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Oggi in carcere di Antonio Stanca Alain Brossat, professore presso l’Università di Parigi VIII Saint-Denis, ha pubblicato, per i tipi di Elèuthera, “Scarcerare la società”, un ampio saggio di carattere storico, antropologico, sociale, filosofico, politico, dove continuo è il riferimento a noti studiosi di fenomenologia, autori di testi fondamentali nella storia del pensiero e costume occidentali moderni e contemporanei. In questi autori e nei loro libri Brossat cerca i supporti necessari a sostenere la propria teoria circa l’inattualità del sistema carcerario, la sua difficile, incompatibile collocazione nell’atmosfera morale, culturale dei nostri tempi. Come può succedere, si chiede il filosofo, che mentre si parla diffusamente di recupero e rispetto dei valori umani più semplici, che quando si proclamano a gran voce l’universalità e l’estendibilità dei diritti civili, esista e si rinforzi un’istituzione come quella carceraria che priva i detenuti di tutti i valori e diritti? Com’è possibile che tra tanti spazi, materiali e morali, acquisiti dalla moderna condizione umana e sociale il carcere rappresenti una zona staccata da tale contesto, separata da ogni conquista di pensiero ed azione? L’indagine del Brossat sull’argomento è estesa e dettagliata, esso viene valutato da molti punti di vista e sempre si giunge alla conclusione che il carcere oggi è anacronistico, superato oltre che negativo, dannoso. Abolita la pena di morte il carcere a vita ha rappresentato la sua versione più umanitaria per i casi di colpa più grave. Ma non si è ancora compreso o non si vuole comprendere che questa pena è peggiore della morte perché comporta, per l’interessato, privazioni così lunghe ed estenuanti da esaurirlo in quanto persona capace di pensieri e sentimenti, ridurlo soltanto al suo corpo, alla sola materia di esso ed alla sua durata in quanto tale. Anche per le torture, i supplizi, inflitti in passato ai carcerati, si è giunti ora alla loro fine ma solo se non si tiene conto che altri, diversi maltrattamenti, fisici e morali, sono riservati a chi è detenuto. Un’istituzione, quella del carcere, che rispetto ai tempi antichi, all’età della barbarie non sembra, dunque, aver perso molto giacché ha continuato nel suo sistema oppressivo, persecutorio. A spiegazione del fenomeno Brossat adduce tanti motivi. Primo tra tutti quello di uno stato che, pur se moderno in tutte le sue istituzioni, riguardo a quella carceraria indugia da anni a modificarsi e si perde tra infinite polemiche e manifestazioni. Ha bisogno, lo stato, di mantenere questo luogo e le sue gravi condizioni dal momento che in esso finiscono generalmente esponenti delle fasce sociali più emarginate, della “plebe” attuale, che, dovendo vivere di espedienti, sono i più propensi a commettere reato. Come non ci si impegna a modificare questa condizione umana così non si provvede a trasformare o abolire il carcere. Questo, poi, rappresenta per la parte “migliore” della società, per i cittadini che vivono “onestamente,” la linea di demarcazione, la separazione tra essi e i “disonesti”, i peccatori, i colpevoli; offre ai primi la possibilità di vivere tranquilli sapendo che, se disturbati, offesi dai secondi, ci sarà, tramite il carcere, la necessaria punizione e che la paura di questa tratterrà dal disturbare od offendere. Né si può dire del carcere come di un luogo di rieducazione alla vita, di reinserimento nel sociale poiché l’esclusione da esso comportata non forma ma aggrava quanto di perverso già esisteva. Queste e molte altre sono le argomentazioni addotte dal filosofo per spiegare come il carcere debba ritenersi inadatto ai nostri tempi, come le privazioni da esso comportate contrastino con la condizione democratica e civile ormai stabilmente acquisita dalla società moderna. Si conclude il saggio senza, però, che il Brossat tracci un programma sostitutivo del carcere e questo sorprende il lettore che ha seguito un così lungo ed ampio discorso di contestazione del sistema. Altra sorpresa riserva il Brossat a chi legge ogni volta che, nel corso della dissertazione, gli fa scoprire come essa sia da riferire solo allo stato francese e non da estendere a tutti gli stati dell’Occidente che di quello francese non possono essere considerati molto diversi. Nonostante questo il saggio dà la possibilità di conoscere ed approfondire un fenomeno, un aspetto della vita, della società generalmente trascurato dai mezzi di comunicazione di massa, passivamente vissuto e scarsamente valutato dall’opinione pubblica, svela una situazione che, per essere sempre esistita, è divenuta un luogo comune, un acquisizione inalterabile, fa di una regola un problema. |
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