Il 6 agosto 2000, dopo venti anni, nel corso della celebrazione della Messa in commemorazione dell’uccisione del Procuratore Capo della Repubblica, della città di Palermo, Gaetano Costa, Rita Bartoli Costa ha preso la parola, per la prima volta in pubblico e ha dato, a tutti noi che eravamo presenti , il dono prezioso del suo testamento spirituale.

Sono parole che tagliano la cavità dei cuori e che nulla concedono ai furbi e ai disonesti ……

Sono immensamente grata a Rita Costa per la sua stima , per aver consegnato le "sue pagine" ad Educazione alla Legalità di Interlinea.

Nadia Scardeoni


 

Palermo 6 agosto 2000

di Rita Bartoli Costa

 

Vent’anni fa, in un caldo pomeriggio di Agosto, nella parte alta di via Cavour, senza scorte, mentre era fermo a guardare i libri esposti in una bancarella, un killer di mafia, indisturbato, in tutta tranquillità, aggrediva alle spalle, uccidendolo, mio marito, Gaetano Costa, Procuratore Capo della repubblica di questa città, colpevole di aver sempre fatto rispettare le leggi dello Stato da ogni forma di prevaricazione criminale, in difesa della società di questa Repubblica.

Ho deciso, in questo ventesimo anniversario di prendere io la parola per commemorarlo, credo giustamente, perché sono la persona che meglio di ogni altra ne ha conosciuto il non comune spessore umano sia nel privato che nel pubblico.

Come i suoi colleghi ben ricorderanno, Gaetano Costa è stato magistrato di grande valore e di indiscussa preparazione e ciò malgrado non ebbe la dovuta solidarietà, diciamo, dal suo ufficio e da chi aveva il sacrosanto dovere di difendere il suo modo di amministrare la giustizia.

Io non voglio fare polemica con nessuno, perché ritengo che gli anni coprano tante cose, coprono con una coltre di silenzio vizi e anche virtù.

E gli anni che passano pesano sulle mie spalle e sono tanti e mi avvicinano, in fretta, al grande viaggio senza ritorno; e davanti a Dio credo sia giusto che ci si presenti senza rancori, ma dopo tanti anni non posso non dire che mi mortifica e che mi addolora ancora dover prendere atto che tra i tanti pentiti che hanno parlato di tutto e del contrario di tutto, nessuna ha saputo dire dell’uccisione del Procuratore Costa.

Fatta eccezione del cosiddetto "principe dei pentiti" il signor Buscetta, che parlò del delitto Costa come da copione valido a scagionare tutti addossandone la sola responsabilità a un certo mafioso "allora emergente" il quale era convinto che uccidendo Costa, avrebbe dimostrato tutta la sua forza ai grandi capi.

Dopo vent’anni ho il diritto di pensare che i mandanti del delitto Costa non si sono voluti cercare né trovare, nel rispetto della logica dominante secondo la quale i morti sono morti e i vivi debbono sopravvivere e magari fare carriera ed essere rispettati.

Conseguentemente invito tutti dall’onorevole Ministro della Giustizia all’ultimo uditore voglioso di amministrarla alla maniera di Gaetano Costa, di non dimenticare che in questa città è stato assassinato dalla mafia, dai suoi ispiratori, dai suoi suggeritori , dai suoi protettori e dalla indifferenza, un Uomo giusto che ancora non riposa in pace perché non ha avuto giustizia anche se è morto per l’affermazione della stessa.

Io oggi, dopo vent’anni, parlo non solo come donna privata, ma come cittadina delusa e mortificata nelle sue aspettative di giustizia.

Mi rimetto alla loro coscienza a alla loro sensibilità Signori Magistrati, perché la Giustizia è la più importante delle amministrazioni dello Stato e, anche se tanti anni sono passati, loro non dovranno mai dimenticare la solitudine in cui Gaetano Costa fu lasciato, solo, a contrastare l’impatto con la criminalità di questa città: e il modo ancor mi offende e offende i miei figli.