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MINISTERO DELL'INTERNO

CIRCOLARE 15 luglio 1997, n. 1/1997.

Problematiche interpretative della legge 15 maggio 1997, n. 127, in tema di gestione del personale degli enti locali

Ai prefetti della Repubblica
Al presidente della giunta regionale della Valle d'Aosta
Al commissario del Governo nella provincia di Trento
Al commissario del Governo nella provincia di Bolzano
e, per conoscenza:
Alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Segretariato generale
Alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica
Ai commissari del Governo nelle regioni a statuto ordinario
Al Ministero del tesoro - Ragioneria generale dello Stato - I.G.O.P.
All'assessorato regionale agli enti locali - Regione Sicilia
Al rappresentante del Governo nella regione Sardegna
Al commissario del Governo nella regione Friuli-Venezia Giulia
Al presidente della commissione di coordinamento della Valle d'Aosta
All'ANCI
All'UPI
All'UNCEM

Nell'ambito del tradizionale rapporto di servizio che contraddistingue questa Amministrazione, si vogliono fornire alcuni criteri di lettura delle novità introdotte dalla legge 15 maggio 1997, n. 127, con particolare riguardo al tema della gestione del personale degli enti locali. Gli orientamenti interpretativi che ne scaturiscono sono stati elaborati d'intesa con la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per la funzione pubblica.
In via preliminare, bisogna rilevare come i nuovi meccanismi di gestione del personale dei predetti enti, così come prospettati dalla legge n. 127/1997, vogliono sostanzialmente porsi come momenti di flessibilità del sistema organizzativo ed, in tale chiave di lettura, vanno viste le novità sia ordinamentali che organizzative previste dalla normativa.
Ciò premesso, si procederà ad un esame analitico delle norme introdotte in tema di gestione del personale affrontando, caso per caso, le problematiche che sembrano, ad un primo esame, più rilevanti nella vita dell'ente locale.
L'art. 3, comma 5, pone divieto alle pubbliche amministrazioni di richiedere l'autenticazione della sottoscrizione delle domande per la partecipazione a selezioni per l'assunzione nelle stesse a qualsiasi titolo.
La norma non presenta particolari difficoltà interpretative, salvo a verificarne la valenza in relazione alle procedure concorsuali in atto ed, in particolare, per i bandi di concorso di cui non sia scaduto il termine per la presentazione delle relative domande al momento dell'entrata in vigore della nuova normativa.
In tal caso, si ritiene che debbano essere accettate, se presentate dopo il 18 maggio 1997, tutte le domande, anche se prive dell'autentica, pur in presenza di diverse disposizioni contenute nei bandi, disposizioni che debbono ritenersi automaticamente abrogate a seguito dell'entrata in vigore della norma stessa.
Un'ulteriore novità è posta dai commi 6 e 7, i quali prevedono che la partecipazione ai concorsi indetti dalle pubbliche amministrazioni non è soggetta a limiti di età, salvo deroghe dettate dai rispettivi regolamenti, connesse alla natura del servizio o ad oggettive necessità.
Conseguentemente, il successivo comma 7 abolisce i titoli preferenziali relativi all'età, ferme restando le altre limitazioni e i requisiti previsti dalle leggi e dai regolamenti per l'ammissione ai concorsi pubblici.
Anche per questa norma si pongono le problematiche interpretative, già indicate precedentemente, relative ai concorsi i cui bandi siano non ancora scaduti, e, in tal caso, deve ritenersi che la normativa operi automaticamente modificando - ope legis - eventuali disposizioni del bando, che necessariamente prevedevano le preesistenti limitazioni di età.
Diversamente, per i bandi di concorso in cui sia già scaduto il termine di presentazione delle domande, alla data di entrata in vigore della legge n. 127/1997, deve ritenersi prevalente la limitazione posta dal bando, in quanto "lex specialis", in relazione al noto principio del "tempus regit actum", fatta in ogni caso salva la facoltà dell'Amministrazione, in tali casi, qualora non siano state espletate le relative prove, di riaprire i termini concorsuali ampliando le possibilità di partecipazione al concorso.
La norma fa altresì salva la facoltà regolamentare delle singole amministrazioni, in relazione alla natura del servizio o ad oggettive necessità, di prevedere deroghe.
Pertanto, anche in questo caso, viene ampliata, in relazione alle esigenze di autorganizzazione dei singoli enti, la facoltà di disciplinare i limiti e le modalità di accesso ai pubblici concorsi presso gli enti locali, utilizzando lo strumento regolamentare.
La conseguente previsione del comma 7, relativa all'abolizione dei titoli preferenziali relativi all'età, ferme restando le altre limitazioni e i requisiti previsti sia dalle leggi che dai regolamenti dell'ente, pone dei problemi in relazione all'approvazione delle graduatorie concorsuali, nel momento in cui alcuni candidati avessero il medesimo punteggio, essendo contestualmente privi di altri titoli preferenziali.
In tal caso, dovrà essere cura delle commissioni esaminatrici di integrare preliminarmente i predeterminati criteri di formazione delle graduatorie mediante apposite previsioni, disciplinanti le fattispecie di "ex aequo".
Ad esempio, potrebbe essere attribuito un valore preferenziale ad alcune componenti del punteggio finale.
Si rappresenta, altresì, l'opportunità che gli enti disciplinino, nei nuovi bandi di concorso, esplicitamente la fattispecie.
Il successivo art. 5 porta a compimento il citato processo di riorganizzazione degli enti, in cui il momento della gestione del personale diviene momento di flessibilità organizzativa, e, conseguentemente, opera uno spostamento di competenze dal consiglio comunale alla giunta.
Pertanto, al comma 6, si abroga espressamente la lettera c) del comma 2 dell'art. 32 della legge 8 giugno 1990, n. 142, che riservava al consiglio l'adozione degli atti in tema di piante organiche e le relative variazioni.
Conseguentemente, il comma 4 della stessa legge n. 127/1997 aggiunge un comma 2-bis all'art. 35 della citata legge n. 142/1990, riservando alla competenza della giunta l'adozione dei regolamenti sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, nel rispetto dei criteri generali stabiliti dal consiglio.
In merito deve rilevarsi come, a seguito dell'abrogazione della competenza consiliare in tema di piante organiche e relative variazioni, la stessa sia stata spostata, prevedendo l'adozione di atti di tipo regolamentare, in capo alla giunta, limitando la competenza del consiglio all'emanazione di "criteri generali", che si riterrebbe non possano dettagliarsi, al punto tale da dare indirizzi di tipo gestionale all'organo esecutivo, e ciò proprio perché risulta abrogata la competenza del consiglio comunale in tema di piante organiche.
Peraltro, i "criteri generali", di cui parla la legge, attengono ai criteri di massima cui deve conformarsi la giunta nella propria attività gestionale. Ed è logico ritenere che essi includano l'indicazione della ripartizione delle risorse finanziarie da assegnare allo strumento operativo che è oggi diventato la gestione del personale.
E' altresì da rilevare come, anche in questo caso, risulta rafforzato lo strumento di tipo regolamentare, affidato alla giunta, il quale diviene lo strumento operativo da utilizzare ai fini della gestione del personale dell'ente, pure in relazione al processo di separazione tra potere di indirizzo, attribuito agli organi politici, e responsabilità gestionali, attribuite alla struttura, che trova compimento nel successivo art. 6.
Tale articolo, al comma 1, sostituendo il comma 1 dell'art. 51 della citata legge n. 142/1990, prevede che i comuni e le province disciplinino, con apposito regolamento, in conformità allo statuto, l'ordinamento generale degli uffici e dei servizi, in base a criteri di autonomia, funzionalità ed economicità di gestione, e secondo principi di professionalità e responsabilità, richiamando in tal modo i principi già posti dal decreto legislativo n. 29/1993.
Importanti innovazioni vengono poste dall'ultima parte del precitato comma, ove si prevede che nelle materie soggette a riserva di legge, ai sensi dell'art. 2, comma 1, lettera c), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, la precedente piena potestà regolamentare degli enti locali si può esercitare tenendo conto della contrattazione collettiva nazionale e, comunque, in modo tale da non determinarne disapplicazione durante il periodo di vigenza. La disciplina così introdotta comporta che la potestà regolamentare in tema di ordinamento degli uffici e dei servizi dev'essere esercitata, nelle materie coperte da riserva di legge, osservando i limiti della contrattazione collettiva nazionale e, comunque, in modo da non determinarne disapplicazione, nelle effettive modalità applicative.
Invece, nelle materie non riservate alla legge, si prevede l'applicazione, anche ai regolamenti comunali di cui sopra, del comma 2-bis dell'art. 2 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29.
Tale ultima norma prevede che, nelle materie non soggette a riserva legislativa ai sensi dell'art. 2, comma 1, lettera c), della legge 4 ottobre 1992, n. 421, eventuali norme di legge intervenute dopo la stipula di un contratto collettivo, cessano di avere efficacia dal momento in cui entra in vigore il successivo contratto collettivo, a meno che la legge stessa non disponga espressamente in senso contrario.
Conseguentemente, i regolamenti potrebbero disciplinare tali materie, non coperte da riserva di legge, in maniera difforme rispetto ai contratti collettivi di lavoro e, qualora questo sia espressamente previsto, dallo stesso regolamento, escludere che la norma contrattuale successivamente entrata in vigore disapplichi la stessa norma regolamentare.
In tal modo viene attribuito un particolare grado di "durezza" ai regolamenti comunali, nelle materie non coperte da riserva di legge, regolamenti che, pertanto, hanno il potere di disapplicare norme contrattuali vigenti, nelle predette materie, escludendo, se espressamente previsto, l'automatico riestendersi della norma contrattuale, al momento della nuova contrattazione collettiva.
Peraltro, va precisato l'ambito entro cui si pone il suindicato potere di autoregolamentazione, che nella sua applicazione, viene a coprire le c.d. "zone di ombra" contrattualmente definite nell'ambito di un corretto rapporto con le organizzazioni sindacali, o che necessitano di ulteriore esplicazione, divenendo in tal modo meccanismo rafforzativo della contrattazione collettiva. Comunque, non si può in alcun caso derogare ai principi posti dal decreto legislativo n. 29/1993, ed in particolare dall'art. 45, comma 9, che impone alle pubbliche amministrazioni di osservare gli obblighi assunti con la contrattazione collettiva; dall'art. 49, comma 2, che impone alle stesse di garantire ai propri dipendenti parità nei trattamenti contrattuali, comunque non inferiori a quelli previsti dai rispettivi contratti collettivi; dall'art. 51, comma 3, ultima parte il quale prevede che non può essere in ogni caso autorizzata la sottoscrizione di contratti collettivi decentrati che comportano, anche a carico di esercizi successivi, impegni di spesa eccedenti le disponibilità finanziarie definite dal contratto; e dal comma 4 dello stesso art. 51, ultima parte, che stabilisce che in nessun caso possono essere previsti oneri aggiuntivi diretti o indiretti, oltre il periodo di validità dei contratti medesimi.
Il successivo comma 2 dell'art. 6 porta a compimento il momento di separazione tra potere politico e potere gestionale, già previsto sia dalla legge n. 142/1990 che dal decreto legislativo n. 29/1993, recependo gli orientamenti, in tal senso, già espressi a livello di giustizia amministrativa e penale.
Pertanto, il secondo comma dello stesso art. 6 sostituisce il secondo periodo del comma 3 dell'art. 51 della citata legge n. 142/1990, prevedendo che sono attribuiti ai dirigenti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi, definiti con gli atti di indirizzo, adottati dall'organo politico.
E' da notare come, in questo caso, sia stato usato dal legislatore il termine "attribuiti", termine che indica l'esercizio di poteri propri ed esclusivi, ed, in quanto tali, l'esercizio degli stessi da parte di un soggetto diverso determina l'incompetenza assoluta ad esercitarli.
Conseguentemente, l'attribuzione, in via meramente esemplificativa, concerne:
a) la presidenza delle commissioni di gare e di concorsi;
b) la responsabilità delle procedure di appalti e di concorso;
c) la stipula dei contratti;
d) gli atti di gestione finanziaria ivi compresa l'assunzione di impegni di spesa;
e) gli atti di amministrazione e di gestione del personale;
f) i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi il cui rilascio presuppone accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti o da atti generali di indirizzo, ivi comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie;
g) le attestazioni, certificazioni, comunicazioni, diffide, verbali, autenticazioni, legalizzazioni e ogni altro atto costituente manifestazione di giudizio e di conoscenza;
h) gli atti attribuiti dallo statuto e dai regolamenti o, in base a questo, delegati dal sindaco.
Il successivo comma 3 dell' art. 6, inserendo il comma 3-bis all'art. 51 della legge n. 142/1990, porta a compimento il processo di separazione dei poteri all'interno delle pubbliche amministrazioni locali, prevedendo esplicitamente che nei comuni privi di personale con qualifica dirigenziale, "le funzioni di cui al comma 3 (che chiarisce trattarsi di attribuzione di funzioni) sono svolte dai responsabili degli uffici e dei servizi".
Tale comma, innovando la terminologia precedentemente usata in tema di identificazione dei responsabili degli uffici e dei servizi, ed in tal modo prescindendo dalla qualifica funzionale attribuita ai medesimi, permette a tutti gli enti di gestire in modo flessibile, in relazione alle proprie peculiarità e caratteristiche, il modello organizzatorio di cui hanno deciso di dotarsi. Pertanto, resta fermo il rigido principio della separazione tra i poteri, in conformità al disposto dell'art. 3, commi 1 e 2, del decreto legislativo n. 29/1993, i quali, attribuiscono agli organi di Governo la definizione degli obiettivi e dei programmi da attuare, nonché la verifica della rispondenza dei risultati della gestione alle direttive generali impartite, ed ai dirigenti (nella accezione attribuita dal predetto comma 3, introduttivo del citato comma 3-bis dell'art. 51 della legge n. 142/1990) la gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa, compresa l'adozione di tutti gli atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane e strumentali e di controllo; agli stessi è attribuita la responsabilità della gestione e dei relativi risultati.
Conseguentemente, deve ritenersi come inapplicabile, a seguito dell'entrata in vigore della citata legge n. 127/1997, l'art. 45 del contratto collettivo di lavoro del comparto del personale delle Regioni - Autonomie locali, sottoscritto il 6 luglio 1995, che prevedeva, per gli enti privi di personale con qualifica dirigenziale, l'attribuzione dei poteri e delle prerogative medesime ai preposti a strutture organizzative di massima dimensione, purché inquadrati in qualifiche funzionali aventi come requisito d'accesso la laurea (e, pertanto, fino alla settima qualifica funzionale), ed in mancanza il riferimento di tali poteri e prerogative al segretario comunale; parimenti sembrerebbe implicitamente abrogato il comma 2 dell'art. 19 del decreto legislativo n. 77 del 25 febbraio 1995, come modificato dal decreto legislativo n. 336 dell'11 giugno 1996 il quale prevedeva per i comuni con popolazione inferiore a 10.000 abitanti, la facoltà dell'organo esecutivo, con delibera motivata che riscontrasse in concreto la mancanza assolutamente non rimediabile di figure professionali idonee nell'ambito dei dipendenti, la possibilità di affidare ai componenti dell'organo esecutivo medesimo, la responsabilità dei servizi, o di parte di essi, unitamente al potere di assumere gli atti di gestione.
Deve, peraltro, rilevarsi come la stessa legge n. 127/1997, all'art. 9, comma 4, nel sostituire l'art. 108 del decreto legislativo n. 77/1995, non ha ritenuto di includere tra gli articoli del decreto legislativo che devono considerarsi come principi generali, con valore di limite inderogabile, il precitato art. 19.
In conseguenza dell'inapplicabilità dell'art. 45 del contratto di lavoro e dell'abrogazione del comma 2 dell'art. 19 del suddetto decreto legislativo, devono affrontarsi i problemi nei quali possono venirsi a trovare gli enti locali, specie se di ridottissime dimensioni, nell'ipotesi in cui i medesimi siano del tutto privi di personale cui attribuire le funzioni di responsabile degli uffici e dei servizi. In tal caso, gli enti possono fare riferimento alla normativa di cui all'art. 24 della legge n. 142/1990 che prevede, al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati, la stipula di apposite convenzioni. In merito bisogna rammentare come la predetta normativa sia l'unica che permette di attribuire la titolarità degli uffici a soggetti esterni all'ente, risultando a tal fine inidoneo lo strumento previsto sia dall'art. 51, comma 7, della stessa legge n. 142/1990, che prevede, per obiettivi determinati e con convenzioni a termine, la facoltà, se prevista dal regolamento, di avvalersi di collaborazioni esterne ad alto contenute di professionalità; sia dall'art. 7, comma 6, del decreto legislativo n. 29/1993 che ipotizza, per esigenze cui non si possa far fronte con personale in servizio, la possibilità che le pubbliche amministrazioni conferiscano incarichi individuali ad esperti di provata competenza, determinando, preventivamente, durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.
Risulta, altresì, applicabile la norma, cui peraltro va attribuita la valenza di clausola di salvaguardia, ai fini del buon funzionamento della macchina organizzativa amministrativa gestionale dell'ente, prevista dall'art. 17, comma 68, lettera c), della stessa legge n. 127/1997, che attribuisce al segretario comunale e provinciale l'esercizio di "ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai regolamenti, o conferitagli dal sindaco o dal presidente della provincia".
Bisogna, altresì, precisare che qualora all'interno dell'ente siano contemplate le figure dei responsabili degli uffici e dei servizi, tenuto conto che essi sono titolari delle funzioni loro attribuite, tale assegnazione al segretario comunale non può che operare mediante il meccanismo dello scorporo delle stesse dai poteri assegnati al titolare della funzione.
Da ultimo, deve rilevarsi come la norma in esame, di cui all'art. 6, comma 2, relativa all'attribuzione dei poteri agli organi burocratici dell'ente, nell'ambito degli indirizzi dettati dagli organi di Governo, debba essere ritenuta immediatamente operativa, non necessitando di esplicita previsione statutaria o regolamentare, in quanto rinvia allo statuto o al regolamento dell'ente le modalità di esercizio dei poteri, ma non l'attribuzione degli stessi, che risultano già "attribuiti".
Conseguentemente la potestà statutaria o regolamentare può esercitarsi solo nei confronti delle modalità di espletamento, pertanto l'eventuale emanazione di atti gestionali da parte della giunta o del sindaco è illegittima perché viziata da incompetenza.
Peraltro, limitatamente agli atti già emanati, adottati da organi incompetenti, e fondati sulla necessità e l'urgenza, potrebbe ritenersi che essi siano comunque assimilati a quelli che il nostro ordinamento giuridico attribuisce ai c.d. "funzionari di fatto".
Grosse innovazioni all'assetto organizzativo degli enti locali nascono, altresì, dalla previsione del comma 4, che inserisce dopo il comma 5 dell'art. 5 della legge n. 142/1990 il comma 5-bis.
In via preliminare, deve rilevarsi come tale comma è aggiuntivo, per cui resta vigente, inalterato, il preesistente modulo organizzatorio delineato dal comma 5 della citata legge n. 142/1990, che prevede la facoltà, a seguito di specifica previsione statutaria, di coprire posti di responsabile degli uffici e dei servizi, di qualifica dirigenziale, o di alta specializzazione, mediante contratto a tempo determinato derivante dai C.C.N.L., sottoscritti ai sensi del decreto legislativo n. 29 / 1993 o, eccezionalmente e con delibera motivata, di diritto privato, fermi restando i requisiti della qualifica da ricoprire.
Pertanto, le facoltà previste dal precitato comma 5-bis sono da considerarsi aggiuntive rispetto a quelle indicate nel comma 5.
Il comma 5-bis prevede che il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi (riservato alla competenza della giunta), negli enti in cui è prevista la dirigenza, stabilisce i limiti, i criteri e le modalità con cui possono essere stipulati, al di fuori della dotazione organica, contratti a tempo determinato per i dirigenti e le alte specializzazioni (qualifica e profili che costituiscono la caratterizzazione e la condizione per l'applicabilità della norma stessa), fermi restando i requisiti della qualifica da ricoprire. Tali contratti possono essere stipulati in misura complessivamente non superiore al 5 per cento del totale della dotazione organica della dirigenza e dell'area direttiva, e comunque per almeno una unità.
In merito deve rilevarsi come la norma, non incida sul meccanismo di attribuzione delle funzioni ai dirigenti esistenti nella pianta organica dell'ente, i quali sono i titolari delle stesse.
Pertanto, nel momento in cui il regolamento degli uffici e dei servizi prevede tali figure dirigenziali o di alta specializzazione, fuori pianta organica, dovrà contestualmente operare lo scorporo delle funzioni loro attribuite, da quelle dirigenziali, di cui il personale previsto nella struttura organizzativa dell'ente è titolare. Deve, altresì, evidenziarsi come al fine del calcolo del numero massimo di dirigenti che possono esserci fuori pianta organica, va fatto riferimento sia alla dotazione organica della dirigenza che dell'area direttiva.
La seconda parte del citato comma 5-bis prevede, negli enti privi, per tipologia, di personale dirigenziale, che il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi stabilisca i limiti, i criteri e le modalità con cui possono essere stipulati, al di fuori della dotazione organica, e solo in assenza di professionalità analoghe presenti all'interno dell'ente, contratti a tempo determinato di dirigenti, alte specializzazioni o funzionari dell'area direttiva, fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire.
Per quel che riguarda tale fattispecie deve rilevarsi come, in tali enti, ed esclusivamente per tali figure professionali, sia stato superato il preesistente limite della tipologia, nascente dal disposto dell'art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 347/1983.
Tali contratti sono stipulati in misura complessivamente non superiore al 5 per cento della dotazione organica dell'ente; o ad una unità negli enti con una dotazione organica inferiore alle venti unità.
Relativamente alle funzioni attribuibili a questo personale, fuori pianta organica, nei comuni privi di personale dirigenziale, deve rappresentarsi che in relazione al disposto del comma 3 dell'art. 6 della legge n. 127/1997, introduttivo del comma 3-bis dell'art. 51 della legge n. 142/1990, ferma restando la possibilità di attribuire funzioni gestionali, in relazione alla norma sopra citata, qualora nell'ente siano presenti le figure dei responsabili degli uffici e dei servizi, i quali sono i titolari delle predette funzioni, le stesse potranno essere attribuite al personale fuori pianta organica, mediante previsione regolamentare che scorpori le funzioni attribuite loro, da quelle proprie del titolare dell'ufficio o del servizio.
I contratti di cui alla norma in esame non possono avere durata superiore al mandato elettivo del sindaco o del presidente della provincia e ciò, in quanto relativi a personale legato con un rapporto di tipo fiduciario all'amministrazione.
Il relativo trattamento economico, equivalente a quello previsto dai vigenti contratti collettivi nazionali e decentrati per il personale degli enti locali, può essere integrato, con provvedimento motivato dalla giunta, da una indennità "ad personam", commisurata alla specifica qualificazione professionale e culturale degli interessati, anche in considerazione della temporaneità del rapporto e delle condizioni di mercato relative alle specifiche competenze professionali. Il trattamento economico e l'eventuale indennità "ad personam" sono definiti in stretta correlazione con il bilancio dell'ente e non vanno imputati al costo contrattuale del personale. Il contratto a tempo determinato è risolto di diritto nel caso in cui l'ente locale dichiari il dissesto, o venga a trovarsi in condizioni strutturalmente deficitarie.
Il successivo comma 5 dell'art. 6 della stessa legge n. 127/1997 tende a creare un c.d. "mercato del lavoro" per il personale facente parte delle predette dotazioni organiche fuori pianta, di cui al precedente comma 4, prevedendo la risoluzione di diritto del rapporto di impiego di un pubblico dipendente, dalla data di decorrenza del contratto stipulato ai sensi del comma 4. L'amministrazione di provenienza dispone, subordinatamente alla vacanza del posto in organico, o dalla data in cui la vacanza si verifica, la riassunzione del dipendente qualora lo stesso ne faccia richiesta entro i trenta giorni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro a tempo determinato o dalla data di disponibilità del posto in organico.
Sono stati sollevati quesiti circa lo "status" giuridico attribuibile al personale a tempo determinato, assunto mediante le sopracitate forme contrattuali, anche in correlazione alla natura fiduciaria del rapporto esistente tra l'amministrazione che ha proceduto alla nomina e gli stessi. In merito si ritiene, in virtù del richiamo effettuato dal comma 4 al trattamento economico equivalente a quello previsto dai vigenti contratti collettivi nazionali per il personale degli enti locali, che lo "status" giuridico di questi soggetti sia del tutto equiparabile a quello del personale degli enti locali con contratto a tempo determinato, con conseguente applicabilità, di tutte quelle norme di salvaguardia e tutela previste sia dalla vigente legislazione, che dalla contrattazione collettiva. Conseguentemente, sono inapplicabili, nei confronti del predetto personale, forme di recesso dal contratto "ad nutum" per interruzione del rapporto di tipo fiduciario da parte della pubblica amministrazione, se le stesse non siano state espressamente previste, dalla vigente legislazione o dalla contrattazione collettiva.
Il successivo comma 7 dell'art. 6, sostitutivo del comma 6 dell'art. 51 della legge n. 142/1990, disciplina il conferimento degli incarichi dirigenziali a tempo determinato (ed in virtù del richiamo effettuato dal comma 3 dello stesso art. 6. La predetta normativa è automaticamente estesa a tutti i responsabili degli uffici e dei servizi) secondo le modalità fissate dal regolamento degli uffici e dei servizi, in relazione ai criteri di competenza professionale nonché agli obiettivi indicati nel programma amministrativo fissato dal capo dell'amministrazione. E', altresì, ipotizzata la revoca dei predetti incarichi in caso di inosservanza delle direttive del sindaco o dell'assessore di riferimento, o in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi assegnati nel piano esecutivo di gestione, per responsabilità particolarmente grave e reiterata, nonché nelle ipotesi indicate dall'art. 20 del decreto legislativo n. 29/1993 e dai contratti collettivi di lavoro.
Assume particolare rilevanza la previsione esistente nell'ultima parte del citato comma 7, in cui si precisa che l'attribuzione degli incarichi può prescindere dalla precedente assegnazione di funzioni di direzione a seguito di concorsi. In merito, deve rilevarsi, come tale norma incida profondamente nel preesistente status del rapporto di pubblico impiego, di fatto eliminando, per i dipendenti degli enti locali, il c.d. "ius ad ufficium", che correlava strettamente l'essere vincitore di un pubblico concorso per un determinato posto, con l'incardinamento del soggetto al posto medesimo.
Il comma 8 del citato art. 6 aggiunge al comma 7 dell'art. 51 della legge n. 142/1990 un paragrafo, il quale stabilisce che il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi può prevedere la costituzione di uffici posti alle dirette dipendenze del sindaco, del presidente della provincia, della giunta o degli assessori, per l'esercizio delle funzioni di indirizzo e di controllo loro attribuite dalla legge, costituiti da dipendenti dell'ente, ovvero, purché l'ente non abbia dichiarato il dissesto o non versi in condizioni strutturalmente deficitarie, da collaboratori assunti con contratto a tempo determinato.
La norma suindicata non presenta particolari difficoltà interpretative, salvo precisare che relativamente alla locuzione "per l'esercizio delle funzioni di indirizzo e di controllo loro attribuite", l'attribuzione e l'esercizio delle funzioni di indirizzo e controllo è riferibile esclusivamente ai titolari e cioè al sindaco, al presidente della provincia, alla giunta ed agli assessori, ed in nessun caso tali funzioni risultano attribuibili ai collaboratori. Circa il contratto di lavoro applicabile agli stessi, poiché quando la norma ha voluto derogare lo ha esplicitamente previsto, non può che farsi riferimento al vigente contratto collettivo nazionale per i dipendenti degli enti locali.
Il comma 9 dello stesso art. 6 aggiunge all'art. 41 del decreto legislativo n. 29/1993 un comma 3-bis il quale prevede che il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi degli enti locali (confermando pertanto, come già detto, l'attribuzione alla giunta delle facoltà gestionali in tema di personale) disciplini le dotazioni organiche, le modalità di assunzione agli impieghi, i requisiti di accesso e le modalità concorsuali nel rispetto dei principi fissati dai commi 1 e 2 dell'art. 36 del decreto legislativo n. 29/1993.
In merito, nel riconfermare la riserva di tipo regolamentare per quel che riguarda le dotazioni organiche, relativamente agli altri aspetti della citata riserva, si ritiene che la relativa potestà debba essere esercitata nell'ambito rigido dei principi posti dalla nostra Carta costituzionale ed in particolare: dall'art. 3, comma 1, che sancisce l'uguaglianza sostanziale dei cittadini; dall'art. 4, comma 1, che riconosce a tutti il diritto al lavoro; dall'art. 51, comma 1, che permette a tutti i cittadini, dell'uno e dell'altro sesso, di accedere agli uffici pubblici in condizioni di eguaglianza; dall'art. 97, commi 1 e 3, che stabilisce l'organizzazione dei pubblici uffici in modo da assicurare il buon andamento e l'imparzialità dell'Amministrazione nonché l'accesso agli impieghi mediante concorsi; e dall'art. 120, comma 3, che sancisce il diritto dei cittadini di esercitare, in qualunque parte del territorio nazionale, la loro professione, impiego o lavoro.
Tali principi, posti direttamente dalla nostra Carta costituzionale, costituiscono un limite inderogabile alle facoltà regolamentari riservate dal predetto comma 9 agli enti locali.
Lo stesso comma 9 introduce, altresì, un comma 3-ter all'art. 41 del decreto legislativo n. 29/1993.
Tale comma prevede che nei comuni interessati da mutamenti demografici stagionali, in relazione a flussi turistici o a particolari manifestazioni, anche a carattere periodico, al fine di assicurare un adeguato livello di svolgimento dei servizi pubblici, il regolamento può prevedere particolari modalità di selezione per l'assunzione di personale a tempo determinato, per esigenze temporanee o stagionali, secondo criteri di rapidità e trasparenza, escludendo ogni forma di discriminazione.
Si prevede, altresì, che tali rapporti a tempo determinato non possano, a pena di nullità, in nessun caso, essere trasformati a tempo indeterminato.
Tale norma semplifica le procedure assunzionali a tempo determinato nei comuni caratterizzati dalla predetta tipologia, permettendo di creare, permanentemente, graduatorie cui attingere per le assunzioni. In tal modo, si semplificano le procedure, in relazione alle facoltà assunzionali concesse agli enti medesimi, con il disposto dell'art. 16 del vigente C.C.N.L.
Il comma 10 inserisce, dopo l'art. 51 della legge n. 142 / 1990, l'art. 51-bis il quale prevede che il sindaco dei comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti ed il presidente della provincia, previa delibera della giunta, possono nominare un direttore generale al di fuori della dotazione organica e con contratto a tempo determinato, secondo criteri stabiliti dal regolamento di organizzazione.
Il direttore generale provvede ad attuare gli indirizzi e gli obiettivi stabiliti dall'organo di Governo dell'ente, secondo le direttive impartite dal sindaco o dal presidente della provincia, e sovraintende alla gestione dell'ente, perseguendo livelli ottimali di efficacia ed efficienza.
Spetta, in particolare, al medesimo direttore generale la predisposizione del piano dettagliato degli obiettivi di cui alla lettera a) del comma 2 dell'art. 40 del decreto legislativo n. 77 / 1995, nonché la proposta del piano esecutivo di gestione previsto dall'art. 14 dello stesso decreto legislativo.
A tali fini, al direttore generale rispondono, nell'esercizio delle funzioni loro assegnate, i dirigenti dell'ente, ad eccezione del segretario del comune e della provincia.
Il direttore generale è revocato dal sindaco o dal presidente della provincia previa delibera della giunta.
La durata dell'incarico non può eccedere quella del mandato del sindaco o del presidente della provincia.
Nei comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti è consentito procedere alla nomina del direttore generale previa stipula di convenzione tra i comuni le cui popolazioni sommate raggiungano i 15.000 abitanti.
In tal caso, il direttore generale dovrà provvedere anche alla gestione coordinata o unitaria dei servizi tra i comuni interessati.
Qualora non risultino stipulate tali convenzioni, e in ogni altro caso in cui il direttore generale non sia stato nominato, le relative funzioni possono essere conferite, dal sindaco o dal presidente della provincia, al segretario.
In merito, deve rilevarsi, come la previsione normativa è relativa ad un soggetto dotato di poteri e capacità manageriali, il quale è legato con un rapporto di tipo strettamente fiduciario nei confronti del sindaco o del presidente della provincia.
Trattasi di una figura professionale non contrattualizzata e, pertanto, sarà lo stesso direttore generale a contrattare con l'amministrazione la propria retribuzione. A tale facoltà fa da contrappeso la possibilità di revoca "ad nutum", in relazione al semplice interrompersi del rapporto fiduciario.
Ne deriva un rapporto di tipo gerarchico - funzionale tra il direttore generale e i dirigenti dell'ente: al primo, limitatamente ai poteri assegnatigli, i dirigenti rispondono nell'esercizio delle funzioni loro attribuite.
Il successivo comma 11 dell'art. 6 sostituisce il comma 5 dell'art. 55 della legge n. 142 / 1990, prevedendo che i provvedimenti dei responsabili dei servizi che comportano impegni di spesa sono trasmessi al responsabile del servizio finanziario, e sono esecutivi con l'apposizione del visto di regolarità contabile attestante la relativa copertura.
In merito, deve rilevarsi come il predetto visto di regolarità sia strettamente legato alla copertura finanziaria della spesa, e, pertanto, l'esame deve limitarsi alla verifica della effettività della disponibilità delle risorse impegnate, essendo preclusa qualsiasi altra forma di verifica della legittimità degli atti, di cui sono responsabili i singoli dirigenti che li hanno emanati.
Il comma 12 prevede che gli enti locali, che non versino in situazioni strutturalmente deficitarie, possono indire concorsi interni riservati al personale dipendente in relazione a particolari profili o professionalità acquisite esclusivamente all'interno dell'ente. Tale disposizione, nel sistema di accesso previsto dal decreto legislativo n. 29/1993 (art. 41, commi 1 e 3-bis) assume la caratteristica di normativa speciale.
In merito, deve rilevarsi come la medesima permetta di creare percorsi di professionalità all'interno degli enti locali, in relazione all'esistenza di qualificazioni professionali acquisibili esclusivamente mediante formazione interna.
Tale norma, che riprende sostanzialmente il contenuto dell'art. 24, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 347/1983, nell'ambito della sua applicazione esclude qualsiasi forma di valutazione delle mansioni di fatto svolte dai dipendenti, in quanto non costituisce mezzo di valutazione delle stesse, la cui disciplina è, in ogni caso, riservata agli articoli 56 e 57 del decreto legislativo n. 29/1993.
Conseguentemente, l'ambito di applicazione della norma è da ricercarsi nella individuazione dei predetti percorsi di professionalità, che escludano contestualmente la possibilità di raggiungere dall'esterno un identico contenuto di specializzazione, ritenuta indispensabile ai fini della copertura del posto (ad esempio in un impianto di depurazione particolarmente complesso è ipotizzabile che per l'accesso al posto di capo operaio addetto a quell'impianto sia richiesto come requisito l'aver svolto le funzioni di addetto allo stesso per un certo periodo di tempo, ecc.).
Il comma 13, del medesimo art. 6, sostituendo il comma 1 dell'art. 18 della legge n. 109/1994, prevede che l'1% del costo preventivato di un'opera o di un lavoro, ovvero il 50% della tariffa professionale relativa a un atto di pianificazione generale particolareggiato o esecutivo, sia destinato alla costituzione di un fondo interno da ripartire tra il personale degli uffici tecnici dell'amministrazione aggiudicatrice o titolare dell'atto di pianificazione - qualora esso personale abbia redatto direttamente i progetti o i piani - il coordinatore unico, di cui all'art. 7, il responsabile del progetto ed i loro collaboratori.
Il successivo comma 13-bis, prevede che il fondo, di cui al precedente comma, sia ripartito per ogni singola opera o atto di pianificazione, sulla base di un regolamento dell'amministrazione aggiudicatrice o titolare dell'atto di pianificazione, riconducendo alla potestà regolamentare materie precedentemente rinviate alla contrattazione collettiva.
La norma permette agli enti locali di poter meglio valorizzare eventuali professionalità esistenti all'interno dell'ente stesso, incentivando adeguatamente il personale interessato, e, allo stesso tempo, conseguendo un notevole risparmio finanziario.
I successivi commi reintroducono, nell'ambito dell'art. 6, il contenuto di parte dei decreti-legge che ultimamente si sono susseguiti in tema di personale degli enti locali, non reiterati a seguito della nota sentenza della Corte costituzionale in materia, ed i cui effetti erano stati fatti salvi dal comma 170 dell'art. 1 della legge 23 dicembre 1996, n. 662.
Il comma 14, sostituendo il comma 11 dell'art. 3 della legge n. 537/1993, esonera gli enti locali non strutturalmente deficitari, con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti, dalla rilevazione dei carichi di lavoro.
Invece, per gli enti con popolazione superiore, si riconferma che la stessa costituisce presupposto indispensabile per la rideterminazione della dotazione organica.
Si prevede, altresì, che la metodologia sia adottata con un atto di giunta che ne attesti la congruità, nonché l'esclusione dai meccanismi di rilevazione dei carichi di lavoro delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza.
Il comma 15, riprendendo il contenuto dei già citati decreti-legge, non convertiti, sostituisce l'art. 16-bis del decreto-legge 19 gennaio 1993, n. 8, come convertito nella legge 19 marzo 1993, n. 68, prevedendo la regionalizzazione delle procedure di mobilità del personale in esubero degli enti locali dissestati, precisando, altresì, che le stesse debbano essere espletate prioritariamente nell'ambito della provincia e della regione di appartenenza dell'ente interessato.
A tal fine gli enti locali della regione in cui si trovino comuni o province che hanno deliberato il dissesto (presenti in tutte le regioni ad eccezione della Valle d'Aosta e del Friuli-Venezia Giulia) danno comunicazione dei posti vacanti di cui intendono assicurare la copertura al Dipartimento della funzione pubblica.
Entro quarantacinque giorni dalla comunicazione, il Dipartimento trasmette all'ente l'elenco nominativo del personale da trasferire mediante le procedure di mobilità d'ufficio.
In mancanza di tale trasmissione, l'ente locale può avviare le procedure di selezione.
Il comma 16 esclude l'applicazione delle procedure di disponibilità, previste dai commi da 47 a 52 della legge n. 537/1993, agli enti locali che non versino in situazioni strutturalmente deficitarie.
Pertanto, i medesimi, qualora si trovino a gestire situazioni di eccedenza di personale, possono applicare l'istituto generale della mobilità, ma non le speciali procedure di disponibilità previste dalle sopracitate norme.
L'art. 6, comma 17, permette agli enti locali di far fronte alle situazioni di illegittimità eventualmente esistenti nei medesimi, derivanti da applicazioni non legittime del decreto del Presidente della Repubblica n. 347/1983, e successive modificazioni ed integrazioni.
Tale norma, che si caratterizza come normativa speciale, e, pertanto, non applicabile analogicamente, si pone nella scia interpretativa ed applicativa dettata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 1/1996 che ha dichiarato l'illegittimità del comma 6-bis dell'art. 3 della legge n. 537/1993.
Il predetto comma 17 stabilisce che gli enti locali sono tenuti ad annullare, entro e non oltre tre mesi dalla data di entrata in vigore della citata legge n. 127, i provvedimenti di inquadramento del personale adottati in modo difforme dalle disposizioni di cui al predetto decreto del Presidente della Repubblica 25 giugno 1983, n. 347, e successive modificazioni ed integrazioni.
Gli stessi enti sono tenuti a bandire contestualmente i concorsi per la copertura dei posti resisi vacanti per effetto dell'annullamento.
Fino alla data di copertura dei posti resisi in tal modo disponibili, il personale destinatario dei provvedimenti di inquadramento continua a svolgere le mansioni corrispondenti alla qualifica attribuita con detti provvedimenti, mantenendo il relativo trattamento economico.
Alla copertura dei posti resisi vacanti per effetto dell'annullamento, si provvede mediante concorsi interni per titoli, integrati da colloqui, ai quali sono ammessi a partecipare i dipendenti appartenenti alla qualifica immediatamente inferiore, che abbiano svolto almeno cinque anni di servizio nella medesima qualifica, nonché i dipendenti di cui al comma in questione, anche se provvisti del titolo di studio immediatamente inferiore previsto per l'accesso alla qualifica corrispondente.
La norma presenta alcune problematiche interpretative che così possono riassumersi:

1) Identificazione delle norme violate.
Si riterrebbe che in relazione alla terminologia adottata dalla legge: "inquadramenti adottati in modo difforme dal decreto del Presidente della Repubblica n. 347/1993, e successive modificazioni e integrazioni", la norma si estenda a tutti gli inquadramenti difformi operati dagli enti locali nel susseguirsi dei contratti (decreto del Presidente della Repubblica n. 268/1987, decreto del Presidente della Repubblica n. 494/1987, decreto del Presidente della Repubblica n. 333/1990, Contratto collettivo nazionale di lavoro sottoscritto il 6 luglio 1995) e comprenda anche le violazioni per inquadramenti difformi alla tipologia dell'ente così come previsto dall'art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 347/1983.
La norma, poiché fa riferimento al termine "inquadramento" del personale, si estende anche a tutte quelle disposizioni contrattuali che hanno portato ad inquadramenti difformi in relazione ad eventuali posizioni personali nascenti dalla errata applicazione della normativa di accesso prevista dagli stessi decreti del Presidente della Repubblica (art. 24 decreto del Presidente della Repubblica n. 347/1983; art. 5 decreto del Presidente della Repubblica n. 268/1987), e pertanto fa riferimento sia a violazioni soggettive che di tipo oggettivo.

2) Termine di applicazione.
La norma pone un termine finale di applicazione, e cioè 3 mesi dalla data di entrata in vigore della legge.
Tale termine deve considerarsi perentorio.
Poiché la normativa fa riferimento al termine finale di applicazione, ma non a un termine iniziale, si ritiene che la stessa sia applicabile a tutti quei casi in cui gli enti, antecedentemente alla data di entrata in vigore del comma 17, abbiano annullato, in sede di autotutela, i provvedimenti di inquadramento difforme del personale.
Pertanto, la norma risulterebbe applicabile anche in tutti quei casi in cui gli enti hanno dato esecuzione alla sentenza della Corte costituzionale n. 1/1996, reinquadrando il personale negli originari profili e qualifiche.
Si ritiene, altresì, che la disposizione sia riferibile esclusivamente agli inquadramenti difformi, presenti nell'ordinamento degli enti locali, in data antecedente alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della legge, e, cioè, al 16 maggio 1997.

3) Consolidamento delle mansioni svolte.
La norma prevede che, fino alla data di copertura dei posti resisi disponibili per effetto dell'annullamento, il personale destinatario dei provvedimenti di inquadramento ivi indicato "continui a svolgere le mansioni corrispondenti alla qualifica attribuita".
Conseguentemente, si ritiene che pur potendo applicare la stessa alle ipotesi di annullamento verificatesi antecedentemente alla entrata in vigore, non sia possibile reinquadrare provvisoriamente i soggetti destinatari nella qualifica funzionale superiore, poiché l'espressione "continua a svolgere", adottata dal legislatore, presuppone l'attuale effettivo esercizio delle mansioni illegittimamente attribuite.

4) Campo di applicazione.
Presupposto di applicazione è l'esistenza di un inquadramento difforme che abbia portato alla creazione, di un nuovo posto nella pianta organica - dotazione organica dell'ente.
E ciò in quanto operando in un sistema rigido di qualifiche funzionali, l'attribuzione di un certo inquadramento ha portato automaticamente alla creazione nella struttura dell'ente di un posto corrispondente, di differenziata posizione giuridica, in relazione al fatto che non possono esistere nelle strutture organizzative ipotesi di inquadramento con esercizio delle relative mansioni, senza che esistano, nello strumento organizzatorio, le corrispondenti caselle.
Pertanto, mentre risulterebbero sanabili le posizioni individuali, che avendo operato mediante una trasformazione del posto hanno portato alla creazione nella struttura della corrispondente ipotesi organizzatoria, non sembra che possano essere considerate sanabili tutte quelle situazioni in cui, non variando il profilo professionale e le relative mansioni, risultino attribuiti livelli economici superiori o differenziati rispetto a quelli previsti dalla contrattazione collettiva, senza l'esercizio delle relative mansioni o la creazione di un corrispondente posto nella struttura organizzativa.

5) Partecipazione alle procedure concorsuali.
Si rappresenta che nella fattispecie ci troviamo in presenza di una vera e propria procedura interna, per titoli, integrata da colloqui, cui sono ammessi a partecipare tutti i dipendenti appartenenti alla qualifica immediatamente inferiore che abbiano svolto almeno 5 anni di effettivo servizio nella medesima qualifica (e pertanto gli stessi, ai fini della partecipazione, devono essere in possesso dei requisiti di accesso così come previsto dalla vigente normativa).
Si può derogare al titolo di studio, in relazione all'effettivo esercizio delle mansioni superiori, peraltro di fatto conferite, solo per i soggetti destinatari della norma di autoannullamento, i quali possono partecipare ai concorsi interni purché in possesso del titolo di studio immediatamente inferiore a quello previsto per l'accesso alla qualifica corrispondente.

6) Applicabilità della norma alle qualifiche inferiori alla 4.
Si ritiene che il disposto normativo sia applicabile anche alle qualifiche inferiori alla 4 in quanto viene posta in essere, "ex lege", una procedura concorsuale interna e, in virtù dell'art. 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 18 settembre 1987, n. 392, disciplinante modalità e criteri per l'avviamento e la selezione dei lavoratori ai sensi dell'art. 16 della legge n. 56/1987, è in ogni caso fatta salva la facoltà di non procedere alla richiesta dagli uffici di collocamento, relativamente alle quote riservatarie nell'ambito del pubblico impiego.
Il comma 18 apporta alcune modifiche all'art. 1 della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (legge di accompagno alla finanziaria 1996) prevedendo: alla lettera a) l'introduzione di alcune modifiche al comma 14 della medesima, la quale, così, prevede che gli enti locali non dissestati e non strutturalmente deficitari - i quali, alla data del 30 novembre 1996, utilizzino personale assunto a tempo determinato mediante prove selettive, ai sensi dell'art. 7 della legge 29 dicembre 1988, n. 554, indette entro il 31 dicembre 1994 - possono bandire, entro il 31 dicembre 1997, concorsi riservati per titoli per la trasformazione dei predetti rapporti di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato, secondo le procedure stabilite dall'art. 4-bis del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito con modificazioni nella legge 15 giugno 1993, n. 236.
La lettera b), intervenendo sul comma 15 della citata legge n. 549/1995, prevede che gli enti non dissestati e non strutturalmente deficitari, per i servizi connessi ad attività didattiche, educative e formative, per la sola copertura dei corrispondenti posti vacanti, possono, nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio, bandire concorsi riservati al personale già in servizio presso lo stesso ente che abbia prestato servizio, anche non continuativo, negli anzidetti settori per periodi complessivi lavorativi non inferiori a 24 mesi.
Il comma 19, riprendendo una norma inserita nei precedenti decreti-legge non convertiti, prevede che gli enti non strutturalmente deficitari, in caso di sospensione cautelare nei confronti di un impiegato sottoposto a procedimento penale, possano coprire la temporanea vacanza, con assunzioni a tempo determinato.
Il successivo comma 20 modifica il comma 3-bis, primo periodo, dell'art. 1 del decreto-legge 27 ottobre 1995, n. 444, convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1995, n. 549, prevede che le nuove amministrazioni, elette a seguito di scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose, sono autorizzate ad utilizzare contributi statali di natura corrente, nei limiti delle disponibilità dei relativi bilanci, per coprire vacanze di organico attraverso il bando di appositi concorsi, qualora abbiano l'organico del personale scoperto in misura pari al 20% della pianta organica.
Possono essere messi a concorso posti nella misura corrispondente alla differenza tra la copertura della pianta organica e l'80% della pianta organica stessa, vigente prima della data del 31 agosto 1993.
In tal modo vengono ad essere facilitate le assunzioni nelle predette nuove amministrazioni, le quali possono fare riferimento, nei limiti previsti dalla stessa norma, alla pianta organica preesistente al 31 agosto 1993, e, pertanto, non ridimensionata dall'art. 3, comma 6, della legge n. 537/1993, che ha previsto l'abbattimento, ai fini della nuova riorganizzazione degli uffici e dei servizi, di tutti i posti vacanti esistenti a tale data.
Il comma 21 del citato art. 6 , infine, prevede che per gli enti locali, in deroga a quanto previsto dall'art. 3, comma 22, della legge n. 537/1993, le graduatorie concorsuali rimangono efficaci per un termine di 3 anni dalla data di pubblicazione, per l'eventuale copertura dei posti successivamente vacanti e disponibili, fatta eccezione per quelli istituiti o trasformati successivamente all'indizione del concorso medesimo.
La disposizione di cui al citato comma 20 ha efficacia a decorrere dal 4 dicembre 1996.
Tale ultima precisazione è legata al fatto che i preesistenti decreti-legge in tema di gestione di personale degli enti locali, e da ultimo il decreto-legge 4 ottobre 1996, n. 516, di cui l'art. 1, comma 170, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, ha reso validi gli atti e i provvedimenti adottati ed ha fatto salvi i procedimenti instaurati, hanno avuto efficacia fino al 4 dicembre 1996.
In tal modo si verifica una continuità normativa che permette, in virtù del susseguirsi ininterrotto delle norme aventi un identico contenuto e contestuale efficacia, di attribuire valenza triennale a tutte le graduatorie già esistenti e non ancora scadute.
Ulteriori norme in tema di personale degli enti locali si rinvengono all'art. 17, comma 18, il quale, nell'ultima parte, prevede che i dipendenti degli enti locali a tempo parziale, purché autorizzati dall'amministrazione di appartenenza, possono prestare attività lavorativa presso altri enti.
La norma, pertanto, innovando sulla preesistente disciplina del part-time, permette ai dipendenti degli enti locali, che optino per tale regime, di poter contestualmente avere più rapporti di lavoro con altri enti locali, purché autorizzati.
Il successivo comma 22 dell'art. 17 della citata legge, estende al personale dirigenziale ed equiparato delle pubbliche amministrazioni, e, pertanto, anche al personale degli enti locali, la normativa di cui all'art. 12 della legge 5 luglio 1982, n. 441, avente ad oggetto: "Disposizioni per la pubblicità della situazione patrimoniale di titolari di cariche elettive e di cariche direttive di alcuni enti".
Il comma 47 dello stesso art. 17, interviene sull'art. 1 della legge 28 dicembre 1995, n. 549, apportando alcune modifiche. In particolare, la lettera a) prevede che le disposizioni limitative sulle assunzioni, previste dal comma 4 della stessa norma, non si applichino al personale degli enti locali, limitatamente a quelli che non versino in situazioni strutturalmente deficitarie.
Viene, pertanto, ribadito che gli unici limiti assunzionali, per gli enti non strutturalmente deficitari, sono quelli che derivano dal proprio bilancio.
La lettera b) dello stesso comma 47 prevede, altresì, che il divieto, esistente fino al 30 giugno 1997 di cui al comma 10 del citato art. 1 della legge n. 549/1995, di individuare uffici di livello dirigenziale ulteriori rispetto a quelli già esistenti alla data del 10 agosto 1995 non si applica agli enti locali non strutturalmente deficitari.
Infine, il comma 49 dello stesso art. 17, prevede che le disposizioni di cui all'intero art. 6 della legge n. 127 e del precitato comma 47 si applichino agli enti locali che hanno ottenuto, entro il 31 dicembre 1996, l'approvazione dell'ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato, nei limiti previsti dall'art. 1, comma 7, della citata legge n. 549/1995 e, cioè, a condizione che la percentuale della spesa per il personale sulle spese correnti risulti ridotta o invariata.
Ulteriori norme in tema di gestione del personale degli enti locali, sono previste dai commi 132, 133 e 134 del citato art. 17.
Il comma 132 prevede che i comuni possono, con provvedimento del sindaco, conferire funzioni di prevenzione ed accertamento delle violazioni, in materia di sosta, a dipendenti comunali o delle società di gestione dei parcheggi, limitatamente alle aree oggetto di concessione.
Purtuttavia, la procedura sanzionatoria amministrativa e l'organizzazione del relativo servizio sono di competenza degli uffici o dei comandi a ciò preposti.
Comunque, i gestori possono esercitare tutte le funzioni necessarie al recupero delle evasioni tariffarie e dei mancati pagamenti, ivi compreso il rimborso delle spese.
Il comma 133 stabilisce, altresì, che le funzioni di cui al precedente comma 132 sono conferite al personale ispettivo delle aziende esercenti il trasporto pubblico nelle forme previste dagli articoli 22 e 25 della legge n. 142/1990.
A tale personale sono, altresì, conferite con le medesime modalità di cui al precedente comma le funzioni di prevenzione e accertamento in materia di circolazione e sosta sulle corsie riservate al trasporto pubblico.
Da ultimo, il comma 134, intervenendo sul comma 5 dell'art. 5 della legge 7 marzo 1986, n. 65 (legge-quadro sull'ordinamento della polizia municipale), prevede che gli addetti al servizio di polizia municipale, ai quali è conferita la qualifica di agente di pubblica sicurezza, possono portare, previa deliberazione in tal senso del consiglio comunale, senza licenza, le armi in relazione al tipo di attività, nei termini e nelle modalità previste dai rispettivi regolamenti, anche fuori dal servizio, purché nell'ambito territoriale dell'ente di appartenenza e nei casi di cui al comma 4 dello stesso art. 5.
Tale norma precisa quanto era già vigente nell'ordinamento e, cioè, che, per gli addetti al servizio di polizia municipale, il porto senza licenza delle armi è possibile nell'ambito della disciplina dettata in tal senso dal consiglio comunale ed inserita nel relativo regolamento, che peraltro può prevedere lo svolgimento di servizi non armati.
In relazione alle complessità delle problematiche prospettate, al fine di instaurare un sempre più proficuo rapporto di collaborazione con le autonomie locali intende istituire uno "sportello di servizio" per i temi della gestione del personale, cui gli enti locali potranno far capo per i profili interpretativi.
Tale sportello risponderà ai numeri telefonici: 06-46548101, 06-46548102, 06-46548103.
Si prega portare, con cortese sollecitudine, quanto sopra a conoscenza degli enti locali interessati, fornendo un cortese cenno di assicurazione.

Il Ministro: Napolitano