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Una realtà da favola
(Uniti dal segreto)

di Antonio Stanca

Già noto per opere di narrativa e poesia, per riconoscimenti anche all’estero,   Carmine Abate, nato nel 1954 a Carfizzi, comunità italo-albanese in Calabria, e vivente nel Trentino, ha recentemente pubblicato, presso Mondadori, il romanzo “La festa del ritorno”. L’opera narra della vita in un paese italo-albanese della Calabria, con una lingua che risente di molti registri, dall’italiano al dialetto all’albanese. Non è, tuttavia, un atto di denuncia di particolari condizioni  individuali e sociali come spesso avviene in lavori ambientati nelle zone meno progredite di un paese ma una narrazione che ha un proprio respiro e tende ad un proprio significato. Naturalmente l’ambientazione, dovuta pure a motivi autobiografici, permette al lettore di sapere di luoghi, usi, costumi lontani e diversi da quelli noti, costituisce un documento importante, la realtà nella quale proiettare i pensieri, i sentimenti dei personaggi-interpreti, la loro storia e l’effetto che questa ancora produce in chi la ricorda, la narra. A compiere tale operazione di recupero del passato sono un padre ed un figlio tredicenne che, vicino al grande falò acceso la notte di Natale sul sagrato della chiesa del paese, rievocano quanto avvenuto nella loro famiglia. Il padre Tullio, da anni emigrante in Francia, aveva perso la prima moglie dalla quale aveva avuto Elisa, e risposatosi erano nati altri due figli, il maggiore Marco e la piccola Simona. L’attuale famiglia era formata anche dalla nonna, che viveva nella sua casa, e dalla cagnolina Spertina sempre vicina a Marco.

Il padre dice a Marco della vecchia e nuova famiglia, del primo e secondo lavoro in Francia, della sofferta condizione di emigrante; Marco dice al padre della sua vita  giunta fino a tredici anni senza la presenza del genitore tranne che per brevi periodi, della “festa” che i “ritorni” del padre dalla Francia avevano rappresentato per lui, dei suoi studi, delle loro escursioni nel bosco vicino al paese, delle battute di caccia. Entrambi, però, custodiscono un segreto e poiché nessuno osa confidarlo questo rimarrà tale per molta parte della conversazione fin quando non sarà avvertito come una confessione necessaria, inderogabile. Si tratta di Elisa, figlia per uno e sorella per l’altro. Ella ha studiato all’Università di Cosenza e per anni è stata l’amante di un uomo sposato e quasi a tutti rimasto sconosciuto. Aveva poi interrotto la relazione e si era fidanzata col giovane Filippo, anche lui studente. Perseguitata dall’amante era riuscita a sfuggire ad un suo agguato grazie a Spertina ed a Marco ed ora viveva a Parigi. La vicenda di Elisa, il suo strano comportamento in casa, avevano per molto tempo turbato i pensieri dei genitori,  guastato l’atmosfera famigliare, comportato gravi disagi e pericoli per il padre, coinvolto il fratello; erano divenuti prima il problema della casa ora il ricordo che più d’ogni altro univa i narratori. Alla fine dei loro discorsi essi si accorgono che è scoccata la mezzanotte, che la festa si è animata maggiormente e vi s’inseriscono con la gioia di chi ha superato un pericolo e spera in un futuro migliore.

Si ha la sensazione di leggere una favola per gli ambienti, insoliti per naturalità e bellezza, che ospitano la vicenda, per il lieto fine che sopraggiunge, per il linguaggio chiaro e lo stile scorrevole. Ma dal momento che si tratta di persone e situazioni nelle quali è possibile riconoscersi, ritrovare tratti, elementi di vita reale, concreta, ci si meraviglia di come sia riuscito l’Abate ad attribuire a tanta storia una dimensione da favola.


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