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Un caso risolto
(Tra forma e contenuto)

di Antonio Stanca

E’ la storia di una ragazza, dei suoi vent’anni, quella narrata dalla romana Patrizia Bisi in “Daimon” uscito in questi giorni presso Einaudi. Nella sua seconda prova narrativa la Bisi, di professione matematica, ha voluto dire di un caso particolare di bambina, adolescente e giovane, Diletta Lanzetti, figlia di Enrico e Betty. Ella nasce a Milano, segue la famiglia a Padova ed infine a Roma. Fin dalla nascita e dalla prima infanzia e formazione nella scuola materna Diletta è mostrata diversa nel corpo e nello spirito, alcune sue forme sono irregolari e il comportamento è strano, generalmente ribelle. I medici, noti specialisti, la considerano una paranoica, una schizofrenica e la curano con i farmaci o i ricoveri che ritengono adatti. Intanto lei, aiutata dal padre musicista, ha imparato fin da piccola a suonare il piano ed in maniera eccellente anche se non sa e non vuole imparare a leggere la musica. E’ un’altra delle sue stranezze che continueranno per tutti gli anni della scuola superiore. Ma le manifestazioni più gravi dei suoi disturbi avverranno in casa dove già tra padre e madre esistono problemi di comunicazione. Lei, di origine americana, è irrequieta, ama muoversi, lui, di Padova, è controllato fino ad apparire pedante. Giungeranno ad accettare di vivere separati in casa rifiutando la soluzione del divorzio anche per le condizioni della figlia.

Ma basterà che questa decida di andarsene, di fuggire in America presso i parenti o gli amici della madre perché il suo stato si normalizzi al punto da rappresentare quasi l’unico corretto tra tanti altri intorno non solo scorretti ma pericolosi. Quasi sempre saprà, per telefono, da amici o parenti che sono accadute “brutte cose” e la sua opinione, il suo giudizio saranno ritenuti importanti. Inoltre Diletta, una volta in America, si sistemerà fino a pensare ad un lavoro, umile, modesto agli inizi, sarà poi cercata e assunta per le sue qualità musicali, vivrà con un amico della madre, si legherà a lui e solo all’apparire del padre, che vuole riportarla a casa, avrà una reazione nervosa incontrollata che, come quelle precedenti, vorrà esprimere il suo rifiuto nei riguardi dell’ambiente familiare. Era una liberazione dalla famiglia, quindi, quella che Diletta cercava anche se i motivi non risultano molto chiari. Sembrerà strano, tuttavia, come la scrittrice ne abbia fatto all’inizio un caso così complicato, come l’abbia presentato difficile se non impossibile da risolvere quando la soluzione era non solo facile ma anche immediata. Nonostante questo la Bisi si mostra sicura dei suoi mezzi espressivi, capace di un linguaggio chiaro, scorrevole, dagli effetti singolari persino poetici. Si può dire che le qualità della forma superano quelle del contenuto al punto da far trascurare il problema al lettore poiché avvinto e coinvolto. Si partecipa di quanto si legge, lo si vive o lo si è vissuto.  Il folletto, lo gnomo, col quale Diletta divide le sue esperienze è stato di tutti, è stata quella voce interiore che ha fatto parte di ogni crescita, di ogni maturazione, il “daimon” di ognuno di noi e la Bisi, procurandogli una figura, un’anima, una voce, completa il suo personaggio e fa sì che ci si riconosca subito in esso, in quella situazione sospesa tra realtà e idea che è propria della giovinezza.


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