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Ammaniti, uno scrittore discusso di Antonio Stanca
Il
romano Niccolò Ammaniti è uno scrittore particolare poiché sospeso
è ancora, in ambito
critico, tra accettazione e rifiuto. Ha quarantacinque anni, ha scritto
romanzi e racconti, alcuni racconti sono comparsi su riviste, alcuni
romanzi hanno avuto riduzioni cinematografiche, a queste ha collaborato
l’autore che, inoltre, ha preso parte a trasmissioni radiofoniche e
televisive, a stesure collettive di opere. Va incontro al pubblico
l’Ammaniti, si mostra ad esso, vuole farsi notare ed è riuscito visto
che i successi di pubblico hanno superato finora quelli della critica. Nel gruppo degli scrittori italiani detti
“cannibali” era stato fatto rientrare dopo la pubblicazione, nel 1996,
della raccolta di racconti intitolata
Fango. Il gusto dell’orrido,
qui evidente, aveva determinato questa catalogazione che, però, non va
limitata ad un’opera o ad una fase della produzione dell’autore. Sempre
egli si mostrerà attirato dagli aspetti crudeli, violenti di una
situazione, li creerà, li muoverà perché con essi, con la paura, lo
spavento, i danni che comportano crederà di esprimere il proprio
dissenso, la propria ribellione verso una società come l’attuale che ha
annullato ogni valore interiore, ogni espressione dell’anima. Sono
questi interessi, queste aspirazioni
a far sì che nelle sue opere i contenuti diventino più importanti
di tutto, che non ci sia molta attenzione per la forma come dichiarato
dallo stesso Ammaniti. La sua lingua è diretta, immediata, mentre i
contenuti sono costruiti, intricati in modo da coinvolgere più
facilmente il lettore e legarlo alla narrazione. Essi si muovono tra
realtà e fantasia fino a riuscire a volte eccessivi nelle loro
invenzioni. Ammaniti ha esordito nel 1994 con il romanzo
Branchie!, poi, dopo il
saggio del 1995 sui problemi dell’adolescenza intitolato
Nel nome del figlio e scritto
insieme al padre Massimo, docente di Psicopatologia generale e dell’età
evolutiva presso La Sapienza, ha pubblicato nel 1996
Fango. Nel 1999 è comparso il
romanzo Ti prendo e ti porto via
ma la notorietà è giunta solo nel 2001 con
Io non ho paura. Nel 2007 ha
vinto il Premio Strega con Come
Dio comanda, del 2009 è Che
la festa cominci, che ora è stato ristampato nella serie Numeri
Primi della Einaudi, e del 2010
Io e te. Insieme a questi romanzi Ammaniti ha scritto racconti e
si è mostrato impegnato in altre attività culturali. Le sue opere
sono tradotte all’estero ed hanno riportato numerosi
riconoscimenti ma non sono mancate le critiche. Neanche quando
vinse il Premio Strega si cessò di criticarlo dal momento che “ovvia” è
sembrata ad alcuni critici la sua scrittura, “possibile a chiunque”. In
verità la mancata cura della forma poiché convinto è l’autore che questa
non sia importante, fa pensare, leggendo, a ciò che comunemente si
sente, si dice e molto bisogna impegnarsi per scoprire quanto l’Ammaniti
si propone di rappresentare tramite le sue trame tanto articolate. Anche in
Che la festa cominci succede così. Si deve attendere la fine del
romanzo per scoprire la verità, bisogna aspettare che finiscano i
clamori, i fuochi, le grida della grande festa organizzata a Roma nella
sua immensa villa Ada dal ricchissimo Sasà Chiatti per sapere che
Ammaniti ha voluto dire che i valori dello spirito sono più importanti
di quelli della materia, che l’anima conta più del corpo. È un messaggio
importante il suo ma ha bisogno di molto per emergere. Una lotta, una
guerra, sembra quella dell’Ammaniti di questo romanzo, tra ricchi e
poveri del mondo, forti e
deboli, potenti ed umili, una guerra che diviene quella tra buoni e
cattivi, innocenti e colpevoli, santi e peccatori. Le forze oscure che,
alla fine, dai sotterranei della villa emergono per distruggere i
guasti, la corruzione della moderna società, esprimono la volontà
dell’autore di recuperare valori, principi essenzialmente umani,
interiori e di opporli a quelli esteriori, agli ornamenti, alle vanità,
alle esibizioni. È animato l’Ammaniti da una tendenza, da una volontà
umanitaria che di troppo rumore ha bisogno per manifestarsi e questo
significa che scrittore egli sta diventando e che contrariamente alle
sue convinzioni nell’opera l’importanza della lingua è pari a quella del
contenuto. |
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