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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
- ISSN 1973-252X
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Francesco Bruno, Pedagogia sociale
Pensa, Lecce 2009, pagine 198

di Anita D’Aloisio

   Una scorsa all’indice di questo volume, che è stato compilato da autori vari, ha attirato la nostra attenzione il capitolo riguardante “Le basi neuro scientifiche dei processi educativi e socio-culturali”.  Secondo autorevoli studiosi, le neuroscienze stanno “rivoluzionando” non solo la medicina e la cura delle malattie, ma la stessa visione della vita e del mondo (Kandel). La loro influenza si sta rivelando essenziale anche nella conoscenza dei processi di apprendimento e di sviluppo del bambino, per migliorarne le prestazioni.

  Alcune ricerche mostrano che il bambino maturi non secondo ritmi lineari e costanti, ma in base a fasi evolutive. Sottesi alla progressione di ognuno di questi stadi ci sono cambiamenti neurali. Esiste al riguardo una grande quantità di conferme sul fatto che il cervello passi per “ogni genere di cambiamento nel corso dello sviluppo: le sinapsi aumentano e diminuiscono, mentre i neuroni nascono e muoiono” (LeDoux).

   Un orientamento basato sul funzionamento del cervello tenta di utilizzare le conoscenze sullo sviluppo e sul funzionamento cerebrale per indirizzare la prassi pedagogica ed educativa. I pedagogisti, gli psicologi e gli educatori dovrebbero utilizzare al massimo le conclusioni neuro scientifiche nei loro sforzi di potenziare il processo educativo e formativo. L’istruzione e l’educazione basate sul funzionamento del cervello e della mente sono una realtà che promette molto anche se finora questa rimane un dato puramente teorico e astratto e privo di concreta attuazione. La stessa analisi dei concetti pedagogici esprime una condizione caratterizzata da una frammentata, disorganica e astratta varietà di visioni delle pedagogie. Le quali presentano pertanto una crescente “fragilità scientifica”.

   Allo stato della ricerca, non esiste alcun concetto ampiamente riconosciuto di educazione, così come non esiste nemmeno un concetto di pedagogia. In questa visione si colloca il presente libro, il quale difetta di qualsiasi impostazione teorica assunta come spazio concettuale di riferimento, ovvero di una solida teoria generale e unitaria, che possa includere l’intera concezione delle scienze dell’educazione e del comportamento umano. Non abbiamo rilevato poi non solo alcun riferimento alle indicazioni teoretiche che hanno “guidato”  la riflessione pedagogica nel corso della sua evoluzione. Ma non c’è traccia neppure di un quadro generale, fatto che è principio irrinunciabile per accostarsi a un sapere, quello educativo e pedagogico, che permane ancora una faccenda evanescente e imprecisa, priva di un fecondo intreccio tra dimensione teorica e dimensione esperienziale.

   Alla luce della complessità dei processi educativi e socio-culturali, ci si attendeva la descrizione di un preciso paradigma teorico di natura interdisciplinare, cioè dei diversi saperi delle scienze educative in relazione alla pedagogia generale e alla pedagogia sociale. Ci riferiamo in particolare alle differenze esistenti tra una concezione improntata al “personalismo pedagogico”, e una concezione che attribuisce valore alla ricerca scientifica e alle sue procedure euristiche, nonché ai percorsi di natura fenomenologica, ermeneutica, critico-metateorica, di pedagogia clinica e di biopedagogia.

   Non abbiamo inoltre ravvisato nel testo l’illustrazione di un corredo di analisi sul percorso sia della pedagogia generale che della pedagogia sociale alla ricerca della propria autonomia scientifica e alla direzione dello studio teorico (empirico, sperimentale, metateorico, critico,ecc.). Una ricerca attenta all’analisi dei “fini” e dei “mezzi” educazione-istruzione-formazione, e all’orientamento della prassi pedagogica, cioè alla programmazione-realizzazione-verifica dei processi formativi.

   Non sono presenti inoltre in queste pagine i fondamenti teorici della pedagogia sociale e i molteplici contesti e le peculiarità dei diversi ambienti educativi, rispetto alla primaria e ineludibile esigenza di una fondazione speculativa della disciplina e di una ricognizione dei campi operativi. Così come non si rinvengono schemi delle basi dottrinali centrate intorno allo sviluppo del bambino visto come progettualità relazionale e culturale; né vengono individuate le categorie chiave, i contenuti, i metodi e gli obiettivi formativi. Anche in relazione sia all’inquadramento delle posizioni di quegli autori che ne hanno connotato il campo d’indagine con essenziali contributi sia ai più importanti orientamenti di ricerca presenti all’interno del sapere pedagogico.

   Concludendo, un libro che non aggiunge nulla a quel che si sapeva e che presenta, come abbiamo mostrato, molti limiti. Anche di scrittura. Appare infine incomprensibile come l’autore, che risulta esercitare la professione di criminologo, insegni pedagogia.


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