Bernari tra letteratura ed impegno
(In Italia dagli anni ’20 agli anni ’50)
di Antonio Stanca
Il
Comune e l’Università di Roma stanno collaborando nella
preparazione di una mostra ed un convegno su Carlo Bernari in
programma per il prossimo Novembre. Scrittore di romanzi e racconti ma
anche saggista, redattore editoriale, giornalista, sceneggiatore ed
autore di un libro di poesie, Bernari nacque a Napoli nel 1909 da una
famiglia di piccoli imprenditori d’origine francese, si trasferì
poi a Milano, soggiornò a lungo a Parigi e, rientrato in Italia, si
stabilì a Roma dove è morto nel 1984. Essendo stato espulso dalle
scuole per atteggiamenti contestatori e rivoluzionari si formò da
autodidatta, frequentò gli ambienti della Napoli socialista, lavorò
da sarto e libraio antiquario, fondò a Napoli il movimento culturale
d’opposizione Udaismo, Unione Distruttivisti Attivisti, ed a
ventunanni, nel 1930, era a Parigi attirato dal gran movimento di
cultura ed arte che nel capoluogo francese allora si verificava, che
in tante avanguardie aveva preso corpo ed in particolare nel
surrealismo di Andrè Breton. Nel 1934, in Italia, scrisse "Tre
operai", storia tragica di tre giovani popolani, Teodoro, Marco,
Anna, alle prese con i problemi del lavoro, ansiosi di realizzare le
proprie aspirazioni e costantemente delusi, sconfitti dal sistema
ovunque, Napoli, Roma, Taranto, Crotone, fossero venuti a contatto con
esso. E’ un’opera ambientata nell’Italia degli anni 1910-20, un’opera
che discute, nega gli allora conclamati principi di onestà e
giustizia sociale e che solo mediante la rivoluzione ritiene possibile
raggiungere un equilibrio nella vita individuale e collettiva. Una
prova coraggiosa per il Bernari dal momento che si colloca negli anni
del regime fascista ed anche per questo otre che la prima sarebbe
risultata la più conosciuta dello scrittore tra tanta altra sua
seguente produzione narrativa. Di essa avrebbero fatto parte, tra i
più noti, i romanzi "Quasi un secolo" (1940) dove si
contesta il potere della borghesia, "Tre casi sospetti"
(1946) incentrato sulle severissime misure adottate dalla dittatura
fascista, "Prologo alle tenebre" (1947) circa il sospirato
raggiungimento di una coscienza sociale in ambito intellettuale,
"Speranzella" (1949) per l’Italia che diventava
repubblica, "Vesuvio e pane" (1952) per l’ennesima
delusione sopraggiunta nella vita privata e pubblica degli italiani
durante il secondo dopoguerra, "Domani e poi domani" (1957)
ispirato dal fallimento della politica agraria nel Sud d’Italia,
"Un foro nel parabrezza" (1971), "Tanto la rivoluzione
non scoppierà" (1976) e negli anni ’80, poco prima della
morte, "Il giorno degli assassinii" e "Il grande
letto". In quest’ultime opere il romanzo d’ambiente ha ceduto
il posto ad una narrazione più ambiziosa perché più impegnata a
cogliere le gravi ambiguità, contraddizioni che segnano la moderna
condizione di vita ovunque si verifichi. Bernari persegue ora una
dimensione più ampia, estesa all’uomo moderno colto nella sua
esistenza e nelle gravi perdite che il sistema sociale, politico ha
significato per quanto di autentico, di naturale era sempre stato suo.
Nonostante simili sviluppi centrali rimarranno nello scrittore il tema
del rapporto tra l’uomo e la storia, l’individuo e la società, l’aspirazione
a nuovi, diversi sistemi politici che potessero salvaguardare i
diritti umani più elementari. Suoi ascendenti culturali vanno
rinvenuti nel marxismo, nel cosiddetto crocianesimo di sinistra, nel
verismo del Verga e, tra i più vicini, nelle posizioni polemiche e
contestatrici del sistema espresse da autori quali il tedesco Döblin
e l’americano Dos Passos, nella condizione di esclusione, di
condanna morale esercitata dall’ambiente verso l’individuo e
propria di scrittori italiani quali Tozzi e Svevo. Ampia la cultura
del Bernari ma personale, soltanto sua la lezione a lui da essa
derivata sia nel contenuto sia nella forma delle opere. Questa
migliorerà nel corso dell’attività narrativa dell’autore senza
perdere i suoi caratteri distintivi, cioè un registro linguistico
impegnato a rendere la misura del vissuto, del quotidiano e, per
questo, immediato, essenziale, paratattico con larghe concessioni al
dialetto o, in genere, all’informale. Naturalistico potrebbe essere
definito il suo stile, d’impegno sociale, politico il suo contenuto
e per entrambi va riconosciuto un processo sempre in atto, entrambi
costituiscono gli elementi di una ricerca mai smessa. Ma pur tra tanta
applicazione Bernari non assurgerà mai alla dimensione richiesta dall’arte
poiché quelle che gli erano sembrate delle novità, il linguaggio ed
i temi, saranno anche i limiti della sua opera nel senso che la
circoscriveranno impedendole di superare la particolarità dei casi
rappresentati per la generalità di un messaggio o concezione o
visione. Soprattutto storico rimane, pertanto, il suo valore, polemico
il suo significato e la sua narrativa una testimonianza, tra le
maggiori, del fenomeno letterario detto "realismo",
verificatosi nell’Italia degli anni ‘20 e ’30 e volto a
rappresentare, da parte dei suoi autori soprattutto scrittori, la
condizione di una nazione diversa, perché povera, afflitta, carica di
problemi specie nei suoi strati popolari, da quella che le imperanti
ideologie del fascismo lasciavano intendere. Si andava diffondendo,
come anche teorizzato dalla rivista fiorentina "Solaria", la
tendenza a considerare l’autore un intellettuale impegnato nella
realtà, nella storia, nella rivendicazione dei diritti delle fasce
più umili della popolazione, nella formazione di una loro coscienza
di classe, si propendeva a ritenere l’opera letteraria il riflesso
più autentico delle condizioni del proletariato, del suo vissuto, del
suo parlato, il documento più fedele, più "reale" della
sua esistenza nel quale, a differenza del verismo, la condizione
borghese dell’autore non comparisse quale termine di confronto. Si
perseguiva, nelle narrazioni, un’oggettività assoluta con la quale
s’intendeva anche reagire sia agli eccessi di soggettivismo, all’estetismo,
al superomismo, al preziosismo che avevano caratterizzato la
letteratura decadente sia al calligrafismo della rondesca prosa d’arte.
Mancò, tuttavia, al "realismo italiano"
quell’elaborazione critica che gli permettesse di acquisire una
coscienza propria, unica, di divenire una corrente dai temi e modi ben
riconoscibili in ogni autore e per questi motivi di esso si può dire
soltanto come di un’atmosfera, una tendenza, un’aspirazione, delle
quali gli scrittori parteciperanno ognuno con i propri mezzi. Accanto
a Carlo Bernari vanno ricordati Ignazio Silone, Francesco Jovine,
Corrado Alvaro, Alberto Moravia per dire dei più noti. Questi autori
saranno considerati, in alcuni casi erroneamente, i precursori del
"neorealismo" italiano avvenuto dopo la seconda guerra
mondiale negli anni 1945 – 55. In quest’altra fase molti di essi
avrebbero ottenuto i risultati migliori ed a loro si sarebbero
aggiunti altri quali Cesare Pavese, Elio Vittorini, già comparsi
prima, Beppe Fenoglio, Italo Calvino, Roberta Viganò, Carlo Cassola,
Primo Levi, Mario Tobino, Carlo Levi. A farli sentire uniti, stavolta,
sarebbe concorsa la comune aspirazione a ricostruire quanto distrutto
dalla guerra, a procurare un’immagine culturale ad una nazione che l’aveva
persa, a seguire orientamenti politici di sinistra, a rifarsi ad
esempi di scrittori stranieri. Tuttavia ancora diversi sarebbero
risultati gli esiti di ogni autore perché anche questi umori diffusi
sarebbero stati vissuti personalmente e l’intera produzione
neorealistica avrebbe oscillato tra realtà e memoria, impegno ed
evasione, storia e mito, esteriorità ed interiorità, vita ed anima.
Per Bernari, s’è detto, questo momento avrebbe
rappresentato uno sviluppo nei contenuti ed un miglioramento nella
forma. Realista e neorealista a suo modo egli è stato e seguendolo in
tale processo si ha la possibilità di conoscere in maniera esauriente
un periodo molto particolare della nostra storia civile e letteraria.
Questo si propongono la mostra e il convegno in preparazione a Roma e
dalle anticipazioni circa i loro programmi è trapelato che entrambi
hanno in serbo materiali e documenti finora completamente inediti che
dovrebbero servire a restituire lo scrittore e i suoi tempi alla loro
verità. |