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Ricordare è
vivere
di Antonio
Stanca
Nel
2008, quando aveva novantunanni, l’inglese Diana Athill ha pubblicato
“Da qualche parte verso la fine”, un racconto della sua vita che ora è
comparso in Italia per i tipi della BUR, Scrittori Contemporanei, e con
la traduzione di Giovanna Scocchera. Fino a settant’anni inoltrati l’Athill,
nata nel 1917 e vissuta sempre a Londra, ha lavorato nell’editoria
presso una nota casa editrice inglese, è venuta a contatto con autori
importanti quali Philip Roth, Norman Mailer, Simone de Beauvoir,
Vidiadhur Surajpasad Naipaul, ha scritto romanzi brevi, racconti su
sollecitazione di amici e compagni di lavoro ed ha ottenuto alcuni
riconoscimenti. Anche “Da qualche parte verso la fine” è stato scritto
dietro suggerimento del suo editore ed anche questa narrazione è stata
premiata nel 2009 con il National Book Critics Circle Award in
Autobiography. E’ il primo lavoro dell’Athill tradotto in italiano e
quello che più di ogni altro fa conoscere l’autrice, la sua vita, il suo
carattere, le sue convinzioni, le sue esperienze. Semplice, chiaro è il
linguaggio col quale l’Athill, ormai vecchia, ripercorre il suo passato
di donna vissuta senza marito, senza figli ma non rammaricata di questo
né d’altro. Non c’è posto per rimpianti tra i suoi pensieri di adesso.
Ha avuto i suoi problemi ma li ha fatti rientrare in quella dimensione
quotidiana che per lei è la più importante. Non ha nutrito grosse
aspirazioni, non ha pensato di avere qualità eccezionali, dice sempre
che scrittrice è diventata su richiesta poiché non possiede “l’energia
immaginativa” degli scrittori veri, quella che nasce insieme a loro.
Soprattutto una donna è stata Diana Athill, una donna che tra poco, se
ancora sarà in vita, avrà percorso un secolo durante il quale tanto è
avvenuto nella vita, nel costume, nella letteratura, nell’arte, nella
scienza, nella società, nella storia. Tra tutto questo lei è passata ma
nel libro lo fa soltanto trasparire poiché di sé, della sua vita ha
intenzione di dire. E ne emerge il ritratto di una donna che, una volta
liberatasi dalla famiglia d’origine, una volta pervenuta ad una certa
autonomia, è vissuta secondo le sue volontà, le sue scelte. Particolare
è stato il rapporto con il sesso, non mariti, non figli ma molti uomini
ha avuto, e così con la religione, nessun impegno, nessuna fede. Anche
il tempo libero ha impiegato nelle attività che più le piacevano o le
riuscivano utili, anche la scrittura, i brevi romanzi e i racconti
venuti prima di questo libro di ricordi, è stata vissuta non come una
disciplina ma come un diversivo, una scoperta casuale da attribuire agli
altri più che a se stessa. Senza vincoli, senza regole ha proceduto l’Athill
tranne quelle richieste dal suo lavoro in editoria ed ora, più che
novantenne e con qualche acciacco, ha ceduto all’invito di narrare la
sua vita. Lo ha fatto mostrandosi felice, contenta di dire quel che è
avvenuto e poco rattristata per quel che non c’è stato. Più importante
di tutto è per lei quanto è successo, il suo lavoro, le sue amicizie, i
suoi amori, i piaceri del suo spirito e del suo corpo. Sono state queste
esperienze a renderla una vecchia serena, tranquilla, a volte ironica,
non tormentata dal pensiero della morte ma in attesa di essa come della
conclusione naturale di un movimento che è durato tanto e tanto ha
compreso. Ha visto, ha sentito, ha conosciuto, ha detto, ha fatto molto
l’Athill, molta passione vi ha messo e questa l’ha spinta a scrivere un
libro dal quale risaltano la forza, il coraggio che l’hanno sempre
animata. Scrivere di ricordi, ricordare ha significato per lei
continuare quella vita, non avere niente da rimproverarsi, non temere la
morte poiché giungere deve dopo una “vita immensa”.
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