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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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UNA CERTA IDEA DI C.I.S. …
Su alcuni recenti sviluppi della riforma dell’Amministrazione scolastica

di Giancarlo Cerini

 

1. Aspettando la "devolution"…

La riforma dell’amministrazione scolastica è stata appena abbozzata (con il regolamento riportato nel Dpr 6-11-2000, n. 347) che già affiorano dubbi e incertezze sul suo effettivo decollo: in particolare, mentre sono già operative le 18 Direzioni Regionali che hanno preso il posto delle sonnolenti Sovrintendenze Scolastiche Regionali (dando buona prova di sé durante il blitz estivo "morattiano" per le nomine del personale docente) resta molto più vaga la futura articolazione sul territorio regionale dei servizi di supporto tecnico ed amministrativo di cui parla il medesimo decreto.

Tutti auspicano una svolta nello stile dell'amministrazione: il nuovo snodo regionale dovrebbe caratterizzarsi, appunto, per la sua capacità di governo "leggero" e "strategico", cioè per azioni di impulso alla rete regionale delle scuole autonome, anche attraverso l’ efficace inter-azione con la realtà emergente dei nuovi poteri locali regionali. E' altresì evidente il forte legame tra questo modello "leggero" e le prospettive federaliste che contemplano il passaggio di importanti funzioni (anche legislative) in materia scolastica alle Regioni, sia nella versione soft della legislazione "concorrente" (prevista dalla revisione della Costituzione approvata dagli elettori con il referendum), sia nella versione hard della "devolution" (preannunciata dal Ministro Bossi).

La presenza in ogni regione di un Direttore scolastico regionale (che riassume i poteri di rappresentanza e di decisione dello Stato in materia di istruzione) e di un Presidente della Regione o, in sua vece, di un Assessore regionale (che esprime le istanze di autogoverno del territorio anche nelle politiche formative) semplifica notevolmente il panorama istituzionale, ma apre immediati interrogativi sull'evoluzione futura del sistema.

Fino a che punto potrà spingersi questa "devolution" legislativa verso le singole Regioni, senza mettere a repentaglio l'unitarietà del sistema formativo, cioè la possibilità di garantire standard equivalenti del servizio pubblico su tutto il territorio nazionale ? I diversi livelli di governo/gestione del sistema dell'istruzione (nazionale, regionale, della singola scuola) dovranno appunto garantire il carattere unitario del servizio scolastico, mantenendo forme di governo centrale (sugli ordinamenti, sui curricoli, sulla qualificazione del personale, sul sistema degli esami e delle certificazioni), certamente più "leggere" di quelle attuali, ma più incisive (secondo il punto di equilibrio attestato nella legge 59/97, ulteriormente accentuato dalle modifiche costituzionali approvate nella primavera del 2001, confermate dagli elettori con il referendum di ottobre).

Le funzioni di governo e di gestione "intermedie" (regionali e territoriali) sono necessarie per salvaguardare i contenuti di interesse generale, perché lo spostamento di ampie funzioni alle scuole (Dpr 275/99) ed agli enti locali (D.lvo 112/98) non può certamente giungere fino alla prevalenza dei localismi, alla completa autarchia dei curricoli, alla privatizzazione del servizio, pena un impoverimento assoluto delle finalità culturali e "disinteressate" della scuola.

E se è giusta l'esigenza di contenere e ridurre i livelli burocratici e formali nella gestione della pubblica istruzione, tale "semplificazione" non può spingersi fino alla più completa discrezionalità delle singole scuole nel reclutamento del personale, nella scelta dei programmi didattici, nel reperimento e nella gestione dei finanziamenti. Si tratta di una eventualità che sposterebbe decisamente l'equilibrio tra centro e periferia fissato nella legge 59/97, così come è dettagliato nel regolamento (Dpr 275/99) di attuazione dell'autonomia organizzativa e didattica, e riassunto nel fondamentale art. 8 sulle potestà in materia di curricolo (nazionale, locale, elettivo, ecc.).

 

2. La "mission" della nuova Amministrazione

In questa prospettiva, i poteri dell'Ufficio Scolastico Regionale, ancorchè leggeri, dovranno presidiare gangli vitali del sistema scolastico regionale, esercitando funzioni di indirizzo e supervisione sui più importanti atti di gestione della scuola (definizione degli organici del personale, assegnazione delle risorse finanziarie, promozione e sostegno dell'innovazione educativa, costruzione di regole di partenariato con le comunità locali).

Ma se troppo appesantita dalla ordinaria gestione, la novella Direzione Regionale si esporrebbe fatalmente a quelle accuse di burocratizzazione e di miopia gestionale (con prevalente attenzione al dettaglio formale) di cui c'è traccia anche nelle dichiarazioni programmatiche al Parlamento del Ministro all'Istruzione del luglio 2001. Sappiamo che dietro certe suggestioni antiburocratiche si cela troppo spesso una spinta verso un "liberismo corsaro" sfrenato, un’insofferenza per le regole, il richiamo alle virtù del libero mercato e della competizione. Ma i rischi sono reali ed è necessario interrogarsi a fondo sul modello istituzionale ed organizzativo previsto dal Dpr 347 del 6-11-2000, cioè dal Regolamento di attuazione della riforma del Ministero dell’Istruzione e delle successive indicazioni attuative.

Un principio sembra incontrovertibile: la preannunciata soppressione dei Provveditorati agli Studi (a far tempo dal 1° gennaio 2002) non potrà essere surrogata dalla sola presenza delle Direzioni regionali. In regioni di medie dimensioni (pensiamo all'Emilia-Romagna) è impensabile immaginare una forma di governo dell’intero sistema scolastico regionale che si irradi da un unico punto centrale (il capoluogo di regione) con una struttura amministrativa e tecnica che dovrebbe rapportarsi con efficacia con oltre 600 istituzioni scolastiche autonome, anche per gli affari "correnti" ed "ordinari".

Questa soluzione finirebbe per trasformare una promettente e agile "gazzella" (la Direzione regionale) in un appesantito e bolso "elefante" (come un antiquato, anonimo, grigio Provveditorato agli Studi).

E’ vero che molte funzioni amministrative sono oggi in via di "devoluzione" alle singole unità scolastiche (secondo un lungo elenco tutto da esplorare contenuto nell’art. 14 del Regolamento per l’autonomia), ma non è scontato che questo decentramento immediato (a prescindere da un forte rilancio dei sistemi gestionali on line e in rete) finisca con il migliorare la gestione amministrativa della scuola. Se poi le competenze si riferissero prevalentemente alle operazioni sul personale, sarebbe sacrificata l’attenzione "amministrativa" alla qualità dell’offerta formativa e agli aspetti didattici. Comunque, il decentramento di compiti amministrativi alle scuole comporta un forte incremento di procedure amministrative e gestionali e del relativo personale addetto presso gli uffici delle singole scuole, come dimostrano le esperienze dei paesi che hanno scelto la completa autonomia istituzionale delle scuole.

 

3. Le responsabilità intermedie

Per evitare la doppia "tenaglia" di un Centro regionale appesantito dalla gestione capillare delle risorse umane e finanziarie e di una Scuola appesantita dai compiti di amministrazione del personale, occorre pensare ad un ruolo significativo delle strutture intermedie, di carattere provinciale o sub-provinciale (nelle grandi aree urbane), sia per il supporto di carattere amministrativo sia per quello di natura tecnica.

Questa richiesta non può essere interpretata come ripristino dei Provveditorati agli Studi, semmai come esigenza di una più precisa individuazione delle funzioni da svolgere a livello territoriale (intermedio), in modo da garantire il massimo di autonomia alle singole scuole ed alle loro reti, ma nello stesso tempo di fornire quella sponda istituzionale necessaria per far fronte a spinte localistiche troppo ravvicinate.

Si tratta, da un lato, di assicurare una corretta gestione delle risorse pubbliche destinate alle scuole, in materia di organici del personale e di flussi finanziari, attraverso un’adeguata conoscenza delle esigenze ed un’approfondita istruttoria "locale" delle decisioni regionali. Su un altro versante, vanno garantiti quei supporti di conoscenza, consulenza, formazione, documentazione, che richiedono una competenza più ampia di quella disponibile presso le singole unità scolastiche.

La costituzione di C.S.A. (Centri di supporto amministrativo) e di C.I.S. (Centri servizi per le istituzioni scolastiche) sarà il banco di prova per questo necessario riequilibrio di funzioni, che sono contemporaneamente di sostegno alle scuole e di garanzia di imparzialità. La concreta definizione di questi nuovi strumenti richiede anche un diverso rapporto tra personale amministrativo e personale tecnico all'interno dei sistemi intermedi di supporto. Oggi possiamo stimare questo rapporto nella misura di 1:7, cioè di un addetto ai servizi tecnici (di formazione, ricerca, monitoraggio, consulenza, ecc.) ogni 7 addetti ai servizi amministrativi (gestione reclutamento del personale, organici, stato giuridico e mobilità, contabilità, ecc.). Alcune ricerche indicano nel 3 per mille la dotazione di personale necessaria per far funzionare i servizi di supporto tecnico: in Italia significa disporre di circa 2000-2500 addetti (prevalentemente insegnanti, ma anche dirigenti scolastici) da "distaccare" per lo svolgimento di queste funzioni, a fronte dell’attuale contingente di circa 500 comandati presso gli Uffici studi dei Provveditorati e del Ministero e dei circa 500/600 ricercatori assegnati agli IRRE (Istituti Regionali di Ricerca Educativa).

Il richiamo alle strutture esistenti (Uffici Studi e IRRE) rende subito evidente l’esigenza di evitare duplicazioni di funzioni. Gli Uffici studi dovranno essere "riposizionati" all’interno dei nuovi servizi decentrati, ivi compresi gli Uffici Educazione fisica (si tratta di un altro paio di centinaia di comandi), soprattutto se questi ambiscono a dilatare il loro intervento verso politiche educative più ampie dell’aspetto strettamente disciplinare (ad esempio, verso la vasta gamma delle politiche giovanili e studentesche).

Anche gli IRRE cambiano "mission": il nuovo Regolamento (varato con il Dpr 6-3-2001, n. 190) prevede che essi, pur nella loro autonomia scientifica e culturale, si trasformino in enti di supporto alle politiche di ricerca e innovazione delle Direzioni Regionali. Il fatto che perdano dal loro precedente acronimo (IRRSAE) le voci "sperimentazione" e "aggiornamento" li qualifica maggiormente come strutture di alimentazione della ricerca, necessariamente di carattere regionale, per consentire una più robusta collaborazione tra le scuole e le sedi universitarie e scientifiche. Anch’essi dovranno dismettere la minuta gestione delle attività di aggiornamento e di consulenza, che vanno affidate alle nuove sedi locali (i Centri Integrati Servizi ed i Laboratori territoriali), più vicine alle scuole.

Appare quindi non realistica l’idea di un decentramento territoriale degli IRRE verso le singole province, mentre sarebbe da auspicare la presenza nel territorio dei ricercatori degli IRRE, che troverebbero nelle nuove strutture locali la sede per una parte delle loro attività (sportello di consulenza, rapporti con le scuole, coinvolgimento nelle ricerche, ecc.). Si può ipotizzare che una parte del portfolio-servizi di un Centro possa essere assicurata dagli operatori degli IRRE.

 

4. Il ruolo degli Enti locali

Analogamente occorre precisare il rapporto tra le nascenti strutture dei C.I.S. e la realtà dei Centri di Risorse, Centri di documentazione, ecc. che –a vario titolo- sono state in questi anni promosse da molti enti locali in alcune aree regionali (es.: Emilia-Romagna, Toscana, Lombardia, ecc.). Si tratta di servizi che riguardano prevalentemente ambiti tematici specifici (l’infanzia, l’handicap, l’ambiente, le nuove tecnologie, i beni culturali) connessi alle competenze riconosciute agli enti locali in determinate materie. In qualche caso i centri sono di carattere generale (Centri di documentazione educativa, Centri territoriali, ecc.), in molti altri sono strutture o servizi che si rivolgono ad una utenza più ampia di quella degli insegnanti, fino a sconfinare con gli ambiti dell’educazione permanente o delle attività formative per gli stessi studenti. Questa ricchezza non va perduta, perché aiuta anche gli insegnanti ad uscire dalla logica dell’autoreferenzialità, quasi che esistesse una cultura per gli insegnanti distinta da una cultura per la società civile.

Oltre che costruire servizi professionali ad hoc è necessario recuperare la mappa dei servizi culturali già esistenti, per ampliare le opportunità di formazione e documentazione a disposizione dei docenti. Un’apposita ricerca, a cura degli IRRSAE e del Ministero dell’istruzione, dovrebbe fornire un quadro aggiornato dei servizi professionali esistenti in ogni territorio regionale e già utilizzati dalle scuole. Oggi questa mappa è assai lacunosa, anche se pregevoli ricerche sono state condotte in alcune regioni, come l’Emilia-Romagna e la Basilicata.

Il punto è di estrema delicatezza, non solo per il recupero di tutte le risorse disponibili in ogni territorio, ma anche per le necessarie intese interisituzionale nella predisposizione dei servizi. Questa prospettiva, all’insegna dell’integrazione, è stata raccomandato dalla Conferenza Stato-Regioni-Autonomie locali del 19-4-2001 che ha approvato un documento di orientamento circa i profili funzionali dei nuovi servizi. Un’improvvida interpretazione del D.lvo 112/98 (che assegna agli Enti locali notevoli competenze in materia di sostegno "qualitativo" alle scuole su temi quali: orientamento, continuità, integrazione, ecc.) potrebbe portare alla moltiplicazione nel territorio di strutture e servizi, con il rischio evidente della dispersione delle iniziative.

Un Centro Servizi non può pretendere di "azzerare" la molteplicità delle iniziative in atto, che devono rispondere anche ad altre esigenze di animazione culturale del territorio e di presidio di importanti funzioni culturali ed educative (biblioteche, musei, centri di ricerca, strutture per l’educazione permanente, formazione professionale). Spetta però ad un C.I.S. rendere disponibile questa ricchezza di opportunità finalizzandola alle esigenze delle scuole e degli insegnanti, organizzando l’incontro tra domanda ed offerta, attraverso l’informazione, la documentazione, la messa in rete, la verifica, ecc.

La collaborazione tra nuove strutture di supporto ed enti locali è indispensabile, se si vuole interpretare con correttezza il carattere "territoriale" dei nuovi servizi. Essa può andare dalla condivisione di operatori, strutture ed iniziative fino alla definizione di sedi concertate di programmazione, regia, decisione, per le quali appare più adatta la dimensione provinciale.

 

5. Le scuole protagoniste delle reti

Nella costruzione di un sistema di centri di supporto il ruolo delle singole scuole non può essere sottovalutato: non solo perché in questi anni molte di esse sono state individuate quali strutture "polo" di numerosi progetti (qualità, storia contemporanea, lingua straniera, ecc.) ricevendo ed accumulando risorse anche per le altre scuole, ma soprattutto perché con l’autonomia molti istituti hanno acquisito conoscenze e know-how in settori rilevanti (es.: curricoli verticali, flessibilità organizzativa, nuove tecnologie, formazione a distanza, educazione degli adulti, ecc.) dando vita a circuiti di scuole di eccellenza che ora vanno pienamente inseriti nel sistema delle opportunità formative.

Questa giovane "tradizione" può rappresentare la base di avvio per quelle esperienze di autonomia cooperativa, di reti e consorzi tra scuole, che sono fortemente sponsorizzate dalla normativa (art. 7 del Dpr 275/99), ma che non possono essere date per scontate. Nel resto dell’Europa l’autonomia ha portato ad una maggiore competizione tra le singole scuole, ed anche i dati sul monitoraggio dell’autonomia rilevano la scarsa propensione delle scuole italiane a mettersi in rete, privilegiando –invece- il rapporto "punto a punto" con gli enti locali di riferimento.

Riteniamo che l’ipotesi più praticabile in fatto di servizi professionali sia quella di un doppio movimento:

  • dall’alto verso il basso (top-down), come processo di riorganizzazione dell’amministrazione scolastica, che si decentra e riscopre le sue funzioni tecniche (così come previsto dal Dpr 347/00);
  • dal basso verso l’alto (bottom-up), come processo di aggregazione tra scuole per dare vita a nuovi servizi, ad imprese condivise, a laboratori di "ricerca, formazione, documentazione, orientamento" (come recita il Dpr 275/99).

Questo doppia legittimazione può rispondere all’esigenza di riconoscere e rispettare l’autonomia ed il protagonismo, rispettivamente delle scuole e degli enti locali, senza trascurare le esigenze di "tenuta" istituzionale del sistema della pubblica istruzione.

Un simile equilibrio richiede la strutturazione di bacini di utenza non troppo ampi, né troppo esigui, che potrebbero oscillare tra le 50 e le 70 unità scolastiche. L’attuale articolazione provinciale dell’amministrazione non risponde a questa esigenza di standardizzazione (si va da maxi-province con oltre 800 istituzioni scolastiche a mini-province con poco più di 30 istituzioni), ma rappresenta un riferimento assai solido dal punto di vista istituzionale, non fosse altro per l’interfaccia con l’Amministrazione provinciale (cui la normativa più recente riconosce compiti di programmazione generale e di intervento anche nel campo dell’istruzione) e le parallele articolazioni delle altre amministrazioni dello Stato. Inoltre, la gestione del personale scolastico, con i connessi livelli di negoziazioni sindacali avviene su base provinciale. Sarebbe poco realistico non tener conto di questi dati di partenza, nel ritagliare la nuova configurazione delle strutture territoriali nel versante amministrativo (C.S.A.) e tecnico (C.I.S.).

 

6. I servizi tecnici nel territorio: tra C.I.S. e Laboratori

La presenza nel territorio di una rete di centri risorse (di carattere sia generale, che specialistico) può mettere a disposizione degli insegnanti e della scuola Servizi permanenti per la formazione continua e la ricerca didattica. Distingueremo, metodologicamente, i Centri di servizio di carattere istituzionale (i C.I.S.) quali articolazioni funzionali dell’Amministrazione dai Laboratori territoriali, quali strutture di erogazione di servizi ed espressione della progettualità "a rete" delle scuole o di altri organismi pubblici o privati.

6.1 - CIS: Il centro integrato servizi di carattere provinciale o subprovinciale

Al CIS compete una funzione di regia tecnica leggera (broker piuttosto che provider) delle opportunità (ricerca, formazione, documentazione, monitoraggio, ecc.) che i diversi soggetti possono mettere a disposizione, se opportunamente incentivati a farlo. Si tratta di privilegiare un lavoro di rete, che deve sapersi porre in posizione di ascolto intelligente delle esigenze delle scuole e di organizzazione/personalizzazione delle risposte.

In particolare, una struttura di riferimento provinciale (o sub-provinciale) dovrebbe svolgere le seguenti funzioni:

  • garantire il pilotaggio del sistema di opportunità professionali per i docenti, mettendo in relazione domanda/offerta di formazione, in particolare sostenendo lo sviluppo di una rete di laboratori territoriali;
  • aprire canali di comunicazione reciproca tra i numerosi soggetti (pubblici e privati) che ai vari livelli interagiscono con le scuole (amministrazione scolastica, Università, Irre, scuole, associazioni, enti locali), per garantire la sinergia delle diverse azioni (consulenza, ricerca, formazione, ecc.);
  • valorizzare esperienze, progettualità, risorse educative che si esprimono nelle scuole e nel territorio, gestendo i flussi informativi (accessi a Internet, newsletter, web-forum, ecc.);
  • migliorare la progettazione e la gestione delle attività di formazione, ricerca, documentazione, valutazione (attraverso servizi di consulenza, sportelli informativi, assistenza tecnica, ecc.);
  • gestire direttamente iniziative di formazione di secondo livello (per figure "strategiche) e/o di carattere compensativo.

Per il rilievo "strategico" delle azioni un tale Centro dovrebbe essere promosso e gestito direttamente dall’Amministrazione scolastica (in connessione con le articolazioni degli Enti locali). La specifica configurazione del Centro, con la definizione di compiti e funzioni, si connette quindi con le ipotesi di sviluppo e riforma della Pubblica Istruzione a livello territoriale, secondo quanto previsto dal documento di orientamento sottoscritto il 19 aprile 2001. Nell’esemplificazione del port-folio servizi vengono presentate le seguenti ipotesi funzionali:

"Il portafoglio servizi di un C.I.S. è da ricercare all’interno delle seguenti tematiche:
  • servizi a supporto della didattica (progettazione del POF, nuovi ordinamenti, programmi scolastici, innovazione formativa, ricerca e sviluppo, formazione docenti, sviluppo reti di scuole);
  • sistemi di condivisione delle conoscenze e esperienze e tecnologie didattiche (gestione della documentazione, innovazione tecnologica);
  • supporto alla pianificazione, controllo e valutazione (pianificazione delle risorse in ingresso, controllo dell’impiego delle risorse, supporto alla costruzione e gestione delle relazioni tra l’istituto e l’ambiente, supporto alla autovalutazione d’istituto, sviluppo delle persone)"

Fonte: Linee di articolazione degli uffici scolastici regionali, allegato all’accordo del 19-4-2001 (Conferenza Unificata), in Gazz.Uff. n. 115 del 19-5-2001.

La concreta gestione delle iniziative potrebbe essere affidata, in ossequio al principio di sussidiarietà, a scuole, a laboratori e strutture di servizio specializzate su specifici settori ed ambiti di intervento.

6.2 - I laboratori territoriali: il consorzio tra scuole

I servizi territoriali di base possono presentarsi in forme assai differenziate, in relazione alle aree geografiche (collocazione e dimensionamento), agli ambiti tematici (di carattere trasversale, disciplinare, di interesse monografico, ecc.), alle azioni prevalenti (documentazione, formazione, ricerca, ecc.), alle caratteristiche istituzionali e gestionali (centri promossi direttamente dall’Amministrazione scolastica periferica, da singole scuole polo o in rete, da enti pubblici territoriali, da associazioni professionali, da istituti di ricerca, da gruppi ecc.).

La varietà delle tipologie costituisce un possibile motivo di arricchimento dell’offerta di servizi (cfr. in tal senso la ricerca Regione-ER, IRRE-ER, Comune di Modena-CDE, Obiettivo centro. Ricerca sui centri risorse e formazione per la scuola in Emilia-Romagna, Bologna, 2001). Va però favorita l’integrazione dei diversi soggetti, mediante adeguati strumenti giuridici (convenzioni, accordi, protocolli, ecc.), conferendo una più marcata visibilità ai servizi offerti dai Centri.

Un laboratorio territoriale dovrebbe presentare alcuni indicatori di funzionamento minimo, per poter essere "accreditato" come servizio di interesse pubblico:

  • una struttura organizzativa stabile (locali, attrezzature, organi di gestione, ecc.);
  • la presenza di personale che opera, anche se a tempo parziale, nell’ambito del laboratorio;
  • la disponibilità di risorse finanziarie, di tecnologie, di documentazione libraria e non, di accessi alla rete, ecc.;
  • una produzione sufficientemente continua di servizi (formazione, ricerca, ecc.);
  • un sistema di rapporti esterni e "pubblici" formali e informali;
  • l’adozione di regole trasparenti verso l’utenza (in fatto di attenzione ai bisogni, di informazione, di verifica).

Tali criteri di analisi sono stati assunti dalla rete dei servizi territoriali sostenuti dal Ministero (v. schede 1 e 2).

I laboratori territoriali dovrebbero svolgere i compiti di:

  • consulenza per la progettazione delle attività di formazione (modelli operativi, individuazione esperti, riunioni di staff);
  • gestione diretta o supporto ad attività di formazione e a gruppi di lavoro/ricerca;
  • supporto per le attività degli IRRE e di altri organismi nelle scuole del territorio;
  • luogo di incontro (anche informale) per formatori, animatori, esperti, ricercatori;
  • produzione, duplicazione e diffusione di materiali didattici, elaborati da gruppi di ricerca, insegnanti, associazioni, scuole;
  • terminale telematico, per la gestione della documentazione informatizzata (reti locali, interconnessioni con reti nazionali, collegamenti con scuole ed enti, ecc.).

I diversi Laboratori/Centri dovrebbero gradualmente consolidare il loro ruolo di supporto coordinato alle scuole autonome, attraverso la stipula di convenzioni-accordi con l’Amministrazione scolastica, l’IRRE, le Amministrazioni Provinciali e Comunali di riferimento, per partecipare allo sviluppo di un sistema regionale di Centri risorse. Le scuole stesse dovrebbero partecipare, anche finanziariamente, alla cogestione delle iniziative, diventando "azioniste" di riferimento delle nuove strutture.

 

7. Come avviare concretamente i Centri?

7.1 - Borse di ricerca, protocolli di intesa, conferenze territoriali

La funzionalità di un Centro Servizi dovrebbe essere garantita, anche con presenza part-time, da "figure di sistema" (docenti comandati presso gli Uffici Studi e/o impegnati su progetti, Ispettori tecnici, ricercatori IRRE), con un essenziale nucleo di amministrativi, e la possibilità di affidare incarichi, consulenze, prestazioni mirate, sfruttando diversi canali normativi.

I problemi da affrontare per l’avvio dei C.I.S. sono numerosi. I più importanti riguardano:

  1. la localizzazione "fisica" delle nuove strutture (ove è da preferire una sede distinta da quella dei Provveditorati, tendenzialmente in locali scolastici autonomi);
  2. la dotazione di attrezzature (mobili per uffici, collegamenti telefonici, internet, fax, intranet, fotoriproduttori, stazione multimediale);
  3. la provvista di risorse finanziarie, riunificando diversi cespiti oggi distribuiti tra Provveditorati, Ufficio Scolastico Regionale, Enti locali, scuole, in particolare per i progetti speciali, per la formazione in servizio, per la gestione della legge 440/97, accrescendo i finanziamenti aggiuntivi degli enti locali;
  4. l’assegnazione graduale di unità di personale a tempo pieno specificamente preparato per i compiti dei C.I.S., a partire dagli addetti agli Uffici Studi. Va comunque salvaguardata la possibilità di utilizzo temporaneo e parziale di insegnanti per progetti ad hoc;
  5. la definizione di un primo port-folio di servizi ed iniziative che dovrà scaturire da una forte capacità di interazione con le scuole, i dirigenti scolastici, gli insegnanti.

7.2 - La valorizzazione della cultura della scuola: ipotesi di borse di ricerca

L’avvio dei servizi territoriali trova un forte ostacolo nella incertezza circa la disponibilità di personale da destinare ai nuovi compiti. In tempi brevi non è possibile ipotizzare l’utilizzazione nelle nuove strutture di operatori provenienti dalle scuole, con esonero completo dal servizio. Si dovrà fare riferimento a forme più flessibili di incarico, mediante la stipula di contratti di ricerca con insegnanti e dirigenti scolastici, evento che permetterebbe anche di valorizzare tutte le risorse esistenti nella scuola. Ad esempio, presso il Provveditorato agli studi di Forlì-Cesena è allo studio una proposta di assegnazione di 8 borse di ricerca annuali, dell’importo di £. 8.000.000 lordi ciascuna, ad altrettanti operatori scolastici (in servizio o in quiescenza) per avviare la progettazione, lo sviluppo e l’attuazione delle nuove strutture.

I ricercatori dovrebbero curare alcune aree tematiche quali:

  1. Aspetti giuridici dell’autonomia scolastica.
  2. Integrazione dei sistemi di istruzione e formazione.
  3. Gestione reti telematiche, sito web e comunicazione pubblica.
  4. Interventi di contrasto al disagio e alla dispersione, orientamento.
  5. Progettazione, flessibilità, modularità, valutazione.
  6. Ricerca curricolare: area linguistica.
  7. Ricerca curricolare: area matematico-scientifica.
  8. Ricerca curricolare: area storico-antropologica.

Inoltre è possibile usufruire di ulteriori risorse professionali ad hoc, su alcuni progetti quali:

- handicap e diversità (mediante incarico conferibile nell’ambito dei fondi per il funzionamento del GLIP-Gruppo di Lavori interistituzionale provinciale, che si sta sempre più trasfromando in una struttura tecnica di supporto (cfr. L.C. 139/2001);

- insegnamento delle lingue straniere (mediante incarico di consulenza, conferibile nell’ambito dei fondi per il funzionamento dei Centri Risorse Territoriali – cfr L.C. 134/2001).

Gli addetti ad un centro servizi, siano essi gli operatori già in servizio presso gli uffici studi, oppure nuovi operatori assegnati ad hoc ai Centri, anche nella formula dei ricercatori con contratto dovrebbero:

  1. Svolgere attività di ricerca, documentazione, analisi dei bisogni, censimento delle risorse riferite all’area tematica assegnata (con riferimento all’ambito territoriale provinciale o sub-provinciale).
  2. Assicurare attività di consulenza alle scuole sui temi affidati, sia sotto forma di sportello temporaneo presso le strutture territoriali decentrate, sia sotto forma di presenza nelle scuole richiedenti;
  3. Collaborare alla realizzazione delle attività dei Centri, partecipando alle riunioni di staff, alle attività progettuali, alle iniziative predisposte e curando in particolare il potenziamento delle risorse documentarie, con spiccato orientamento all’uso delle tecnologie.

7.3 - Le modalità di rapporto con le scuole

Nell’attesa di una più compiuta definizione normativa, la configurazione giuridica dei diversi Laboratori/Centri-risorse dovrà essere di taglio "leggero", come ipotesi di struttura di servizio, per lo svolgimento temporaneo e limitato di funzioni, attività, presenze sul territorio. Andrà prevista la costituzione di comitati consultivi e di comitati tecnico-scientifici (con rappresentanze di capi di istituto, Amministrazione scolastica, Enti Locali, Irrsae, associazionismo) con compiti di raccordo e "auditing" continui verso le scuole.

Lo sviluppo dell’autonomia comporta un "naturale" rafforzamento dell’identità progettuale ed operativa delle singole unità scolastiche, che potrebbero vivere la nascita dei C.I.S. come sovrastrutture limitanti le risorse e gli spazi autonomi delle scuole. Per smentire queste preoccupazioni occorre impiantare servizi realmente utili alle scuole ed ai docenti, accompagnando la nascita dei C.I.S. con il parallelo sostegno alle iniziative di rete delle scuole (presentando le due realtà non come alternative, ma complementari).

L’avvio dei servizi dovrà essere collegato strettamente alle esigenze dei territori, con capacità di rispondere ai bisogni degli operatori scolastici. Il legame potrà essere assicurato da frequenti incontri con i dirigenti scolastici, con gli insegnanti incaricati di funzioni obiettivo, con le associazioni professionali e sindacali, con le rappresentanze delle scuole. E’ opportuno attivare gruppi di lavoro sui progetti più significativi e di lunga durata, che assicurino le necessarie collaborazioni e condivisioni.

L’attività del C.I.S. dovrebbe essere presentata con apposite iniziative pubbliche, con i canali postali e telematici (newsletter e mailing-list). Con le stesse modalità dovrebbero essere raccolti riscontri circa il gradimento e l’utilità dei servizi svolti.


 

Appendice

Scheda 1:

Alcuni seminari di riflessione

Il dibattito sui servizi professionali è stato accompagnato, in questi ultimi anni, da numerose iniziative seminariali ed incontri a livello nazionale promossi dal Ministero (in particolare dal Coordinamento della Formazione Insegnanti, la struttura che ha anticipato la Direzione Generale per la Formazione) in partenariato con il sistema degli IRRSAE.

Due seminari interni furono realizzati a Roma, presso il Ministero della Pubblica Istruzione, il 21 luglio 1998 e il 22 luglio 1999. L’obiettivo era quello di avviare una riflessione prospettica su quanto era avvenuto nel passato, di diffondere competenze e kow-how, ipotizzare una possibile linea di sviluppo, facendo circolare e mettendo a disposizione materiali utili. Dai seminari ha poi preso avvio uno specifico progetto di studio e sostegno ad una rete di 23 strutture e centri risorse, variamente presenti sul territorio nazionale, che si sono dotate di un gruppo redazionale che gestisce un sito di servizio sul tema: www.centririsorse.it.

Nella vicenda dei Centri risorse un particolare ruolo ha svolto da sempre l’IRRSAE Emilia-Romagna che, fin dall’inizio degli anni novanta, ha sviluppato la pratica delle ricognizione dei servizi territoriali esistenti nella regione. La rilevazione più recente ha dato luogo alla pubblicazione di una specifica "mappa" dei servizi censiti in regione, oltre 280. L’iniziativa è stata curata tecnicamente dal Centro di Documentazione Educativa del Comune di Modena, nell’ambito del protocollo d’intesa tra Irrsae e Regione Emilia Romagna. Le coordinate scientifiche e concettuali dell’iniziativa sono state messe a punto in un apposito seminario svoltosi a Bologna nella primavera del 1999. Gli esiti del seminario e il report del censimento sono disponibili in due pubblicazioni a stampa.

Anche sulla base di questa esperienza pilota ha preso avvio una ampia ricerca sui servizi territoriali esistenti sul territorio nazionale, affidato dal Ministero alla rete degli IRRE, nell’ambito delle azioni di monitoraggio sulla formazione (Moniform 2). I primi esiti della ricerca dovrebbero essere pronti nei primi mesi del 2002.

Un dibattito più ampio si è svolto in due convegni di carattere nazionale, realizzati, a Cesena (marzo 2000) e a Maratea (giugno 2001).

Il convegno di Cesena su "I servizi territoriali per insegnanti", svoltosi nella primavera del 2000, ha segnato una tappa significativa nel processo di ricerca sui servizi professionali, mettendo a confronto ipotesi teoriche, riflessioni di carattere istituzionale, modelli di funzionamento. Ne è scaturito un quadro ricco di stimoli metodologici ed operativi, che dispone già di un consistente pacchetto di esperienze già in atto. Il convegno di Cesena ha cercato di chiarire i termini di un dibattito che è tutt’ora in corso:

    • quali le tipologie ed il portfolio di servizi utili alle scuole ed agli insegnanti ?
    • quali le ipotesi di decentramento dell’amministrazione scolastica (Dpr 347/2000), ma anche di raccordo tra scuole per dar vita ai Laboratori territoriali (Dpr 275/1999) e con i centri risorse degli Enti locali (D.lvo 112/1998) ?
    • quali i modelli di intervento, le strategie di contatto con le scuole, le forme di verifica dei servizi offerti ?

La ricca serie di esperienze presentate durante il convegno (che sono ora disponibili nel volume "I Servizi territoriali per i docenti", edito dalla Casa editrice Tecnodid, per conto del Ministero PI) è già una pista di lavoro utile per capire il senso della presenza di servizi e centri nel territorio, che presentano portafogli di servizi diversamente strutturati a supporto dell’autonomia, per lo sviluppo della ricerca didattica e sul curricolo, a sostegno della formazione in servizio, per l’integrazione dei sistemi formativi.

Il meeting di Cesena è stato seguito dal convegno di Maratea (14-16 giugno 2001), organizzato dall’IRRE Basilicata, d’intesa con il Ministero dell’Istruzione (Direzione Generale per la Formazione). Il seminario ha permesso lo scambio di esperienze promosse nelle regioni dell’Italia meridionale e il confronto con iniziative e modelli di servizi territoriali. Anche in questa occasione è stata presentata una ricerca a stampa della ricognizione effettuata nella regione Basilicata sui servizi culturali.

Le numerose occasioni di incontro, non a caso dislocate in diversi contesti territoriali, hanno lanciato un messaggio che non va disperso: la nascita di servizi e strutture di supporto agli insegnanti deve scaturire da effettive esigenze del mondo della scuola, vedere il diretto coinvolgimento degli insegnanti, valorizzare competenze e "saperi" del territorio, in definitiva deve consentire un’ulteriore crescita dell’autonomia culturale e professionale della scuola e non tradursi nella burocratica dislocazione di nuovi uffici e apparati.

 

Scheda 2

I criteri di analisi di un centro-risorse

 

Scheda 3:

Indicazioni bibliografiche

  1. C. Buscherini-G. Cerini, La riforma dell’Amministrazione. Ipotesi di centri servizi e di laboratori territoriali, inserto in "Notizie della scuola" n. 17, 1-15 dicembre 2000, Tecnodid, Napoli.
  2. F. Butera, Il libro verde della pubblica istruzione, Angeli, Milano, 1999.
  3. G. Cerini (a cura di) I servizi territoriali per i docenti, MPI, Tecnodid, Napoli, 2001.
  4. D.Larocca, R.Santeramo, Risorse e servizi per il territorio, Armeno, Napoli, 2001.
  5. IRRSAE ER, Regione ER, I centri di documentazione e risorse per la scuola in Emilia-Romagna, Bologna, 1994.
  6. MPI-CFI, I centri di risorse per gli insegnanti. Miraggi e realtà, Tecnodid, Napoli 2000.
  7. MPI-IRRSAE, Dall’aggiornamento allo sviluppo professionale. Linee essenziali per la lettura dei rapporti regionali, Le Monnier, Firenze, 2001.
  8. Regione ER, IRRE ER, Comune di Modena-CDE, Obiettivo centro, Bologna, 2001.
  9. P. Romei, L’organizzazione come trama, Cedam, Padova, 2000.
  10. G.Sacchi (a cura di), I laboratori territoriali, IRRSAE ER, Bologna, 2001.

 

Scheda 4:

Riferimenti normativi

  1. D.Lvo 31/3/1998, n. 112 (Competenze degli enti locali in materia di istruzione e formazione).
  2. Direttiva 16/5/1998, n. 226 (Orientamenti per il piano di formazione 1998).
  3. D.P.R. 8/3/1999, n. 275 (Regolamento per l’autonomia organizzativa e didattica).
  4. Contratto Integrativo Nazionale 31/8/1999 (Scansione biennale del CCNL 1998-2001).
  5. Direttiva 3/9/1999, n. 210 (Piano nazionale di aggiornamento 1999).
  6. Direttiva 12/6/2000, n. 161 (Direttiva generale dell’azione amministrativa).
  7. Direttiva 16/8/2000, n. 202 (Piano nazionale di aggiornamento 2000).
  8. D.P.R. 6/11/2000, n. 347 (Regolamento di riforma dell’amministrazione scolastica).
  9. D.M. 30-1-2001 (Linee progettuali per la riorganizzazione territoriale dell’amministrazione scolastica).
  10. Accordo del 19/4/2001 (Documento della Conferenza unificata Stato-Regioni, per l’esercizio integrato dei servizi).

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