Un universo parallelo
di Giovanni
Piras
Era una mattina del 9999, io uscii di casa e presi
la mia supercar, l’automobile volante.
Andai al
laboratorio della NASA e da lì, con il teletrasporto, raggiunsi la base in cui
era in costruzione la più grande navicella spaziale: grande come la luna.
La mia ipotesi era che fosse possibile passare in
qualche universo parallelo attraverso i buchi neri.
Per problemi di sicurezza conducevo le ricerche da
solo.
Finalmente trovai la prova: in uno dei cinquemila
buchi neri in osservazione era nascosta l’entrata in un universo parallelo.
La NASA mi proibiva di partire, ma io non potevo
resistere alla tentazione. Decisi di andarci con una navicella a forma di palla
bianca e con la migliore tecnologia di bordo.
La NASA scoprì i miei propositi e decise di darmi
la caccia.
Non sapevo che quello sarebbe stato anche l’ultimo
giorno di vita della terra. A pochi anni luce dal buco nero la vidi esplodere e
vidi che il sole era tutto rosso.
Atterrito mi gettai dentro il buco nero ormai
all’orizzonte e, dopo un indescrivibile sensazione, mi ritrovai a pochi milioni di chilometri da un
pianeta. Non potevo far altro che
sperare in bene. Mi avvicinai e tentai un atterraggio di fortuna.
Vidi degli esseri strani intenti a lavorare in miniere, direi miniere di carbone. C’erano
stranissimi robot che facevano da guardia.
Riuscii ad avvicinarmi senza essere visto, capii
che si trattava di schiavi e capii anche che dovevano lavorare per alimentare i
robot.
Prima di essere catturato capii anche che quei
robot erano controllati a loro volta da esseri di intelligenza superiore.
Sapevano da dove arrivavo, conoscevano la possibilità di universi paralleli ed
erano stati proprio loro a eliminare la terra: avevano capito che stavamo
tentando di raggiungerli e non volevano essere scoperti.