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Uno strano caso di naturalismo di Antonio
Stanca
In
una gelida notte d’inverno, in una sperduta zona del Nebraska, tra
“l’albergo azzurro” ed un saloon avviene un delitto del quale si parlerà
per molto tempo da quelle parti. Ad essere ucciso è un signore svedese
che era arrivato col treno nel pomeriggio e che nei due locali si era
mostrato ossessionato dal pensiero di essere malvisto, maltrattato se
non addirittura ucciso dai presenti. La sua paura, i suoi terrori
avevano finito col concentrarsi su alcune persone, il figlio del
proprietario nell’albergo e un giocatore di carte nel saloon. Arriverà a
scontrarsi con loro e ad essere ucciso dal secondo. Era tanto spaventato dal mondo che vedeva nemici
ovunque. Anche quando non c’erano li creava, li provocava perché quelli
erano i suoi pensieri e di essi sarebbe stato vittima. Questa la trama e la spiegazione del racconto
“L’albergo azzurro” dello scrittore americano Stephen Crane. Era
comparso nel 1896 ed ora è stato ristampato per conto della “Biblioteca
di Repubblica – L’Espresso”, Gruppo Editoriale L’Espresso, S.p.A., Roma
2010. Crane è nato a Newark, nel New Jersey, nel 1871 ed è morto in un
sanatorio di Badenweiler, in Germania, nel 1900. E’ vissuto solo
ventotto anni ma ha scritto molto: è stato giornalista, narratore,
poeta. Ha cominciato a scrivere prestissimo, prima sono venuti alcuni
racconti e articoli per giornali, poi due romanzi, “Maggie, ragazza di
strada” (1893) e “Il segno rosso del coraggio” (1895) considerato il suo
capolavoro, sono seguiti altri racconti, raccolte di versi, altri
romanzi rimasti incompiuti, si è intensificata la sua attività
giornalistica poiché svolta come corrispondente di guerra durante le
vicende messicane (1897), il conflitto tra Grecia e Turchia (1897), tra
America e Spagna (1898) e la rivoluzione cubana (1898). Pertanto
cambiava spesso residenza e nazione e negli ultimi anni si era
trasferito in Inghilterra insieme a quella Cora Taylor che sarà l’ultima
sua donna. Lo seguirà fino al ricovero
nel sanatorio tedesco dove morirà di tubercolosi. In Inghilterra
si era fatto conoscere negli ambienti culturali frequentati da autori
anglo-americani quali Joseph Conrad ed Henry James. Questi avevano
apprezzato la sua volontà, la sua capacità di essere presente sia in
ambito letterario sia in ambito civile, sociale, politico, sia come
autore di racconti, romanzi, versi sia come giornalista, opinionista,
osservatore del costume, inviato speciale. Oltre ad aver scritto molto
nei pochi anni della sua vita Crane ha pure vissuto molto in posti
diversi, situazioni diverse, tra persone diverse. Un’azione continua è
stata la sua: è cominciata da quando era un ragazzo che marinava la
scuola per giocare a baseball o football o per visitare le periferie dei
centri urbani intorno a New York dove i suoi si erano trasferiti e che
erano piene di case da gioco o d’appuntamento. Quattordicesimo ed ultimo
figlio di una buona famiglia, dopo la morte dei genitori era stato
assistito dai fratelli maggiori e ben presto aveva cominciato a scrivere
fino a mostrarsi capace di svolgere compiti diversi negli stessi periodi
di tempo. Sarebbe stato un personaggio, un autore tra i maggiori
nell’America tra ‘800 e ‘900 se il tempo glielo avesse consentito, se
avesse avuto la possibilità di attuare i programmi, le opere che in
continuazione si proponeva. Per la narrativa, tuttavia, è considerato, insieme a
William Dean Howells e Hemlin Garland, uno dei precursori della
letteratura naturalistica americana e nella poesia ha anticipato la
corrente dell’imagismo fiorita in America e in Inghilterra durante gli
anni della prima guerra mondiale. Particolare rimane, però, il naturalismo dello
scrittore Crane dal momento che non si esaurisce nella descrizione dei
dettagli di una situazione ma penetra nell’intimo dei personaggi che la
vivono, ne scandaglia lo spirito. Così avviene ne “L’albergo azzurro”
dove si narra non solo dei luoghi, dei tempi della vicenda ma anche dei
pensieri, dei sentimenti di chi la vive. Riesce, il Crane, a collegare
l’esterno, il paesaggio, la casa, la stanza, la luce, il colore, gli
oggetti con l’interiorità del personaggio, con i suoi ricordi, le sue
emozioni, passioni, sensazioni, ansie, paure, speranze, previsioni. E in
uno stile che procede sicuro, rapido quasi corresse verso gli sviluppi
finali. Lo svedese che alla fine viene ucciso in quella notte
d’inverno del Nebraska mentre infuria una tormenta di neve, la vicenda
che lo vuole protagonista, sono tra i migliori esempi della maniera di
Crane: la realtà insieme all’interiorità, quanto circonda l’uomo insieme
al suo dramma. Anche come corrispondente di guerra Crane aveva voluto
stare in prima linea per poter cogliere i pensieri dei militari inviati
a combattere, spaventati dalla paura della morte. Non si era limitato a
dire di quanto avveniva ma anche di chi e di come lo viveva.
Un’oggettività che non rimane separata dalla soggettività, un linguaggio
sempre vigile, sempre attento a coglierle insieme. |
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