DIMENSIONAMENTO: RIEN VA PLUS!
(ma i giochi non sono ancora fatti)

di Giancarlo Cerini

 

Dimensionamento: un neologismo che si aggira minaccioso nelle sale degli insegnanti e negli uffici di presidenza, quasi a preannunciare sommovimenti radicali, fusioni e soppressioni di scuole, in grado di mettere a repentaglio identità e sicurezze consolidate.

E’ fondato un simile timore? E quali saranno le conseguenze pratiche delle diverse soluzioni adottate? Ma era proprio necessario aprire questo nuovo fronte in un momento già di per sé "caldo"? Non prevarrà, anche in questo caso, la ragion di Stato dei risparmi di spesa? Domande legittime, che meriterebbero risposte più articolate di quelle possibili in questa sede.

Intanto, va ricordato che il dimensionamento è problema che attiene alle forme di gestione amministrativa e organizzativa delle unità scolastiche (qui intese come insieme omogeneo di scuole in un territorio) e non riguarda il destino delle singole scuole (intese invece come sedi di erogazione del servizio didattico agli utenti.

E’ pur vero che un processo di "razionalizzazione" riguarda e riguarderà anche sedi, plessi, succursali, edifici (e quindi classi, insegnanti, cattedre, ecc.), ma tale processo (già sviluppatosi lungo tutto il corso degli anni ’90) è legato alle vicende del calo demografico e delle annuali leggi finanziarie, da ultima la L. 449/97. Il dimensionamento, viceversa, trova le sue ragioni nel processo di avvio e di sviluppo dell’autonomia.

E’ la legge 59/97 (Bassanini 1) a collegare il raggiungimento di dimensioni "ottimali" da parte degli istituti all’attribuzione della personalità giuridica, la carta d’identità che abilita all’esercizio pieno dell’autonomia amministrativa, organizzativa e didattica. Tutto questo avverrà a decorrere dal 1° settembre 2000, ma le decisioni sono da prendere in questi mesi (salvo successivi ripensamenti), dalle apposite Conferenze Provinciali di organizzazione del servizio scolastico, di fatto dalle Amministrazioni Provinciali d’intesa con i Sindaci interessati.

 

Un’autonomia "forte"

Al di là delle inevitabili polemiche, condividiamo l’esigenza di dimensionare le scuole in funzione dell’autonomia. Presidenze e collegi con 15/20 docenti non sono in grado di reggere l’urto "culturale", prima ancora che "numerico" dell’autonomia. Alla scuola conviene un’autonomia forte, cioè una capacità di interlocuzione autorevole –e stabile nel tempo- con i diversi soggetti del territorio.

Giustamente nello schema di Regolamento (30-10-1998) si qualifica l’autonomia della scuola con il termine "funzionale", cioè non un semplice terminale decentrato e periferico dell’amministrazione scolastica, ma un centro nevralgico di risorse finanziarie, energie professionali ed umane, decisioni e intenzioni, dotato di una propria capacità progettuale (e negoziale).

Solo una scuola siffatta può giocare un ruolo autonomo e dialettico nei confronti delle domande e delle attese esterne (a volte vere e proprie "pressioni"), rispondere ai bisogni (di sviluppo) della comunità in cui opera, senza sudditanze localistiche, ma interpretando in quel contesto un progetto culturale ed educativo che, nel nostro paese, rimane unitario e nazionale.

I numeri (anche se consistenti) però non bastano: occorrono competenze, affidabilità, strumentazioni professionali. Ma questa è già cultura dell’autonomia, organizzazione, investimento sulla formazione del personale, capacità di autovalutazione, di regolazione e di sviluppo.

 

Riforme e dimensionamento

C’è dunque un risvolto istituzionale e culturale (anzi, curricolare) nelle scelte che si stanno compiendo. Decidere una verticalizzazione (cioè l’aggregazione di scuole materne, elementari e medie di un medesimo territorio) implica una prospettiva unitaria per la scuola di base, in sintonia con la possibile riforma dei cicli, anche se –al momento- non coincide con la proposta berlingueriana del doppio "modulo 6+6". L’organizzazione in orizzontale delle scuole medie sembra invece muoversi in controtendenza, ma qualcuno la identifica già come scuola secondaria "alta" dell’orientamento; cos pure, accorpamenti mono- o pluri- indirizzo negli istituti superiori lasciano presagire idee diverse della riforma (es.: canalizzazione vs orientamento).

Insomma, una buona parte della riforma transita proprio dalla prosaica azione di dimensionamento, con una scuola che pare un po’ troppo ai margini del dibattito e delle decisioni. Non vorremmo che prevalesse una logica puramente territoriale (per non dire di campanile) o, addirittura, di stampo ragionieristico.

E’ vero. Il dimensionamento potrebbe comportare un consistente risparmio nel bilancio della Pubblica Istruzione. Previsioni ministeriali (poi smentite) hanno fatto balenare una possibile contrazione di circa 2500 presidenze e direzioni didattiche: dalle attuali 12.600 si scenderebbe a circa 10.200.

Sarebbe saggio che il Governo si impegnasse da subito nell’utilizzo intelligente e immediato dei risparmi ottenuti (con la previsione precedente sarebbero circa 500 miliardi all’anno), per investimenti nelle strutture organizzative restanti (per figure di sistema in ogni scuola, risorse per la rete, budget finanziario potenziato, ecc.).

La migliore controprova che il tetto imposto dalle norme (DPR 18-6-1998, n. 233), cioè la fascia tra 500 e 900 alunni, con possibilità di deroga a 300 per istituti comprensivi e scuole secondarie nelle aree "difficili", non è un dato numerico invalicabile nella sua brutalità (pensando alle scuole medie che si trovano quasi tutte sotto quota 300 alunni), ma un indicatore medio verso cui tendere per ottenere un miglioramento lungo tutto il sistema.

 

La scuola tra Stato ed Enti locali

Questa è dunque la sfida (non facile) del dimensionamento. Ed è giusto che ad interpretarla siano gli Enti locali. Non è solo ottemperanza alle nuove regole e competenze attribuite a Regioni, Province e Comuni in materia scolastica, in particolare dal decreto legislativo 31-3-1998, n. 112 (attuativo della Legge Bassanini), ma chiamata in causa "istituzionale" degli enti locali (spesso colpevolmente assenti) sul futuro della scuola, che va vista ormai come una risorsa decisiva per lo sviluppo della comunità e dell’ecosistema formativo.

Naturalmente occorrono stile e capacità di dialogo. Non si tratta di aumentare il potere degli Enti locali sulla scuola, bensì di aumentare la loro responsabilità verso la scuola e l’educazione.

Il dimensionamento è solo un prerequisito per un ben più impegnativo "patto educativo territoriale", cioè per il coordinamento di sforzi, risorse, offerte formative, una sinergia che valorizzi il protagonismo di tutti i soggetti, ivi compresi quelli privati, "sociali" e no.

Decisivo è che la regia del sistema formativo pubblico resti saldamente nelle mani delle istituzioni pubbliche, con un ruolo non residuale dello Stato e delle sue articolazioni, per un necessario effetto di equità, garanzia, compensazione.

Intanto, attendiamo di capire come evolverà la riforma federale dello Stato e quale sarà nel nuovo Stato (che tutti vogliono "leggero") il ruolo della scuola e delle strutture per il suo governo e la sua gestione.

 

I giochi dunque non sono (ancora) fatti!