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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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TERESA DE SIO, Metti il diavolo a ballare, Einaudi

a cura di Manuela Maiorano

Ci si accosta sempre con un misto di curiosità e diffidenza ad opere di chi si cimenta per la prima volta con la scrittura mentre è più che affermato in altri campi. Teresa De Sio non ha bisogno di presentazioni come autrice di musica e come cantante, ma non è forse vero che musica, poesia, prosa , arti figurative sono solo espressioni diverse dell’animo umano?

La scrittrice, dopo aver suonato la ‘pizzica’ e averla magistralmente interpretata, l’ha oggettivata nella scrittura con una grande capacità di andare al di là del semplice folklore in cui sembra scaduta e di cogliere appieno il più intimo significato:’La taranta è un pensiero violento che si balla’.

Torna indietro nel tempo, negli anni ’50, da Napoli, anzi Procida, al Salento, la ’terra del rimorso’, dipingendo un quadro arcaico, rurale, povero,  fatto di abusi e violenze. Tesse la storia come la tela di un ragno, una storia corale a cui partecipano tanti personaggi (il prete, la levatrice, i nobili, il sindaco, i contadini) perché c’è bisogno di tutti perché la musica liberi dal ‘male’ la protagonista e perché ognuno è partecipe dello stesso male e dello stesso dolore. ‘Tutto il dolore… perché a chi lo vai a raccontare? Tutto quello che è segreto, senza riscatto, senza medicine, come le malattie incurabili, come quando muoiono le pecore, si asciugano i fiumi per la siccità, si distruggono i raccolti per la grandinata improvvisa. Chi sa se l’estate sarà asciutta quest’anno… Come quando non ci sono i soldi nemmeno per mangiare, come quando un padre ti fa del male, e a chi lo vai a raccontare? E non c’è medico abbastanza bravo che ti può guarire e tu hai già pianto tutte le lacrime fino a che gli occhi ti si sono quasi schiattati, e non ci sono santi e messe da far dire’.

Saltando avanti e indietro nel tempo si scoprono drammi e dolori, perdite e amori finché una notte di carnevale avviene l’irreparabile ed è sconvolto il paese, un paese sanguigno, violento, ignorante, in cui si preferisce non vedere il male sotto gli occhi di tutti, in cui la felicità è quasi assente, perché è come ‘una zattera’ che raramente arriva e ancora più velocemente si allontana. E’ una storia cupa dai contrasti violenti: al sole accecante del Salento si contrappone il buio dell’animo della protagonista e il nero profondo della violenza.

Solo la musica e il ballo danno l’illusione di far defluire il veleno iniettato dal ragno da cui si credeva dipendesse l’infelicità: quella musica assordante, ossessiva, ritmata con forza sul tamburello fino a far sanguinare le mani, davanti alla quale il corpo invasato reagisce dimenandosi in un ballo sfrenato e liberatorio.

Da Napoli al Salento, alternando e sovrapponendo dialetto napoletano e dialetto salentino, tutto il sud, erede della civiltà greca, abbraccia questa sorta di rito dionisiaco: non sono tanto lontane le Menadi greche invasate da Dioniso, sfrenate nelle loro danze scomposte e sensuali, valvola di sfogo del dolore del mondo che la religione ufficiale non riuscì mai a incanalare nel solco della razionalità.

Donne la ‘tarantate’ e donne le Menadi, forse perché dotate di una sensibilità particolare nel percepire ogni minima vibrazione dell’infelicità umana, forse perché da sempre ai margini della società, senza un ruolo ben definito, oggetto silenzioso di violenze e sopraffazioni che, almeno per un attimo,  nel ballo diventano protagoniste di una vita che vedono scorrere senza poterla afferrare. Donna Teresa De Sio che nella musica, nella danza e ora anche nella scrittura, ha saputo cogliere le ineffabili sofferenze dell’animo umano:’nessuno saprebbe dirlo a parole, ma tutti sentono che dentro quel battere, quello scordamento di corde e tamburi, dentro il ballo di quella piccola anima senza scarpe, attraverso il corpo macilento di Archina che comincia muoversi in modo sempre più convulsivo, si sta riassumendo, proprio quel pomeriggio, ogni loro singolo progetto di salvezza terrena’.


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