Arundhati Roy, il romanzo della vita
di Antonio Stanca
Il
romanzo “Il dio delle piccole cose” (Guanda Editore) scritto nel 1997
dall’indiana Arundhati Roy risulta ancora tra i più letti in ambito
internazionale. Pur essendo l’opera di esordio della scrittrice, la
propose all’attenzione di un pubblico mondiale e le procurò il “Booker
Prize”, il premio letterario più prestigioso in Inghilterra. Rappresenta
le vicende di una famiglia indiana del Kerala e soprattutto quelle
relative ai suoi ultimi esponenti, due bambini gemelli, Estha e Rahel, e
la loro bella madre Ammu, che fugge dal marito perché violento e
ritorna, con essi, presso i genitori ad Ayemenem, dove questi, insieme
all’altro figlio Chacko, separato dalla moglie inglese, ed alla zia Bady
Kochamma posseggono e gestiscono la fabbrica di Conserve e Composte
“Paradiso”. Negli stessi giorni giungono nella casa di Ayemenem l’ex
moglie di Chacko e la loro bambina Sophie Mol. I tre bambini, con a
capo il maschio Estha, progettano di fuggire per qualche tempo al fine
di sentirsi cercati e maggiormente amati dai genitori. La fuga si
trasforma in un dramma poiché, durante la traversata del fiume Minachal,
la loro piccola barca si rovescia e Sophie Mol muore annegata. La
polizia, falsamente informata ed orientata, crederà responsabile
dell’accaduto l’operaio indiano Velutha, divenuto nel frattempo l’amante
di Ammu, e lo farà morire per le percosse ricevute al momento
dell’arresto. La narrazione inizia quando tutto questo è accaduto da
tempo e mostra i gemelli Estha e Rahel, ormai adulti, tornati ad Aymenem
dopo altre tristi esperienze. I tempi del romanzo sono quelli dei nostri
giorni ma il suo procedimento sposta continuamente il centro della
rappresentazione dal presente al passato più prossimo e più remoto, dal
personaggio alla sua storia, a quella della sua generazione, del suo
popolo, della sua terra. Ha i caratteri dell’opera epica questa della
Roy dal momento che, tramite le particolari vicende di una famiglia,
ricostruisce quelle più generali e più lontane di una nazione, le sue
tradizioni popolari, culturali, letterarie, artistiche, linguistiche, i
suoi costumi ed ambienti, le sue religioni, i suoi miti. Ed anche perché
le situazioni, le persone presentate tendono ad assumere il significato
di segni, simboli di un destino ad esse preesistente e da esse
indipendente, divengono gli attori di un dramma che le supera, si
trasformano nelle “piccole cose” di un universo composto da “grandi,
imperscrutabili e impenetrabili cose”. Gli eventi narrati risultano
perennemente divisi tra una dimensione reale, concreta ed una ideale,
astratta che li percorre, li sovrasta rimanendo loro invisibile,
inattingibile, identificandosi con essi e, tuttavia, lasciando supporre
che avrebbero potuto avere altro corso. E’ l’idea delle infinite
possibilità che la vita ha per mostrarsi, degli immensi aspetti che può
assumere una vicenda, delle incalcolabili soluzioni che può avere ed è
anche la constatazione che tra tanto ben poco spetta all’uomo, solo quel
che vive, che gli accade, solo quanto il caso gli procura. Una serie di
casi esterni alla volontà umana è la vita per la Roy, una condizione
sempre possibile di modifiche poiché segue le linee di un progetto ad
essa lontano ed oscuro. “E’ vero, le cose possono cambiare in un
giorno”. Si crea, così, nel libro un’atmosfera indefinita, sospesa
tra quel che avviene e quel che sarebbe potuto avvenire, tra presenze
reali e presenze irreali, arcane, misteriose. A questo dinamismo, che
rimane esteriore e funge da cornice, corrisponde un racconto che, avendo
presentato già all’inizio l’intera trama e l’esito finale, diviene
anch’esso movimentato giacché passa ininterrottamente dal presente al
passato e da questo a quel futuro preannunciato, fa di ogni circostanza
o personaggio un motivo per guardare indietro e proiettarsi in avanti.
E’ una situazione perennemente mobile, una circolarità che si dilata
all’infinito ogni volta che sta per restringersi. Il lettore ne rimane
avvinto anche a causa di un procedimento stilistico così incalzante
nella sua paratassi da non lasciare spazio ad alcuna sosta. Sembra di
leggere un giallo, di cui si conoscono già la vittima e l’assassino e
nel quale s’insegue la conoscenza dei modi e dei tempi dell’evento.
Questo crea nel lettore uno stato di continua attesa anche perché
l’attenzione viene continuamente distolta dalle ripetute, interminabili
digressioni che l’autrice compie e che finiscono per trasformare l’opera
nella rappresentazione di ogni aspetto della vita non solo umana ma
anche animale, vegetale, di ogni carattere non solo della famiglia
protagonista ma dell’intero popolo indiano, di ogni attributo non solo
dei tempi, dei luoghi, degli ambienti, degli avvenimenti immediati ma di
tutti i tempi, luoghi, ambienti e avvenimenti dell’India. Si risale alle
origini, alla prima cultura e lingua, alle prime tradizioni, ai primi
colonizzatori, alla diffusione del cristianesimo, alla sua convivenza
con altre religioni, ai costumi che ne sono derivati e che ancora
persistono, alle caste sociali, alle guerre d’indipendenza e si giunge
ai tempi moderni, al marxismo, alle lotte sindacali, alla televisione,
alla società dei consumi, alla crisi dei valori morali, alla corruzione,
ai falsi pregiudiziali. Tutto dell’India, del suo presente, del suo
passato, della sua gente, dei suoi boschi, dei suoi fiumi, dei suoi
templi, dei suoi misteri, dei suoi fantasmi, delle sue leggende, delle
sue verità, delle sue credenze, della sua povertà, è nel libro della Roy,
tutto della vita è in esso, di quella vita che avanza recando con sé
presente e passato, uomini e cose, che continuamente finisce e si
rinnova, che è storia di “grandi cose” e agli uomini concede solo “le
piccole”, che ha per sé i sensi, i significati ultimi e per essi solo
quelli prossimi. Tale inesausto movimento il romanzo della Roy riproduce
nei suoi temi e modi che, si è detto, non si acquietano mai in una
verità definitiva né si compongono in un giudizio conclusivo.
A lettura finita ci si
accorge di non essere pervenuti ad una nuova, chiara conoscenza ma alla
rivelazione della vita come di un processo inesauribile che ci ha
preceduto e ci seguirà obbedendo alle sue più che alle nostre regole. In
questa prospettiva si riduce, nel romanzo, l’importanza della vicenda
rappresentata in nome dell’ampia verità di cui vorrebbe essere
espressione, dell’eternità, cioè, e imponderabilità della vita.
Vera, grande scrittrice
si è rivelata la Roy già in quest’opera prima e non solo per la
profondità e vastità dei significati e l’articolazione dei contenuti,
che riprendono e confermano la più autentica tradizione del genere
romanzo, ma anche per la sorprendente capacità di piegare lo stile ad
ogni necessità, di tradurre nelle parole più adeguate ogni minimo
particolare, di muoversi con estrema abilità tra le vibrazioni più
segrete dello spirito e gli aspetti più evidenti della materia, tra le
altezze delle aspirazioni, le meraviglie di un paesaggio, di un corpo,
di un volto, di uno sguardo e gli abissi dell’angoscia, della
disperazione, dell’orrore, tra la gioia, il piacere e il disgusto, il
ribrezzo, tra mondo visibile e mondo invisibile sì da annullare ogni
distanza tra estremi apparentemente inavvicinabili, da animare tutti i
frangenti della narrazione e renderli ugualmente vivi e veri. |