|
|
Campana, nella lingua la sua “via” di Antonio Stanca
In Campana incessante fu l'anelito ad andare oltre il contingente, il finito, a cercare l'infinito, l'eterno. Per lui l'attività poetica era l'unica capace di condurre alla rivelazione di altre verità; egli pensò al poeta come allo spirito per eccellenza, all'eletto, all'"angelo caduto". Come uomo e come artista Campana visse e soffrì drammaticamente il contrasto tra realtà e idea, si sentì sempre sul punto di superarlo, di accedere ad una dimensione superiore anche se mai ritenne giunto il momento. Il vero Campana va colto nelle continue approssimazioni alla verità cercata, nelle parole che stanno per svelare il mistero, il significato ultimo, per trasformarsi in uniche, inalterabili, assolute, per attingere l'inattingibile, per dire l'ineffabile. In tale stato di perenne sospensione dell'anima saranno esse, le parole, l'unica certezza e verso di esse tenderà l'impegno del poeta come se la scoperta di un linguaggio idoneo sarebbe potuta coincidere con la verità perseguita. Infinito e instancabile diverrà il suo lavoro di creazione linguistica e di questo, in particolare, tratta il saggio "La via di Campana” (Editrice Salentina, Galatina) dello studioso recanatese Arturo Capodaglio vissuto nel Salento e scomparso anni fa. In esso l'autore evidenzia una conoscenza ampia e puntuale della produzione critica italiana relativa a Campana, si confronta continuamente con essa accogliendola o discutendola e soprattutto avvia un procedimento volto a far risaltare l'attimo, il frangente in cui la parola diviene poesia, si trasforma in suono, acquista significato e valore artistico. Si tratta di uno studio meticoloso condotto sulla lingua di Campana, di un'analisi del testo. Ad essere esaminati, nella parte seconda e centrale del lavoro, sono alcuni dei più significativi componimenti compresi in "Canti orfici". Essi vengono, dal Capodaglio, scomposti in parti minime quali uno o due versi, una o due parole, una virgola. Di ognuna si ricostruisce la storia, si risale all'origine senza mai perdere di vista la totalità del testo cui appartiene e il contributo che a questa quella ha apportato. Si scoprono, così, ascendenze lontane e vicine, precedenti illustri e non, tutto ciò che ha fatto parte della formazione di Campana, la letteratura, la pittura, i movimenti artistici che l'hanno maggiormente attirato senza impedirgli di sentirsi libero rispetto ad essi, di essere artista soltanto a suo modo. Campana, dice il Capodaglio, non è un nome tra i tanti compresi in una determinata atmosfera culturale e artistica, non è l'autore che scompare nella tendenza o corrente del momento poiché la sua opera è diversa al confronto sia di quanto lo ha formato sia di ciò che avviene intorno a lui. Essa è l'espressione di una dimensione spirituale che era dell'uomo e dell'artista e che solo in una loro lingua, in una loro arte, poteva essere espressa. Lingua ed arte, mezzo e fine sembreranno, s’è detto, identificarsi essendo partecipi della stessa tensione verso una condizione ideale. Per questo era necessario che le parole perdessero quanto era loro appartenuto o avevano significato fino ad allora ed acquistassero altri significati, suggerissero altre immagini, divenissero per soli iniziati al segreto della verità perseguita. Serviva un linguaggio "orfico", capace di guidare verso misteriose rivelazioni. Sull'interminabile operazione linguistica compiuta da Campana il Capodaglio si sofferma in modo particolare poiché chiarirla significa, per lui, spiegare l'uomo, la sua storia, la sua arte, seguire questa “via" vuol dire avvicinarsi quanto più possibile alla difficile verità del poeta. |
La pagina
- Educazione&Scuola©