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Proust si scopre eterno di Antonio Stanca Si è tornato a parlare del famoso scrittore francese Marcel Proust (Parigi 1871-1922) quando, tempo fa, è comparso, presso Mondadori, il volume “Divina Sarah” a cura degli studiosi Arthur Gold e Robert Fitzdale. E’ una raccolta di lettere inedite intercorse tra la nota e acclamata attrice francese Sarah Bernhardt (Parigi 1844-1923) ed i suoi tanti amici, amanti ed ammiratori. Dalla sapiente sistemazione operata dai due biografi deriva un’insolita e finora sconosciuta immagine della Bernhardt: ella non sarebbe stata solo una fragile, volubile, svenevole attrice ma anche una decisa e calcolata impresaria, un’abile amministratrice di sé e dei suoi successi. Tra le lettere di ammiratori compaiono pure quelle di Proust, il quale avrebbe tratto dalla Bernhardt gli elementi necessari a costruire, nella “Recherche”, la figura della scrittrice Berma. Anche per il personaggio di Charles Swann lo scrittore si sarebbe ispirato alla persona di Charles Haas, galante frequentatore dei salotti parigini, di cui l’attrice sarebbe giunta a chiedere l’amore. Sono sufficienti queste poche indicazioni a riportarci nel clima fascinoso della “Recherche” proustiana popolata e animata da tante altre figure, situazioni, vicende, nelle quali lo scrittore ha trasfigurato quelle da lui realmente vissute. L’opera è un’immensa autobiografia, mediante la quale Proust ricostruisce, con il ritmo lento e inesausto della sua amplissima e abilissima prosa, gli ambienti dell’alta società francese, in particolare parigina, a cavallo tra ‘800 e ‘900, ne rivela i vizi nascosti e constata le trasformazioni che i tempi moderni vi hanno apportato. Indaga anche sugli strani e spesso deludenti riflessi che precisi eventi storici hanno provocato in tali ambienti, sprofonda in divagazioni e collegamenti tra i più arditi ponendosi dalla parte del frequentatore di quel mondo e dell’acuto osservatore. Si può dire che la “Ricerca” è la “summa” più completa e penetrante della vita e storia francesi comprese tra “fin de siècle” e “belle èpoque”. Si sa che Proust attese all’opera esiliandosi dal mondo fino alla fine dei suoi giorni e che l’idea chiara e definitiva di essa gli venne durante la famosa “matinée” presso i principi di Guermantes, rappresentata nella conclusione. A causa delle molte particolarità, dei continui rinvii a tempi e luoghi lontani e diversi e soprattutto per le tante sovrapposizioni dovute alla concezione proustiana del tempo, risulta difficile ottenere una sintesi compiuta della “Recherche” o indicare dei precisi modelli ispiratori. Non si può negare, tuttavia, che lo scrittore sia stato attirato da quella tradizione letteraria francese del romanzo-fiume che aveva trovato in Saint-Simon e Balzac alcuni tra i maggiori interpreti, né si può omettere che Proust sia stato influenzato dagli insegnamenti di maestri quali Darlu, sostenitore del valore ideale dell’arte, e Bergson, filosofo intuizionista e propugnatore della teoria del tempo quale durata morale e spirituale ed, infine, non si può pensare di astrarre il narratore da una Francia brulicante, in quel momento, di movimenti e correnti di pensiero, cultura ed arte. Questo è soprattutto il Proust giovane, sensibile alla poesia, alla musica, alla pittura, che ha già prodotto degli scritti come “Les plaisirs et les jours”, ove tali gusti risultano rilevanti, e che ha pure concepito l’idea di un vasto romanzo, l’ha intrapreso nel “Jean Santeuil” ma abbandonato perché non rispondente alle sue aspirazioni per quella “ vera, grande opera d’arte” da lui sognata, pare, fin dall’infanzia. Sarebbe poi venuto il Proust mondano, raffinato parlatore e frequentatore del Faubourg, il traduttore, il critico, ma altro doveva accadere perché la sua voce suonasse diversa tra tante, perché approdasse all’opera per la quale gli sembrava d’essere nato e vissuto. Finora aveva vagato alla sua ricerca e, sopraggiunta la maturità, era angosciato dal pensiero di una missione mancata e di una morte imminente a causa della malattia di cui aveva sempre sofferto. Niente poteva aiutare Proust a procurargli, chiarirgli quanto cercava, nessuna tradizione o insegnamento o richiamo passato o presente, nessun elemento esterno poteva ispirare chi tendeva ad una realizzazione originale, nuova, nella quale ogni precedente sarebbe dovuto risultare compreso e riplasmato alla luce di una verità artistica profonda ed unica, evidente ed indiscussa, personale ed universale. Questo il problema che Proust sentiva di dover risolvere anche se ormai gli sembrava d’essergli rimasto solo il tormento per una vita ed un tempo trascorsi invano. Succederà, però, che da qui, da questo stato d’insopprimibile sofferenza, da questa tensione, da questa penosa constatazione del “tempo perduto”, si sarebbe egli sentito improvvisamente mosso a “ricercarlo”, che da qui sarebbe affiorata quella verità umana ed artistica sulla quale sarebbe sorto l’imponente edificio della “Recherche”. A suscitare e sostenere la tanto inseguita aspirazione saranno alcune particolari sensazioni relative alla capacità dell’autore di sentire e vivere il passato con lo stesso animo di allora. Esse, già avvertite in precedenza, la “madeleine”,e trascurate si sono ripresentate all’improvviso mentre, recatosi dai Guermantes, attende nella biblioteca del palazzo e si tortura al pensiero della vanità della sua vita e di sé. Nell’ora del maggior dolore per quanto sembrava ormai irrimediabilmente finito, “perduto”, Proust scopre che può “cercarlo” e recuperarlo perché depositato in lui ed in attesa di vedere la luce, quando è più preso dalla paura per una vita ed un’opera sfumate, scorge la via della salvezza, quella rimasta celata dietro l’apparenza perché interiore all’uomo come ogni verità, ogni “essenza”. Quelle sensazioni erano state illuminazioni, resurrezioni ed anche rivelazioni delle verità e dei fini a lungo cercati ed erano avvenute involontariamente visto che a provocarle erano bastati un odore, un sapore, un suono, una vista, un contatto. Non la ragione ma i sensi, non la memoria intelligente ma quella involontaria, gli avevano fatto scoprire l’oggetto e l’aspetto dell’opera sempre sospirata, lo scopo della sua vita. Era chiaro, ora, che il tempo passato sarebbe stato il protagonista di una simile “Ricerca”, quel tempo che in lui e per lui era sempre durato e poteva essere ripreso insieme a tutto ciò, persone e cose, che di esso avevano fatto parte. Il suo tempo era anche quello di quanti l’avevano popolato ma siccome per questi, presi, cambiati, guastati da altre cure, esso era finito, “perduto”, Proust poteva considerarsi il prescelto giacché l’unico a poter annullare quanto si era trasformato o interposto e resuscitare, tramite il suo, il passato di tutti, riviverlo in sé e nella propria opera. Scoperta l’identità tra la vita, l’opera e l’arte, spettava all’artista penetrare nelle profondità dell’esistenza e riprendere le verità smarrite tra gli sviluppi ed i cambiamenti avvenuti, recuperare l’uomo tra le tante sembianze che aveva assunto, restituirgli l’anima e collegarlo oltre ogni suo limite, stabilire una continuità, indicare una nuova eternità. Significava assumersi il compito di scopritore e interprete dello spirito dei tempi, di restauratore dell’”essenza delle cose” e suo salvatore da tutto ciò che cospirava contro, riscattare il proprio ed altrui danno sottraendoli alla corruzione che li aveva provocati, respingendo il tempo immediato, presente e riferendosi ad uno più esteso, totale. Significava pervenire ad un’acquisizione morale e spirituale permanente per l’umanità, segnalare la possibilità di una nuova dimensione, di un’altra vita, svelare il segreto di un’infinità, di un’immortalità concrete, attuabili poiché non concesse dalla divinità ma insite nell’uomo. E’ tutto un mondo, un universo che viene illuminato improvvisamente da questa luce e sottratto al silenzio, all’oscurità ove giaceva. E’ il mondo, l’universo di Proust “ disancorato” dall’oblio e riportato alla coscienza tramite una “Ricerca” compiuta nella sua interiorità, nei suoi più remoti recessi, è quella sterminata galleria di ambienti, personaggi, “tipi”, che compongono l’opera e nei quali la sensibilità dell’autore ha trovato il modo migliore per mostrarsi unica e infinitamente multipla. Una simile conquista elevava a sistema d’idee, pensiero, concezione quelle che erano state sensazioni momentanee perché univa la vita all’opera, la realtà all’idea, il corpo allo spirito, il finito all’infinito, l’umanità all’eternità, la forma al contenuto, in un rapporto ove era difficile distinguere tra chi contribuiva maggiormente. Per essere artista Proust aveva scoperto che gli bastava essere se stesso, lasciarsi attirare da “una finestra illuminata”, bearsi di ricevere lo sguardo di “due occhi stellari” o “la pioggia scintillante di un sorriso”, sentirsi chiamato ad eternare tali frangenti. Nella “Recherche” l’uomo e lo scrittore, la vita e l’arte procedono insieme come in un destino ineluttabile. Per questo, nonostante la complessità da cui proviene e che contiene, l’opera sembra un fenomeno naturale, necessario. Avviene così quando il messaggio definitivo risulta semplice quale quello di un’umanità che “ritrova” nella vita la possibilità di essere eterna. |
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