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Brando, la morte come riscoperta di Antonio Stanca
Negli ultimi lavori era stato l’interprete stanco, confuso, di vicende che risentivano della crisi di valori comportata dai tempi moderni, del malcostume che aveva invaso ogni ambiente compreso quello del cinema. Si era, quindi, ritirato dalle scene anche perché la vita gli aveva riservato non pochi problemi e tra questi, vecchio e malato, aveva trascorso gli ultimi anni. La morte è giunta venerdì 2 luglio e la notizia ha attirato molta parte dell’opinione pubblica perché Brando rappresentava un cinema che oggi non c’è più, un’epoca completamente diversa dall’attuale. Sapere che è morto è stato come riscoprire, riportare alla conoscenza, sottrarre al silenzio non solo la sua vita ed opera, il valore del suo cinema ma anche i suoi tempi ed ambienti con gli altri loro valori. E, naturalmente, si è arrivati al confronto con i nostri tempi ed ambienti, ad un paragone che, come sempre, s’è concluso a danno di questi poiché ritenuti alterati, guastati rispetto ai precedenti nonostante siano separati da poco tempo. E’ segno di una diffusa condizione di nostalgia, di un generale vagheggiamento del passato e sono sufficienti occasioni del genere a farlo riemergere, a far pensare ai suoi principi e sistemi ormai irrimediabilmente perduti. Con la morte di Brando, di un rappresentante, cioè, del grande cinema passato, è successo come quando oggi muoiono autori od artisti d’altro genere ma della stessa epoca: ci si accorge che della vita, dei valori di un tempo c’era ancora un testimone e la notizia suscita interesse poiché muove a pensare, recuperare, rivalutare. Ma fa anche constatare che oltre a pochi superstiti niente c’è più di quel tempo e che quando essi saranno finiti mancherà pure l’occasione per rimpiangerli insieme alle loro cose. Sarà grave ma avverrà! |
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