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TERESA DE SIO,
Metti il diavolo a ballare,
Einaudi a cura di Manuela
Maiorano
Ci
si accosta sempre con un misto di curiosità e diffidenza ad opere di chi
si cimenta per la prima volta con la scrittura mentre è più che
affermato in altri campi. Teresa De Sio non ha bisogno di presentazioni
come autrice di musica e come cantante, ma non è forse vero che musica,
poesia, prosa , arti figurative sono solo espressioni diverse dell’animo
umano? La scrittrice, dopo
aver suonato la ‘pizzica’ e averla magistralmente interpretata, l’ha
oggettivata nella scrittura con una grande capacità di andare al di là
del semplice folklore in cui sembra scaduta e di cogliere appieno il più
intimo significato:’La taranta è
un pensiero violento che si balla’. Torna indietro nel
tempo, negli anni ’50, da Napoli, anzi Procida, al Salento, la ’terra
del rimorso’, dipingendo un quadro arcaico, rurale, povero,
fatto di abusi e violenze. Tesse la storia come la tela di un
ragno, una storia corale a cui partecipano tanti personaggi (il prete,
la levatrice, i nobili, il sindaco, i contadini) perché c’è bisogno di
tutti perché la musica liberi dal ‘male’ la protagonista e perché ognuno
è partecipe dello stesso male e dello stesso dolore.
‘Tutto il dolore… perché a chi lo
vai a raccontare? Tutto quello che è segreto, senza riscatto, senza
medicine, come le malattie incurabili, come quando muoiono le pecore, si
asciugano i fiumi per la siccità, si distruggono i raccolti per la
grandinata improvvisa. Chi sa se l’estate sarà asciutta quest’anno… Come
quando non ci sono i soldi nemmeno per mangiare, come quando un padre ti
fa del male, e a chi lo vai a raccontare? E non c’è medico abbastanza
bravo che ti può guarire e tu hai già pianto tutte le lacrime fino a che
gli occhi ti si sono quasi schiattati, e non ci sono santi e messe da
far dire’. Saltando avanti e
indietro nel tempo si scoprono drammi e dolori, perdite e amori finché
una notte di carnevale avviene l’irreparabile ed è sconvolto il paese,
un paese sanguigno, violento, ignorante, in cui si preferisce non vedere
il male sotto gli occhi di tutti, in cui la felicità è quasi assente,
perché è come ‘una zattera’ che raramente arriva e ancora più
velocemente si allontana. E’ una storia cupa dai contrasti violenti: al
sole accecante del Salento si contrappone il buio dell’animo della
protagonista e il nero profondo della violenza. Solo la musica e il
ballo danno l’illusione di far defluire il veleno iniettato dal ragno da
cui si credeva dipendesse l’infelicità: quella musica assordante,
ossessiva, ritmata con forza sul tamburello fino a far sanguinare le
mani, davanti alla quale il corpo invasato reagisce dimenandosi in un
ballo sfrenato e liberatorio. Da Napoli al Salento,
alternando e sovrapponendo dialetto napoletano e dialetto salentino,
tutto il sud, erede della civiltà greca, abbraccia questa sorta di rito
dionisiaco: non sono tanto lontane le Menadi greche invasate da Dioniso,
sfrenate nelle loro danze scomposte e sensuali, valvola di sfogo del
dolore del mondo che la religione ufficiale non riuscì mai a incanalare
nel solco della razionalità. Donne la ‘tarantate’ e
donne le Menadi, forse perché dotate di una sensibilità particolare nel
percepire ogni minima vibrazione dell’infelicità umana, forse perché da
sempre ai margini della società, senza un ruolo ben definito, oggetto
silenzioso di violenze e sopraffazioni che, almeno per un attimo,
nel ballo diventano protagoniste di una vita che vedono scorrere
senza poterla afferrare. Donna Teresa De Sio che nella musica, nella
danza e ora anche nella scrittura, ha saputo cogliere le ineffabili
sofferenze dell’animo umano:’nessuno
saprebbe dirlo a parole, ma tutti sentono che dentro quel battere,
quello scordamento di corde e tamburi, dentro il ballo di quella piccola
anima senza scarpe, attraverso il corpo macilento di Archina che
comincia muoversi in modo sempre più convulsivo, si sta riassumendo,
proprio quel pomeriggio, ogni loro singolo progetto di salvezza
terrena’. |
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