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Oltre il limite di Antonio Stanca Tempo fa si è tornato a parlare del pittore e scultore Gino De Dominicis (Ancona 1947- Roma 1998) e di quanto è successo, dopo la sua morte, tra gli eredi ed i critici, gli editori, i galleristi. Questi avrebbero voluto procedere ad una divulgazione della vita e dell’opera dell’artista mentre quelli hanno cercato di evitarla per rispettare la volontà dello scomparso improntata, soprattutto negli ultimi tempi, ad un riserbo tale da non aver voluto che si sapesse nemmeno del luogo della sepoltura. La questione, accesasi subito dopo la morte del De Dominicis, non si è mai risolta e continua a richiamare l’attenzione degli osservatori sull’artista e sulla sua importanza per l’arte figurativa italiana. Tramite le sue opere questa è risultata inserita in un contesto molto ampio, collegata con le maggiori correnti della neoavanguardia che, negli anni ’60, si sono verificate in Europa e nel mondo quali la “Body art” e “l’arte povera”. La prima si proponeva di stabilire un rapporto immediato tra opere e pubblico, natura ed artista mediante l’uso di materiali veri compreso il corpo umano o quello dello stesso autore, la seconda voleva usare mezzi umili, quotidiani, per ottenere significazioni che li superassero. Il De Dominicis, tuttavia, va considerato un’artista concettuale” ed accostato all’omonima corrente di quegli anni. Le sue opere più che trasmettere, come quelle dei Bodysti o poveristi, un senso di energia, di movimento o rappresentare un processo mentale, nel quale lo spettatore si senta coinvolto, invitano a riflettere, a pensare perché contengono significati reconditi, spesso ermetici. I loro temi sono la morte, il suo superamento, la fine del tempo, l’arte come attività d’elezione, come idea assoluta, trascendente ogni contingenza. Lieve, impalpabile, rarefatto e quasi invisibile deve essere il prodotto artistico poiché espressione solo d’idee e questo spiega come tante opere del De Dominicis si mostrino sospese in uno spazio senza tempo o simili ad apparizioni improvvise d’immagini irreali. Tali creazioni distinguono l’artista in seno alla particolare atmosfera che le suddette avanguardie avevano diffuso nei vari paesi del mondo. E non solo i tempi e modi delle opere ma anche la vita del De Dominicis è singolare se si pensa che egli ridusse sempre più le apparizioni in pubblico, evitò che le sue opere venissero esposte, fotografate o catalogate, coprì di nero, prima di morire, i lavori non ultimati, si estraniò da ogni contesto convinto che l’arte e il suo autore fossero fenomeni d’eccezione, che s’identificassero, avessero valore soprannaturale ed andassero distinti dalla comune quotidianità. Ad essi soltanto era concesso di superare i limiti di tempo e di luogo, di essere puri, perfetti come la divinità e le sue azioni e come queste unici, assoluti, universali, infiniti, intangibili, invisibili. Quelli della purezza, trascendenza, sublimità dell’arte e della diversità, elezione dell’artista perché tra gli uomini il solo privilegiato dall’ispirazione, sono principi costitutivi del fatto artistico ed insieme ad esso hanno attraversato la storia dall’antichità fino ai tempi moderni. Nonostante abbiano subito modifiche o alterazioni nel corso dei secoli a causa dei vari movimenti culturali che si sono succeduti, sono sempre riemersi ed hanno sempre trovato consensi ed applicazioni. Non sorprende, quindi, che un artista come il De Dominicis li abbia sentiti e vissuti ma che l’abbia fatto ai giorni nostri quando risultano generalmente superati od omessi in nome di un sempre maggiore adattamento del prodotto artistico agli umori dei tempi, di una riduzione delle sue componenti ideali per altre di carattere materiale, quando tanta produzione poetica, narrativa, figurativa ha ceduto a nuove e diverse esigenze. Questo conferma la validità di tali principi e dimostra che è impossibile annullarli, che le recenti alterazioni vanno considerate, come altre volte nella storia, non definitive. |
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