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La cultura dell’immagine
(Dal mondo all’Italia)

di Antonio Stanca

Di cinema soprattutto, di musica in particolare leggera, di teatro specie sperimentale, si dice ormai nelle pagine culturali di giornali e riviste, quotidiani e periodici. Si dice pure di cultura del territorio che è diventata uno degli aspetti caratterizzanti l’attuale panorama culturale. Anche di letteratura si scrive ma lo spazio ad essa riservato è sempre minore e quando avviene si tratta di opere, in prosa o in versi, di  autori moderni che, come quelli di cinema, musica e teatro o di pittura, scultura, architettura, vogliono sorprendere per la novità, spesso stranezza, dei loro contenuti e forme espressive, per gli effetti speciali, sorprendenti cui mirano.

Dalla stampa, esclusa quella specializzata, si ricava l’impressione di aver concluso, specie in Italia, con quanto per secoli ha rappresentato la storia letteraria, teatrale, figurativa, musicale, con l’arte. Questo non significa che non ci sono più autori impegnati nel senso autentico del termine, nel senso tradizionale, cioè, visto che per autenticità s’intende ormai solo ciò che è passato. Il problema è che tali autori, vecchi ancora viventi o nuovi, poiché hanno continuato e continuano a credere nell’arte come in un fenomeno importante, unico, nelle sue capacità di riscattare dal particolare, dal contingente, ed attingere all’universale, all’eterno, nella sua funzione di svelare le verità celate dietro le apparenze, di cercare quell’interiorità dove soltanto è possibile ritrovarsi e riconoscersi da parte di tutti, non possono accettare le regole di una condizione che dalla società si è estesa alla letteratura trasformandola in un prodotto di consumo, in un fenomeno da spettacolo, non possono esibirsi come qualunque altro produttore di merce. Pertanto di questi autori si tace presso la stampa perché non rientrano nel sistema. Si dice, invece, dei tanti, infiniti “nuovi” autori che sono di moda, attirano, colpiscono immediatamente la fantasia, l’immaginazione del pubblico anche se per ottenere questo risultato devono immettersi in una gara impegnata a concepire e realizzare sempre nuovi prodotti come avviene in ogni settore della moderna società dei consumi. In tal modo anche riguardo alla cultura si è formato un pubblico che vuole essere continuamente attirato, sorpreso e che ha quasi esclusivamente la funzione di vedere, guardare immagini, siano esse televisive, telematiche, filmiche che teatrali, figurative, e di ascoltare suoni, siano di voce o di strumento. Un pubblico, cioè, che non legge o lo fa molto limitatamente essendo appagato da quello che vede o sente e sempre più disposto ad assumere solo ciò che è veloce e rapido e respingere quanto chiede tempo e riflessione come la lettura.

Chi è il colpevole di questa situazione?

La società che, inseguendo il suo processo produttivo, consumistico, è giunta a spettacolarizzare ogni sua espressione e a non concedere possibilità di esistere, di valere fuori da tali canoni, il pubblico preso solo da ciò che gli si offre come pronto, immediato, vicino o gli autori che hanno ceduto alla situazione e rinunciato a guardare oltre? Come stabilire le responsabilità di un fenomeno che se anni fa non tutti volevano ora quasi tutti vogliono perché, direttamente o indirettamente, vi sono coinvolti?

Una società in cui prevale lo spettacolo come la nostra non poteva avere che una cultura dominata dall’immagine!

Al fenomeno non hanno saputo resistere, soprattutto in Italia, nemmeno istituzioni quali la famiglia e la scuola e gravi sono le conseguenze riguardo al livello culturale delle nuove generazioni, alla loro formazione morale nonché alla condizione sociale che, a causa di tali perdite, risulta sempre più esposta ai pericoli della superficialità nel pensare e fare, del malcostume privato e pubblico, della violenza individuale e collettiva. Succede, pertanto, oggi che mentre da una parte la nostra popolazione identifica la propria cultura con quanto le giunge dall’esterno, la considera, cioè, estranea alla persona, dall’altra si diffondono deviazioni, perversioni, immoralità di ogni genere senza pensare che alla base di entrambi i fenomeni c’è una mancata formazione. Una fase naturale, propria del processo umano, quella della sua formazione culturale, che diviene anche morale e spirituale, è divenuta in Italia un traguardo difficile e lontano e non si sa come raggiungerlo.

Dalla crisi della cultura e dell’arte si è giunti alla perdita dell’uomo, alla sua fine!


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