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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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La vita, un giro senza soste

di Antonio Stanca

 

Dire di un romanzo così famoso come “Grand Hotel” di Vicki Baum (Vienna 1888-Hollywood 1960) non è facile poiché tanta è stata la sua notorietà da quando è stato  pubblicato nel 1929 a Berlino e tanto si è scritto di esso che non si saprebbe cosa aggiungere. Ma l’ennesima ristampa, stavolta fatta da Sellerio l’anno scorso e curata da Mario Rubino, ha ridestato l’interesse della critica ed ha mosso verso altre osservazioni. E’ una prova che l’opera è stata tanto importante da valere ancora, da avere ancora un significato. Per la Baum, che aveva cominciato a scrivere fin da bambina per divertirsi, che aveva pubblicato il primo romanzo a trentunanni e al momento di “Grand Hotel” aveva quarantunanni, l’immediato successo di quest’opera anche oltre i confini della Germania avrebbe cambiato la vita.

Aveva studiato musica a Vienna, aveva lavorato come infermiera durante la prima guerra mondiale, trasferitasi in Germania era stata suonatrice d’arpa presso un’orchestra, poi era vissuta per molto tempo a Berlino svolgendo attività giornalistica. In seguito al successo internazionale di “Grand Hotel” e all’intenzione della Metro-Goldwyn-Mayer di ricavarne un film, nel 1932 la Baum si trasferirà negli Stati Uniti per scrivere la sceneggiatura del film che, interpretato da attori quali Greta Garbo e John Barrymore, vincerà l’Oscar di quell’anno. In America la Baum rimarrà fino alla morte lavorando come sceneggiatrice e scrivendo altri romanzi e racconti non più in lingua tedesca ma inglese. Ci saranno altre opere di rilievo, altre riduzioni cinematografiche ma insuperato rimarrà il successo di “Grand Hotel” come romanzo e come film: non si distinguerà l’uno dall’altro.

Il romanzo sarà uno dei primi best seller internazionali e la Baum sarà considerata una delle creatrici di un genere che si proponeva di estendere la lettura oltre i confini consueti, di allargare il pubblico dei lettori tramite la rappresentazione di vicende semplici e facili. Erano gli anni dopo la prima guerra mondiale quando grossi cambiamenti avvenivano in ambito culturale, sociale, economico. Era un periodo di passaggio, da elitaria la società diventava di massa e le masse entravano a far parte della vita pubblica, della storia. La letteratura non rimase insensibile a questa realtà ed in Germania si verificò la corrente detta della “nuova oggettività” (1923-1930) che si estese anche al teatro, alla pittura, alla musica. Le gravi condizioni morali e materiali nelle quali erano cadute le masse della Germania postbellica, i luoghi, i modi della loro vita saranno rappresentati da questa letteratura e di essa ha risentito, come osserva il Rubino nella postfazione, la Baum che, però, sarà “una scrittrice di prim’ordine fra quelle di seconda qualità” nel senso che la sua scrittura non rimarrà una semplice traduzione della realtà, non si ridurrà entro i confini della Germania ma cercherà altri, più ampi significati. “Grand Hotel”, infatti, risentirà di tale corrente, contribuirà a creare il best seller ma andrà oltre, l’opera vorrà aderire alla realtà, alla vita, vorrà giungere a tutti ma non rinuncerà a dire quanto urge nella sua autrice, il suo bisogno di cogliere, mostrare quel che della vita, della storia rimane sconosciuto, inspiegato, inalterato. Le sei persone, che si sono trovate nel Grand Hotel di Berlino nel 1929 e che diventeranno i personaggi principali dei quattro giorni che costituiscono il tempo del romanzo, interpreteranno ognuna una diversa maniera di essere, di vivere, saranno l’esemplificazione della varietà che compone la vita ma nessuna saprà, capirà mai perché il suo è un destino di sconfitta, di fallimento. A volte crederanno che sia possibile evitare la disgrazia abbattutasi su di loro, si aggrapperanno ad un filo di speranza, confuse, sospese rimarranno tra quanto pensato e quanto ottenuto, tra la vittoria e la sconfitta, la ricchezza e la miseria, la guarigione e la malattia, il successo e il fallimento, la vita e la morte. I loro destini sembreranno incrociarsi, combinarsi, prendere un’altra direzione ma in definitiva sempre sole ritorneranno quelle persone, ognuna resterà col proprio cattivo destino, con quella parte di vita che le è toccata e che nessuno può modificare perché “questa…così è la vita…”, è una porta girevole come quella che si trova all’ingresso dell’Hotel e che “… ruota su se stessa, e non smette di girare, girare, girare.” Con queste parole finisce il romanzo della Baum, in tal modo la scrittrice paragona l’interminabile, l’inevitabile movimento della vita al continuo ruotare di una porta girevole attraverso la quale senza sosta si entra e si esce. Un ruotare infinito perché infinite sono le persone che da quella porta passano con i loro volti, i loro pensieri, i loro sentimenti, le loro anime, le loro storie, infiniti sono gli aspetti della vita dei quali esse sono il segno. E’ quanto si propone di mostrare la Baum in “Grand Hotel” e vi riesce visto che niente di tale immensità sfugge alla sua scrittura, nessun particolare esterno o interno, dell’ambiente o dello spirito, viene trascurato. E tutto in un linguaggio che scorre chiaro, semplice, che come in un film si muove con facilità tra le tante situazioni presentate, che risulta sempre vicino, familiare al lettore, lo coinvolge fin dalle prime pagine chiarendogli, svelandogli in continuazione quelli che gli aveva fatto presagire come casi complicati.

Questi i motivi del successo dell’opera: è facile nell’esposizione, fa arrivare a tutti i suoi significati, li traduce in situazioni.

Alla Baum è bastato vivere per concepire il romanzo, per scrivere di verità che superano la realtà ma non la cambiano perché sono parte di essa!


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