Intervista alla scrittrice Francesca Capelli
di Mario Coviello
Lunedì
9 maggio 2011, nella bibliomediateca dell’Istituto Comprensivo di Bella,
è stata premiata la vincitrice, per la sezione narrativa 12-16 anni, del
Premio Nazionale di letteratura
per l’infanzia e l’adolescenza “Città di Bella” la scrittrice
Francesca Capelli per il romanzo “ L’estate che uno diventa grande”
Sinnos editrice.
Il romanzo racconta la storia di Saverio che fa un viaggio in Argentina
con il padre e conosce il dramma dei desaparecidos, dei neonati venduti.
Il romanzo è stato il più votato tra cinque romanzi finalisti da una
giuria di 80 ragazzi delle scuole medie e superiori della provincia di
Potenza. Ho letto che sei giornalista, traduttrice,
divulgatrice, scrittrice di libri per i ragazzi; nelle tue foto su
internet sei solare e accogliente. Quale tra tutti i mestieri che fai
ti appassiona maggiormente e perché ?
In questo momento quello
di scrittrice, forse, ma è davvero difficile fare classifiche perché le
tre professioni rappresentano altrettanti aspetti di una stessa
attività: la scrittura. E sono strettamente legate. Sono giornalista da
oltre 20 anni, è stato il mio primo incontro con la scrittura da
professionista e il mio primo amore. E’ un lavoro che ancora oggi faccio
con passione, inoltre spesso mi fornisce la materia prima, gli spunti
per le mie storie. Traduco romanzi per ragazzi da francese, inglese
e spagnolo e anche questo è un lavoro che mi piace molto. Non mi sento
per niente sminuita a dare una voce italiana ad altri scrittori, a
scegliere le parole per loro (come ha detto una volta un bambino, una
definizione che trovo azzeccatissima). Sono la traduttrice italiana di
Anne-Laure Bondoux (“Le lacrime dell’assassino”, “La vita come viene”,
“Figlio della Fortuna”, tutti pubblicati da San Paolo) e questo mi fa
sentire molto onorata. Tradurre, inoltre, è un ottimo esercizio che ha
molto migliorato il mio stile di autrice. Perché mi obbliga a cercare il
termine giusto senza accontentarmi del primo che mi viene in mente, a
essere il più precisa possibile per restituire senso, addirittura per
costruire frasi che abbiamo lo stesso ritmo e la stessa musicalità
dell’originale. Hai pubblicato molto sull'ambiente, la
biodiversità, e sul consumo consapevole di acqua, energia, sulla
raccolta differenziata. Hai una gatta che è la vera padrona della tua
casa e gli animali sono protagonisti dei tuoi libri come in " Il grande
cane nella città fantasma".Con i tuoi laboratori giri l'Italia per
educare al consumo consapevole e a non sprecare. Cosa è per te la
natura, come possiamo consegnare alle future generazioni un mondo "
pulito"?.
A tutti piace fare una passeggiata in montagna o fare
il bagno in un mare cristallino. Ma il nostro rapporto con l’ambiente
non può essere solo di tipo bucolico. Quello che è necessario capire – e
che cerco di spiegare ai ragazzi – è l’interdipendenza tra i fenomeni e
comportamenti. Buttare in mare un mozzicone di sigaretta significa aver
creato un rifiuto che ci metterà anni a decomporsi e nel farlo rilascerà
sostanze tossiche. Lasciare avanzi di cibo in un parco naturale
inserisce nella catena alimentare degli animali che lo mangeranno un
elemento estraneo che andrà a turbare un equilibrio. Insomma, certi
comportamenti non si fanno non perché “non sta bene” (non solo, almeno),
ma perché danneggiano l’ambiente e questo avrò ricadute negative per
tutti. Nel tuo penultimo libro hai raccontato della tua
esperienza all'Aquila dopo il recente terremoto. Bella, la cittadina
della Basilicata che ti premia ,è uno dei comuni dichiarati disastrati a
seguito del sima del 23 novembre 1980. Perchè hai voluto scrivere un
libro sul terremoto?
Il libro è nato dopo alcuni soggiorni
all’Aquila, all’indomani del terremoto, grazie al festival Minimondi che
organizzò nelle tendopoli e nelle scuole incontri con autori per
ragazzi, spettacoli e laboratori. Fui colpita dal numero di cani che
avevano perduto i loro padroni e vagavano tra le macerie in cerca della
compagnia dell’uomo. Uno in particolare mi commosse e decisi di
inventare una storia per lui, una storia che forse è la sua storia o
forse no, ma non è questo l’importante. Volevo anche restituire
un’emozione ai bambini dell’Aquila che di emozioni me ne avevano
regalate tante. E soprattutto volevo scrivere qualcosa sul terremoto non
con il linguaggio realistico della cronaca, ma con quello simbolico
della fiaba.
Nei tuoi libri e laboratori affronti il tema della
malattia e della morte, ti occupi della vita dei ragazzi malati in
ospedale e hai scritto per iniziative di Telethon. Perchè si deve
raccontare la morte e la malattia ai ragazzi ?
Io credo che ai
ragazzi si possa e si deve raccontare tutto, l’importante farlo nel modo
giusto. Si tratta di realtà con cui ognuno di noi prima o poi deve fare
i conti. La sofferenza di un bambino ci sembra insopportabile e
ingiusta, e lo è. Ma non è ignorandola che possiamo aiutare quel
bambino. Dobbiamo essere noi adulti ad avere una funzione contenitiva, a
guardare in faccia il dolore e a restituirlo “digerito” e “raccontabile”
ai più piccoli. Nel caso del libro “Mi prendo cura di te”, che parla
dei diritti dei bambini in ospedale, cerco di raccontare l’ospedale come
luogo amico, nel quale può capitare di dover andare (ma molti bambini
vivono questa esperienza non in prima persona, ma attraverso la malattia
di un amico). Voglio fare emergere il diritto del bambino a non essere
un numero ma una persona, ad avere accanto chi ama, a vedere rispettato
il suo senso del pudore, la sua integrità fisica, il suo diritto a
sapere come sta, quali cure gli stanno facendo e perché.
Hai
anche raccontato l'assemblea legislativa dell'Emilia Romagna. Come è
possibile educare le giovani generazioni ad essere cittadini partecipi e
consapevoli?
Innanzitutto con l’esempio, con comportamenti che
rispettino la legalità e che tengano conto di quel “noi” che è la
società. Genitori che si mostrano interessati alla vita collettiva e
politica non possono che allevare futuri cittadini consapevoli e attivi.
Io credo che sia importante spiegare ai ragazzi che anche loro sono
cittadini a tutti gli effetti, anche se ancora non votano. Però un
giorno lo faranno e devono considerare l’attesa una specie di
allentamento per il giorno in cui saranno maggiorenni ed esprimeranno il
loro parere sul modello di società che vogliono.
Uno dei tuoi
libri più simpatici e divertenti che riprendi nei tuoi laboratori per le
scuole è " Veruska non vuole fare la modella che racconta di una bambina
che ha troppe "otte", guanciotte,gambotte sederotte e che si oppone con
tutte le sue forze alla mamma e alle sorelle che la vogliono magrissima
e modella. In televisione si trasmette in questi giorni " Plastik", i
modelli femminili e maschili che i media propongono sono tutti
rifatti,ricostruiti, di plastica. Secondo te come è possibile educare
i ragazzi e le ragazze ad essere normali, a non seguire il mito della
magrezza aq tutti i costi, del seno taglia quinta?
Cominciando
fin dall’infanzia a trattarli da bambini e non da piccoli adulti. Basta
guardare certi servizi fotografici di moda per bambini per farsi venire
i brividi... Bambine con la schiena scoperta e in posa sexy, maschietti
con lo sguardo già carico di provocazioni sessuali... Messi in posa per
imitare i modelli adulti... E poi, far passare la bellezza come sinonimo
di salute e rispetto del proprio corpo. In questo senso, non è sano un
corpo obeso ma nemmeno un fisico anoressico. Infine, valorizzare ogni
bambino per quello che è e per quello che sa fare meglio e non per come
appare. Con gli adolescenti invece si possono fare discorsi più
specifici: per esempio far capire che una taglia 38 con una quinta di
reggiseno non è bellezza, ma deformità, qualcosa che in natura non
esiste, non è previsto. Io poi quando incontro i ragazzi cerco di
mettermi in gioco, racconto anche le mie esperienze, le mie insicurezze
di quando ero adolescente (come tutti peraltro). Sapere che altri prima
di loro hanno provato le stesse angosce, lo stesso senso di
inadeguatezza li rassicura molto e li fa aprire.
Nel libro "
L'estate che uno diventa grande" racconti di Saverio che in Argentina
scopre il dolore degli scomparsi di Plaza De Majo. C' è una ragione
particolare che ti ha spinto a farlo ? Il mio grande amore per
l’Argentina e per la città di Buenos Aires e l’incontro, negli anni, con
una serie di persone che mi hanno fatto conoscere gli orrori della
dittatura. Dico sempre che nella vita di ogni scrittore c’è un libro
che, per la forza dirompente della storia, sarebbe stato scritto in ogni
caso, anche se l’autore avesse fatto il fornaio, l’insegnante, il
muratore o l’oculista. Nel mio caso è “L’estate che uno diventa grande”.
E mi rendo conto che la vicenda interessa i ragazzi anche se riguarda un
altro paese e un’altra epoca (per gli adolescenti qualcosa avvenuto 30
anni prima è praticamente la preistoria!)
Ho letto in una tua
intervista che scrivi grazie alla tua maestra che a sette anni ti mandò
a leggere un tuo tema dai ragazzi di quinta. Perchè scrivi?
Scrivo per la speranza, il desiderio e il piacere di essere letta. E’
questo che muove uno scrittore, altrimenti basterebbe tenere un diario
segreto. Io non ho messaggi o insegnamenti da trasmettere a nessuno,
scrivo storie che spero divertano, commuovano e “tengano” i lettori fino
all’ultima pagina. Scrivere è il mio mestiere, il più bello del mondo
secondo me. Soprattutto, è l’unico che so fare.
Ed infine chiedo
a te che giri l'Italia con i tuoi libri e incontri tanti ragazzi e
insegnanti : Come sono i giovani di oggi, in cosa credono e come i
docenti possono, nonostante tutto, aiutarli a non perdere la speranza
nel futuro?.
Ancora una volta, credo che sia l’esempio il modo migliore. Mostrare che
noi adulti non abbiamo perduto la speranza di costruire un mondo
migliore e che contiamo su di loro per farlo. I miei incontri in giro
per l’Italia mi regalano molte sorprese. Una delle più belle, recente,
riguarda una gruppo di studenti di una scuola superiore che fin
dall’inizio si sono mostrati molto oppositivi, per niente interessati
non solo al mio libro, ma in generale alla lettura, al fatto di trovarsi
in quel luogo a parlare di romanzi. Ebbene, malgrado la fatica e le
continue provocazioni, non ho ceduto, non ho alzato il livello del
conflitto (avrei “vinto” io, ovviamente, ma non l’avrei certo
considerato un trionfo, ma una sconfitta). Ho risposto a tutte le
domande, anche le più antipatiche... Dopo un’ora e mezza mi sentivo
svuotata... Ebbene, ho saputo che, il giorno dopo, molti di loro sono
andati a comprare “L’estate che uno diventa grande” nella libreria del
paese... Segno che qualche seme gettato germoglia sempre. Ecco, queste
sono le soddisfazioni impagabili del mio lavoro. E credo che un
insegnante dovrebbe ricordarsene quando alla mattina va a scuola a fare
lezione, chiedendosi che ha ancora un senso tutta quella fatica. Se fa
la differenza anche per un solo ragazzo credo che ne abbia eccome.
Milano, 8 maggio 2011
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