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Un’architettura per l’uomo
di
Antonio Stanca
Francesco
Erbani, della redazione culturale di
Repubblica, ha tenuto una
lunga conversazione con Leonardo Benevolo, famoso studioso di Storia
dell’Architettura, autore di molte opere, e ne è scaturito il volume
La fine della città (Laterza,
Bari 2011, pagg. 150, € 12,00). In esso il Benevolo, quasi novantenne,
ha ripercorso, rispondendo alle domande dell’Erbani, tutte le vicende
che l’architettura privata e pubblica, l’urbanistica, hanno attraversato
in Italia durante lo scorso mezzo secolo. Dall’Italia del dopoguerra è
giunto a quella d’oggi passando attraverso le sue principali città,
confrontandole con quelle di altri paesi europei, ricordando i tempi, i
luoghi, i personaggi, le opere e tutto quanto ha contribuito da noi a
fare di quello urbanistico un problema quanto mai complicato. Rispetto
alle altre nazioni, dice il Benevolo, in Italia c’è confusione,
disordine riguardo all’edilizia pubblica poiché non è lo Stato a
regolarla, controllarla, ma sono i privati ed i loro sempre crescenti
interessi economici. Allo Stato questi si sono sostituiti e le
conseguenze sono gravissime. Tra le prime vanno menzionate l’espansione
incontrollata delle città, l’occupazione di vaste aree intorno ad esse
mediante costruzioni ad uso privato e pubblico e, quindi, «la fine della
città» come luogo definito, compreso entro limiti precisati. Le campagne
sono sempre più invase da fabbricati di vario genere, spesso abusivi, ed
il paesaggio ne ha fortemente risentito. Molta parte di esso è andata
perduta insieme alla storia, alla cultura, alle tradizioni che vi erano
legate. All’interno delle città
ad essere guastati se non distrutti sono stati i loro centri storici
poiché spesso si è proceduto unicamente verso il nuovo e non si è
cercato di creare una continuità tra quanto esisteva e quanto veniva
costruito. Inoltre non si è edificato tenendo conto delle esigenze,
delle richieste della collettività ma solo di quelle dei pochi,
politici, proprietari terrieri, imprenditori, che promuovevano e
attuavano le costruzioni. Non al servizio di tutti è stata
l’architettura italiana nella seconda metà del ‘900. Questa maniera
continua ancora oggi ed è l’argomento sul quale lo studioso, nel libro,
si sofferma molte volte poiché ha vissuto personalmente il problema, lo
ha sofferto, lo ha spesso denunciato. Benevolo, nato ad Orta
San Giulio (Novara) nel 1923, è un architetto, un urbanista ed uno
studioso di architettura. E’ stato docente universitario di Storia
dell’Architettura, ha collaborato, nel 1957, alla fondazione della
Società di Architettura e Urbanistica (SAU), ha progettato e realizzato
importanti opere pubbliche in alcune città italiane e nelle polemiche
che si sono verificate nell’Italia del dopoguerra circa l’urbanistica la
sua posizione si è sempre ispirata ai principi del razionalismo e del
funzionalismo. Come urbanista ha operato in modo da far coesistere il
vecchio col nuovo, da attuare un passaggio che non annullasse il primo
elemento ma lo comprendesse e gli permettesse di continuare a valere.
Come architetto ha pensato a quanto serviva all’uomo, agli spazi
necessari per la sua vita, la sua famiglia, è stato mosso da propositi
di carattere democratico, popolare. Molti problemi gli hanno procurato
queste convinzioni ma ha continuato a sostenerle. Il clima, s’è detto,
era quello che favoriva i pochi, i privati, i ricchi mentre Benevolo
stava dalla parte dell’uomo comune, degli umili, dei poveri. La sua è
stata un’architettura a dimensione d’uomo poiché è rimasta concreta,
reale, non è mai diventata appariscente, maestosa, non ha seguito le
mode. Uomo tra gli uomini è stato Benevolo architetto e urbanista: per
questo ha sofferto e lottato, per questo non ha ceduto ai tanti
richiami, alle tante attrazioni che la modernità offriva e tra le quali
si è persa tanta attività architettonica. |
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