Elogio del disordine (*)
Zenone e la Torre di Babele

di Dario Cillo

 

Esiste, inconfessatamente celato nelle pieghe della storia degli uomini, un sogno che è tanti sogni e che, nel magico e nascosto percorso che li unisce, è ciò che fa dell'umanità intera un solo uomo.

Cercherò di parlare di questo sogno e dell'impossibilità di realizzarlo compiutamente (giacché non potrebbe attuarsi se non nella più assoluta completezza) in cui consiste la sua e la nostra grandezza.

L'uomo convive da sempre con la segreta certezza dell'ordine.

Tale assoluta convinzione (che è regola di sopravvivenza) egli l'adattò ed impose non solo a sé stesso, ma anche alla caotica ed irrazionale realtà del mondo.

La cultura (che è, nelle sue inconsce molte e svariate forme, il veicolo di tale ordine) si diffuse prima ed a lungo lentamente, affrontando le mille e tortuose insidie dell'oralità.

Poi, grazie alla scrittura, superò tutti i limiti di spazio e di tempo che prima l'avevano costretta. (Il popolo ebraico ebbe lustro e rispetto agli occhi delle altre genti proprio per l'ordinata raccolta di scritti che ne fece "il Popolo del Libro".)

Il mondo aveva ora una sua logica, un suo ordine.

Qualcosa sfuggiva sempre dalle maglie (forzatamente strette) di questa rete ma, almeno apparentemente, ciò non poteva ledere né mettere in crisi la solidità e la grandezza conclusiva della costruzione. Anzi, fatto salvo il principio che tutto era e doveva essere ordinato, si poteva anche tollerare pazientemente di dover talvolta abbattere parte dell'edificio per ricostruirlo secondo nuovi principi.

Poi a qualcuno sorse l'idea di creare un luogo entro il quale contenere ed ordinare il disordine (in cui stranamente confluiva l'ordine precedentemente creato). Tramite di questa insopportabile commistione di ordine e disordine era proprio la scrittura e di conseguenza il grande insieme che la conteneva, il libro.

Fu così che, ventitre secoli addietro, probabilmente il primo dei Tolomei, detto Soter, su consiglio di Demetrio, allievo di Aristotele, decise di destinare e consacrare a tale ordine una biblioteca (strana metafora entro la quale si compendia l'ordine dell'ordine) che sarebbe sorta in Alessandria e che avrebbe dovuto contenere (ed ordinare) tutti i libri scritti sino ad allora.

Il sogno, che iniziava a prendere forma e consistenza, ebbe fine secoli dopo.

Della mitica Biblioteca, forse distrutta da un incendio (come in un rogo erano andati distrutti senza distruggersi, in un sogno parallelo ed apparentemente contrario, tutti i libri per volere di Shih Huang Ti, Primo Imperatore dei cinesi ed ideatore della Grande Muraglia), non rimasero che misere tracce. Su di esse, meccanicamente, l'uomo rifondò la cultura.

In ogni caso rimaneva un problema irrisolto ed irrisolvibile.

'Comprendere', racchiudere tutta la cultura in un unico spazio non portava a 'comprendere', a conoscere tutto. Se l'ordine attraverso la scrittura ed i libri poteva superare e deridere le barriere del tempo, ciò non poteva accadere all'uomo, al singolo uomo, che a tali limiti era asservito e ad essi vincolato. (Nessuno aveva ancora pensato quanto possa essere falsa una lettura i cui tempi non coincidano con quelli della scrittura.)

Il sogno cominciò così ad assumere una valenza negativa; poteva essere compreso solo attraverso il suo contrario.

Proprio in tal senso, forse grazie all'incisione di un geniale artista di Norimberga, nei primi anni del sedicesimo secolo, ebbe un nome. Esso, che è anche sinonimo di follia, rende ancora (nell'uso e nel significato comune in cui è confluito nel parlato d'oggi) l'immagine di tanta inesausta e triste incapacità, Melencolia.

Nuovamente il caos.

Quindi un uomo (molti uomini), prima stentatamente e inconsapevolmente, poi sempre più secondo un preciso ed articolato progetto (seguendo un arco di tempo che abbraccia secoli, o forse millenni, e diventa consapevolezza solo intorno al diciassettesimo secolo), riprese, elaborò e portò a compimento il sogno del generale di Alessandro.

Tutto il sapere poteva essere circoscritto ed ordinato in un unico luogo. Ma lo spazio non sarebbe più stato quello fisicamente esteso (necessariamente ingombrante) della Biblioteca, illeggibile ed incomprensibile nella sua unità. Più uomini avrebbero collaborato per restringerlo, schiacciarlo, comprimerlo in un libro, il 'Libro dei Libri', l'Enciclopedia. (Una delle più notevoli 'enciclopedie' del passato, commissionata nella prima metà del tredicesimo secolo da san Luigi, re di Francia, a Vincenzo de Beauvais, accanto al titolo Speculum Maius reca anche quello di Bibliotheca Mundi.)

Il problema del tempo (come quello dello spazio) appariva risolto.

Certo l'Enciclopedia peccava (per necessità) di incompletezza. Appariva più che altro come un vecchio museo (altro luogo dell'ordine) in cui andavano accumulandosi, sempre secondo la riduttiva logica degli esempi, reperti del passato e, solo a fatica, i successi del presente (che aspettavano conferme dalla storia), le molte e labirintiche vie dell'oggi, troppo diversificate perché potessero essere sempre accolte ed ospitate.

Così questa, che altro non era se non un'enorme raccolta di monografie, cominciò lentamente (sempre nella segreta speranza della totale comprensione) a frantumarsi nelle sue componenti più minute assumendo e facendo proprie le forme e gli interessi più diversificati. (Un esempio, se non della completezza, sicuramente della poesia e del dramma nascosti in questa ricerca, si può rintracciare nella storia, sapientemente narrata da Valentino Bompiani, della nascita e della vita di quella grande "Arca di Noè della cultura" che è il Dizionario Bompiani delle Opere e dei Personaggi di tutti i tempi e di tutte le letterature.)

La stessa storia potrebbe essere raccontata sotto altre forme.

Un altro tentativo di ordine (ancora più sintetico e, in apparenza, efficace), fu quello che Anatole France, alla fine del secolo scorso, chiamò "l'Universo per ordine alfabetico (...) il libro per eccellenza - in cui - tutti gli altri sono già dentro, basta tirarli fuori", il Dizionario. (1)

La sola vera novità di questo sogno (come l'Enciclopedia, di cui spesso è sinonimo, il Dizionario non ha la dote della completa esaustività e tende inesorabilmente verso la particolarizzazione) era il diverso rapporto in cui si poneva per natura con chi ne faceva uso.

Al lettore era affidata una nuova inderogabile responsabilità, quella della combinazione e della costruzione. (Accanto al 'libro', composto da 'parole', esiste, contemporaneo e complementare, un 'non-libro' costituito da tutte le 'non-parole' che l'atto della creazione, che è scelta, elimina o trascura.)

Se il Dizionario non poteva risolvere il problema dell'ordine, esso offriva però il grande vantaggio di riportare il sogno quasi alla sua origine, la Parola.

"In principio erat Verbum et Verbum erat Deus". Così recita l'incipit del Vangelo di Giovanni. Il pensiero corre verso un altro inizio, quello del Genesi, in cui un Dio (che è Parola ed è il suo stesso Nome, privo di vocali, segreto ed impronunziabile) fa emergere l'ordine dal caos tramite la parola, la sua Parola.

Seguendo il corso di questa immagine troviamo maghi, cabalisti, alchimisti (anche la mitica Pietra Filosofale è Parola) affaticati nella impossibile ricerca del Nome. Possiamo intravedere, in un angolo nascosto della seconda metà del tredicesimo secolo, Raimondo Lullo e la sua macchina prefigurare il paziente computer che settecento anni dopo sognerà Arthur C. Clarke nel suo The Nine Bilion Names of God. . Possiamo rievocare, sulle orme di Olof Lagercrantz (attraverso le pagine di Om konsten att läsa och skriva) la magica antica astrazione di un Dio che crea il mondo scrivendo la Bibbia.

Un'altra tradizione (confidatami da Edmond Jabès) parla di un Dio impotente ("Le lettere, insieme, formano l'assenza./ Così Dio è figlio del Proprio Nome." (2) ), che usa l'uomo, la sua fantasia creatrice, espressa tramite la parola, per evocare e concretizzare il reale. (In questa visione è già compresa la contesa tra Nominalisti e Realisti.)

Le vie del divino e dell'umano confluivano nella Parola.

Se la raccolta di parole (il libro-Biblioteca, il libro-Enciclopedia, il libro-Dizionario) non aveva in sé la possibilità ed il dono della totale comprensione, era necessario invertire il segno di tale ricerca, raggiungere il primo gradino (l'a-tomo) per poterla concludere.

In una nobile villa veneziana, lungo il Canal Grande, un uomo, Sagredo (che gode nell'unione con altri due, Salviati e Simplicio, del raro privilegio di essere Galilei), ha, durante il secondo giorno di un acceso confronto, che possiamo immaginare e collocare nei primi decenni del diciassettesimo secolo, una felicissima intuizione. "(...) io - afferma - ho un libretto assai più breve d'Aristotile e d'Ovidio, nel quale si contengono tutte le scienze, e con pochissimo studio altri se ne può formare una perfettissima idea: e questo è l'alfabeto; e - aggiunge - non è dubbio che quello che saprà ben accoppiare e ordinare questa e quella vocale con quelle consonanti o con quell'altre, ne caverà le risposte verissime a tutti i dubbi e ne trarrà gli insegnamenti di tutte le scienze e di tutte le arti (...)". (3)

L'Alfabeto contiene tutte le parole.

Anzi esso offre qualcosa di più: l'apparente certezza che le parole ed il loro numero, e, di conseguenza, l'elenco totale dei libri da esse formati, per quanto grande, sia 'finito'. Da ciò un Bibliotecario cieco (che continuava a vedere con gli occhi della fantasia e della memoria), riprendendo il sogno dell'altro cieco, prigioniero ad Arcetri, trasse la conclusione che "La Biblioteca è illimitata e periodica." (4)

Dunque (finalmente) l'Ordine.

Il potenziale creativo della scrittura, le presumibili capacità, i pensieri, i sogni degli uomini, dell'umanità tutta, il passato, il presente ed il futuro, Tutto, poteva essere condensato arginato nel limite dell'elenco di poche lettere. (C'era qualcosa di assolutamente tragico in questo pensiero, che depotenziava l'uomo più della stessa idea di non essere ed occupare il centro dell'Universo.)

Il lungo viaggio aveva raggiunto la sua meta?

Osserviamo la natura stessa della parola. Essa non consiste solo di una somma di lettere. Basta tentare il gioco antico dell'anagramma per accorgersene. Tutto cambia, ed in maniera assolutamente definitiva.

Per ogni parola-significante esistono più parole-significato. Queste ultime variano oggettivamente per motivi storici, sociali, culturali ... A tali motivazioni vanno aggiunte anche le infinite ragioni soggettive (psicologiche, umorali, del sentimento, del ricordo ...), nonché le loro potenziali trasformazioni nel tempo.

Le parole-significante (i libri-significante) possono essere, sono, finiti. Le parole-significato (i libri-significato) sono, in assoluto, infiniti.

E' il totale trionfo del disordine.

Due sono le possibili conclusioni.

Se la lingua non ha una sua coerente ed uniforme capacità comunicativa, ciò apre un baratro sul suo stesso valore e sulle sue potenzialità. Le parole sfuggono alla logica della matematica. (Leibnitz, nel corso della sua intera esistenza, inseguì, senza raggiungere, il sogno della Characteristica Universalis.)

In questo senso il mito della Torre di Babele potrebbe essere riletto. Esso sarebbe metafora non della confusione 'fra i linguaggi', ma 'nel linguaggio'.

Ma, accanto a questa soluzione, senza invalidarla, ne esiste un'altra (in certo modo la stessa).

Lo 'spazio' finito dell'alfabeto (che non ha significato) contiene e 'comprende' lo 'spazio' finito dei significanti; contiene, senza 'comprendere', lo 'spazio' infinito dei significati.

Il paradosso di Zenone trasportato nel mondo delle lettere diventa il paradosso di Pierre Menard, sognato da Borges.

Così innumerevoli uomini hanno letto, leggono, leggeranno le avventure del nobile cavaliere della Mancia, il ritorno di un soldato ad Itaca, il volo del "gran destriero alato" sulla Luna, l'indecisione del figlio di uno spettro e la visione dei tre regni ultramondani, sempre e comunque come nuovi prodigi, creati, solo per loro, da loro contemporanei.

"Tutto al mondo esiste per far capo a un libro". In questo, solo in questo, è la certezza che questo grande sogno non è stato sognato invano.

 

Post Scriptum

L'intero scritto è in sé un paradosso, in quanto, elogiando il disordine, non ha potuto fare a meno di servirsi dell'ordine.
Devo quanto sopra a Borges, le cui opere riempiono e ritornano nelle mie giornate, ed a Jabès che, con pazienza, ha dialogato con me.

Lecce, luglio 1988


Note

(1): Anatole France, La Vie Littéraire, 1888-1892

(2): Edmond Jabès, Le Livre des Questions, 1963

(3): Galileo Galilei, Dialogo di Galileo Galilei linceo, dove ne i congressi di quattro giornate si discorre sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano, 1632

(4): Jorge Luis Borges, La Biblioteca de Babel, 1941


(*) Dario Cillo, Elogio del Caos. Zenone e la Torre di Babele, Fasano (BR), "Generazioni. Giovani realtà", Nuova Serie, A.XV, n.53, gennaio-marzo 1995