Rapporto sulle politiche contro la
povertà e l'esclusione sociale
Per la prima volta
negli ultimi 6 anni sono in calo le famiglie relativamente povere (oggi
all'11%). Stabile la povertà assoluta (4,2%)
“Rapporto sulle
politiche contro la povertà e l’esclusione sociale” per il biennio
2002/2003. Il Rapporto di 150 pagine corredate di dati statistici e
tabelle.
Il testo è
suddiviso in quattro parti: nella prima vengono analizzate le dinamiche
e il panorama della povertà in Italia e le risposte politiche fornite
nel biennio 2001-2002; la seconda parte è dedicata a una serie di
approfondimenti (povertà relativa ed assoluta nel corso degli ultimi sei
anni (1997-2002), segnali di disagio economico nel tenore di vita della
famiglie, percezione soggettiva del disagio sociale, minori a rischio
esclusione, contributo delle organizzazioni non profit al processo di
inclusione sociale, tutela delle fasce deboli nell’ambito dei sistemi
previdenziali attualmente in vigore in Italia, Germania, Regno Unito,
Francia, Svezia, Stati Uniti, ecc.).
La terza parte
illustra il contributo che il settore del non profit garantisce in
termini di risposte all’esclusione sociale, mentre la quarta è
incentrata sulle misure di tutela delle fasce più deboli della
popolazione e su alcuni aspetti previdenziali.
La povertà è stata
calcolata sulla base di due distinte soglie convenzionali: una
“relativa”, determinata annualmente rispetto alla spesa media mensile
procapite per consumi delle famiglie; e una “assoluta”, fondata sul
valore monetario di un paniere di beni e servizi essenziali aggiornato
ogni anno tenendo conto della variazione dei prezzi al consumo. Nel 2002
risulta povera in senso relativo la famiglia di 2 persone che ha una
capacità di spesa media mensile pari o inferiore a 823 euro; la stessa
famiglia è invece povera in senso assoluto se non può spendere più di
574 euro al mese.
Per la prima volta nel corso degli ultimi 6 anni le famiglie italiane
relativamente povere sono diminuite in termini percentuali e assoluti:
l’incidenza della povertà relativa è passata dal 12% nel 2001 (pari a 2
milioni 663mila famiglie) all’11% nel 2002 (2 milioni 456mila famiglie,
cioè 207mila in meno). I miglioramenti si registrano nelle regioni del
Centro-Sud, mentre al Nord si manifestano segnali di peggioramento
specie per i nuclei familiari più numerosi e le famiglie di anziani. In
ogni caso i nuclei al di sotto della soglia di povertà restano
concentrati per i 2/3 nelle regioni del Mezzogiorno, con un’incidenza
della povertà doppia rispetto alla media nazionale. Rimane costante
invece, con media del 4,2%, il numero di famiglie povere in senso ‘’assoluto’’.
I segnali di miglioramento tra il 2001 e il 2002 sono in parte il
risultato di una congiuntura economica debole e in parte l’effetto delle
politiche finalizzate allo sviluppo dell’occupazione, agli sgravi
fiscali sui redditi delle famiglie, all’aumento delle detrazioni per i
figli a carico, all’innalzamento dei minimi pensionistici per gli
anziani ultrasettantenni, all’assegno per le famiglie con più minori,
all’assegno di maternità, nota il Rapporto.
Povertà Italia (Istat03): povertà
assoluta per ripartizione geografica: anni 1997-2002
(Incidenza in %) |
|
1997 |
1998 |
1999 |
2000 |
2001 |
2002 |
Italia |
4,6 |
4,5 |
4,8 |
4,3 |
4,2 |
4,2 |
Nord |
1,6 |
1,7 |
1,4 |
1,6 |
1,3 |
1,7 |
Centro |
1,8 |
2,2 |
2,6 |
2,7 |
2,3 |
2,2 |
Sud |
10,5 |
9,8 |
11 |
9,4 |
9,7 |
8,9 |
Fonte:
Ministero del Welfare "Rapporto sulle politiche contro la povertà e
l'esclusione sociale 2002/2003" su dati Istat, Indagine sui consumi
delle famiglie 2001 e 2002
Il 14,8% delle
famiglie con minori vive in condizioni di povertà e difficilmente è in
grado di offrire un futuro migliore ai propri figli
“Ha mantenuto nel
corso degli anni una incidenza superiore alla media la povertà dei
minori, direttamente paragonabile a quella degli anziani. E l’elevata
vulnerabilità dei minori “rende evidente la necessità di moltiplicare
gli sforzi per prevenire le fonti del disagio – attraverso il sostegno
al ruolo educativo delle famiglie e ad adeguate politiche
dell’istruzione e del lavoro - oltre che per ripararne gli effetti”,
commenta il Rapporto.
Nel 2001-2002 si contano 990mila famiglie povere in cui vivono dei
minori e 1 milione 706mila sono i minori in stato di povertà relativa.
Il 14,8% delle famiglie con minori vive in condizioni di povertà e
difficilmente è in grado di offrire un futuro migliore ai propri figli.
Quindi i minorenni “rappresentano un segmento della popolazione
particolarmente esposto al rischio della povertà e della esclusione
sociale, specie quando interrompono precocemente gli studi a causa delle
ripetenze o dell’abbandono vero e proprio”, fa notare il Rapporto.
Malgrado i miglioramenti, 4,6 studenti su 100 che frequentano la scuola
media ripetono una o più classi nell’arco dei tre anni di corso;
l’abbandono è particolarmente sensibile nel primo biennio della scuola
secondaria, con un’incidenza complessiva del 12% degli iscritti al primo
anno e del 4,9% degli iscritti al secondo anno.
Per quanto riguarda gli anziani, il testo riprende alcuni temi del
“Rapporto sulle strategie nazionali per i futuri sistemi pensionistici”
(predisposto nell’ottobre 2002 dal Governo italiano sulla base di una
griglia concordata in sede comunitaria), approfondendo con alcuni
confronti internazionali il problema della “tutela delle fasce sociali
deboli nell’ambito delle politiche previdenziali”; in particolare, viene
sottolineato “il diverso contributo dato al sistema previdenziale dalle
famiglie con figli e senza figli; i rischi legati a un sistema di primo
e secondo pilastro affidati al solo criterio assicurativo-contributivo;
i problemi connessi alla progressiva riduzione del reddito pensionistico
rispetto allo stipendio percepito (‘tasso di sostituzione’) in mancanza
di un innalzamento dell'età pensionistica e di un tempestivo avvio delle
pensioni complementari”.
Povertà Italia: linea relativa e
assoluta di povertà
Per ampiezza della
famiglia - Spesa media pro-capite
(euro correnti per mese) - Anni 2001-2002 |
|
Povertà
relativa |
Povertà
assoluta |
Ampiezza della
famiglia |
2001 |
2002 |
2001 |
2002 |
1 |
489 |
494 |
373 |
383 |
2 (linea
standard)* |
815 |
823 |
560 |
574 |
3 |
1.083 |
1.095 |
795 |
815 |
4 |
1.328 |
1.342 |
1.007 |
1.032 |
5 |
1.548 |
1.565 |
1.269 |
1.300 |
6 |
1.759 |
1.779 |
1.462 |
1.499 |
7 o più |
1.955 |
1.976 |
1.650 |
1.691 |
*Nel caso
della povertà relativa una volta calcolata la linea standard, si
applicano a tale soglia i coefficienti correttivi dati dalla scala
di equivalenza al fine di ottenere gli analoghi valori soglia per
famiglie con numero di componenti diverso da due |
Fonte:
Ministero del
Welfare "Rapporto sulle politiche contro la povertà e l'esclusione
sociale 2002/2003" su dati Istat "Indagine sui consumi delle
famiglie 2001 e 2002
Le famiglie
numerose (almeno 3 figli) hanno maggiori probabilità di essere povere
Le famiglie
numerose (con almeno 3 figli) hanno la probabilità maggiore di essere
povere, secondo quanto indicano le dinamiche di povertà relativa e
assoluta nel corso degli ultimi 6 anni.
“Un certo
deterioramento si rileva peraltro anche per le famiglie con meno figli a
carico, pur mantenendo un rischio di povertà inferiore (1 figlio) o poco
superiore (2 figli) a quello complessivo”, osserva la ricerca; invece le
persone con la probabilità più bassa di essere povere sono i single –
sia giovani che adulti, ma non gli anziani – e le coppie senza figli.
“Anche questi dati confermano la necessità di incrementare le politiche
a favore delle famiglie con figli, sia mediante il sostegno al loro
reddito, sia mediante servizi più capillari e flessibili”, sottolinea il
Rapporto, precisando che, “anche se in via ordinaria, gli interventi
fiscali svolgono un ruolo strategico nella redistribuzione del reddito
tra chi sopporta maggiori carichi familiari”; tuttavia questi interventi
“non coprono interamente il bisogno di protezione economica di chi è al
di sotto della linea di povertà relativa e assoluta”. Alla maggioranza
di queste persone è prioritario “fornire opportunità di formazione e di
lavoro adatte alle loro condizioni di partenza, ma nell’immediato è
anche necessario fornire un reddito di base”, attraverso le misure di
“ultima istanza” che “pur essendo da tempo previste, stentano a
decollare”.
Per indagare sulle aspettative e gli stili di vita di chi è o si
considera povero, il Rapporto si è riferito alla rielaborazione
dell’indagine multiscopo Istat relativa agli “Aspetti della vita
quotidiana”, che fornisce le percezioni “soggettive” degli italiani in
ordine al loro tenore di vita e alle cause ricorrenti di difficoltà
economiche e sociali. Il disagio più avvertito da chi si considera
povero è il quartiere di residenza, il suo degrado e isolamento. Nel
2001 si considerano povere circa 1 milione e 959mila famiglie, cioè il
9% di quelle residenti; tali nuclei familiari dichiarano che la propria
situazione economica è soprattutto peggiorata (53,8%) o stazionaria
(43,5%) rispetto all’anno precedente, mentre la maggioranza delle
famiglie non povere forniscono valutazioni meno pessimistiche: il 71%
dichiara di trovarsi in condizioni di stabilità.
Povertà Italia: povertà relativa
per ripartizione geografica
Migliaia di unità e
valori percentuali - Anni 2001-2002 |
|
Nord |
Centro |
Mezzogiorno |
Italia |
Migliaia di
Unità |
2001 |
2002 |
2001 |
2002 |
2001 |
2002 |
2001 |
2002 |
Famiglie Povere |
534 |
537 |
363 |
289 |
1.766 |
1.630 |
2.633 |
2.456 |
Famiglie
residenti |
10.634 |
10.682 |
4.304 |
4.325 |
7.254 |
7.263 |
22.192 |
22.270 |
Persone povere |
1.339 |
1.384 |
1.057 |
870 |
5.432 |
4.886 |
7.828 |
7.140 |
Persone
residenti |
25.593 |
25.668 |
11.061 |
11.069 |
20.746 |
20.734 |
57.400 |
57.498 |
Incidenza
della povertà (%)(*) |
|
|
|
|
|
Famiglie |
5,0 |
5,0 |
8,4 |
6,7 |
24,3 |
22,4 |
12,0 |
11,0 |
Persone |
5,2 |
5,4 |
9,6 |
7,9 |
26,2 |
23,6 |
13,6 |
12,4 |
Intensità
della povertà (%)(**) |
|
|
|
|
|
Famiglie |
17,5 |
19,3 |
17,8 |
20,0 |
22,9 |
22,3 |
21,1 |
21,4 |
(*) L’incidenza della povertà corrisponde al rapporto tra
il numero delle famiglie con spesa media mensile per consumi pari
o al di sotto della soglia di povertà e il totale delle famiglie
residenti
(**) L’intensità della povertà misura di quanto in
percentuale la spesa media delle famiglie definite povere è al di
sotto della soglia di povertà |
Fonte:
Ministero del
Welfare "Rapporto sulle politiche contro la povertà e l'esclusione
sociale 2002/2003" su dati Istat "Indagine sui consumi delle
famiglie 2001 e 2002
Le organizzazioni
non profit attraverso la loro opera di ''sussidiarietà orizzontale''
danno grande apporto al funzionamento delle politiche sociali decise
dagli enti
Quale contributo
all’inclusione sociale viene fornito da quel vasto movimento della
solidarietà organizzata rappresentato dal “terzo settore”?
Nella terza parte
del Rapporto 2003, viene evidenziato che le "organizzazioni non profit"
(associazioni, fondazioni, imprese sociali) attraverso la loro opera di
sussidiarietà orizzontale danno un importante apporto al funzionamento
delle politiche sociali decise dai responsabili della "sussidiarietà
verticale" (Comuni, Province, Regioni, Stato).
Il primo censimento delle organizzazioni non profit condotto dall’Istat
nel 1999 ha indicato che il loro numero supera le 221mila unità. Al
settore non profit appartengono oltre 220mila organizzazioni e
collaborano complessivamente circa 4 milioni di persone, per l’84%
impegnate come volontari e per la parte rimanente regolarmente
retribuiti per le loro prestazioni professionali. In termini di unità di
lavoro standard, ricorda il Rapporto, “gli occupati nel settore non
profit sono circa 580mila unità e l’insieme dei volontari equivale a
430mila unità; nel complesso gli addetti al settore non profit
equivalgono al 4,6% dell’occupazione complessiva”.
La maggioranza delle organizzazioni non profit (86,9%) si basa
prevalentemente su entrate di origine privata e solo una ridotta
minoranza (12,9%) ha invece entrate di fonte prevalentemente pubblica,
“a testimonianza dell’importante sostegno diretto che viene al mondo del
non profit dalla società civile – sottolinea la ricerca, curata dalla
Commissione di indagine sull’esclusione sociale -. Le istituzioni non
profit esprimono e allo stesso tempo promuovono una nuova cultura della
partecipazione e della cittadinanza societaria, che dimostra di saper
assumere impegni e responsabilità dirette nei confronti della pubblica
utilità”.
Rapporto
sull'esclusione sociale. Saraceno ''Un lavoro pregevole, ma non nuovo;
onesto ma velato. La riduzione della povertà relativa? E' un imbroglio''
"Mi sembra un
lavoro grande e pregevole, ma non nuovissimo…”. Chiara Saraceno,
sociologa, docente all’Università di Torino ed ex presidente della
Commissione di indagine sull’esclusione sociale è persona quanto mai
adatta a commentare quanto contenuto nel Rapporto presentato venerdì
scorso a Roma. Un Rapporto che la stessa Saraceno definisce anche
“onesto ma velato”.
“E’ strano che nessun giornale abbia dato notizia del Rapporto – precisa
la sociologa – e che neppure i membri della Commissione nella loro
totalità erano stati informati della presentazione… Insomma, non c’è
stata notizia. Sempre per ciò che concerne il metodo utilizzato, mi
sembra di poter esprimere apprezzamento per ciò che il rapporto
sviluppa, ma non c’è stata volontà di stabilire una continuità con il
lavoro del passato. Insomma, questo è un Governo che ha cancellato in
generale 10 anni di lavoro, e la cosa che più mi dispiace è che non è
stata mantenuta la necessaria continuità anche con il lavoro della
stessa Commissione sull’esclusione sociale. Ciò che mi fa piacere,
invece, è che sia stato affrontato il problema della povertà dei minori.
Insomma, questo tipo di povertà appare come tema cruciale, e la scelta
mi sembra opportuna”.
Cosa si è fatto o si sta facendo per affrontare il problema?
“Poco, e quel poco è stato sbagliato. Insomma, anche le politiche fin
qui condotte, e mi riferisco non solo a questo Governo ma anche a quello
precedente, hanno scalfito poco la povertà dell’universo minorile. Con
Visco, per esempio, si era iniziato il discorso inerente le detrazioni
fiscali, una scelta confermata nel presente. Ma non si è modificato
nulla. E questo perché è peggiorata la situazione. Vale a dire: la
misura di detrazione fiscale è legata al reddito, nel senso che sotto un
certo livello di reddito non se ne può usufruire. Mi sembra una beffa!”.
Il Rapporto evidenzia una diminuzione della povertà relativa, così
come si evince una stabilità di quella assoluta…
“Lo dico con grande chiarezza: è un imbroglio! E’ stato espresso come
fatto positivo un fatto chiaramente negativo. Infatti, l’aspetto che non
è stato messo a fuoco è che l’apparente diminuzione della povertà
relativa è dovuta esclusivamente all’abbassamento del tenore di vita
complessivo. Infatti, essa è calcolata proprio in relazione al tenore di
vita medio. Ora, se questo si abbassa (e negli ultimi sei anni si è
abbassato chiaramente), ecco che anche chi era relativamente povero può
registrare un apparente miglioramento. L’Istat lo aveva già detto in una
precedente rilevazione, ma in questo ambito la cosa è stata detta con
un’enfasi ingiustificata. Per questo dico che è un imbroglio”.
In qualche zona del Paese la situazione non è rosea…
“Mezzogiorno a parte, ciò che colpisce e che appare più grave è il lieve
aumento della povertà al Nord. In quel Nord, insomma, da sempre
considerato ricco. Anche lì ci sono persone che entrano in situazioni a
rischio, dovute a fattori molteplici come bassi salari, salari precari,
giovani coppie, ecc… Ecco allora che anche nelle zone più ricche
qualcuno diventa più esposto alla povertà”.
Si dice: maggiori difficoltà per chi è in affitto, per le giovani
coppie. Ma la società sembra orientata ad una sempre maggiore
flessibilità e mobilità in ambito lavorativo, con conseguenti difficoltà
di risparmio, di accesso al credito, ecc… Che scenario si profila?
“Lo scenario non è allegro. Il Rapporto è al tempo stesso onesto ma
velato, nel senso che enuncia i vari problemi ma non li raccorda e non
li mette in relazione alle politiche adottate. Ciò che è criticabile di
questo Governo, ma anche del passato per la verità, è per esempio che
non si sviluppano ammortizzatori sociali all’altezza per supportare una
sempre maggiore richiesta di flessibilità. Una politica capace e
coerente dovrebbe capire che c’è bisogno di ammortizzatori. Cito
l’indennità di disoccupazione, per esempio, per chi fa lavori precari e
ad altro ancora. E invece mi sembra che si vada in direzione opposta.
A che si riferisce?
“Si critica il Reddito minimo di inserimento, poi si adotta un Reddito
di ultima istanza che è addirittura peggiore, anche se strutturalmente
presenta le stesse caratteristiche! E ancora: non si può dire di dare
una casa alle giovani coppie, e poi si dice loro che dovranno essere
flessibili a vita. Così come il bonus per il secondo figlio: a cosa
serve? Si dice che la famiglia è una grande risorsa contro l’esclusione
sociale e si danno soldi per il secondo figlio, poi si scopre che
proprio i nuclei familiari con due o più figli sono più a rischio
povertà! Rischio che è minore nelle donne sole con figlio a carico.
Dunque, ciò che è deleterio e pericoloso è l’eccesso di responsabilità
affidata alle famiglie con più figli, verso cui si fa ben poco”.
Povertà Italia (Istat 03):
incidenza della povertà per tipologia familiare - Anni 1997-2001,
valori percentuali |
Italia |
|
1997 |
1998 |
1999 |
2000 |
2001 |
Persona sola |
11,2 |
10,0 |
10,1 |
9,3 |
9,0 |
Coppia |
10,9 |
10,7 |
10,9 |
11,7 |
10,9 |
Coppia con un
figlio minore |
9,6 |
9,0 |
8,0 |
10,0 |
9,8 |
Coppia con due
figli minori |
14,9 |
16,5 |
15,4 |
15,9 |
15,3 |
Coppia con tre
o più figli minori |
24,4 |
26,7 |
26,1 |
26,0 |
25,1 |
Monogenitore
con solo figli minori |
13,5 |
9,6 |
11,0 |
11,4 |
12,2 |
Monogenitore
con solo figli maggiori |
11,0 |
11,9 |
14,3 |
12,7 |
12,5 |
Coppia con solo
figli maggiori |
10,2 |
10,9 |
10,7 |
11,1 |
11,0 |
Altre tipologie
familiari con minori |
16,8 |
16,3 |
18,1 |
19,4 |
19,6 |
Altre tipologie
familiari senza minori |
13,1 |
13,7 |
14,6 |
15,7 |
15,8 |
Totale |
12,0 |
11,8 |
11,9 |
12,3 |
1,0 |
Fonte:
Ministero del Welfare "Rapporto sulle politiche contro la povertà e
l'esclusione sociale 2002/2003" su dati Istat, Indagine sui consumi
delle famiglie 2001 e 2002
Povertà Italia (Istat 03):
povertà relativa tra le famiglie con minori per ripartizione
geografica - Anno 2001, migliaia di unità e valori percentuali
|
|
Nord |
Centro |
Sud |
Italia |
Migliaia di
unità |
|
|
|
|
Famiglie con
minori povere |
146 |
122 |
722 |
990 |
Famiglie con
minori residenti |
2.650 |
1.192 |
2.651 |
6.492 |
Minori Poveri |
242 |
190 |
1.274 |
1.706 |
Minori
residenti |
3.839 |
1.784 |
4.375 |
9.998 |
Composizione
percentuale |
|
|
|
|
Famiglie con
minori povere |
14,7 |
12,3 |
72,9 |
100,0 |
Famiglie con
minori residenti |
40,8 |
18,4 |
40,8 |
100,0 |
Minori Poveri |
14,2 |
11,1 |
74,7 |
100,0 |
Minori
residenti |
38,4 |
17,8 |
43,8 |
100,0 |
Incidenza
della povertà (%) |
|
|
|
|
Famiglie con
minori povere/totale famiglie con minori |
5,5 |
10,3 |
27,2 |
14,8 |
Minori
poveri/totale minori |
6,3 |
10,6 |
29,1 |
17,0 |
Intensità
della povertà (%) |
|
|
|
|
Famiglie con
minori |
16,0 |
17,3 |
22,7 |
21,0 |
Fonte:
Ministero del Welfare "Rapporto sulle politiche contro la povertà e
l'esclusione sociale 2002/2003" su dati Istat "Indagine sui consumi
delle famiglie 2001 e 2002
Chi
è Chiara Saraceno
Laureata in filosofia, è docente di sociologia della famiglia presso la
Facoltà di Scienze politiche dell'Università di Torino. Direttrice del
Dipartimento di Scienze Sociali negli anni accademici 1991-1998,
attualmente è direttrice del CIRSDe - Centro Interdipartimentale di
Studi e Ricerche delle Donne. Dirige il master in management delle
imprese non profit. Fino al 1990, ha insegnato alla facoltà di
sociologia dell'Università di Trento, dove nel 1989-90 è stata anche
pro-rettore.
È
stata l'esperta italiana di un gruppo di ricerca dell'UNICEF su ‘Child
poverty and deprivation in industrialized countries’. Stesso ruolo ha
ricoperto nell'Osservatorio UE sulle politiche di lotta all'esclusione
sociale (dal 1990 al 1994).
È
stata fino al 2001 presidente della Commissione di Indagine
sull'Esclusione sociale presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri
e consulente del Ministro della Solidarietà sociale sui temi delle
politiche contro la povertà e delle politiche per la famiglia; ha fatto
anche parte del gruppo di lavoro che ha seguito la sperimentazione del
Reddito Minimo di Inserimento. Ha rappresentato il Dipartimento degli
affari sociali presso il working party on social policy all'OCSE e
presso l'High level Group on Social Exclusion alla UE.
Fa parte della redazione e dei comitati editoriali di alcune riviste
italiane e straniere, tra cui ‘Rassegna Italiana di Sociologia,’ Journal
of European Social Policy, European Journal of Social Work ed ha
pubblicato diversi volumi dedicati alle situazione delle famiglie in
Italia. Tra questi ‘Separarsi in Italia’ (con M. Barbagli) e ‘Mutamenti
familiari e politiche sociali in Italia’ il Mulino, 1998, Le politiche
contro la povertà in Italia (con N. Negri) il Mulino, 1996 Vivere sole
(con Achilli e altre) Franco Angeli, 1994, Sociologia della famiglia il
Mulino, 1988 (nuova edizione ampliata, 1996).
Provengono da
famiglie con basso status sociale e con scarse risorse economiche.
Fotografa anche la realtà dei minori stranieri non accompagnati il
Rapporto 2003
Provengono da
famiglie con basso status sociale e con scarse risorse economiche, in
cui nella maggioranza dei casi lavora solo il padre, oppure i genitori
sono disoccupati o pensionati. E prima di loro altri familiari sono
partiti in cerca di fortuna lasciandosi alle spalle “non solo società
povere, ma sconvolte da conflitti endemici”.
I non accompagnati
fuggono “da dure esperienze di lavoro poco remunerate, rari e per lo più
insoddisfacenti momenti di svago, difficili, se non conflittuali,
rapporti con il mondo degli adulti”, nota il Rapporto, ricordando che al
Comitato per i minori stranieri tra il 1° luglio 2000 e il 30 novembre
2001 sono stati segnalati 14.834 minori, 7.011 dei quali sono diventati
maggiorenni nel periodo considerato; le femmine costituiscono una
minoranza (11,8%). Tuttavia “il numero non corrisponde all’effettiva
presenza di minori non accompagnati perché una certa quota probabilmente
non viene segnalata al Comitato, in quanto non nota ai servizi sociali”.
I principali paesi di provenienza sono l’Albania, da cui giunge oltre la
metà dei minori stranieri segnalati, il Marocco e la Romania; la
maggioranza dei minori ha un’età compresa tra i 15 e i 17 anni. Le
regioni da cui provengono il maggior numero di segnalazioni sono Puglia
(dove spesso i minori vengono segnalati al momento dello sbarco),
Lombardia, Lazio, Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna e le regioni del
Nord-Est. Circa il 20% dei risulta irreperibile in un momento successivo
alla segnalazione. Al 30 novembre 2001 il Comitato per i minori
stranieri non accompagnati aveva disposto provvedimenti di rimpatrio o
di non luogo a procedere al provvedimento al rimpatrio per 236 minori,
pari all’1,6% dei minori segnalati.
Attualmente il Comitato per i Minori stranieri “considera in genere come
più rispondente al superiore interesse del minore l’opzione del
rimpatrio, al fine di garantire il diritto del minore di vivere con la
sua famiglia o comunque al suo paese”, riferisce il Rapporto. Questo
orientamento, tuttavia, richiede di “predisporre politiche che
facilitino questo rientro, sia tramite il rinforzo dell’opera delle
agenzie di cooperazione allo sviluppo nel paese di rimpatrio, sia
tramite la messa a punto di strategie educative in Italia che
sensibilizzino il minore verso i legami familiari, la valorizzazione
della cultura d’origine, l’apprendimento di competenze professionali
spendibili nel paese di provenienza”.
La nuova normativa sull’immigrazione ha stabilito che il permesso di
soggiorno per minore età è convertibile in permesso di studio, lavoro,
accesso al lavoro al compimento dei 18 anni, “qualora non ne sia stato
già disposto il rimpatrio, alle seguenti condizioni: arrivo in Italia
almeno 3 anni prima; inserimento per almeno 2 anni in un programma di
integrazione; disponibilità di un alloggio; regolare svolgimento di
un’attività lavorativa o di studio o titolarità di un contratto di
lavoro”, ricorda il Rapporto. Secondo le associazioni, l’ipotesi
stabilita per i minori in affidamento di consentire la conversione del
permesso solo a quelli entrati in Italia prima del compimento del 14°
anno di età, comporta due problemi: “priva di prospettive gli altri
minori sprovvisti di questo requisito, inducendoli ad abbandonare i
programmi di inserimento e a rendersi irreperibili prima del compimento
dei 18 anni; incentiva l’immigrazione di infraquattordicenni oggi non
particolarmente rilevante”. Sarebbe quindi auspicabile che, al
compimento della maggiore età, venga riconosciuta la conversione del
permesso di soggiorno a quanti hanno partecipato a un progetto di
integrazione sociale (scolastica, formativa o di inserimento lavorativo)
o quando sussistano rilevanti ragioni umanitarie per la continuazione
del soggiorno in Italia
Minori non accompagnati (03):
distribuzione per cittadinanza |
Cittadinanza |
N |
% |
ALBANIA |
1652 |
28,1 |
MAROCCO |
1525 |
25,9 |
ROMANIA |
1219 |
20,7 |
SERBIA
MONTENEGRO |
203 |
3,5 |
ALGERIA |
158 |
2,7 |
IRAQ |
105 |
1,8 |
CROAZIA |
82 |
1,4 |
MOLDAVIA |
67 |
1,1 |
TUNUSIA |
63 |
1,1 |
BOSNIA
ERZEGOVINA |
61 |
1,0 |
AFGHANISTAN |
54 |
0,9 |
TURCHIA |
44 |
0,7 |
PALESTINA |
41 |
0,7 |
ALTRI |
609 |
10,4 |
Totale |
5883 |
100,0 |
Fonte:
Comitato Minori Stranieri non Accompagnati Luglio 2002- Luglio 2003
Minori non accompagnati (03):
distribuzione dei minori per singola età |
ETA' |
N |
% |
0 |
15 |
0,3 |
1 |
10 |
0,2 |
2 |
15 |
0,3 |
3 |
18 |
0,3 |
4 |
15 |
0,3 |
5 |
14 |
0,2 |
6 |
16 |
0,3 |
7 |
17 |
0,3 |
8 |
43 |
0,7 |
9 |
54 |
0,9 |
10 |
51 |
0,9 |
11 |
93 |
1,6 |
12 |
219 |
3,7 |
13 |
328 |
5,6 |
14 |
586 |
10,0 |
15 |
1369 |
23,3 |
16 |
2200 |
37,2 |
17 |
820 |
13,9 |
Totale |
5883 |
100,0 |
Fonte:
Comitato Minori Stranieri non Accompagnati Luglio 2002- Luglio 2003
Alunni stranieri a
rischio esclusione, tra loro più abbandoni e ripetenze. Gli italiani più
a rischio: i maschi del sud iscritti alle professionali
Uno dei fattori di
vulnerabilità per i minori immigrati è l’ingresso nella scuola, (“il
principale strumento d’inserimento delle nuove generazioni di immigrati
nel paese ospitante”), in particolare per gli adolescenti.
Sulla questione
dell’insuccesso scolastico, gli alunni con cittadinanza non italiana
promossi nell’anno 2000/2001 costituivano nella scuola elementare il 96%
contro il 99% degli alunni in totale; alle scuole medie il divario si
allarga ulteriormente, con l’88% di promossi tra gli alunni con
cittadinanza non italiana contro il 96% degli studenti.
Tuttavia “il
maggiore tasso di ripetenze e abbandono dovrebbe spingere le fonti
ufficiali a condurre indagini su questo argomento”, nota il Rapporto,
precisando che “l’appartenenza a un’altra etnia non può essere in
maniera semplicistica considerata l’ennesima causa del disagio
scolastico. Significativo è, ad esempio, che i preadolescenti stranieri
intervistati manifestino difficoltà generalizzate un po’ in tutte le
materie, persino in quelle che fanno di solito meno problema ai compagni
italiani e soprattutto non comportano la questione della competenza
linguistica, come ad esempio educazione fisica, musicale, tecnica.
Evidentemente, a mettere in difficoltà non sono i contenuti ma gli stili
di insegnamento e apprendimento, le regole, le abitudini, i
comportamenti”. Per quanto riguarda la dispersione scolastica nelle
scuole medie superiori di alunni italiani, corrono i maggiori rischi di
abbandonare precocemente l’iter scolastico i maschi del Mezzogiorno,
iscritti al primo anno dell’istituto professionale: fattori di
vulnerabilità “costanti nel tempo, indipendentemente dalle leve
scolastiche”, quindi si tratta “di un fenomeno strutturale su cui le
politiche scolastiche debbono continuare ad intervenire”.
La presenza di alunni extracomunitari nelle scuole italiane è
caratterizzata da un trend in continua crescita: nel 1997/98, rispetto
all’anno scolastico precedente, gli stranieri nella scuola aumentano di
oltre 13.000 unità per superare nel 1999/00 le 34.000 presenze in più
rispetto all’anno prima, variazione replicatasi anche nel 2001/02. In
quest’ultimo anno gli studenti di cittadinanza non italiana sono
181.767, con un incremento di oltre 3.000 volte dal 1993/84 a oggi;
nello stesso periodo l’incidenza degli studenti stranieri su tutti gli
studenti italiani è passata dallo 0,06% al 2,31%. Il livello scolastico
dove gli alunni stranieri appaiono più rappresentati è quello della
scuola elementare con 76.662 iscritti in complesso (pari al 42,17% del
totale). Seguono la scuola media (44.219 alunni pari al 24,33%) e la
scuola materna (36.823 pari al 20,26%). Alle superiori sono iscritti
24.063 studenti (13,24%), 5.708 in più (+31,1%) rispetto all’anno
scolastico precedente; la maggioranza frequenta gli istituti
professionali (42,53%) contro il 20,90% della popolazione scolastica
totale; solo il 18,32% degli immigrati si iscrive agli indirizzi
classico, scientifico e magistrale, contro il 36,38% totale.
Appartengono a 186 diverse nazionalità, soprattutto Albania (32.268),
Marocco (28.072), ex-Jugoslavia (18.577), Cina (9.795), Romania (8.804),
ex-Russia (4.871).
Da alcune ricerche emergono 4 modalità con cui il giovane straniero
entra in relazione con la società di immigrazione: “l’assimilazione di
atteggiamenti e stili di vita occidentali; la mancata integrazione e
l’adesione alla propria cultura in modo univoco; il pendolarismo tra le
due culture che è tipico di chi sente di appartenere ad entrambe, di
avere cioè un’identità plurima; il disorientamento”. Per quanto riguarda
il primo modello (che si riflette soprattutto sui consumi), da una
ricerca condotta sugli eritrei di seconda generazione a Milano risulta
che una quota consistente aspira a frequentare l’Università o ad
accedere a professioni libere; il secondo atteggiamento di
“rivendicazione” e di “recupero dell’identità” si ritrova in alcuni
simboli, come la valorizzazione della musica afro, della capigliatura
rasta, dell’abbigliamento tradizionale o esotico, il ritorno al chador
per le ragazze. Il terzo modello di relazione tra la seconda generazione
di immigrati e la società ospitante - molto frequente - è quello del
pendolarismo: una situazione non facile da portare avanti, in bilico tra
due identità.
Povertà Italia (Istat 03) - I
Minori Immigrati a scuola: alunni con cittadinanza non italiana
per continente e tipo di scuola
a.s. 2001/2002 |
Tipo di scuola |
Continente |
Dell'infanzia |
Elementare |
Secondaria di
I grado |
Secondaria di
II grado |
Totale |
|
V.A. |
% |
V.A. |
% |
V.A. |
% |
V.A. |
% |
V.A. |
% |
Ue |
76 |
15,60 |
1.99 |
40,41 |
1.100 |
22,32 |
1.068 |
21,67 |
4.929 |
100,0 |
Non Ue |
13.66 |
18,00 |
34.16 |
45,14 |
17.901 |
23,65 |
10.001 |
13,21 |
75.693 |
100,0 |
Africa |
13.92 |
26,94 |
20.96 |
40,57 |
11.315 |
21,89 |
5.480 |
10,60 |
51.681 |
100,0 |
America |
3.01 |
13,83 |
8.12 |
37,22 |
6.342 |
29,06 |
4.342 |
19,89 |
21.825 |
100,0 |
Asia |
5.45 |
19,92 |
11.30 |
41,29 |
7.482 |
27,33 |
3.138 |
11,46 |
27.374 |
100,0 |
Oceania e
apolidi |
3 |
14,34 |
11 |
43,02 |
79 |
29,81 |
34 |
12,83 |
265 |
100,0 |
Totale |
36.86 |
20,26 |
76.66 |
42,17 |
44.219 |
24,33 |
24.063 |
13,24 |
181.767 |
100,0 |
Fonte:
Ministero del Welfare "Rapporto sulle politiche contro la povertà e
l'esclusione sociale 2002/2003" su dati Istat, Indagine sui consumi
delle famiglie 2001 e 2002- MIUR/EDS
Povertà Italia (Istat03) - Minori
a rischio: tassi di abbandono scolastico per ripartizione
territoriale |
|
Valori
percentuali |
Valori
Assoluti |
PRIMA |
SECONDA |
PRIMA |
SECONDA |
Nord-Ovest |
12,0 |
5,0 |
16.096 |
5.758 |
Nord- Est |
8,9 |
3,1 |
8.151 |
2.595 |
Centro |
11,1 |
5,2 |
13.037 |
5.371 |
Sud |
11,9 |
4,6 |
22.239 |
7.515 |
Isole |
16,3 |
7,1 |
14.730 |
5.403 |
Totale |
12,0 |
4,9 |
74.253 |
26.642 |
Fonte:
Ministero del Welfare "Rapporto sulle politiche contro la povertà e
l'esclusione sociale 2002/2003" su dati Istat, Indagine sui consumi
delle famiglie 2001 e 2002
Disagio economico
diffuso tra le famiglie in cui sono presenti anziani soli o in nuclei
familiari in cui siano poco presenti redditi da lavoro
Il disagio
economico appare diffuso tra le famiglie in cui sono presenti anziani
(soprattutto donne) che vivono soli o in nuclei familiari in cui siano
poco presenti redditi da lavoro. Infatti la quota di famiglie anziane a
basso reddito “tende ad aumentare al crescere del numero di donne che
vivono sole e della quota di nuclei familiari in cui vi è un solo
reddito da pensione”; quindi le donne anziane sole concentrano in sé due
fattori di debolezza: “il basso ammontare del reddito corrente e
l’estrema difficoltà ad accumulare risorse. In genere, hanno redditi da
pensione relativamente modesti, con redditi da capitale quasi assenti,
poca capacità di risparmio e una maggiore probabilità di ricevere aiuti
finanziari da parenti ed amici piuttosto che di concederli”.
Tra le famiglie a basso reddito circa il 12% è rappresentato da single
anziani, di cui quasi il 90% è costituito da donne che vivono sole. A
questo va aggiunto un 6% di coppie anziane. In complesso, il 26% di
tutti i nuclei familiari a basso reddito ha un capofamiglia avanti negli
anni. Nei nuclei con un anziano come capofamiglia si cerca di vivere del
proprio reddito risparmiando allo stesso tempo: infatti “non acquistano
beni durevoli, non chiedono prestiti né si indebitano, anzi sostengono
finanziariamente i propri familiari più giovani, seppure per valori
modesti”, riferisce il Rapporto. In oltre l’80% dei casi le famiglie più
anziane vivono in una casa di proprietà loro oppure dei loro familiari;
in quasi la metà dei casi “non hanno attività finanziarie in misura
consistente e chi ha fatto tali investimenti ha scelto le modalità che
più tutelano il capitale, cioè titoli di stato e quote di fondi di
investimento”. E i problemi economici si fanno più pesanti quando la
persona di riferimento ha oltre 70 anni.
Tra le famiglie più anziane, generalmente chi non ha attività
finanziarie tende ad avere anche un tenore di vita mediamente più
precario. Nei nuclei familiari anziani che possiedono attività
finanziarie fino un valore massimo di 10 milioni di vecchie lire (poco
meno della metà di tutte le famiglie con persona di riferimento
settantenne), si assiste a un peggioramento di oltre il 30% del reddito,
sia totale che equivalente, e di oltre il 20% del consumo rispetto
all’intero aggregato degli ultrasettantenni. È dunque sensibilmente
ridotta “la capacità di tali famiglie di fronteggiare l’incertezza
economica sia attraverso le risorse finanziarie che patrimoniali. Il
loro risparmio annuo è infatti di circa 5 milioni, il reddito da
capitale è di fatto rappresentato dagli affitti imputati sulla casa di
proprietà, le attività finanziarie raggiungono mediamente i 2 milioni,
la ricchezza reale è rappresentata dalla propria abitazione che ha un
valore di circa 130 milioni”. Se queste famiglie non si indebitano,
difficilmente riescono però ad “affrontare emergenze finanziarie di una
qualche rilevanza; possono solo trovare un qualche aiuto, seppure per
somme modeste, nella cerchia di parenti ed amici”.
In conclusione, le famiglie anziane appaiono “particolarmente
vulnerabili se risultano carenti, per ragioni diverse, i meccanismi di
accumulazione patrimoniale costruiti nella precedente vita attiva”.
Ovviamente questa categoria di persone è chiamata spesso ad affrontare
“cambiamenti non sempre positivi, ad esempio legati alla salute: una
dimensione che non può essere sottovalutata”.
Povertà Italia (Istat03) - Le
famiglie con un capofamiglia anziano: i segnali di disagio per le
famiglie di anziani; il divario dalla famiglia media anziana
(numeri indici con base famiglia media = 100)* |
|
Indice
dipendenza |
Reddito
equivalente |
Consumo
alimentare equivalente |
Consumo totale
equivalente |
Attività
finanziarie |
Valore
abitazione |
> 70 anni |
106 |
95 |
96 |
95 |
105 |
87 |
A basso reddito |
83 |
30 |
65 |
50 |
8 |
26 |
Con i conti in
rosso |
84 |
55 |
99 |
110 |
23 |
67 |
Monoparentali |
101 |
114 |
105 |
97 |
138 |
79 |
Con un solo
reddito da pensione |
85 |
90 |
99 |
97 |
83 |
81 |
Con figli e
reddito da pensione |
54 |
64 |
95 |
91 |
52 |
88 |
Con sola
pensione assistenziale |
103 |
57 |
68 |
57 |
97 |
35 |
Con almeno un
reddito da pensione assistenziale |
109 |
78 |
85 |
77 |
82 |
73 |
Tutte le
famiglie anziane |
100 (=0,87) |
100 (=50,1 mil.di
lire) |
100 (=8,7 mil.
di lire) |
100 (=31,4 mil.
di lire) |
100 (=187 mil.
di lire) |
100 (=237,4 mil.
di lire) |
(*)Nella presente
tabella viene definita "una famiglia anziana" quella con il capofamiglia
che ha un'età superiore ai 60 anni
Fonte: Ministero del Welfare "Rapporto sulle politiche contro la
povertà e l'esclusione sociale 2002/2003" su dati Istat, Indagine sui
consumi delle famiglie 2001 e 2002
Disagio abitativo:
alcune delle soluzioni proposte dal sistema del non profit
Tra le molteplici
risposte del sistema non profit all'esclusione sociale, emergono alcune
soluzioni a una povertà in crescita come la precarietà abitativa: si va
da progetti di costruzione e restauro di piccoli alloggi all'offerta di
garanzie di pagamento in affitto per immigrati o famiglie povere.
Nel campo del disagio abitativo, il terzo settore ha attivato le "Agenzie-casa",
ad esempio, nate con la collaborazione di gruppi di volontariato e
sindacati allo scopo di “costituirsi garanti degli inquilini presso
affittuari poco disponibili a dare fiducia”. “Gli obiettivi delle
agenzie-casa sono: realizzare attività di intermediazione immobiliare
finalizzate a proporre percorsi trasparenti di acquisto o di affitto per
immobili di valore modesto, da destinare a famiglie che vivono fenomeni
di disagio abitativo; favorire un processo di orientamento/educazione
dei soggetti impegnati nel reperimento dell’alloggio (famiglie
straniere, privati, agenzie, banche, ecc.); promuovere soggetti
giuridici autonomi, sul tipo della cooperativa edilizia, in grado di
realizzare operazioni immobiliari a fini sociali (ristrutturazioni,
acquisizioni, costruzioni, ecc.)”, riferisce il Rapporto. Tra le
attività pratiche finora realizzate dalle agenzie-casa, l’avvio di
servizi di accompagnamento all’acquisto e all’affitto, oltre al servizio
di segnalazione immobili.
Cresce anche la partnership con gli enti locali “per l’individuazione
delle priorità e delle congruità nell’assegnazione degli alloggi” e si
diffonde l'utilizzo del patrimonio immobiliare della Chiesa. Numerosi
anche i servizi e le strutture di accoglienza breve e temporanea per
homeless gestite dal privato sociale, che presentano 4 diverse
tipologie: il modello istituzionale/pensionato, “anche se in via di
parziale estinzione”; le comunità-alloggio di media-grandezza, basate su
vita e lavoro di gruppo per l'autofinanziamento;
case-protette/case-famiglia, piccole strutture per l'accoglienza di
particolari categorie in situazione di grave rischio; infine le
strutture a bassa soglia, come i dormitori e i ricoveri notturni del
pubblico e del privato sociale, dove vengono ridotte al minimo delle
barriere burocratiche di accesso.
Il mondo del volontariato, inoltre, fornisce molte altre risposte alle
forme più diffuse di “povertà” riconducibili a “indigenza economica;
disoccupazione; sofferenza psichica; situazioni di dipendenza; conflitti
familiari; malattia come fonte di fragilità sociale; solitudine degli
anziani; isolamento dei disabili; esperienza del carcere; difficoltà
dell’immigrazione; assenza di fissa dimora; vulnerabilità legata alla
condizione minorile e giovanile”.
Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso
abitativo - Legge sulle locazioni
La
legge introduce la nuova disciplina in fatto di locazioni. In questo
contesto importante è la possibilità per i Comuni sede di università di
promuovere degli specifici accordi locali per la definizione di
contratti-tipo, rivolti a soddisfare le esigenze abitative degli
studenti fuori sede. L’obiettivo è anche quello di regolare e calmierare
il mercato locativo per gli studenti.
I
proprietari che accettano di affittare degli alloggi utilizzando tali
contratti, che sono di durata minore rispetto ai contratti ordinari (da
6 mesi a 3 anni, invece di 8 anni) hanno possibilità di accedere a tutta
una serie di incentivi fiscali. In cambio i canoni di locazione devono
essere contenuti all’interno di una banda di oscillazione stabilita
dalle parti e che varia a seconda dell’ubicazione dell’appartamento,
della superficie, della dotazione di mobilio e della durata del
contratto.
testo completo
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