24 marzo 1976
LA NOTTE DELL'ARGENTINA
Cala la notte sull'Argentina
e per decine di migliaia di
persone inizia un viaggio senza ritorno
.....El 24 de marzo de 1976,
los comandantes de las tres armas
derrocan al gobierno constitucional de Isabel Martínez de Perón.
Videla, Massera y Agosti
inician así una época trágica, sin precedentes en la historia
argentina.
30.000 desaparecidos,
miles de encarcelados, asesinados,
exiliados;
la impagable deuda externa, la destrucción de la industria nacional,
de la educación pública, de los hospitales,
son sólo algunos de los hitos del
"Proceso
de Reorganización Nacional" ......
Il Golpe Militare In Argentina
Sono passati ormai più di
vent'anni da quando nel 1976 i militari argentini assunsero formalmente
il potere. Quella mattina del 24 marzo non furono molti a esserne
sorpresi.
Non solo per le strade non si videro i classici carri armati. non solo
non ci furono scontri o morti, ma non si rese nemmeno necessario
sparare un colpo.
Non furono sfoderate le armi, non ci fu bisogno di ostentare la forza.
Nessuno poteva però immaginare ciò che sarebbe accaduto.
I militari, prima ancora di occupare il Palazzo, avevano acquisito un
monolitico potere di "persuasione". Un potere in cui non occorreva
alzare la voce per essere assecondati, anzi non era necessario nemmeno
parlare perché si sarebbe stati obbediti prima ancora di comandare, una
costrizione nata nel terrore.
Questo linguaggio, largamente conosciuto in Argentina, frutto
dell'ordine militare sperimentato a lungo nei frequenti colpi di stato
che hanno interrotto - ma prima limitato, condizionato e vincolato - la
vita democratica, questo linguaggio della forza occupò il Palazzo come
chi ritorna dopo una vacanza in una casa che è sempre stata la sua.
In Argentina non ci sono mai stati gli stadi pieni di prigionieri
politici come nel vicino Cile. La lezione di Pinochet era servita a
qualcosa. Non si doveva provocare la condanna internazionale, ma
piuttosto dare un'immagine di moderazione e legalità. Un'immagine
difficile da mantenere quando ciò che si vuole coprire è l'annientamento
di ogni forma di opposizione. L'impunità di cui hanno goduto i militari
argentini risiede nella vastità dei loro progetti: "Prima uccideremo
tutti i sovversivi; poi uccideremo i loro collaboratori; poi i loro
simpatizzanti; poi chi rimarrà indifferente, e infine uccideremo gli
indecisi," affermava senza scomporsi il generale Iberico Saint-Jean,
governatore militane della provincia di Buenos Aires.
L'ascesa al potere
I militari cominciarono a prendere le redini del paese il 6 novembre
1974, costringendo il governo a decretare lo stato di assedio e quindi
la sospensione di tutte le garanzie costituzionali dopo l'attentato che
provocò la monte del capo della Polizia. Il 6 febbraio 1975 riuscirono a
ottenere il nullaosta per intervenire nella regione di Tucumàn, nel nord
del paese, dove la guerriglia occupava una piccola area di montagna. A
fine luglio dello stesso anno i militari tolsero di mezzo, caricandolo
su un aereo per il Brasile, l'uomo forte del governo di Isabel Perón:
Lopez Rega. A metà agosto una sommossa obbligò la Perón a mandare in
pensione il comandante dell'Esercito, considerato troppo moderato. Al
suo posto venne nominato il generale Videla. Il 6 settembre i militari
ottennero la formazione di un Consiglio interno di sicurezza per tutto
ciò che riguardava la lotta antisovversiva.. Il 18 novembre, infine, si
assicurarono ufficialmente il comando delle azioni contro i "delinquenti
sovversivi".
Era da tempo ormai che si sentiva parlare di colpo di stato. Seguendo la
tradizione, si affermava che ilgolpe era inevitabile. Si inventavano
due correnti: una "dura" sullo stile di Pinochet con i militari disposti
a tutto; un'altra "moderata", capeggiata da Videla che voleva salvare
la patria dal pericolo marxista e che si proponeva di ristabilire
l'ordirne democratico e repubblicano. Si cercava così di guadagnare un
certo consenso attorno a quelli che saranno effettivamenite i golpisti.
Un gruppo paramilitare, del resto, esisteva già: la Triplice A (Alleanza
Anticomunista Argentina) creatca da Lopez Rega sul modello degli
squadroni della morte. Loro compito era l'eliminazione degli oppositori,
fossero questi deputati, preti, sindacalisti, giornalisti, operai o
studenti. Anche per i militari si trattava di un'organizzazione che
faceva molto comodo in quanto le si poteva attribuire qualsivogliia
crimine politico. Le forze dell'ordine, e molte volte l'Eserrcito,
usavano le stesse macchine senza targa, gli stessi meltodi e perfino le
stesse persone. La Triplice A fu attiva fino al I giorno del colpo di
stato, dopodiché non apparve più pubblicamente con questo nome e i suoi
mèmbri entrarono a far parte dei gruppi clandestini della dittatura.
L'annientamento
II 24 marzo 1976 il potere passò ai militari senza nessun incidente.
Vennero sospese le attività dei partiti politici e dei sindacati, ma si
fece sapere che queste erano misure transitorie e che la Giunta
militare aveva come obiettivo il rafforzamento della struttura
democratica del paese. Gli argentini avrebbero dovuto abituarsi a questo
tipo di paradosso. Debole, quasi formale, comunque attendista, fu la
reazione internazionale. Sembrava evidente che Videla non era Pinochet
così come Isabel Perón non era Salvador Allende. Il paragone con il caso
cileno non è di grande aiuto. Purtroppo la condanna internazionale
sarebbe arrivata troppo tardi. La Giunta militare volle eliminare tutti
i suoi nemici senza che si diffondesse la coscienza di tale
annientamento. Fu inventata una strategia rivoluzionaria: niente
arresti di massa, niente carceri, niente fucilazioni ne assassinii
clamorosi come quelli della Triplice A. Gli oppositori sarebbero stati
sequestrati da gruppi non identificati, caricati su vetture senza targa
e fatti scomparire.
Ebbe così inizio, lentamente, il più grande genocidio della storia
argentina. I sequestri furono sempre più frequenti e si ripetevano
sempre secondo le stesse modalità. Non erano gruppi incontrollati
dell'estrema destra, come voleva far credere la Giunta, ma vi era una
struttura centrale che li coordinava. Le operazioni venivano compiute
nei posti di lavoro delle persone segnalate o per strada in pieno
giorno, mediante un piano che richiedeva la "zona franca" da parte
delle forze di Polizia. Le loro volanti che, specialmente dopo il colpo
di stato erano presenti un po' dappertutto, stranamente non videro mai
niente, anche se i sequestri si consumavano a poca distanza dal
commissariato. Ma la stragrande maggioranza dei sequestri avveniva di
notte in casa delle vittime. Il commando occupava la zona circostante ed
entrava nelle case facendo uso della forza. Terrorizzava e imbavagliava
perfino i bambini obbligandoli a essere presenti. La vittima veniva
catturata, brutalmente colpita e incappucciata, poi trascinata fino
alle macchine che aspettavano mentre il resto del gruppo rubava tutto
quello che poteva (in alcuni casi arrivavano perfino con dei camion) o
distruggeva quello che non poteva portarsi via picchiando e minacciando
il resto della famiglia. Anche nei casi in cui i vicini o i parenti
riuscivano a dare l'allarme, la Polizia non arrivava mai. Si incominciò
cosi a capire l'inutilità di sporgere denuncia. La maggioranza della
popolazione era terrorizzata e non era nemmeno facile trovare testimoni.
Nessuno aveva visto nulla.
In questo modo migliaia e migliaia di persone diedero forma a una
fantasmatica categoria, quella dei
desaparecidos
Nessun
interrogativo trovò una risposta: la Polizia non aveva visto nulla, il
Governo faceva finta di non capire di che cosa si stesse parlando, la
Chiesa non si pronunciava, gli elenchi delle carceri non registravano le
loro detenzioni, i magistrati non intervenivano. Intorno ai
desaparecidos si era alzato un muro di silenzio. Con i diritti avevano
perso anche l'esistenza civile. Dal momento in cui avveniva il sequestro
la persona restava totalmente isolata dal mondo esterno. Depositata in
uno dei numerosi campi di concentramento o in luoghi intermedi di
detenzione dove veniva sottoposta a torture infernali, e lasciata
all'oscuro della propria sorte. Alcuni venivano perfino abbandonati
dalla famiglia, che sotto la pressione di continue minacce, ricatti e
richieste di denaro, viveva nel terrore di rappresaglie e qualche volta
fiduciosa che il silenzio, richiesto dai militari, fosse il miglior modo
per ottenere qualche informazione.
Nei Centri clandestini di detenzione veniva sistematicamente applicata
la tortura. "Se una volta finita la mia prigionia mi avessero
domandato: sei stato torturato molto? avrei risposto: sì, tutt'e tré i
mesi senza sosta. Se la domanda me la facessero oggi direi che fra poco
saranno sette anni di tortura."(nota 1). Nella quasi totalità delle
denunce ricevute dalla Commissione si constatò l'uso di metodi di
tortura. Le "sessioni" erano sorvegliate da un medico che controllava i
limiti di tolleranza della vittima e determinava il proseguimento o la
momentanea sospensione della tortura se la vittima non era in grado di
reggerla.
La valutazione preventiva per capire se la persona da sequestrare o
sequestrata avesse qualcosa da dire d'interessante per i sequestratori
era pressoché inesistente. Questo metodo indiscriminato portò al
sequestro e alla tortura degli oppositori ma anche dei loro famigliari,
amici, colleghi di lavoro e di un numero rilevante di persone senza
alcun tipo di pratica politica o sindacale. Bastava molto poco per
essere considerato sospetto. Un equivoco, un'esitazione, come non
ricordarsi a memoria il numero del proprio documento d'identità se si
veniva fermati per strada, poteva essere fatale. Ciò spiega anche il
fatto che molte vittime, che non avevano niente da dichiarare,
denunciassero chiunque pur di avere una pausa durante la tortura. Veniva
così allargata a dismisura la rete delle persone che "non volevano
collaborare" con gli inquisitori, se non altro perché non sapevano chi
denunciare.
Il prigioniero poteva morire sotto tortura, essere fucilato o gettato in
mezzo all'oceano. Il suo cadavere sarebbe stato forse sepolto nelle
tombe comuni di cimiteri clandestini, cremato o buttato in fondo al
mare con un blocco di cemento ai piedi (nota 2).
Anche se la dittatura militare aveva modificato il Codice penale
introducendo la pena capitale, ufficialmente non ci fu nessuna condanna
a morte. Nonostante le migliala di vittime, non fu eseguita in nessun
caso una sentenza giudiziaria ne civile ne militare. Non fu quindi
rispettata nemmeno questa precaria legalità che lo stesso regime aveva
stabilito. Passavano così i giorni, i mesi, gli anni, senza avere mai
nessuna notizia, trovando sempre risposte negative. Nessuno pareva
sapere niente di loro. Erano scomparsi.
Il ritorno della democrazia
Quando il governo di Raùl Alfonsìn cominciò a indagare sulla sorte degli
scomparsi non si trovò nulla: ne prigionieri, ne cadaveri, ne stanze di
tortura, ne documentazione (che tuttavia si sapeva esserci per ogni
caso). Dal materiale sequestrato insieme alla vittima ai libri
considerati pericolosi e, in molti casi, perfino ai figli dei presunti
sovversivi, tutto era svanito, disperso, dileguato.
Il Governo ordinò comunque al Consiglio superiore delle Forze Armate che
procedesse al rinvio a giudizio dei mèmbri delle tré Giunte militari per
omicidio, privazione illegittima della libertà e applicazione della
tortura sui prigionieri. Dopo la sentenza militare ci si poteva
appellare in seconda istanza davanti ai tribunali civili. La decisione
del Governo lasciò tutti un po' perplessi. In primo luogo non si capiva
perché i militari non venissero giudicati direttamente da un tribunale
civile come qualsiasi altro cittadino, in secondo luogo, si temette che
il processo si chiudesse dietro questi nove imputati. È significativo,
per capire le intenzioni di Alfonsin, segnalare che il progetto di
legge che l'esecutivo aveva inviato alle Camere per approvazione non
prevedeva il passaggio a una seconda istanza civile.
Dopo mesi di attesa i tribunali militari non si pronunciarono. Il
Governo si vide infine costretto ad ammettere che il Consiglio superiore
delle Forze Armate non era disposto a processare i propri pari. La causa
passò ai tribunali civili dove finalmente nel dicembre 1985 si arrivò a
una condanna mite che lasciò molti insoddisfatti (nota 3). Ma, forse, il
punto più importante della sentenza era il punto 30, che consigliava il
rinvio a giudizio di altri militari di grado intermedio. Poco tempo dopo
si aprirono più di 1500 processi per violazione dei diritti umani.
Alfonsin volle fermare il processo d'incriminazione delle Forze Armate e
sancì nel dicembre 1986 la legge del Punto finale che, per "pacificare"
il paese, fissò un termine di 60 giorni oltre il quale non sarebbero
state più ammesse denunce per violazione dei diritti umani. Venne così
limitata la possibilità di apertura di nuove cause. Tré mesi dopo la
scadenza dei 60 giorni un altro arbitrario giuridico vanificò tutti gli
sforzi di chi cercava giustizia. La legge di Obbedienza dovuta assolse
da tutti i crimini già documentati e giudicati lasciando i colpevoli in
libertà e sostenendo che, al di fuori dei mandanti, i quadri intermedi
- non avendo potere decisionale -avevano agito in stato di costrizione.
L'opera fu completata dal presidente Carlos Menem che, nell'ottobre
1989, dopo tré mesi di Governo, sancì l'indulto per 216 militari e
civili coinvolti nel genocidio e per 64 persone presumibilmente legate
alla sovversione (nota 4). La misura escludeva i mèmbri delle Giunte
militari Videla e Massera che godranno di un nuovo indulto il 28
dicembre 1990. Dopo cinque anni di prigionia in una villa di proprietà
dell'Esercito dove potevano ricevere amici e camerati, praticare sport
e usufruire della libera uscita durante i fine settimana, gli
ergastolani tornarono in libertà.
La distruzione del passato
I militari abbandonarono il governo nel 1983. Lasciarono il Palazzo non
perché costretti dalla mobilitazione delle forze democratiche, ma perché
avevano portato a termine il compito: l'annichilimento di un'intera
generazione che voleva modificare le strutture del paese.
Ma perché una dittatura con una forza militare schiacciante ha scelto
come strategia quella di far scomparire gli oppositori? Perché dopo la
tortura e l'inumana prigionia queste persone non hanno avuto almeno il
diritto a una condanna a morte? Perché non sono stati sepolti, perché
la distruzione dei corpi? Perché desaparecidos?
Non c'è risposta che possa spiegare questa premeditata violazione di
ogni diritto della persona. Di fronte a queste atrocità ogni logica
decade, diventa inumana, e quando una logica diventa inumana non è più
logica. Non è possibile pensare questi fatti all'interno del proposito
del singolo criminale che cerca di non lasciare tracce, del delitto
perfetto. Obiettivo strategico del progetto militare era la distruzione
del passato.
La Commissione del Governo Alfonsin incaricata d'indagare ha avuto
enormi difficoltà per ricostruire l'accaduto. Interi edifici erano
stati rasi al suolo per poi edificarvi sopra altre strutture. Tutto era
stato cancellato.
La successiva necessità di eliminare in modo sbrigativo il passato
recente, di perdonare coloro che non si ritengono nemmeno colpevoli, di
mettere una pietra sopra la tragedia dei desaparecidos è complico della
stessa strategia dell'annientamento.
Il tentativo di annullare il passato è manifesto. Perché se non
esistesse il passato - in quella particolare forma di esistenza che è
il non esserlo già - non esisterebbe nemmeno il presente e al futuro
mancherebbe la possibilità di proiettarsi. Senza l'assunzione/rifiuto
del passato storico non vi è spazio per il futuro. Ogni tentativo di
annullare il passato, di far scomparire le sue tracce, lascerà dietro di
sé una terribile e leggera debolezza, comporterà l'assenza di
prospettive, un continuo girare a vuoto intorno a un presente immemore,
istantaneo, senza tempo, senza essere, senza la possibilità di capire il
proprio divenire.
I militari argentini lo sapevano e hanno distrutto e fatto sparire tutto
ciò che hanno trovato. I governi democratici che si sono susseguiti
hanno scelto l'oblio. Non assumendo questa pesante ma inderogabile
eredità hanno indirettamente completato la distruzione dell'operato dei
militari. Ma il passato non scompare mai, resta, non passa mai perche è
sia passato. La confessione del capitano Adolfo Franci-sco Scilingo ne è
una prova.
Il volo
Molti desaparecidos sono stati gettati in mezzo all'oceano. Questa è
l'atroce ammissione di Scilingo. Lo si sapeva già, ma fatti come questi
non erano mai stati riconosciuti ne raccontati in prima persona da uno
degli autori. Il volo - un termine così lieve - diventa qui grave.
Una delle conseguenze di questa confessione è l'unificazione dei
discorsi sulla storia argentina degli ultimi due decenni. Finora si è
parlato di una storia ufficiale e di un'altra raccontata dai pochi
superstiti o dai famigliari delle vittime. Durante i primi anni della
dittatura le Madri di Plaza de Mayo erano infatti etichettate come Las
locas de Plaza de Mayo (le pazze), quale ratifica della scissione che si
era prodotta nella società argentina tra discorso ufficiale e discorso
minoritario. I pochi che testardamente continuavano a opporsi a quella
logica non potevano che essere "impazziti". La prima storia era
documentata dagli atti di un governo dittatoriale, il loro discorso era
omogeneo, il loro agire sembrava incontestabile. La seconda storia era
costruita da un'immensa massa di ombre che non potevano testimoniare,
da interrogativi sulla loro sorte.
I
desaparecidos furono con la loro assenza la principale accusa contro il
terrore. Dopo la confessione di Scilingo la storia si unifica. I voli
non erano che la macabra soluzione finale a un'alternativa politica.
Il linguaggio del libro non è facile. L'oggetto di cui si parla è
l'innominabile, anzi lo si vorrebbe nemmeno mai esistito. I
desaparecidos non si trovano da nessuna parte, sono fantasmi che
deambulano e ripercorrono una società che non si decide a cancellarli,
ignorarli, annullarli. Così pure nel modo di esprimersi si parla di
fatti che non vogliono essere riconosciuti come tali. Nessuno dei
carnefici ha il coraggio di nominare, di raccontare, di chiamare le
cose con il loro vero nome. Ognuno tenta di aggirare l'ostacolo della
barbarie di cui è stato parte. Il linguaggio vuoi essere indiretto,
impersonale. Tenta di aggirare il problema, di lasciar capire senza
usare i termini appropriati.
Sono parole non dette
che, come i desaparecidos, vogliono essere oggetto di rimozione.
Ciò che viene raccontato da Scilingo nella sua confessione non è nuovo.
Chi veramente voleva sapere quei fatti li conosceva già da anni. Le
stesse autorità militari si erano mosse per farli sapere, senza però
mai ammetterli, per generare panico e diserzione tra le fila
dell'opposizione. I fatti sono stati poi confermati dal ritrovamento di
cadaveri mutilati con evidenti segni di tortura, riportati a riva dalle
onde sulle sabbie dorate di note località turistiche. Non scorderò mai
una donna, il cui figlio era stato gettato vivo in mezzo al mare, che
nel 1995 mi disse: "Sono stata invitata in vacanza a Villa Gesel, sul
mare... ma non ce l'ho fatta, non potrò mai più fare il bagno in quelle
acque".
Tutti i responsabili di questa strage sono in libertà, l'unico oggi in
carcere è l'ex capitano Scilingo accusato di frode (benché sia stata già
dimostrata la sua innocenza) per aver emesso assegni scoperti.
Claudio Tognonato Introduzione a "Il volo - Le rivelazioni di un
militare pentito sulla fine dei desaparecidos", Horacio Verbitsky, ed.
Feltrinelli.
nota 1: Testimonianza di Miguel D'Agostino
(fascicolo 3901) raccolta dalla Commissione nazionale per la scomparsa
delle persone (Conadep). La Commissione, creata nel dicembre 1983 dal
presidente Raùl Alfonsin, si occupò di far luce sulla violazione dei
diritti umani durante la dittatura militare.
nota 2: Prendendo in esame le cifre ufficiali delle cremazioni nel
principale cimitero di Buenos Aires si verifica nel periodo una crescita
allarmante:
1974 -> 13.120, 1975 -> 15.405, 1976 -> 20.500, 1977 -> 32.683, 1978 ->
30.094, 1979 -> 31.461, 1980 -> 21.381
(Fonte: Conadep fascicolo 6983).
nota 3: La sentenza stabiliva l'ergastolo per il generale Videla e per
l'ammiraglio Massera; 17 anni per il generale Viola; 8 anni per
l'ammiraglio Lam-bruschini e 4 anni e 6 mesi per il brigadiere Agosti.
Gli altri mèmbri delle Giunte militari vennero assolti.
nota 4: L'elenco dei sovversivi presentava molti "errori", come nel caso
dei quattro militari uruguaiani, noti torturatori, insieme ai nomi di
persone scomparse e altre con certificato di morte in perfetta regola.
da
http://www.garageolimpo.it/stampa/tvfilm3-02.html
il Giornale di Vicenza
di Gabriele
Colleoni
L'ARGENTINA CON QUELL'EREDITA' DI VITE RUBATE
Il regime imposto dal golpe militare del 24 marzo 1976 eufemisticamente
si autodefinì proceso de reorganización nacional. Per il generale Rafael
Videla e i commilitoni di Giunta, l'obiettivo era semplice: dovevano
salvare la Nazione da terrorismo, sovversione e caos comunista che
minacciavano l'Argentina e l'Occidente cristiano, seguendo i dettami
della Dottrina della sicurezza nazionale a cui le forze armate
sudamericane si ispiravano in quegli anni di convulsioni e guerriglie
filocastriste e filoguevariste.
Dovevano salvare il Paese, ma senza ripetere gli «errori» compiuti da
Pinochet nel Cile del 1973: una repressione troppo «visibile», con
quegli stadi riempiti di prigionieri, e tutto sommato limitata. No,
l'Argentina andava «ripulita», una volta per sempre da tutti i
sovversivi, veri, presunti o potenziali che fossero, e lontano dai
riflettori.
Il risultato fu un'intera generazione cancellata da un terrorismo di
Stato pianificato che in sette anni si portò via nel nulla di una
«scomparsa forzata» dalle 10 alle 30 mila persone, e un Paese
abbandonato dopo la sconfitta alle Malvinas-Falkland con la gente nelle
piazze a chiedere pan y trabajo, pane e lavoro. Andandosene nel 1983, i
militari si lasciarono alle spalle anche una società alle prese con il
trauma di una tragedia fino ad allora quasi ignorata («Por algo será»,
per qualcosa sarà, era la risposta più comune che l'uomo della strada si
dava di fronte a quelle strane scomparse, in tempi in cui bastava
l'ombra di un sospetto a precipitare una persona nel pozzo senza uscita
della repressione), e soprattutto con la sfida di dover fare i conti con
la giustizia e la memoria.
Ma oltre ai fantasmi di migliaia di desaparecidos, i successori di
Videla lasciarono all'Argentina tornata alla democrazia, l'ombra
sinistra di un'altra eredità: quella di altre centinaia di «vite
rubate». Le vite dei bambini nati nei tanti Garage Olimpo disseminati a
Buenos Aires e nelle altre città, dove le loro madri e padri venivano
portati dalle Ford Falcon degli squadroni della morte, dopo esser stati
rapiti in casa, per strada, a scuola... Bimbi che hanno visto la luce,
dunque, nei luoghi bui dove i genitori venivano torturati, uccisi e
fatti sparire per sempre.
Le «vite rubate» tra il 1976 e il 1984 furono 250, secondo le denunce
raccolte dalla Commissione presieduta dallo scrittore Ernesto Sabato,
alla quale con il ritorno della democrazia fu affidato l'inchiesta
ufficiale sulla tragedia dei desaparecidos e la stesura del Rapporto
Nunca Más. O forse più probabilmente furono 500, come sostengono le
Abuelas de Plaza de Mayo, le Nonne di Plaza de Mayo, con alla testa
Estela Carlotto, la combattiva signora argentina di origini padovane, le
cui vicissitudini hanno ispirato il romanzo Le irregolari. Buenos Aires
Horror Tour, scritto da un lontano parente italiano, Massimo Carlotto.
L'associazione, fondata nell'ottobre 1977 mentre cominciava a delinearsi
nelle sue spaventose proporzioni la repressione sistematica messa in
atto dalla Junta, ha cercato caparbiamente di seguire le tracce dei
nipoti, attesi dai figli al momento della scomparsa, per ritrovarli e
possibilmente restituirli agli affetti «naturali».
Di tutti ne sono stati ritrovati vivi e identificati 72. Tutti hanno
alle spalle storie più o meno simili: «salvati» e affidati in adozione a
famiglie spesso in buona fede, oppure altre volte direttamente agli
aguzzini dei genitori. Un «copione» già approdato nel 1986 sul grande
schermo con La Historia Oficial di Luis Puenzo.
Oggi I figli-fantasma dei desaparecidos hanno più di 20 anni, una vita
già formata, relazioni e affetti consolidati. Posti di fronte all'atroce
verità dell'identità loro nascosta e ora ritrovata, in 68 hanno Scelto
dI tornare a vivere con i parenti naturali - nonni o zii - ma in quattro
hanno deciso di restare nelle famiglie adottive.
All'impegno delle Abuelas si affianca dal 1995 il lavoro la commissione
Hermanos (fratelli) dell'associazione H.i.j.o.s. (Figli per l'Identità,
la Giustizia, contro l'oblio e il silenzio) costituita da figli o
giovani parenti di desaparecidos. La ricerca dunque non si ferma,
incoraggiata dal fatto che la sottrazione di minori (i figli degli
scomparsi) costituisce per il codice argentino un reato «continuato»,
non concluso e quindi non prescrivibile, più forte di ogni legge di
Punto Final, di «obbedienza dovuta» o di amnistia, varate dai governi
democratici sotto il ricatto di azioni di forza dei militari nei 10 anni
successivi al ritorno nelle caserme. Leggi che hanno di fatto prosciolto
dalle colpe o liberato dalle condanne i responsabili dell'orrore. La
sottrazione di minore si è rivelata invece il grimaldello legale con cui
è stato possibile riportare in carcere il generale Videla e il suo
collega di crimini di Stato, l'ammiraglio Emilio Massera, pur condannati
nel primo processo.
Le nonne hanno versato il sangue in una Banca Nazionale Genetica, per
eventuali esami del Dna, che sono in grado di confermare o dissipare con
margine di errore minimo gli eventuali sospetti, quando pensano di aver
rintracciato un nipote e portano il caso davanti al giudice.
Anche questa può essere una strada per non esorcizzare la giustizia
necessaria alla convivenza civile, e per elaborare il lutto personale di
una perdita insopportabile come quella di un figlio. E perché una
società possa guardarsi, senza banalizzazioni ma anche senza
sacralizzazioni ideologiche, nello specchio del proprio passato, per
provare a ricostruire quella memoria comune del bene e del male vissuti,
che sola può consentire a un popolo di avere un'identità riconciliata e
vitale per il futuro.
......
TV Film 3 febbraio 2002
di Morando Morandini
Ieri , oggi ,domani
"Hijos" in castigliano sta per
"figli", ma èanche il nome dell'associazione argentina che riunisce i
figli dei prigionieri potitici che, neonati alla fine degli anni '70,
dopo la "desaparici6n" dei genitori, furono dati in adozione ad altre
famiglie, spesso quelle di ufficiali della dittatura militare. Secondo
t'associazione Nonne di Plaza de Mayo, tra il 1976 e il 1984,
scomparvero circa 500 bambini. I casi denunciati furono soltanto 250.
Settantadue sono stati trovati vivi e identificati con sicurezza. Oggi
sono adulti sopra i vent'anni. Sessantotto di loro hanno deciso di
vivere con i parenti dei loro genitori naturali; solo quattro sono
rimasti nelle famiglie acquisite. Ricordo quello che Gustavo Noriega
scrisse dei sentimenti che gli aveva suscitato "Garage Olimpo"; non
l'indignazione, che ci lascia appagati e soddisfatti con noi stessi, ma
la nausea e la vergogna: "... la vergogna profonda dì essere argentino,
di essere umano, di appartenere alla specie capace di una condotta
simile. Siamo macchiati, lo saremo per sempre." Garage Olimpo" rinnova
questa vergogna e io, personalmente, gliene sono grato". Con "Figli/Hijos"
Marco Bechis torna su quella vergogna, ma con un'altra ottica. Non c'è
più la violenza in presa diretta, ma rimane il dolore. I due film sono
complementari e diversi. "Garage Olimpo" è un film sul passato, "FiglilHijos"
rievoca quel passato con la sensibilità e, forse, la speranza del
presente. Nel primo c'è una madre che ricerca una figlia, nel secondo
una sorella, nuova Antigone, cerca un presunto fratello gemello e lo
trova a Milano nel dicembre del 2000. Non importa molto se Rosa abbia o
no ragione nel riconoscere in Javier il gemello: il legame di sangue è
meno importànte, meno significativo della radice comune, collettiva e
storica, che lega Javier e Rosa, come mostra il finale del film. "Garage
Olimpo" era un film politico, almeno in un certo senso; "Figlii Hijos" è
un film fatto politicamente.
http://www.cbc.umn.edu/~ernesto/24Marzo/24deMarzo1976.html
http://www.cbc.umn.edu/~ernesto/24Marzo/24Mar_homenaje.html
http://www.cbc.umn.edu/~ernesto/24Marzo/LaJuntaluz.html
....
http://www.ecn.org/asicuba/libri/desapare.htm
DESAPARECIDOS
Violenza e salute mentale nelle carceri dei colonnelli argentini
di Maria Gabriella Sartori
ASSOCIAZIONE NOVA CULTURA EDITRICE
190 PAGINE L. 20.000
PROLOGO
Sono trascorsi tanti anni dall'epoca del Terrore, vissuta sotto la
Dittatura Militare che imperò in Argentina, una strategia imposta alla
stragrande parte dei paesi dell'America Latina dalla Dottrina di
Sicurezza Nazionale. Si istaurò così un modello di società dominante con
un alto costo sociale di vite per il popolo e un sistema di ingiustizie
che continua ad imperare al giorno d'oggi, nonostante il ritorno a
regimi democratici, più formali che reali.
In questo senso possiamo vedere come si sforza di nascondere e far
dimenticare i fatti accaduti, rinviare i problemi non risolti,
trascurare ferite non rimarginate, indugiare con claudicazioni di
dirigenti politici che hanno preferito la convivenza con i responsabili
del genocidio contro il popolo, piuttosto che adottare una condotta e un
impegno etico, politico e sociale nella ricerca della verità e della
giustizia per far sì che il popolo possa realmente ritrovarsi e
costruire una democrazia autentica e partecipe.
Il popolo si ritrova oggi in uno stato di stallo giuridico. Durante il
governo presieduto da Raúl Alfonsin, se, da una parte, si ottiene
l'incriminazione delle tre prime Giunte Militari e la loro condanna,
dall'altra, sotto pressione militare, vengono sanzionate le leggi del
"Punto Finale" e quella aberrazione giuridica chiamata "Legge di
Ubbidienza Dovuta". L'attuale governo del Presidente Carlos Menem,
sanzionò per decreto gli indulti, liberando tutti i criminali e
interrompendo così i processi.
Attraverso i mass media si è cercato che tutto restasse offuscato e
lasciato nell'oblio. Le giustificazioni sono varie, come : "Bisogna
dimenticare il passato e guardare il futuro, la vita continua". Al
contrario sappiamo bene che i popoli che dimenticano perdono le loro
radici e nuovamente cadono negli stessi mali già patiti. Dobbiamo tenere
presente che è impossibile, a partire dall'impunità, costruire qualsiasi
processo democratico autentico.
Nonostante tutto ciò che segnalo brevemente riguardo l'attuale
situazione del paese, esiste l'azione di riscatto, positiva, di quelli
che non hanno ceduto, e che nel loro impegno accanto al popolo,
conservano la memoria, non per rimanere nel passato, ma per illuminare
le coscienze e costruire un presente che possa proiettare nuove
alternative sociali, politiche e economiche, impostate sulle necessità
del popolo.
Maria Gabriella Sartori è stata una delle tante vittime della dittatura
militare che ha devastato il nostro paese. Il suo impegno e
responsabilità professionale gli hanno permesso, in base alle sue
esperienze vissute nei carceri, di analizzare le conseguenze
psicologiche sulle persone e sul popolo in generale. Il suo lavoro ci dà
la possibilità di chiarire e recuperare una coscienza critica che ci
permette di avanzare nel processo di Liberazione; processo che non
inizia nel 1976 me è la continuazione di una lunga storia di incontri e
separazioni, di scontri, evoluzioni e involuzioni nella vita del popolo.
Tupac Amaru diceva: "Di sconfitta in sconfitta stiamo costruendo la
vittoria", siamo in marcia e i contributi a quel procedere sono diversi.
Ho già sottolineato che la Sartori, in questo libro che presenta, denota
gli effetti della prigione sulla personalità delle detenute e le sue
conseguenze psicologiche, ebbene voglio riferirmi ai metodi di studio
utilizzati nell'indagine. Questi sono particolarmente accentrati
sull'osservazione diretta, giacché fu partecipe, ma sono presenti anche
l'osservazione indiretta e l'utilizzazione del metodo clinico,
attraverso i colloqui e la psicoterapia.
Altri argomenti sviluppati sono: la legittimazione della violenza
pianificata e sistematica; le giustificazioni del torturatore per
esercitare la violenza; e il livello di consapevolezza, le alterazioni,
il deterioramento psichico e le sue conseguenze individuali e sociali.
Tutta questa analisi evidenzia come il regime militare non soltanto
mette in atto l'eliminazione fisica degli oppositori, come nel caso dei
'desaparecidos', ma che la metodologia repressiva era mirata alla
paralisi sociale, all'irresolutezza, all'annichilimento psichico, fisico
e ideologico delle masse.
Un altro degli aspetti che tratta la Sartori è la capacità di resistenza
e di coscienza dei militanti nelle situazioni limite delle prigioni;
così come della coscienza e distruzione in quelli che non hanno potuto
resistere e hanno ceduto. Nel punto 8 della sua introduzione,
analizzando un esempio proprio di questa situazione, esprime: "Possiamo
supporre che la psicopatologia è conseguenza della sconfitta. Ci si
"ammala" quando si è sconfitto. Non si è sconfitto quando si cade ma
quando si fa ciò che vuole il nemico. E ciò che il nemico vuole è che il
prigioniero politico abbandoni il suo progetto di vita per la
liberazione, scegliendo quello che il nemico pretende".
La dittatura militare valutò le forme di violenza da applicare, in
diversi livelli e condizioni, dall'annichilimento della persona alla
sottomissione del popolo attraverso la politica del terrore. Perciò oggi
è necessario riflettere e capirne le conseguenze, e capire ciò che sta
accadendo nel campo popolare.
Siccome il presente è frutto di quel passato, non possiamo ignorare e
tanto meno dimenticare, come alcuni pretenderebbero. Sottoscrivendo
quest'idea, la Sartori va analizzando con sistematico rigore i
significati del comportamento umano, i livelli di coscienza individuale
e sociale, e la conformazione della coscienza come la comprensione
integrale del significato della realtà obiettiva e soggettiva. Ciò
implica il proposito attivo di trasformarla, dando facoltà alla
creatività, identificandosi e integrandosi con progetto di vita
superiore.
Il popolo argentino si trova oggi davanti ad un crocevia della coscienza
collettiva, la dittatura militare ha lasciato profonde ferite non ancora
rimarginate, una generazione che è stata eliminata dalla repressione e
le devastanti conseguenze della Guerra delle Malvinas sulla gioventù.
Dal potere s'implementano le giustificazioni ideologiche impiegate dalla
dittatura militare e che, ancora oggi, prendono vigore dal modello
neoliberista delle politiche economiche di "adeguamento", di
capitalizzazione e di privatizzazioni. Tutto ciò per distruggere e
sottomettere il popolo in nome dell'erroneamente denominata Civiltà
Occidentale e Cristiana.
Gabriella Sartori esamina la condizione umana sottoposta alla violenza e
al carcere, i suoi comportamenti. Come terapeuta si rivolge in modo
particolare ad un settore della popolazione che ha subito direttamente
la repressione e la violenza perpetrata dalla politica di terrore contro
il campo popolare. Ma, oltre alle vittime che hanno patito la prigione,
dobbiamo considerare, dice, che tutto il popolo, a diversi livelli,
visse sommerso nel Terrorismo di Stato.
Nel libro segnala la necessità di unificare criteri riguardo a ciò che
si considera e s'intende per Salute Mentale e per Malattia Mentale, e
propone vie alternative e una metodologia di lavoro possibile con il
paziente ex detenuto, liberato, comprendendo come ha vissuto e vive
oggi, dopo le conseguenze subite, quel progetto integrale di vita che lo
avevano portato alla militanza e all'impegno sociale. Quali sono i suoi
conflitti, le sue difficoltà e le sue aspettative oggi? In quale modo il
suo passato si ripercuote e segna oggi la vita dei figli di questi
genitori prigionieri, 'desaparecidos'?
In questo senso l'autrice mette in evidenza uno dei fatti più
commoventi: il significato dell'assenza. Rivela come un bambino con i
suoi genitori prigionieri o 'desaparecidos' non è un bambino
abbandonato, ma un bambino che subisce l'ingiustizia ai livelli più
profondi con i quali si può far violenza ad un essere umano. Questo
dramma lo possiamo vedere e vivere ogni giorno: il 'desaparecido' è
assente per sempre.
Alcuni di noi che abbiamo sofferto in passato l'esperienza del carcere e
della tortura, dell'isolamento prolungato, che siamo stati sottoposti a
pressioni psicologiche, abbiamo imparato le facoltà e i limiti della
condizione umana sottoposta alla violenza organizzata del sistema di
oppressione, e anche la capacità di resistenza e di lotta per rimanere
uomini e donne liberi, nella coscienza e nello spirito, anche dietro le
sbarre. Per questo dobbiamo avvicinarci con molto rispetto e solidarietà
a tutti quelli che si sono impegnati e hanno lottato insieme al popolo.
Gabriella Sartori apporta con questo spirito la sua esperienza personale
e professionale e ci fa capire che nonostante tutto è ancora possibile
costruire la speranza e l'utopia di un popolo.
Adolfo Perez Esquivel
Buenos Aires, 19 marzo 1993
INTRODUZIONE
Gli avvenimenti politici e repressivi che si verificarono nel 1976 e
seguenti, presero di sorpresa tutto il campo popolare.
Fino ad oggi, anno 1984, molti sono i lavori e le pubblicazioni
realizzate sia in Argentina che all'estero, scritti da persone
direttamente colpite dal regime o da Organismi di Difesa dei Diritti
Umani, che cercano di descrivere e di spiegare quanto accaduto.
La giusta bandiera della ricomparsa in vita dei detenuti scomparsi non
invalida oggi le accuse di genocidio rivolte ai responsabili del golpe
di stato del 24 marzo 1976. L'evidenza del ritrovamento di numerose
tombe collettive e la scoperta di cadaveri con palesi segni di tortura e
atroci mutilazioni, stanno a confermare che sono responsabili di crimini
di lesa umanità.
Dall'evidenza delle carceri e dei campi di concentramento, che si
scoprono soltanto oggi alla pubblica opinione argentina (però noti e
denunciati da anni a livello internazionale), si percepisce l'esistenza
di un fenomeno repressivo, qualitativamente diverso per la
pianificazione scientifica dello stesso, ma affatto nuovo nella storia
del nostro paese per quanto riguarda le metodologie utilizzate.
La contraddizione storica "POPOLO OLIGARCHIA" raggiunge il suo apice con
il golpe del 1976.
Nel 1976 si confrontano due progetti di stato, due filosofie politico
sociali, e di conseguenza, sul piano individuale, due progetti di vita,
uno dei quali è rappresentato dalla Coscienza Oligarchica, sorta e
consolidata nel corso dello scorso secolo sulla base della violenza,
dello sfruttamento e dell'annichilimento di ogni forma di resistenza
popolare. Questo progetto si basa sull'alleanza con l'imperialismo di
turno inglese o statunitense e che, nonostante la sua conformazione
nazionale, risulta antinazionale nei suoi interessi, progetti e
obiettivi.
In contrapposizione alla stessa si sviluppò nello scorso secolo la
Coscienza Nazionale che acquisì progressivamente maggiori livelli di
comprensione e di espressione.
La 'picana eléctrica' venne già utilizzata contro il popolo argentino
nel 1930, durante il golpe oligarchico che destituì il governo popolare
di Yrigoyen, dando inizio al periodo denominato 'Década Infame', periodo
nel quale, secondo lo storico J.J. Hernàndez Arregui, la Coscienza
Storica degli argentini si trasformò in Coscienza Nazionale.
Comunque la repressione contro il popolo non comincia nel 1930 e non
finisce, secondo noi, nel 1983.
Per riuscire a prevedere il futuro è necessario capire il presente e
analizzare il passato, non come un mero esercizio sterile o
esclusivamente intellettuale, ma per intendere quali sono state le forze
in campo e sostanzialmente, quali erano i loro progetti storici.
Il popolo argentino ambisce la Pace e la Giustizia, ma nella coscienza
oligarchica pace significa sottomissione, da ottenere, se è il caso, per
mezzo della forza e del terrore. Questo metodo di "pacificazione" non è
stato soltanto sperimentato e perpetrato nei campi di concentramento e
nelle carceri argentine durante la dittatura militare appena spodestata,
ma su tutto il territorio nazionale, che divenne un immenso lager, nel
quale si utilizzarono diverse tecniche e metodologie di repressione,
scientificamente pianificate, per colpire in modo diversificato i
diversi settori della popolazione;
Per le più alte espressioni della Coscienza Nazionale, quelli definiti
"incorruttibili" e "irriducibili"; il carcere, il lager, la morte.
Per l'insieme della classe operaia: la minaccia della perdita del posto
di lavoro, la fame, la disoccupazione, la costrizione a canalizzare ogni
energia nella lotta quotidiana per la sopravvivenza.
Per il ceto medio: l'alternanza del terrore con "favori", (quali i
"dollari falsi" e la possibilità di speculazione finanziaria stimolata
dal Ministro dell'Economia Martinez de Hoz), come metodo per ottenere il
consenso, assieme alla minaccia della perdita dei loro scarsi privilegi.
Per gli imprenditori nazionali: una politica dichiaratamente contraria
allo sviluppo industriale, che portò al fallimento un alto numero di
aziende.
Per i piccoli e medi produttori agricoli: il soffocamento economico, la
perdita delle proprietà, l'estinzione di questo settore produttivo.
Il progetto oligarchico del 1976 significò l'eliminazione del settore
più significativo di una generazione di argentini; una generazione di
operai, di studenti, d'impiegati, d'intellettuali e di professionisti
che sintetizzavano il progetto di Liberazione Nazionale e Sociale.
Questo progetto di annichilimento e di distruzione nazionale, venne
studiato ed eseguito con una chiara visione del futuro, e i suoi effetti
non si manifestano tutt'oggi completamente. Le nuove forme di dipendenza
dall'imperialismo e la sovversione dei valori si manifestano a lungo
termine.
Una generazione di ragazzini argentini, figli della classe operaia, nati
mentre si attuava il piano economico del ministro Martinez de Hoz, hanno
patito la fame dalla nascita. Sono già 300.000 i bambini che sono stati
"annientati" dalla politica della fame, morti per denutrizione. Ci sono
inoltre migliaia di bambini dai 5 ai 7 anni con ritardi mentali dovuti
alla carenza o all'insufficienza proteica dell'alimentazione nei primi
anni di vita. Questa generazioni di argentini, con problemi di
apprendimento riuscirà a malapena a concludere la scuola dell'obbligo, e
in prospettiva, quando s'inseriranno sul mercato del lavoro potranno
aspirare soltanto a mansioni di "operai non qualificati". Questa è la
generazione che dovrebbe essere protagonista nell'Argentina del 2000.
Ovviamente, in un progetto prevalentemente agricolo esportatore, si
verifica un eccedente di popolazione e non ha bisogno di manodopera
qualificata.
Argentina, un paese che presenta le ferite e le umiliazioni dovute alle
migliaia di detenuti scomparsi, ai prigionieri che transitarono per
tutte le carceri della dittatura, ai familiari delle vittime della
repressione, ai reduci della guerra delle isole Malvinas, potrà
rimarginare le sue ferite soltanto attraverso la Giustizia.
Il problema della Giustizia non si risolve con la condanna alla prigione
dei nove capi delle Forze Armate e dei principali esecutori della
repressione terrorista, ma nella possibilità per un popolo con autentica
vocazione nazionale di realizzare il suo destino storico.
Quindi Giustizia significa Liberazione Nazionale e Sociale.
Maria Gabriella Sartori
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http://www.elprincipe.com/univer/bibliot/noved/index.shtml
El Golpe.
24 de marzo de 1976
Un libro para los que no lo vivieron y para
los que prefieren recordar, e incluso conocer, lo que no supieron de
aquellos años terribles.
Los
protagonistas del pasado, los vivos y sobrevivientes del presente,
el sueño no concretado, desbordan la historia de Alberto Dearriba en
EL GOLPE, un pedazo de nuestra propia historia.
Se relatan
hechos, no por conocidos menos patéticos, los “fragotes” de la
época, al estilo de la etapa frondicista, con militares y civiles
que ejercían presión y un gobierno débil que cambiaba ministros con
frecuencia inusual y que cedía constantemente, al punto de dejar
ocupar a los antiperonistas la cúpula del ejército, con excepción de
Cáceres. Los Montoneros echados de la Plaza, la desilusión y el
sueño de la patria socialista, muerto antes del 24 de marzo. Y la
puerilidad de reconocer en Videla una figura insignificante, porque
detrás estaba Viola, vinculado a una salida más política, o por lo
menos, con integración de cuadros políticos al elenco gubernamental.
Algunos nombres
golpean más cerca, Menem proponiéndose como el recambio desde dentro
del peronismo para evitar el golpe. Campolongo, Papaleo, Lorenzo,
cerca de Isabel al final, y atrapados. La presencia de De La Rúa en
Tucumán, en momentos en que se desarrollaba el Operativo
Independencia.
El autor nos
recuerda las palabras de Videla en boca de Martínez de Hoz,
presagiando que no quedaría un solo peronista al final del proceso,
y, con un telón de fondo, la lucha, en el plano económico, entre los
ganaderos y los industrialistas.
López Rega
defenestrado 6 meses antes, manejando sus hilos desde Brasil. Los
intentos de adelantar las elecciones y la negativa de la presidente.
Y una mirada entre ingenua y complaciente de Massera, como un actor
con proyecto político propio e intentando reconvertir la
imagen de una Armada, furgón de cola de los golpes.
Es posible
brindar una mirada no sesgada de lo ocurrido? Han pasado sólo 25
años.
Alberto
Dearriba, periodista de reconocida trayectoria, ha basado su extensa
investigación en 42 ítems bibliográficos que nos invitan a continuar
investigando. Y, quizás, también, a tomar parte.
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GACETILLA DE PRENSA A 27 AÑOS DEL GOLPE IMPUNE
DEL MALESTAR AL GRITO
DIGAMOS
YA BASTA DE IMPUNIDAD - DE MISERIA- DE REPRESIÓN - DE GUERRA
Convocamos a
la ciudadanía de Córdoba a participar de las actividades que se van
a llevar a cabo, en el marco de un nuevo aniversario del golpe de
estado del 24 de marzo de 1976. Ante este nuevo aniversario
mantenemos viva la memoria y exigimos el fin de la impunidad, a
partir de la nulidad de las leyes del olvido que dejaron en libertad
a los responsables del Terrorismo de Estado.
Afirmamos
que el actual modelo social y económico que ha aumentado el hambre,
la miseria y la desocupación tiene su origen hace 27 años, cuando
las FFAA, instalaron con un genocidio, los cimientos de las
políticas neoliberales.
Denunciamos
la escalada represiva que se materializa con el gatillo fácil, la
persecución a luchadores populares y el discurso de la mano dura, a
la vez que repudiamos la actitud militarista de EEUU, que con planes
de exterminio intenta imponer su politica imperial.
A 27
años del golpe es urgencia y necesidad recrear la condena social y
la movilización, ya que la lucha por la memoria, la verdad y la
justicia van a ser posible un país distinto.
ACTIVIDADES
CENTRALES:
MIERCOLES 19
DE MARZO- 11HS, TRIBUNALES FEDERALES(B: ACTO POR LA NULIDAD DE LAS
LEYES DE PUNTO FINAL, OBEDIENCIA DEBIDA Y LOS INDULTOS.
VIERNES 21
DE MARZO- 11 HS, CEMENTERIO SAN VICENTE,
ACTO DE
REIVINDICACIÓN A LOS DESAPARECIDOS Y DENUNCIA AL TERRORISMO DE
ESTADO.
LUNES 24 DE
MARZO- 18 HS, COLÓN Y CAÑADA, MOVILIZACIÓN DE REPUDIO AL GOLPE.
Mesa de
Trabajo Por los Derechos Humanos- Red Antirrepresiva- H.I.J.O.S.-
Familiares
de Detenidos Desaparecidos por razones políticas- Abuelas de Plaza
de Mayo- Grupo ex Presos Políticos- Asamblea Plaza Los Naranjos-
Biblioteca
Popular de Bella Vista- Universidad Trashumante- Grupo La Otra
Vereda- Red
el Buhito por la Defensa del Niño, el Adolescente y el Joven-
Vecinos Autoconvocados- Mesa de Escrache Popular- Asociación
Argentina
de Actores-
Teatro X la Identidad - Coordinadora de Estudiantes Secundarios-
Centro de
Estudiantes de Ciencias de la Información- Centro de Estudiantes de
Filosofía y Humanidades- Centro de Estudiantes del FAMAF- Agrupación
Tinkunaku de
Trabajo Social - Movimiento de Base de Agronomía-
Movimiento
Universitario La Bisagra- Agrupación Contrapiso de Arquitectura y
Diseño
Industrial -
Agrupación PyRE de Psicología- Agrupación estudiantil "El Balbuceo",
Ciencias Políticas, U.C.C. - FEU de Filosofía - Radio Revés -
Movimiento Autodeterminación y Libertad-
Centro
Cultural de Villa Rivera Indarte- CeSARC- Biblioteca Popular Villa
Azalais
Oeste- CTA -Campamentos de Trabajo -
CeSARC (Historico)- siguen firmas...
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