, dove fu poi
giudicato come POW tedesco, circa la propria esperienza in una di
queste visite guidate da Pfannmuller. Lehner , un oppositore del
regime nazista, fece questa visita nell’autunno del 1939, poco
dopo la sua liberazione da Dachau. Sebbene fosse stato arruolato nel
1940 e avesse trascorso gli anni del conflitto come soldato tedesco,
egli ricordava vividamente la sua visita all’Elglfing-Haar e
descrisse i suoi ricordi agli inglesi che lo avevano fatto
prigioniero: Durante la mia visita fui testimone oculare dei
seguenti eventi: dopo aver visitato qualche reparto, il direttore
che, se non ricordo male si chiamava Pfannmuller, ci condusse in un
reparto infantile. Vi erano dalle 15 alle 25 culle con altrettanti
bambini. Ricordo la franchezza e il cinismo del suo
discorso:<< queste creature sono solo un onere per il nostro
corpo nazionale sanitario. Noi non uccidiamo con veleno, con
iniezioni o con metodi che permetterebbero alla stampa straniera di
allestire una nuova campagna diffamatoria. Il nostro metodo e molto
più semlice e naturale>>. Ho ancora chiaro di fronte a me lo
spettacolo di questo uomo grasso che sorrideva compiaciuto,
circondato da bambini che morivano di fame. L’assassino
sottolineò inoltre che ai bambini non era stato tolto il cibo all’improvviso,
ma erano state lentamente ridotte le razioni. Nel corso della sua deposizione di fronte al
Tribunale militare statunitense, Pfanmuller respinse tale
accusa:<< Se Lehner afferma che ho strappato un povero bambino
al suo letto con le mie mani grasse, dirò che non ho mai avuto mani
grasse. Sicuramente non ho mai fatto larghi sorrisi per cose del
genere>>. In realtà Pfannmuller si riferì all’uccisione
dei bambini a Eglfing-Haar con orgoglio, dichiarando di fronte ad
una corte tedesca postbellica che <<addormentare i bambini era
la forma più pulita di eutanasia>>. La maggior parte dei reparti inifantili fu istituita
dal Comitato del Reich dopo il 1940.Uno dei più importanti fu
quello di Eichberg, nei pressi di Eltville, un istituto statale nel
distretto di Wiesbaden, nella provincia prussiana di Hessen-Nassau.
Il direttore Friedrich Mennecke era già stato reclutato per
partecipare all'eutanasia degli adulti quando, nel 1941, Hefelmann
Evon Hegener avevano visitato Eichberg, ordinando a Mennecke di
aprire un reparto per l'eutanasia infantile. I due avevano già
ottenuto il permesso da Fritz Bernotat, un burocrate che aveva il
ruolo di supervisore di tutti gli istituti del distretto, nazista
militante e sosteniitore entusiasta delle uccisioni. Dopo la guerra
Mennecke non riusciva più a ricordare esattamente quando era stato
Inaugurato il reparto Infantile di Eichberg, ma supponeva che fosse
avvenuto nell'aprile 1941. Sebbene Mennecke fosse il direttore di Eichberg e
supervisore del reparto infantile, la gestione quotidiana del
reparto di eutanasia fu assegnata al suo vice, Walter Eugen Schmidt,
Mennecke compilava i moduli del Comitato del Reich e ordinava le
uccisioni; Schmidt svolgeva li ruolo di supervisore e talvolta
realizzava le uccisioni. Quando nel 1942 Mennecke fu chiamato alle armi,
Schmidt divenne direttore ad interim dell'istituto e capo unico del
reparto di eutanasia infantile. Inoltre, anche quando Mennecke era
assente, Schmidt lo teneva informato su Eichberg in lettere piene di
dicerie locali, che includevano notizie su ogni uccisione. Un secondo reparto infantile fu istituito a
Hessen-Nassau, fornendo a questa provincia relativamente piccola un
numero insolitamente elevato di reparti di eutanasia, Il secondo
reparto fu istituito alla fine del 1941 o agli inizi del 1942 a
Kalmenhof, vicino Idstein, nel Taunus. Kalmenhof-Idstein era un
sanatorio pedagogico fondato nel XIX secolo come una fondazione
privata. Dopo l'ascesa al potere dei nazisti esso non riuscì a
mantenere la propria indipendenza e, alla fine, Fritz Bernotat
divenne presidente della fondazione che possedeva l'istituto di
Kalmenhof. Dopo l'inizio del conflitto e la chiamata alle armi di
molti medici, Mathilde Weber, che era giunta a Idstein dopo aver
conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione medica ne1
1938, divenne funzionario medico capo di Kalmenhof e in questa veste
diresse anche il reparto infantile. Nel 1944 la Weber rassegnò le
dimissioni per sottoporsi a una cura contro la tubercolosi e fu
sostituita dall'esperto Hermann Wesse, che si era formato a Gorden e
aveva già prestato servizio nei reparti di eutanasia a Waldniel e
Uchtspringe. In Bavaria, che già disponeva di Eglfing-Haar, fu
aperto un nuovo reparto di eutanasia infantile presso l'istituto di
Kaufbeuren, in Svevia. Questo istituto pubblico e la sua filiale
nell' Irsee erano stati diretti fin dal 1929 dal medico Valentin
Falthauser. Sebbene si fosse iscritto al partito nazista solo alla
.fine de11935, Falthauser era un fautore dell’eutanasia dei
bambini e degli adulti. Egli, in qualità di direttore di
Kaufbeuren- Irsee, diresse anche il suo reparto di eutanasia
infantile; qui continuò a uccidere bambini anche dopo la fine della
guerra. I soldati americani che arrestarono Falthauser scoprirono
che l'ultima vittima era deceduta il 29 marzo 1945, 21 giorni dopo
la resa incondizionata della Germania. Infine il Comitato del Reich istituì reparti di
eutanasia infantile in tutta la Germania, anche se molti possedevano
dimensioni relativamente modeste. Nella maggior parte dei casi la
loro istituzione fu indiscutibilmente il frutto della collaborazione
fra il Comitato del Reich e i funzionari locali.. Nello stato
federale del Wurttemberg, ad esempio, Hefelmann e von Hegener
lavorarono con due medici che dirigevano il sistema di assistenza
sanitaria presso il ministero degli interni del Wurttemberg: Eugen
Stahle e il suo subordinato Otto Mauthe, responsabile degli istituti
di igiene mentale e dei servizi psichiatrici [lrrenwesen]. Stahle e
Mauthe collaborarono con il Comitato del Reich fin da principio e
accettarono senza indugio di trasferire i bambini dagli istituti del
Wiirttemberg ai reparti di eutanasia infantile fuori del loro stato.
Quando il Comitato del Reich volle stabilire un reparto di eutanasia
infantile nel Wurttemberg, fu naturale rivolgersi a Stahle e Mauthe.
I due funzionari consigliarono la Casa dell'infanzia municipale di
Stoccarda e durante gli ultimi mesi del 1942 le discussioni tra il
Comitato del Reich e le autorità sanitarie municipali sfociarono in
un accordo che prevedeva l'istituzione di un reparto di eutanasia
infantile. Lo stesso tipo di collaborazione ebbe luogo in altri
stati federali. Nel Baden, ad esempio, Ludwig Sprauer, che dirigeva
il dipartimento sanitario del ministero degli interni di tale stato,
dispose l'istituzione di un reparto di eutanasia infantile a
Wiesloch. Tuttavia, mentre nel Wurttemberg Hefelmann e von Hegener
attuarono ogni cosa senza intermediazione, nel Baden Linden dell'RMdl
fu costretto a chiedere la collaborazione di Sprauer. Il reparto di
eutanasia infantile di Wiesloch, istituito agli inizi del 1941 , era
supervisionato da Josef Artur Schreck, vicedirettore dell'istituto.
Dopo l'uccisione di tre bambini Schreck si rifiutò di proseguire,
affermando che "un ospedale non è il luogo
appropriato"per simili uccisioni; tuttavia egli continuò a
soprintendere al reparto di eutanasia, mentre il dr. Kuhnke, un
giovane medico di Eglfing- Haar, eseguì le uccisioni durante visite
occasionali a Wiesloch. Questa collaborazione tra il Comitato del Reich e le
autorità locali diede i suoi frutti anche nelle province prussiane.
Quando il comitato volle istituire un reparto infantile nella
provincia renana, Hefelmann e von Hegener riuscirono a convincere il
direttore dell’ospedale statale di Andernach ad aprire un reparto
infantile presso il suo istituto; essi perciò si rivolsero al
funzionario dell'amministrazione provinciale responsabile degli
ospedali statali, il professore e psichiatra Walter Creutz. Nel
maggio del 1941 Hefelmann e von Hegener fecero visita a Creutz a
Dusseldorf e tutti insieme pianificarono un reparto di eutanasia
infantile con una capacità di 200 posti letto, collocati in un
edificio autonomo ubicato nell'appezzamento di terreno su cui
sorgeva l'istituto pubblico di Waldniel, nei pressi di Andernach.
Tuttavia il reclutamento del personale si dimostrò un'impresa piu
ardua. Creutz non fu in grado di fornire un medico alle dipendenze
della provincia renana che assumesse l'incarico di dirigere il
reparto, e il Comitato del Reich fu costretto a chiamare Georg Renno,
un medico trentatreenne che aveva aderito al partito nazista nel
1930 e alle SS nel 1931. Come vedremo, Renno aveva già partecipato
all'operazione di sterminio dei disabili adulti prima di recarsi a
Waldniel, un'attività che avrebbe ripreso dopo aver lasciato tale
istituto. Quando agli inizi del 1942 Renno lasciò l'istituto,
ancora una volta il Comitato del Reich corse in soccorso dei
funzionari locali, sostituendo Renno con Hermann Wesse. Questi era
di cinque anni piu giovane di Renno e non aveva aderito al partito
nazista fino all'aprile de1193/34. Nel dicembre del 1941 Wesse
incontrò Hefelmann, von Hegener e Renno nella sala d'aspetto della
stazione ferroviaria di Dusseldorf e convenne di accettare la nomina
di Waldniel a capo del reparto di eutanasia. Creutz non ebbe nulla
da eccepire, ma espresse preoccupazione per la mancanza di
esperienza medica da parte di Wesse, quasi che la conoscenza medica
fosse un prerequisito per uccidere i bambini. Di conseguenza Wesse
fu destinato a un periodo di tirocinio a Gorden e nella clinica
psichiatrica di Bonn prima di assumere il comando a Waldniel. Talvolta la scelta dell'istituto e del medico aveva
un carattere maggiormente informale. Ad esempio, la nomina di Alfred
Leu a direttore del reparto infantile di Sachsenberg, vicino
Schwerin, nella provincia prussiana di Mecklenburg, fu il prodotto
di un iter di selezione informale. A Sachsenberg Leu era uno dei
molti medici anziani; sembra che la sua nomina a capo del reparto
sia da ricondurre ai suoi stretti contatti con i capi del partito
nazista provinciale. Aggirando i funzionari locali, Hefelmann e von
Hegener invitarono Leu a recarsi nei loro uffici presso la KdF,
chiedendo e ottenendo che accettasse l'incarico. Piu tardi Leu
avrebbe affermato di non aver ucciso nessun bambino, ma di essersi
limitato alla supervisione del reparto, mentre il personale
infermieristico eseguiva materialmente le uccisioni. Sachsenberg non fu 1 'unico reparto infantile
istituito in virtù di contatti personali. Due valutatori esperti (Catel
e Wentzler) aprirono due reparti di eutanasia nei propri istituti:
Catel presso la Clinica infantile dell'Università di Lipsia e
Wentzler presso la sua clinica privata a Berlino. Inoltre, come
abbiamo visto, il primo reparto di eutanasia era stato inaugurato a
Gorden sotto la direzione di Heinze, il terzo valutatore. I
valutatori inoltre consigliarono alla KdF medici reputati idonei a
mettere in atto l'eutanasia infantile. Wentzler raccomandò Wilhelm
Bayer, un medico di Amburgo, che a partire dal 1934 aveva diretto
l'ospedale infantile Hamburg-Rothenburgsort che contava 450 letti;
Wentzler e Bayer erano stati entrambi colleghi presso la Charite a
Berlino. Bayer accettò e Hamburg-Rothenburgsort ospitò un altro
reparto di eutanasia infantile. La politica di eutanasia infantile fu iniziata e
diretta dai burocrati della KdF, ma la sua attuazione fu lasciata
agli specialisti; i medici dei reparti infantili. I burocrati della
KdF non si preoccuparono delle modalità di eliminazione dei
bambini; si affidarono alla perizia dei medici scelti. Erano questi
ultimi che dovevano trovare il metodo migliore. Pertanto, nel corso
di una riunione presso gli uffici della KdF, a Bayer fu comunicato
che la scelta della tecnica di soppressione era lasciata alla
discrezione dei medici. Un metodo di uccisione era la morte per inedia.
Sappiamo per certo che talvolta questo metodo fu applicato: quando
la guerra volgeva ormai al termine, le razioni di cibo si erano
ridotte al punto di scendere sotto la soglia della soprawivenza e la
morte per inedia e "i padiglioni della morte per inedia"
si diffusero in molti istituti. Ciò malgrado non fu la morte per
inedia il metodo generalmente adottato nei reparti di eutanasia
infantile. Il metodo preferito fu l'uso di farmaci. Benché la
decisione relativa al tipo di farmaci da impiegare spettasse a
ciascun specialista, i medici condivisero informazioni relative ai
farmaci scambiandosi visite o incontrandosi a Berlino. Pfannmuller,
ad esempio, visitò l' Am Steinhof di Vienna e notò che coloro che
praticavano l'eutanasia usavano la morfina-scopolamina; egli
preferiva però i barbiturici luminal (un sedativo) e veronal (un
sonnifero). A Berlino Bayer fu informato dell’efficacia del
bromuro, della morfina, del veronal e del luminal. Tra questi il
luminal divenne il metodo prediletto della maggior parte dei medici,
con la morfina-scopolamina come seconda scelta, di solito destinata
a coloro che resistevano al luminal o al veronal. I medici potevano scegliere anche le modalità di
somministrazione del farmaco. Di solito i farmaci letali erano
somministrati in compresse, altre volte in forma liquida; in rare
occasioni, quando il paziente non poteva o non voleva inghiottire,
si ricorreva a un'iniezione. Solitamente le compresse erano
disciolte in un liquido come il tè in modo tale che il bambino
ingerisse il farmaco assieme ad alimenti abituali. È evidente il vantaggio di un simile metodo per
un'operazione di sterminio segreta. Questi farmaci veniva
somministrati regolarmente in ogni struttura sanitaria; divenivano
letali soltanto se si aumentavano le dosi. Perciò i bambini
venivano uccisi non a causa dell’ingerimento di veleni estranei,
ma di un'overdose di un farmaco comune. Inoltre l'overdose di
barbiturici e farmaci analoghi non davano luogo a una morte
immediata; davano invece luogo a complicazioni mediche, in
particolare la polmonite, che alla fine (di solito nel giro di due o
tre giorni) provocava il decesso. A quel punto i medici potevano
constatare una "morte naturale". Anche Pfannmuller, che
dopo la guerra respinse tutte le prove che gli attribuivano la
responsabilità della morte d'inedia dei suoi pazienti, confermò
tale finzione davanti al Tribunale militare statunitense: "Devo
sottolineare che non si tratta di avvelenamento. Il bambino muore a
causa di una congestione polmonare, non muore per
avvelenamento". Rimaneva però un problema: in che modo gli ospedali
riuscivano a ottenere i grossi quantitativi di farmaci necessari per
le uccisioni continuando a mantenere segrete le attività? I medici
non potevano risolvere questo problema; spettava ai burocrati della
KdF trovare una soluzione. Tuttavia ne la KdF ne il Comitato del
Reich da essa creato come copertura potevano legittimamente
acquistare grosse quantità di farmaci. La KdFdovevareperire un altro ente che agisse da
intermediario. I funzionari della KdF chiesero aiuto all'impero
della polizia e delle SS e capeggiato da Heinrich Himmler. Essi
ricevettero la collaborazione richiesta dalla polizia giudiziaria (Krimanalpolizei
o Kripo) che, insieme alla polizia segreta di stato ( Geheime
Staatspolizei o Gestapo), costituiva la polizia di sicurezza (Sicherheitspolizei
o Sipo ). Nel 1939 la Sipo si congiunse a sua volta con il servizio
di sicurezza delle SS (Sicherheitsdienst o SD) per istituire 1
'Ufficio centrale per la sicurezza del Reich (Reichssicherheitshauptamt
o RSHA) . Pertanto quest ultimo, diretto da Reinhard Heydrich,
combinava in un' unica struttura due enti governativi, Kripo e
Gestapo, con il servizio segreto (SD) di un' organizzazione
politica. L'Ufficio centrale della polizia giudiziaria del Reich (RKPA),
chiamato Ufficio V dell'RSHA, era diretto da Arthur Nebe, il quale,
insieme al suo vice Paul Werner, raggiunse un accordo con la KdF
riguardo il ruolo della Kripo nell'ambito del programma di
eutanasia. Da quel momento in poi la Kripo avrebbe fornito i farmaci
che sarebbero stati utilizzati dai medici nei reparti di eutanasia per uccidere i bambini
disabili e, piu tardi, anche gli adulti disabili. Nebe assegnò
l'incarico di procurarsi il veleno all'Istituto tecnico criminale
dell'RKPA (Kriminaltechnisches Institut o KTI). Sebbene situato all'interno dell'RKPA, il KTI,
diretto dall'ingegnere Walter Heess, fungeva da gruppo di supporto
tecnico per l'intera Sipo. Tra i suoi compiti figuravano l'indagine
sulla falsificazione e la distruzione incendiaria di documenti e
l'esame di armi da fuoco e altre prove che richiedevano l'analisi in
un laboratorio di polizia. Il compito di ottenere il veleno spettò
al reparto di analisi chimica interno al KTI; il suo capo era Albert
Widmann, un ufficiale delle SS che aveva conseguito un dottorato in
ingegneria chimica. Widmann a quanto pare ricevette l'ordine di
collaborare con la KdF direttamente da Nebe, e tra il reparto
chimico del KTI e la KdF si instaurò una collaborazione permanente.
L'Ufficio di Widmann serviva da copertura per la KdF, e von Hegener
aveva il ruolo di contatto. Nel 1940 il reparto chimico del KTI
iniziò a preparare le sostanze chimiche richieste dalla KdF (in
particolar modo suppositori con overdosi di morfina-scopolamina),
inviandole alla KdF per la distribuzione; talvolta nella cassaforte
degli uffici della KdFerano perfino conservate delle ampolle. In una
fase posteriore del conflitto bellico, le unità di combattimento
delle SS furono ampliate e il KTI, quale tassello dell'impero di
Himmler, incrementò le risorse a sua disposizione. Di conseguenza
l'ufficio di Widmann otteneva svariate sostanze tossiche (tra cui il
luminal e la morfina) dal servizio medico delle Waffen SS; il KTI
quindi inviava i farmaci alla KdF (spesso nella persona di von
Hegener); quest'ultima infine li inviava ai reparti di eutanasia
attraverso il Comitato del Reich; accadeva spesso, tuttavia, che il
KTI consegnasse le medicine direttamente agli istituti. Per uccidere i bambini il Comitato del Reich doveva
trasferirli nei reparti di eutanasia. Ciò richiedeva una vasta
operazione che coinvolgeva un gran numero di uffici. Il processo
aveva inizio quando un medico o un'ostetrica compilava un rapporto
sul bambino, trasmesso attraverso le autorità sanitarie locali.
Sulla base di questo rapporto i periti prendevano una decisione. Se
decidevano che il bambino doveva essere incluso nell’operazione,
il Comitato del Reich -cioè Hefelmann o von Hegener alla KdF,
attuava il passo successivo. Il Comitato del Reich non entrava direttamente in
contatto ne con i parenti dei bambini ne con i loro medici. Esso non
possedeva ne status ufficiale ne facoltà di coercizione. Inoltre si
doveva evitare il contatto diretto in modo da impedire che il.
coinvolgimento della KdF divenisse di dominio pubblico. Perciò il
Comitato si rivolgeva alle autorità sanitarie degli stati federali
e delle province prussiane; ed erano questi enti a organizzare il
trasferimento dei bambini. Nel Wurttemberg, Stahle, del ministero
degli interni del Wurttemberg, e gli ufficiali sanitari locali
disposero il trasferimento di almeno 93 bambini in reparti di
eutanasia ubicati fuori dallo stato. Parimenti, 1'8 agosto del 1943
le autorità di Amburgo trasferirono 24 bambini dall'istituto
Langenhorn di Amburgo al reparto di eutanasia Hessen-Nassau a
Eichberg. Tutti i 24 bambini morirono a Eichberg nel giro di due
mesi: 4 in agosto, 13 a settembre e 7 nell'ottobre del 1943. Se un bambino si trovava già in un istituto, in
particolare un istituto che possedeva un reparto di eutanasia
infantile, il trasferimento non poneva alcun problema. Tuttavia la
maggior parte dei neonati e dei bambini piccoli dichiarati al
Comitato del Reich si trovavano a casa o in ospedali locali; in
questi casi i genitori dovevano essere convinti a concedere
l'autorizzazione del trasferimento. Di solito le autorità sanitarie
degli stati federali e delle province prussiane affidavano questo
compito agli ufficiali sanitari locali. Una volta che il bambino veniva trasferito, i periti
del comitato del Reich avevano a disposizione due modalità di
procedura alternative. La prima opzione era quella di ordinare la
soppressione del bambino non appena questi era giunto nel reparto di
eutanasia. La seconda opzione, la più utilizzata, era quella di
richiedere che il medico del reparto osservasse il bambino e
riferisse sui suoi progressi; soltanto dopo che il medico aveva
redatto un rapporto negativo veniva dato l'ordine di uccidere.
Questo periodo di cosiddetta osservazione doveva presumibilmente
impedire gli errori. Tuttavia di solito i medici dei reparti di
eutanasia non fornivano rapporti favorevoli; né il Comitato del
Reich né i medici dei reparti di eutanasia erano propensi a
dimettere i bambini del Comitato del Reich una volta che questi
erano stati ricoverati. L’ordine effettivo di uccidere un bambino partiva
dal Comitato del Reich. Questo ordine di uccisione veniva chiamato
eufemisticamente una "autorizzazione" a "sottoporre a
trattamento" il bambino. Si utilizzava i1 termine
"autorizzazione" perché l'eutanasia, nei modi in cui
questa era stata ordinata da Hitler, giocava sull'illusione che, con
la realizzazione del programma, lo stato si sarebbe limitato a
facilitare e autorizzare un'azione che un medico avrebbe desiderato
compiere per ragioni umanitarie, anche se era proibita da un codice
penale arcaico. Il termine "trattamento" veniva usato
semplicemente perché parole come "uccidere" erano
giudicate .troppo compromettenti perfino per documenti segreti .
Dopo la guerra Schmidt, del reparto di eutanasia infantile di
Eichberg, avrebbe testimoniato che "Berlino ci inviava i
cosiddetti " documenti di autorizzazione" e, dopo un po'
di tempo, arrivavano questi bambini"; egli aggiunge: "i
bambini venivano aiutati a morire". Sebbene la maggior parte dei bambini del Comitato
del Reich non soffrisse di malattie dolorose o terminali, gli
assassini difesero i loro atti sostenendo che i disturbi che
affliggevano i loro pazienti erano inabilitanti e incurabili. Le
invalidità da dichiarare erano disturbi effettivamente gravi;
comprendevano disordini neurologici e deformità fisiche giudicate
incurabili ed ereditarie secondo i canoni delle conoscenze mediche
del tempo. Tuttavia anche questo criterio di uccisione, che una
malattia fosse incurabile anche se non necessariamente terminale,
rimase soltanto teoria. Dopo che era iniziato il programma di
eutanasia infantile, il Comitato del Reich e i suoi medici non
seguirono le proprie regole ne osservarono sufficienti restrizioni
nel prendere decisioni relative all'opportunità di includere o meno
un bambino nel programma. In primo luogo la diagnosi che portava
all'inclusione era spesso imprecisa e troppo concisa. I medici non
concordavano sulle possibilità di miglioramento e spesso i
valutatori esperti, che si affidavano alle descrizioni fornite dai
medici, accettavano la prognosi meno favorevole. Sovente i medici
dei reparti di eutanasia giudicavano incurabili le condizioni del
paziente anche se i medici di famiglia, che conoscevano meglio i
bambini, non le avevano giudicate gravi. In secondo luogo i medici coinvolti nel programma
assumevano che le invalidità che giustificavano l’inclusione
avrebbero per sempre impedito all'infante di essere autonomo nel
mondo adulto. Tuttavia perfino il medico capo dell'eutanasia degli
adulti giudicò difettose le procedure per giungere a tale
decisione; citando il caso di Helen Keller, una bambina cieca e
sorda, egli sostenne che era impossibile giungere a una conclusione
definitiva circa le capacità future del bambino basandosi su una
diagnosi fatta nel periodo infantile. Allo stesso modo, in un primo
momento il perito Wentzler si oppose all'inclusione di bambini
mongoloidi nel programma, sostenendo che questi possiedono un gusto
particolare per la musica e un amore per la vita. In terzo luogo la categoria "idiozia e
mongolismo" era sufficientemente vaga da consentire
l'inclusione di bambini ritardati sulla base della loro intelligenza
e del loro comportamento. In effetti su questi bambini si
formulavano giudizi in base a una valutazione semplicistica e
fallibile della loro intelligenza e della loro istruzione. Spesso i
valori sociali, tra cui quelli che riguardavano specificamente il
comportamento infantile, influenzavano la decisione di uccidere,
così come avevano influenzato la decisione di sterilizzare. I medici dei reparti di eutanasia contribuivano
all'iter decisionale nella stessa misura dei tre valutatori esperti,
visitando i bambini e riferendo sul loro conto. Essi erano spesso
giovani e inesperti, sicuramente non abbastanza qualificati per
formulare simili giudizi. Sebbene avessero ricevuto una formazione
specifica, molti non possedevano neppure un diploma di
specializzazione. Se prendiamo in considerazione i medici dei reparti
di eutanasia più frequentemente citati (Heinze, Jekelius, Mennecke,
Pfannmuller, Renno, Schmidt e Wesse) scopriamo che quattro avevano
conseguito un diploma di specializzazione (psichiatria, neurologia,
o entrambe): Pfannmiiller nel 1918, Heinze nel 1928, I1ling nel 1937
e Jekelius nel 1938; ma gli altri quattro non lo conseguirono mai.
Essi tentarono di conseguirlo durante la guerra (ad esempio nel 1940
Mennecke ne fece domanda al comitato medico e contemporaneamente
chiese l'aiuto della KdF e dell'RMdl), ma i loro sforzi furono
frustrati. Molto semplicemente questi medici non avevano la
formazione o l'esperienza per prendere le decisioni che competevano
ai responsabili dei reparti di eutanasia. Perfino il professor Carl
Schneider di Heidelberg, egli stesso fortemente impegnato nel
programma, osservò che la loro "formazione era limitata e le
loro diagnosi non sempre accurate". Ciononostante questi medici erano ambiziosi, ansiosi
di fare la loro parte e si lamentavano se non gli veniva inviato un
numero sufficiente di bambini. Il Comitato del Reich ricompensava un
buon lavoro: il personale di un reparto di eutanasia produttivo
riceveva un premio pecuniario. I bambini del Comitato del Reich furono uccisi
perché non potevano avere spazio nel progetto della società
tedesca del futuro. Oltre a ciò, tuttavia, i medici erano
desiderosi di sfruttare la loro morte per far progredire la scienza
e la propria competenza; come vedremo, le eutanasie svolsero anche
la funzione di laboratorio per "il progresso della
scienza". Poiché i reparti di eutanasia non possedevano
l'attrezzatura e i medici non avevano la preparazione necessaria per
condurre ricerche scientifiche, queste ultime furono condotte
altrove. Numerosi istituti scientifici trassero profitto dalle
uccisioni, ma due furono strettamente associati al programma di
eutanasia infantile: la Clinica di psichiatria e neurologia
dell'Università di Heidelberg, diretta da Carl Schneider e
l'osservatorio di ricerca presso l'istituto Gorden, diretto da
Heinze. Questi e altri centri di ricerca studiarono gruppi
selezionati di bambini del Comitato del Reich prima che questi
venissero uccisi e successivamente eseguirono su di essi esami
autoptici;. inoltre dai bambini uccisi furono rimossi gli organi, in
particolare il cervello, per scopi scientifici. Anche i giovani
medici dei reparti di eutanasia potevano trarre vantaggio dalla
frequentazione dei corsi presso i centri di ricerca, utilizzando i
proventi del loro operato per avanzare nella carriera accademica. A partire dal momento in cui venivano compilati i
moduli di dichiarazione, attraverso una molteplicità di passi
inevitabili (osservazione, valutazione, uccisione, dissezione), i
bambini erano posti sotto la tutela del Comitato del Reich. Al fine
di ottenere il controllo sui bambini, il comitato e i suoi medici
usavano menzogne e minacce per assicurarsi la collaborazione dei
genitori. Tranne nel caso in cui il bambino si trovava già in un
istituto, il programma poteva funzionare soltanto se i genitori
acconsentivano di ricoverare i loro figli nei reparti di eutanasia.
Di solito ciò non poneva alcun problema: le autorità non facevano
altro che ingannare i genitori, dicendogli che in quei reparti i
figli avrebbero potuto ricevere le cure necessarie. Come abbiamo visto, la circolare diffusa dall'RMdI
negli uffici sanitari prometteva terapie scientifiche avanzate e di
solito questo stratagemma convinceva i genitori a ricoverare i
figli. Tuttavia alcuni genitori si opposero. Questi non volevano
separarsi dai figli, o perché sospettavano una diagnosi falsa visto
che i medici di famiglia erano pervenuti a una prognosi meno
negativa, oppure perché temevano il peggio avendo udito le voci
circa le uccisioni per eutanasia. Questi genitori furono fatti
oggetto di pressioni da parte del Comitato del Reich. Il 20 settembre 1941 1 'RMdI emanò una circolare
indirizzata alle amministrazioni degli stati federali e delle
province prussiane, oltre che negli uffici sanitari pubblici, che
tentava di confutare le obiezioni sollevate in merito all '
affidamento dei bambini. Ribadendo i grandi benefici terapeutici
offerti dal Comitato del Reich, il decreto spiegava in dettaglio il
modo in cui l'istituzionalizzazione dei bambini disabili avrebbe
liberato la famiglia in modo da consentirle di prendersi cura dei
fratelli o delle sorelle sani. Essa accusava sia i parenti che i
medici di famiglia di non valutare adeguatamente la gravità di tali
minorazioni, in particolare nel caso dei bambini mongoloidi, la cui
"felice disposizione o amore per la musica" veniva
indebitamente interpretata come motivo di ottimismo. Essa respingeva
l'obiezione sollevata da alcuni genitori secondo cui i reparti del
Comitato del Reich erano situati in ospedali statali, dichiarando
che si trattava in realtà di "reparti aperti per la cura
esperta di bambini e giovani". La circolare esortava gli uffici sanitari e i medici
a convincere i genitori utilizzando argomenti forniti dal ministero;
ma essa indicava anche la possibilità di ricorrere alla forza.
Infine la circolare del ministero sottolineava che il rifiuto di
ricoverare il bambino, una volta che al genitore erano stati
spiegati tutti i fatti, sarebbe stato dannoso per la famiglia e per
i figli che godevano di buona salute. In tal caso le autorità
sanitarie "avrebbero potuto indagare per stabilire se tale
rifiuto costituisse una violazione del diritto di custodia". Di solito la minaccia di privare i genitori dei
diritti di custodia aveva effetto. Una pressione ancora maggiore
poteva essere esercitata sulle madri quando i padri erano assenti
perché impegnati nel conflitto bellico. In simili casi il Comitato
del Reich, rifacendosi a un accordo tra il ministero del lavoro e
quello degli interni, richiedeva all'ufficio del lavoro locale di
assegnare la madre recalcitrante alla manodopera temporanea; a quel
punto quest'ultima non aveva altra scelta se non affidare il
bambino. Evidentemente queste misure coercitive erano efficaci
soltanto nei confronti di madri appartenenti alla classe
lavoratrice, non in grado di finanziare l'assistenza dell'infanzia,
in particolare dopo che i sussidi per l'infanzia furono negati a
coloro che non erano stati dichiarati "connazionali
utili". Tattiche analoghe furono impiegate contro i genitori
che tentavano di strappare i loro figli ai reparti di eutanasia. In
teoria, riprendersi un bambino era una possibilità, così come il
ricovero doveva essere volontario; di fatto era praticamente
impossibile. I medici dei reparti di eutanasia facevano tutto quello
che era in loro potere per impedire ai genitori di riprendersi i
figli. Alcuni genitori presentarono una petizione all’istituto,
alcuni lo denunciarono alle corti e alcuni usarono dei sotterfugi
per riavere i loro bambini. Pochi riuscirono nel loro intento. Dopo la guerra i dirigenti e i medici coinvolti nell’eutanasia
infantile non vollero ammettere di aver ucciso bambini senza il
consenso dei loro genitori, ma non poterono dissimulare
completamente questa realtà. Essi fecero riferimento a genitori e
parenti che erano felici di consentire alle autorità di liberarli
dal peso di un bambino disabile; spesso questi parenti venivano dai
ranghi del partito nazista. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, pochi
genitori acconsentirono all’uccisione dei loro figli. Inoltre i
medici ebbero sempre un concetto di consenso assai bizzarro. Sebbene
ai genitori non venisse mai detto che il bambino sarebbe stato
ucciso, era spesso consuetudine prepararli all’evento
raccontandogli una storia falsa circa un’operazione altamente
rischiosa, forse addirittura letale, che però avrebbe potuto
guarire il figlio. Se i genitori autorizzavano tale operazione, i
medici interpretavano tale autorizzazione come un consenso in merito
all’attuazione dell’eutanasia. L’uccisione dei bambini fu il primo atto del
programma di sterminio per eutanasia. I bambini erano giudicati particolarmente importanti
perché rappresentavano la posterità; la soppressione di quanti
erano considerati malati e deformi era essenziale al successo del
programma di purificazione razziale ed eugenetica. Tuttavia ben
presto il progetto di uccidere i bambini disabili fu oscurato da
quello di uccidere gli adulti disabili. Tuttavia quando, nell’agosto
del 1941, Hitler ordinò l’interruzione della prima fase dell’eutanasia
degli adulti, i bambini non rientrarono in questo cosiddetto
"ordine di sospensione" e l’eutanasia infantile
continuò fino al termine della guerra. A quel punto la portata dell’eutanasia infantile
si era estesa. Dapprima essa comprendeva solamente neonati e bambini
piccoli, nessuno al di sopra dei tre anni. Tuttavia successivamente
vi rientrarono anche bambini più grandi; e alla fine nei reparti
infantili furono uccisi anche adolescenti. Fu Hitler, che si
riservava l’autorità di risolvere i problemi, a prendere la
decisione di includere i bambini più grandi. È importante
ricordare che non tutti i bambini erano affetti da malattie
incurabili o da deformità permanentemente invalidanti; molti furono
istituzionalizzati per invalidità meno gravi o semplicemente
perché erano bambini lenti ad apprendere e con problemi
comportamentali. Poiché molti documenti che attestano le uccisioni
non sono giunti fino a noi, è impossibile calcolare il numero di
bambini uccisi nei reparti infantili durante la seconda guerra
mondiale. La migliore stima è un totale di almeno 5000 bambini
assassinati. Il progetto T4. La soppressione degli adulti disabili Come aveva anticipato a Gherard Wagner in una
precedente conversazione privata, con l’inizio della guerra Hitler
iniziò l’operazione di eutanasia dei disabili adulti. Nell’ottobre
del 1939 Hitler convocò una riunione informale alla presenza di
Hans Henrich Lammers, ministro della cancelleria, Leonardo Conti,
subentrato a Wagner come medico generale del Reich e Martin Bormann,
segretario particolare e vera e propria "anima nera" del
Fuhrer per illustrare scopi e modalità del progetto. Dopo la campagna di sterilizzazione, l’eliminazione
dei disabili adulti, istituzionalizzati e non, mirava, nella deriva
ideologica del nazismo, a cancellare il passato. "Quelle dei
disabili – come ebbe a dire Hitler nella riunione preparatoria –
erano vite indegne di essere vissute. Alla base del progetto vi era comunque un criterio
di ordine preminentemente economico e utilitaristico: secondo gli
accurati calcoli di uno statistico del Reich, l’eutanasia dei
portatori di Handicap adulto, se calcolata su base decennale,
avrebbe fatto risparmiare all’erario tedesco qualcosa come
885.439.980 marchi, senza contare il mancato esborso di spese
alimentari e di mantenimento. L’avvio dello sterminio dei disabili adulti,
coincise comunque con un rafforzamento del potere nazista. Hitler l’attuò,
pur con tecniche di assoluta segretezza e dissimulazione, perché
convinto dell’assoluta impunità e della comprovata capacità di
manovrare il consenso ad ogni livello. Quando questa consapevolezza
venne meno, nella prima metà del 1941, il Fuhrer fu costretto a
cambiare repentinamente, ma non nella sostanza le modalità di
esecuzione di quello che verrà universalmente chiamato
"Progetto action T4", o più semplicemente:
"T4". Il 15 ottobre 1939, la cancelleria privata di Hitler,
che già si era occupata dello sterminio dei bambini handicappati,
fisici e mentali, emanò un ordine di servizio, a firma autografa
del Fuhrer, che imponeva a tutti gli istituti e case di cura del
Reich, di fornire, su base regionale, gli elenchi dettagliati di
quei degenti definiti incurabili o terminali. Questo documento,
anche in sede di processo di Norimberga, fu addotto a prova della
responsabilità dei vari medici e gerarchi che, a diverso titolo,
avevano partecipato al T4, ciò nonostante questa informativa non fu
mai istituzionalizzata, il T4 rimase sempre circondato dalla più
assoluta segretezza e si mosse con rigore assolutamente scientifico. La supervisione del progetto fu affidata in un primo
tempo a Leonardo Conti, ma dopo una serie di lotte interne al
partito, cui non erano estranei Himmler e Flick, Conti fu
sacrificato e la direzione organizzativa fu assunta da Philiph
Bouler e Karl Brandt, fedelissimi di Himmler, che si erano già
occupato dell’eutanasia infantile dei disabili. Dal punto di vista
operativo comunque, la competenza passò ben presto al II ufficio
della cancelleria privata di Hitler, diretto da Viktor Brack. L’eliminazione dei bambini disabili, a suo modo,
era stato un’operazione circoscritta, questo era uno sterminio su
larga scala: tutto andava razionalizzato e soprattutto – secondo
la tecnica cara a Brack – programmato e mistificato. La
cancelleria del Fuhrer non poteva e non doveva essere coinvolta
direttamente. Il II ufficio della cancelleria e tutti gli uffici
medici relativi al progetto, diretti fino al 1940 dallo psichiatra
Werner Hayde , furono subito trasferiti in una grande villa
confiscata a ricchi ebrei berlinesi. Proprio all’indirizzo di
questa villa, situata al numero 4 di Tiergarten straße a Berlino,
si deve il nome in codice del primo progetto nazista di sterminio di
massa. Lo sterminio dei bambini era stato a suo modo un’operazione
abbastanza circoscritta, questa invece era vissuta come un progetto
su larga scala e richiedeva, pertanto, un’organizzazione oliata ed
efficiente. Viktor Brack dotò il T4 di tutta una serie di uffici
tra i quali primeggiavano l’ufficio medico e l’ufficio
aministrativo, coperti da una fitta rete di cooperative mediche del
Reich, tra cui la famigerata Rag (unione degli ospedali e case di
cura del Reich) che fungeva da paravento per gli uffici medici. All’ufficio
trasporti competeva invece lo spostamento dei pazienti dagli
istituti di provenienza a quelli che furono definiti "centri di
uccisione". Questo compito, primo tassello della campagna di
dissimulazione orchestrata da Brack, era demandato al braccio
operativo del "Gekart", con la supervisione delle SS che
prelevavano i pazienti nei famigerati autobus grigi. Molti dei soggetti disabili, definiti tali in base
ad una sommaria diagnosi psichiatrica basata solo su elementi
chimico-biologici, visto che la psicanalisi era bandita dal nazismo
come foriera di influenze ebraiche, si rendevano conto di ciò che
li aspettava e gli aguzzini erano costretti a riempirli di sedativi
durante e dopo il trasporto. Dopo aver approntato la macchina organizzativa
bisognava passare alla fase attuativa ed approntare i centri di
uccisione. In un primo tempo ci fu una macabra querelle rispetto all’utilità
di usare iniezioni letali o gas, poi, su espressa menzione di Brack,
si optò per la seconda ipotesi, definita subitanea e meno dolorosa. Il primo centro di uccisione fu approntato tra il
dicembre del 1939 e il gennaio del 1940 in un ex istituto carcerario
situato presso Brandeburgo sull’Haven. Il sito, un castello
isolato, fu scelto per la vicinanza a Berlino e per essere
facilmente dissimulabile rispetto alle eventuali proteste dell’opinione
pubblica. Alla prova generale di cassazione, avvenuta dopo aver
approntato una stanza apposita che poteva contenere 70 soggetti,
assistettero tutti i vertici del T4, tra cui lo stesso Brack,
Boulher, Conti e Linden. Subito dopo il campo di Brandeburgo furono
istituiti, in rapida successione, altri 5 campi di uccisione che
coprivano tutti il territorio del Reich germanico: Grafeneck,
Hartheim, Sonnenstein, Bernburg e Hadamar. Per questioni di segretezza i nomi dei campi non
apparvero mai sui documenti di transito ma furono designati con
casuali lettere dell’alfabeto. I responsabili degli stessi
assunsero vari pseudonimi e lo stesso Brack fu designato sempre come
"Jenninger". Per quanto riguarda l’organizzazione interna, ogni
campo era strutturato con personale medico, che spesso non aveva
nessuna cognizione anatomica ed era reclutato a caso anche tra gli
studenti universitari, personale infermieristico e cosiddetti
fuochisti, addetti alla gasazione, al crematorio alla cremazione dei
cadaveri. Il tutto si svolgeva come una catena di montaggio. I
pazienti venivano prelevati dagli istituti di provenienza a cui il
personale di transito rilasciava regolare ricevuta con il numero
esatto dei soggetti prelevati. Una volta arrivati presso i campi di
uccisione, i disabili venivano smistati nelle sale di accoglienza
che spesso erano sopraelevate rispetto alla camera a gas: se le sale
d’accoglienza erano situate a pian terreno, la camera a gas doveva
necessariamente trovarsi nell’interrato. Dopo la spoliazione degli
abiti e degli effetti personali, che venivano accuratamente raccolti
dal personale infermieristico e andavano ad ingrossare un fondo nero
del T4, gli individui venivano prima sottoposti ad una sommaria
visita medica che ne controllava i possibili denti e placche d’oro,
poi, dopo essere stati marchiati con nastro adesivo, erano invitati
a fare la doccia e condotti nella camera di gasazione che veniva poi
chiusa ermeticamente, dando fiato a quattro soffioni posti in alto
attraverso un meccanismo posto in una stanza adiacente. La morte
sopravveniva nel giro di 10 minuti dopodiché il personale di
servizio accatastava i cadaveri, li conduceva al crematorio e, in
maniera sommaria, provvedeva all’accatastamento delle ceneri in
una fossa comune. Quando il programma di uccisione arrivò a pieno
regime, nelle camere a gas, al posto dei 70 soggetti iniziali,
venivano accatastate più di 300 o 400 persone alla volta. Quando,
il 24 agosto 1941, pressato dall’opinione pubblica interna, Hitler
ordinò la temporanea sospensione delle esecuzioni, si calcolò che
il progetto T4 avesse fatto più di 70000 vittime. Ma gli storici di
Norimberga accertarono come questa cifra fosse eccessivamente
inferiore ai dati reali visto che, guardando alle prove documentali,
il calcolo si riferiva soprattutto ai decessi avvenuti nei campi di
uccisione senza contare le innumerevoli morti causate con iniezione
letali, prima e dopo le uccisioni di massa. I disabili e la guerra, dissimulazione e dignità storica Con l’estendersi dei fronti di guerra e la formale
chiusura dei principali centri di uccisione, lo sterminio dei
disabili del Reich continuò sotto varie forme, mentre la campagna
di annientamento delle persone handicappate nei Paesi occupati, le
inglobò nell’universo concentrazionario dei lager, spedendoli
soprattutto nei campi di sterminio dell’Europa orientale. Dei sei milioni di vittime accertate della Shoah, è
a tuttoggi difficile stabilire quanti fossero i disabili. Secondo le
testimonianze raccolte negli incartamenti si Norimberga, dopo la
temporanea interruzione delle esecuzioni nel 1941, alcuni campi di
uccisione tedeschi continuarono l’operazione di sterminio fino all’arrivo
degli alleati. In ogni caso però la ricerca si fa più difficile, a
questo punto infatti la campagna di dissimulazione delle uccisioni
raggiunse il suo culmine. Mentre nell’Europa orientale si procedeva alle
gasazioni di massa di ebrei, zingari e oppositori politici, i
disabili appartenenti al Reich germanico, venivano eliminati in gran
segreto negli ospedali, spesso, come confessò lo stesso Viktor
Brack al processo di Norimberga, si ricorreva a barbiturici o
iniezioni letali, costringendo gli infermieri renitenti, sotto
minaccia di morte. Diversa sorte toccò invece ai disabili dei Paesi
occupati che, spesso per motivi politici o razziali, dopo un breve
periodo d’internamento, venivano deportati nei campi di sterminio
e, in quanto ritenuti inabili al lavoro o troppo deboli, erano tra i
primi ad essere soppressi, appena scesi dai convogli. Ciò
nonostante si hanno notizie, seppur frammentarie, di disabili
sopravvissuti ad Auschwitz-Birkenau. La cosa più difficile appare comunque dare un volto
alle vittime, anche perché negli anni di guerra, a scopi meramente
utilitaristici, i nazisti allargarono ulteriormente la dizione di
persona disabile, internando per fittizi problemi mentali, gente
perfettamente normale, tra cui oppositori politici, persone con
lievi problemi di tossicodipendenza e omosessuali. Non vi è dubbio comunque che il processo di
dissimulazione della verità storica, attuato soprattutto dall’ufficio
amministrativo della T4, raggiunse la sua massima espressione,
nonostante le ripetute pressioni che provenivano fin dalla metà
anni trenta dalla magistratura, dalle Chiese e da larga parte della
nobiltà tedesca, nell’ultimo atto del T4 prima della soluzione
finale: la deportazione degli ebrei disabili. La deportazione dei disabili ebrei, la truffa di Cholm II Nell’ambito del processo di Norimberga Viktor
Brack affermò sotto giuramento che nessun disabile ebreo fosse
stato internato nei campi di uccisione nell’attuazione del piano
di eutanasia delle persone handicappate, dello stesso furono le
testimonianze di Karl Brandt e dei medici che avevano operativamente
partecipato al T4. Per rincarare la dose si disse anche che ai
disabili ebrei non era dovuta quella "morte compassionevole (la
gasazione), riservata agli handicappati tedeschi. Non servivano
certo le testimonianze contrarie per rivelare l’assoluta falsità
di queste affermazioni. Come affermò tra gli altri, Herbert Kaslich,
detto "l’elettricista del T4. I disabili ebrei furono inclusi
nel programma di eutanasia, fin dall’inizio: prima come singoli e
poi non più solo in quanto disabili, ma come appartenenti al gruppo
etnico ostracizzato e perseguitato. Secondo le statistiche più
aggiornate, nell’ambito del programma di eutanasia, vennero
assassinati nel corso del 1940, dai 4.000 ai 5.000 handicappati
ebrei. La persecuzione dei disabili ebrei si svolse
esattamente sulla falsa di quanto era avvenuto per gli handicappati
tedeschi. Guardando ai pazienti di religione ebraica internati negli
ospedali tedeschi prima del 1933, si ravvisa come la campagna di
sterilizzazione, in quanto disabili, non li risparmiò di certo. Le
prove documentali afferenti al 1939 parlano di almeno una paziente
ebrea sterilizzata nell’ospedale di Amburgo. Il primo passo fu
certamente l’ostracismo di quei disabili ebrei che, ospedalizzati
e non, mantenevano un certo status sociale che permetteva loro di
sottoporsi alle dovute cure mediche e di condurre una vita di
relazione. Nel 1938 un decreto del Reich escluse gli ebrei dall’assistenza
pubblica: i servizi di assistenza erano demandati alle sole
organizzazioni ebraiche, solo se queste dimostravano di non
potersene fare carico, subentrava lo Stato. Le misure furono
notevolmente inasprite nel 1939: un decreto impose che la
"Rappresentanza ebraica del Reich", un organo di autonomia
della comunità israelitica tedesca, si trasformasse in
"Associazione ebraica del Reich" e perdesse molti dei suoi
poteri, diventando molto più controllabile. Da ora in poi gli ebrei
di sesso maschile dovevano anteporre al proprio nome di battesimo
quello di Israel, mentre alle donne era fatto obbligo di anteporre
al proprio nome di battesimo quello di Sara. L’ostracismo e la
progressiva esclusione dalle professioni dagli uffici pubblici non
fecero che impoverire le casse della comunità ebraica tedesca, con
ovvie ricadute sui disabili. Molte famiglie israelite sceglievano la
via dell’emigrazione senza poter portare con sé i congiunti
disabili. Molti parenti continuarono a pagare le rimesse a favore
dei disabili internati, ma molti di essi, già ricoverati in
ospedali tedeschi, finivano sotto il controllo dello Stato. Nelle
case di cura tedesche si cominciavano a prevedere reparti per soli
pazienti ebrei. La persecuzione di massa nei confronti dei disabili
ebrei e la loro integrazione nel programma di eutanasia come gruppo
etnico, non più solo come disabili, avvenne a partire dal 15 aprile
1940. Herbert Linden, uno dei massimi responsabili del T4,
emanò in quella data una circolare che imponeva a tutti gli
ospedali di dichiarare la presenza di pazienti ebrei al fine di
riunirli in appositi centri di raccolta che altro non erano se non l’anticamera
dei campi di uccisione. I pazienti ebrei del Nord e della provincia di
Berlino, furono riuniti nel campo di raccolta di Buck, da cui i
famigerati autobus grigi del Gekrat, il braccio operativo dell’ufficio
trasporti del T4, con carichi di circa duecento persone alla volta,
li prelevasse e li conducesse al campo di uccisione di Brandeburgo.
La sorte che li attendeva è ben nota. Nel caso dei pazienti ebrei le pressioni di parenti,
magistratura, ospedali e associazioni per avere notizie sulla loro
sorte, furono certo più incisive rispetto a quelle esercitate in
rapporto ai disabili tedeschi, anche perché gli ospedali di
provenienza, con il trasferimento dei disabili ebrei ad altra sede o
con la loro dipartita, vedevano congelati i cespiti loro dovuti per
l’assistenza. Fu allora che i vertici del T4 architettarono quella
che può veramente definirsi "la maxitruffa di Cholm o Chelm
che dir si voglia, visto che nelle prove documentali questa
struttura fantasma viene nominata in tutti e due i modi. Quando i parenti di pazienti ebrei o chi per loro,
dopo il trasferimento, chiedevano notizie dei propri congiunti
ricoverati, la direzione degli ospedali di provenienza, si limitava
a dire che i soggetti erano stati trasferiti nell’unità di Chelm,
vicino Lublino, in Polonia, con tanto di indirizzo e di casella
postale. I cespiti dovuti quindi, dovevano essere versati a questa
struttura . Va da sé che Chelm altro non se non una casella
postale fittizia. Un corriere addetto all’operazione, provvedeva
ad imbucare le lettere di risposta presso Lublino, recapitando poi i
cespiti alle casse del T4, già rimpinguate da effetti personali e
denti d’oro prelevati ai cadaveri. Due o tre mesi dal
trasferimento, la direzione di Cholm, comunicava ai parenti l’avvenuto
decesso del congiunto. In caso di obiezioni, era intimato di
rivolgersi al governo centrale. La truffa, molto lucrosa, ma anche abbastanza
maldestra, durò per più di un anno. Quando nell’agosto del 1941
il Reich decise la deportazione in massa degli ebrei tedeschi ed
austriaci, anche i disabili israeliti seguirono la sorte dei loro
correligionari nei campi di sterminio. Il 22 giugno 1941 la Wermacht tedesca penetrò in
territorio sovietico e il regime nazista s’imbarcò nella sua
seconda e più imponente operazione di sterminio. Il primo obiettivo
fu la soppressione degli ebrei sovietici, degli zingari, e, quando
possibile, dei disabili. Il comandante di questa operazione, il
generale Edward Wagner così annotava nel suo diario nel settembre
del 1941: "I russi considerano i frenastenici, Sacri. Ciò
nondimeno, la loro eliminazione è necessaria". La soluzione finale è quindi intimamente correlata,
nei metodi e nelle modalità allo sterminio dei disabili. Prove
documentali testimoniano infatti che dopo un primo periodo di
fucilazioni di massa, sotto la direzione di Adolf Eickman si passò
alla costituzione di quell’universo concentrazionario che ebbe in
Auschwitz il suo simbolo più drammatico e dolente. I campi di concentramento furono pensati e
strutturati sul modello presistente dei campi di uccisione per
disabili. Gran parte del personale del T4, rimasto disoccupato dopo
la chiusura dei centri di uccisione, venne massicciamente impiegato
nella soluzione finale. Si hanno prove concrete che nel 1943, il dottor
Dietrich Allers, già direttore dell’ufficio amministrativo del T4
nella sua seconda fase, abbia architettato e gestito il campo di
transito italiano della Risiera di San Sabba, dove non pochi ebrei e
partigiani morirono per gas e iniezione letale. Anche l’Italia pagò il suo prezzo, anche l’Italia
ebbe le sue vittime tra i disabili. Ma un computo esatto appare
ancora difficile. Le vittime italiane, furono soprattutto ebrei,
destinati alla deportazione verso Auschwitz, che non fecero neanche
in tempo a scendere dai convogli. Nella maggior parte dei casi
infatti vennero uccisi subito dopo il loro arrivo al campo. I manicomi di Venezia: una storia italiana La storia della deportazione dei pazienti ebrei
ricoverati negli ospedali di S. Servolo e S. Clemente a Venezia,
nella dinamica ed esemplarità delle vicende personali, assume una
valenza paradigmatica nell’ambito della più ampia degli ebrei
italiani. L’11 ottobre del ’44, su ordine del comando
tedesco, coordinato dal capitano Stangl con l’attiva
partecipazione della polizia italiana, i cinque pazienti ebrei dell’ospedale
psichiatrico di S.Clemente ed i sei ricoverati di religione ebraica
presso l’O.P veneziano di S. servolo, furono prelevati per essere
prima custoditi coattamente presso l’ospedale civile, che divenne
un vero e proprio lazaretto prigione per gli israeliti malati e poi
condotti al campo di concentramento di Birkenau. Se si guarda alle vicende personali dei singoli
soggetti, la cui ricostruzione storico-documentale è dovuta al
lavoro certosino degli studiosi Angelo Lallo e Lorenzo Torresini, ci
si rende conto di come all’indomani delle leggi razziali, anche in
Italia il malato mentale, specie se ebreo, fu sottoposto ad una vera
e propria eutanasia sociale, ne mancarono peraltro i tentativi di
salvataggio da parte di singoli medici ed operatori sanitari. Esemplare a questo proposito, appare il caso del
paziente M.l. sulla cui identità ebraica, si erano avuti all’inizio
forti dubbi. Il paziente in questione, sfollato da Palermo, non
presentava chiari sintomi di malattia mentale, ma solo un
disorientamento da postumi di bombardamento. Fu ricoverato in ospedale psichiatrico,
presumibilmente con documenti falsi, nel tentativo di sottrarlo ad
eventuali retate. Si sospetta che il direttore della casa di cura,
fosse a conoscenza dell’escamotage. La cattura dei degenti ebrei, come di tutta la
popolazione ebraica del Veneto fu possibile a causa dell’intensa
opera di delazione dell’ebreo Mauro Grini, noto alla polizia e al
comando tedesco, col soprannome di Signor Manzoni, che non si faceva
certo di denunciare i propri correligionari. Per parte sua, il presidente della comunità ebraica
veneziana Giuseppe Jona, dopo le leggi razziali, essendo stato
costretto a fornire gli elenchi della comunità, si tolse la vita. Dal ’38 al ’44, quando possibile i malati ebrei
veneziani furono in qualche modo preservati dall’accoglienza e dal
supporto della casa di riposo israelita, che nulla potè, comunque,
al momento della deportazione. La lettura delle prove documentali dimostra come ben
pochi dei ricoverati ebrei di S. Servolo e S. Clemente,
presentassero vere e proprie patologie mentali. In alcuni casi si
trattava di gente perfettamente integrata nel tessuto sociale e,
come nel caso del paziente, G.R., nato in Turchia, financo iscritta
ai fasci di combattimento, cui le leggi razziali inflissero un
trauma psichico difficilmente sanabile. Questo ad ulteriore riprova che le leggi razziali e
la Shoah furono, prima di tutto, alienazione sociale ed individuale
della persona umana. Caricati sui carri bestiame per Birkenau, degli 11
pazienti ebrei di Venezia non si seppe più nulla. Alcuni compresero
ciò che li aspettava, altri salirono felici e ignari sui convogli. Ai direttori dei manicomi arrivarono anche cartoline
di saluto dai campi, non si sa se per comprovare un’esecuzione o
per che altro. Le cartoline erano in realtà parte integrante di
quel processo di dissimilazione della verità storica che abbiamo
visto essere caratteristica del regime nazista. Molto probabilmente,
gli undici degenti psichiatrici furono trucidati all’arrivo. I
loro documenti, le loro tracce, furono bruciati. Le loro vite,
cancellate. Come tutti i disabili, secondo i nazisti, non erano
mai vissuti. Le
origini del concetto di eutanasia in Germania
"Se sfogliassimo un
vocabolario alla ricerca del significato della parola 'eutanasia' troveremmo questa definizione: Quando oggi discutiamo di eutanasia parliamo di un 'diritto' del paziente, ci riferiamo cioé alla 'eutanasia volontaria'. In altri termini privilegiamo la sfera della volontà umana. Nella Germania degli anni tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale si parlava di eutanasia in modo molto differente.
Durante la Prima Guerra Mondiale si era assistito ad una impressionante impennata dei decessi dei malati cronici negli istituti di cura tedeschi: 45.000 in Prussia e più di 7.000 in Sassonia. Con molta probabilità la scarsità di cibo causata dal conflitto aveva spinto molti medici ad affrettare la morte di una parte di queste cosiddette "bocche inutili". Per certi versi si era creato in tal modo un terreno favorevole ad una sorta di "indifferenza" alla morte di individui definiti inguaribili. In questo clima trovò terreno fertile la teorizzazione di una "eutanasia di Stato". Nel 1920 apparve un libro dal titolo "L'autorizzazione all'eliminazione delle vite non più degne di essere vissute". Gli autori erano Alfred Hoche (1865-1943), uno psichiatra e Karl Binding (1841-1920) un giurista. Hoche e Binding di fatto svilupparono un concetto di "eutanasia sociale". Il malato incurabile, secondo i due, era da considerarsi non soltanto portatore di sofferenze personali ma anche di sofferenze sociali ed economiche. Da un lato il malato provocava sofferenze nei suoi parenti e - dall'altro - sottraeva importanti risorse economiche che sarebbero state più utilmente utilizzate per le persone sane. Lo Stato dunque - arbitro della distribuzione delle ricchezze - doveva farsi carico del problema che questi malati rappresentavano. Ucciderli avrebbe così ottenuto un duplice vantaggio: porre fine alla sofferenza personale e consentire una distribuzione più razionale ed utile delle risorse economiche." |
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