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Autori e pubblico Da un recente sondaggio, riportato dal settimanale "L’Espresso", è emerso che nell’Italia degli anni Novanta i gusti del grosso pubblico di lettori si sono decisamente orientati verso opere di genere umoristico prodotte da autori quali Forattini, Gino e Michele, Aldo, Giovanni e Giacomo, Altan, i "Fichi d’India", Rodolfo di Giammarco, Patrizio Roversi, Giobbe Covatta, Daniele Luttazzi, Teo Teocoli ed altri. Si tratta di libri spesso accompagnati da videocassette che riportano, antologizzano quanto dagli stessi autori è stato fatto in televisione o a teatro o nei giornali e, cioè, satira politica, di costume, umorismo e comicità di varia argomentazione e direzione, vignettistica. Alle edizioni di queste opere si sono mostrate interessate anche note case editrici quali l’Einaudi nella collana "Stile libero" e di esse sono stati registrati elevati indici di vendita. Il fenomeno evidenzia come il nostro gran pubblico sia attirato da letture che non richiedono attenzione o preparazione particolari ed anzi che mirano a liberare, scaricare da queste anche tramite le immagini di cui risultano corredate. Sono, quindi, opere che valgono per la circostanza, per l’immediato, che non si propongono valori o fini diversi da quelli di una realtà comica, evasiva, caricaturale, che intendono distogliere da ogni seria meditazione od osservazione ed anzi riducono questa a motivo di riso se non di scherno. Che questo tipo di produzione abbia un tale successo vuol dire che presso il vasto pubblico italiano i "Fichi d’India" o Forattini o Roversi o Teocoli sono più conosciuti e graditi di Ottiero Ottieri, Sebastiano Vassalli, Dacia Maraini, Susanna Tamaro o altri nostri autori del genere impegnato, significa che dagli Italiani sono apprezzati soprattutto contenuti e linguaggi concepiti per i loro bisogni momentanei o a questi adattati e, perciò lontani da ogni proposito ideale o letterario o artistico. Questi altri intenti continuano pure ad esistere ma solo per un numero ristretto di autori e lettori. E’ certamente un segno dei tempi che cambiano, delle nuove istanze, umori ed ambienti che si definiscono ma è anche un motivo per riflettere: non c’è solo tanta scrittura ma pure tanta televisione, tanta stampa, tanto cinema che ormai evade l’impegno ed invita ad evaderlo e visto che il fenomeno si verifica da tempo, con sistematicità e si presenta carico di prospettive, non si può dire di esso come di una fase particolare, di uno scadimento momentaneo dei valori tradizionali ma di un modo d’intendere ormai affermato, definito, che non lascia intravedere possibilità di modifica. Si pensi che esso resiste e continua a valere nonostante la nostra sia una società carica di problemi a livello individuale e collettivo ed anzi fa supporre che proprio questi determinino il suo successo: si ride per non pensare, per sfuggire alle incombenze. Potrebbe essere una spiegazione ma non l’unica poiché altre andrebbero cercate nel livello culturale ancora basso di molte nostre fasce sociali, in una scuola che non colma tali disparità ma le riproduce e aggrava presso i più giovani, nell’insorgere prepotente, in questi ultimi anni, delle culture e lingue del territorio che ostacolano e impediscono, ormai definitivamente il processo verso una cultura e lingua uniche, nazionali già tanto difficile in una nazione come la nostra giunta fino ai tempi moderni senza aver risolto il problema delle molte e differenti etnìe di cui è composta, nell’invasione ed estensione del sistema multimediale che, convinto di semplificare i tradizionali processi di apprendimento quali la scrittura e la lettura, ha diffuso l’idea della cultura come immagine, spettacolo, come fenomeno esteriore estendibile ovunque e a tutti annullando ogni centralità nella formazione dell’individuo e nella coscienza collettiva. Sono motivi questi che in ambiti diversi, sociale, scolastico, culturale spostano, deviano l’attenzione da quanto avviene fuori e lontano da essi come la letteratura e l’arte, non la muovono a raggiungerle e la fermano su ciò che riesce più vicino, più facile come appunto i temi e i modi della suddetta produzione. Questa trasferisce in una dimensione comica quanto accade nella quotidianità, spesso si alimenta di determinate realtà provinciali o regionali, dei relativi linguaggi e, generalmente, rientra nel concetto ormai dilagante di una cultura – spettacolo. Il fenomeno, pertanto, fa svanire ogni proposito o tentativo di convergenza verso quell’unicità che gli autori impegnati rappresentano, aggrava il divario tra loro, i loro ambienti e gli altri ambienti e modi di vita, fa sì che come agli inizi del secolo col Decadentismo molte delle loro opere traggano motivo da simile disagio. Nonostante il tempo trascorso non si è riusciti, quindi, ad eliminare o almeno ridurre le distanze che separavano un autore dal pubblico ma sono divenute incolmabili. Essere scrittore o poeta, oggi, quando cioè il processo dei tempi e lo sviluppo dei mezzi di stampa, comunicazione, diffusione sono divenuti sorprendenti, poteva far sperare in una maggiore e più ampia corrispondenza con il pubblico o almeno in un pubblico più vasto rispetto a quello del primo Novecento ed, invece, significa essere più soli. A differenza di allora, infatti, sono insorti tanti altri tipi di cultura che soddisfano in maniera più diretta, più consone, più immediata i bisogni di un pubblico che, in verità, è divenuto più ampio ma anche più variegato, più distratto, meno esigente, meno preparato. Si tenga inoltre conto che molti autori, tra quelli impegnati, si sono adattati a tale situazione, hanno prodotto per essa ed hanno aggravato il già esistente stato di confusione tra tipi di lingua, letteratura, arte, hanno contribuito a far quasi smarrire, tra i tanti che vengono prodotti, i segni di quella che sarebbe dovuta essere la vera lingua, letteratura, arte. Antonio Stanca
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