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INDIRIZZI DEL LICEO, di Maurizio Tiriticco Caro Bertagna, grazie per avermi fornito l’anteprima del tuo pezzo che apparirà su “Nuova Secondaria”! Fai bene ad anticiparne la diffusione perché la necessità di mettere a fuoco i problemi è più che mai incombente, stante che il primo dlgs è al Consiglio dei ministri e che l’attesa da parte delle scuole è alta! Ho apprezzato il tuo excursus sull’evoluzione del nostro sistema di istruzione e comprendo le ragioni della tua ricerca: giungere a dimostrare al lettore – e, penso, anche a te stesso – che la “riforma Moratti” è… il migliore dei mondi possibili!
Limiti e contesto della Legge 53 Anch’io conosco perfettamente i limiti costituzionali in cui si è dovuto muovere il ministro e posso apprezzare il fatto che, proseguendo del resto il percorso già avviato da Berlinguer, ha voluto affrontare i diversi aspetti del sistema di istruzione in un contesto unitario, azione resa ancor più doverosa dopo l’approvazione della Legge Cos. 3/01 che la Legge 30 berlingueriana, dell’anno precedente, non poteva considerare. Affrontare la questione istruzione con criteri unitari era ormai indifferibile, anche perché – e tu ne rintracci le linee nel tuo excursus storico – tutti i governi precedenti erano sempre intervenuti su singole tematiche, dando vita ora a questo, ora a quel percorso formativo, rispondendo alle emergenze economiche e professionali più che a quelle della formazione della “persona”. E va anche detto che non possiamo parlare di una responsabilità diretta dei governi in tale materia, in quanto il contesto sociale, professionale, occupazionale in cui operavano era totalmente diverso dal nostro: la globalizzazione, la terziarizzazione dei Paese avanzati, la “società della conoscenza”, i nuovi processi lavorativi, le professioni emergenti, il terzo millennio, e tutti i cambiamenti che ben conosciamo ci “costringono” a pensare con un’ottica sistemica!
Il nodo dei nodi Il nodo che affronti – e che uno dei più scottanti sul tappeto della riforma – è quello del rapporto tra il sistema dei licei e quello dell’istruzione e formazione professionale. L’articolo 2, comma 1, punto g, della legge 53 – che ti stesso citi – recita testualmente: “Il secondo ciclo, finalizzato alla crescita educativa, culturale e professionale dei giovani attraverso il sapere, il fare e l'agire, e la riflessione critica su di essi, è finalizzato a sviluppare l'autonoma capacità di giudizio e l'esercizio della responsabilità personale e sociale; in tale ambito, viene anche curato lo sviluppo delle conoscenze relative all'uso delle nuove tecnologie; il secondo ciclo è costituito dal sistema dei licei e dal sistema dell'istruzione e della formazione professionale”. I due sistemi, quindi, perseguono le medesime finalità, tant’è che – e questa è una mia sottolineatura – nel comma citato si parla espressamente di crescita educativa, culturale e professionale, di sapere, di fare e di agire, di riflessione critica. Se ne deduce – e ne convieni anche tu – che si tratta di dimensioni, di operazioni mentali ed azioni effettive che non possono essere separate bensì coniugate sempre costantemente insieme. Ovviamente, un conto è distinguerle sul piano concettuale, altro conto è separarle sul piano fattuale. Tenendo ferma questa unitarietà, tu stesso accenni al fatto che i risultati formativi dei due sistemi debbono essere eguali, anche se con percorsi, metodi e contenuti diversi.
Occorre intervenire sui decreti… non aspettarli! E a questo punto riprendo l’interrogativo che tu proponi in epigrafe: “Quale sarà la scelta dei decreti attuativi della riforma?” Occorre evitare che continuino a convivere – sono parole tue – “un sistema dei licei bulimico e un sistema dell’istruzione e formazione professionale anoressico”, perché questo sarebbe “il modo migliore per perpetuare la gerarchizzazione culturale e sociale attualmente esistente tra licei, istituti tecnici, istituti professionali e formazione professionale”. Ed allora, che cosa occorre fare per evitare questa dicotomia, che sarebbe dannosa per i giovani e che non servirebbe né all’educazione né alla cultura né alla formazione di competenze coerenti con l’incessante evoluzione dei profili professionali? Occorre evitare – e tu sei assolutamente d’accordo – lo “spezzatino” verso il quale rischiamo di andare, istituzionalizzando indirizzi, sub-indirizzi, sub-sub-indirizzi sia nel sistema dei licei che in quello dell’istruzione e formazione professionale. Ed occorre invece adoperarci – e sono parole tue – per il “superamento della tradizionale separatezza tra scuola e lavoro, tra studio intellettuale e operatività, tra funzioni cognitive e percettivo-motorie-manuali, tra conoscenze e abilità, tra lezioni, da un lato, e laboratori/tirocini, dall’altro; quindi, per dirla col linguaggio ordinamentale della riforma, superamento della tradizionale gerarchizzazione e separazione tra theoría e téchne, tra il sistema dell’istruzione liceale (licei) e il sistema dell’istruzione e della formazione professionale (istituti)”.
Una contraddizione! Ma a questa tua affermazione ne segue un’altra che contraddice con la prima, quando affermi la necessità di un “rifiuto, allo stesso tempo, della confusione tra theoría e téchne, tra licei e istituti dell’istruzione e della formazione professionale”. Ed aggiungi che “i due percorsi sono diversi per natura e per scopo: confonderli danneggia gli uni e gli altri, e impedisce la reciproca valorizzazione; i licei mirano ad educare la persona attraverso theoría, gli istituti attraverso téchne; i primi hanno necessariamente bisogno di un successivo perfezionamento universitario e professionale, i secondi danno solo la possibilità di farlo: infatti, autorizzano l’acquisizione di qualifiche professionali, di diplomi professionali e di diplomi professionali superiori di durata variabile e, inoltre, con un anno integrativo, consentono anche l’accesso agli esami di stato liceali e, quindi, il proseguimento in università”. E – aggiungi – la pari dignità culturale ed educativa sarebbe sempre salva, “visto che ambedue (i sistemi), in modo diverso e peculiare, recuperano dal proprio punto di vista la sistematica e unitaria interconnessione di theoría e téchne al servizio dell’educazione di ciascuno”. Ed è a questo punto che non capisco come i due sistemi dovrebbero/potrebbero perseguire le medesime finalità e risultati formativi eguali – sono parole tue, che io condivido! – se quello dei licei prepara per studi ulteriori e quello dell’istruzione e formazione professionale per un accesso, a breve o a lungo termine, nel mondo del lavoro.
Formazioni di base e formazione specialistica?! Un’altra delle tue affermazioni, anche ricorrenti, è che è scorretto parlare di formazione di base e formazione specialistica, di materie comuni e materie di indirizzo. E’ chiaro che in educazione, in formazione, nell’effettivo agire, è sempre difficile distinguere ciò che appartiene all’uno o all’altro versante, ma è anche vero che un idraulico o un fisico, quando debbono misurare un qualcosa, ricorrono al pregresso cognitivo comune per il quale due più due fa comunque e sempre quattro! Voglio dire che è difficile dire con esattezza che cosa afferisca alla “base” e che cosa alla “specializzazione”, ma è pur vero che certe conoscenze sono comunque fondanti ed essenziali. Il difficile, semmai, è ricercare e ritrovare dove sia la demarcazione – ammesso che ci sia – tra le conoscenze/competenze fondanti e quelle specializzanti. Resta pur sempre il fatto che la stessa demarcazione tra theoría e téchne forse non ha un fondamento concettuale ed educativo, ma una origine socioeconomica, quando una simile separazione era funzionale a legittimare i privilegi di cui godevano alcuni e le difficoltà in cui si imbattevano altri!
La metafora del millepedi Ma un discorso di questo tipo rischia sempre di allontanarci dalle questioni di fondo della riforma. Quando in un altro scritto ho adottato la metafora del millepiedi, intendevo dire che gli unici che sono legittimati a costruire percorsi formativi coerenti che garantiscano pur sempre il massimo delle conoscenze/competenze fondanti ed orientino e/o formino a quelle specializzanti sono gli organi collegiali insegnanti nella autonomia delle loro scelte quando operano a definire gli “obiettivi formativi”. Quando tu sostieni la “priorità dei problemi, dei compiti e dei progetti, piuttosto che delle discipline di studio nella costruzione dei piani di studio personalizzati”, mi sembra di cogliere un punto che dovrebbe essere nodale ed irrinunciabile nella realizzazione delle attività formative, comunque e dovunque siano attuate, nel sistema dei licei o in quello degli istituti. “Non è più l’astratta enciclopedia dei saperi disciplinari – sono sempre parole tue – ma la problematicità del reale che occorre illuminare di teorie interpretative ricavate dalle discipline di studio e la naturale propensione dei giovani a confrontarsi con compiti e progetti da risolvere, per loro natura sempre interdisciplinari (io direi pluridisciplinari)”. Una strategia di questo tipo, che assume a monte scelte pluridisciplinari e modulari, qualora correttamente realizzata, prescinde da una cornice istituzionale preconfezionata! Ed una strategia di questo tipo, che ovviamente riguarda un alto livello di professionalità da parte da coloro che la progettano e la realizzano, riconduce ai mille percorsi flessibili che debbono perseguire pur sempre quelle medesime finalità e quei risultati formativi eguali che possiamo e dobbiamo evincere da quell’articolo 2, comma 1, punto g della legge 53.
La frontiera irrinunciabile: le medesime finalità Il punto g per me è una frontiera irrinunciabile, è il forte apache da difendere con i denti! E questo lo potremo fare anche e soprattutto se riusciremo a dare corpo all’alternanza e ai passaggi dall’uno all’altro sistema e all’interno dei due sistemi! A questo proposito vorrei sottolineare l’importanza di quanto affermato nella Legge 30/03 (Legge Biagi), “Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro”, dove all’articolo 2 si legge testualmente: “Il Governo è delegato ad adottare… uno o più decreti legislativi diretti a stabilire – nel rispetto delle competenze affidate alle regioni in materia di tutela e sicurezza del lavoro… e degli obiettivi indicati dagli orientamenti annuali dell’Unione europea in materia di occupazione – la revisione e la razionalizzazione dei rapporti di lavoro con contenuto formativo, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi: a) conformità agli orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato alla occupazione; b) attuazione degli obiettivi e rispetto dei criteri di cui all’articolo 16, comma 5, della legge 24 giugno 1997, n.196 (legge Treu, n.d.a.), al fine di riordinare gli speciali rapporti di lavoro con contenuti formativi, così da valorizzare l’attività formativa svolta in azienda, confermando l’apprendistato come strumento formativo anche nella prospettiva di una formazione superiore in alternanza tale da garantire il raccordo tra i sistemi della istruzione e della formazione, nonché il passaggio da un sistema all’altro e, riconoscendo nel contempo agli enti bilaterali e alle strutture pubbliche designate competenze autorizzatorie in materia, specializzando il contratto di formazione e lavoro al fine di realizzare l’inserimento e il reinserimento mirato del lavoratore in azienda”. Le istituzioni coinvolte nell’attuazione della delega sono diverse: il MIUR, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministero per le pari opportunità, il Ministero per la funzione pubblica, il Ministero per gli affari regionali. Mi sembra di avvertire che si stia affermando una linea di tendenza che vuole andare oltre la Legge quadro 845 che nel lontano ‘78 fissò dei punti fermi in “materia di formazione professionale”, che oggi sembrano abbastanza incerti! Sembrano maturi i tempi per riconoscere che il problema dell’istruzione è strutturale allo sviluppo socioeconomico e che parlare di “lavoro” significa anche parlare di “cultura”. Più che di pari dignità tra due sistemi è bene parlare della dignità del sistema di istruzione integrato in tutte le sue forme e le sue istituzioni!
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