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UN ROMANZO DI SUCCESSO
(Tra Occidente e Terzo Mondo)

 

A pochi mesi dall’uscita l’ultimo romanzo di Isabel Allende "La figlia della fortuna" (in Italia edito da Feltrinelli) è in testa alle classifiche di vendita di paesi diversi e lontani tra loro quali la Spagna, la Germania, il Sudamerica. E’ la prova di quanto sia attesa un’opera di letteratura, in particolare di narrativa, che risulti diversa da quelle oggi generalmente prodotte, che non si esaurisca, cioè, nell’indagine di un determinato problema psicologico, non riduca i suoi spazi e tempi solo alla sfera interiore, i suoi personaggi ed azioni solo a pensieri o intenzioni ma offra, al lettore, la possibilità di assistere alla rappresentazione e svolgimento di una vicenda vera, reale o ad essa simile, lo avvinca con le sue varie avventure e sorprese, procuri alla narrazione il calore di un’esperienza vissuta e le eviti l’aridità di un’elaborazione astratta, ne faccia un romanzo più che un’opera di filosofia o sociologia o psicologia.

Non è la prima volta che dalla letteratura latino – americana o, più ampiamente, del Terzo Mondo giungono simili proposte né è nuovo il successo immediato e dilagante che esse ottengono. Si può, quindi, dire che nell’Occidente soprattutto europeo ormai tanto progredito da non essere più riconducibile alla misura dell’uomo il genere romanzo ha concluso i suoi tempi oppure si è tanto adattato ai problemi dei moderni ambienti quali l’incomunicabilità, la nevrosi, la spersonalizzazione da aver perso i suoi tratti distintivi. Ma quei tempi, quegli umori, che da noi sono definitivamente tramontati e che, perciò, fanno parlare di fine della letteratura se non dell’arte, sono ancora sentiti, cercati da autori lontani tra i quali Isabel Allende.

Fin dal suo primo apparire ella, di origine peruviana, di formazione cilena e venezuelana e attualmente stabilitasi negli Stati Uniti, ha mostrato di tendere verso quella spiritualità, sentimentalità, passionalità che le provenivano dai suoi primi luoghi, di volersi porre, nelle opere, come il loro riflesso più immediato, la loro traduzione più fedele. Ne "La figlia della fortuna" la scrittrice ha ordito una trama di ampie proporzioni poiché ha voluto rappresentare, tramite la storia privata di Eliza che percorre il continente americano alla ricerca dell’amato Joaquí n, quella pubblica dell’America di metà ‘800, dei suoi usi e costumi, dei difficili rapporti con la Spagna e l’Inghilterra, delle guerre d’indipendenza, della scoperta dell’oro in California e della sua indiscriminata attrazione presso uomini e popoli di diversa condizione e provenienza. E’ un quadro molto esteso che non finisce mai di interessare per i suoi avvenimenti, personaggi, colpi di scena, che avvince il lettore fin dalle prime pagine rivelandosi abilissima la scrittrice nel presentare situazioni e problemi tra loro concatenati e nel preannunciare soluzioni che avverranno in seguito senza precisare quando o come.

Il viaggio di Eliza, che in verità è una fuga dalla casa che l’ha adottata, una rinuncia agli agi della vita precedente e un’ accettazione di innumerevoli difficoltà per soddisfare il bisogno d’amore e maturare nella personalità, è anche il viaggio che il lettore compie nell’America del secolo scorso tra immigrati di ogni parte del mondo, guerre e rivoluzioni, carestie ed epidemie, crudeltà e barbarie ed è anche il documento esatto di un periodo storico non ancora completamente conosciuto. Tale ampiezza di contenuti conferisce all’opera un aspetto epico e, tuttavia, non succederà mai che l’esterno, le vicende dei molti si verifichino o procedano autonomamente ma solo e sempre in funzione di quanto accade ai pochi protagonisti dell’opera ed in una condizione di tale equilibrio tra un piano e l’altro da far risaltare ulteriormente le qualità della scrittrice.

Pertanto, pur essendo possibile scoprire precedenti dell’opera nel romanzo storico o epico o d’appendice, nuova ed unica risulta in essa l’Allende per aver saputo fare di una vicenda semplice, quotidiana una storia gravida di significati, comprensiva dei destini di un popolo intero, di un’umanità, per aver aderito, con un linguaggio quanto mai pronto ed appropriato, ad ogni pur minimo aspetto di sì articolata vicenda, dal più tenero al più macabro, e soprattutto per aver animato il libro con un movimento di pensieri, sentimenti, azioni così costante che nemmeno alla fine sembra volersi interrompere. E’ questa dell’Allende un’importante testimonianza di quanto specie nella letteratura occidentale europea, si è detto, è venuto a mancare, di cosa significa, cioè, essere scrittore, di quali sono le richieste del contenuto e della forma affinchè la narrazione si trasformi in una lettura coinvolgente e partecipe.

Antonio Stanca

Presenza Taurisanese – Dicembre 1999


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