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Una favola non riuscitadi Antonio Stanca
In “Fuoco sulla montagna” fin quando non compare, nella conclusione, la figura di Ila Das, la povera donna che vive di stenti pur provenendo da una famiglia agiata e dignitosa e che non sa come muoversi tra l’antico decoro e le nuove urgenze, fin quando non si scopre che alcune notizie riferite dall’amica Nanda Kaul circa la propria famiglia sono state invenzioni utili a farla vivere nella condizione di solitudine in una valle indiana alle pendici della catena dell’Himalaia ed a farla apparire distinta agli occhi della pronipote Raka, fin quando non avviene la drammatica corsa della Das verso casa dopo che è stata a trovare Nanda e non ha saputo chiederle aiuto, nulla si muove e solo le scorribande di Raka, incuriosita dai posti strani che la zona comprende, permettono di sapere di quanto avviene intorno ai protagonisti dell’opera, del fascino, dell’incantesimo ma anche della paura, dell’orrore che li circondano. Niente unisce le tre donne se non la loro solitudine, la loro ricerca della solitudine preferita alla vita nel mondo. Non erano arrivate a star sole, erano nate per rinunciare a tutto. La prima era stata Nanda Kaul a fuggire in India, a stabilirvisi sola e per sempre, poi era stata raggiunta dalla pronipote Kaba anch’essa in fuga dalla famiglia, dalla scuola, ed ora era venuta Ila che, per i propri bisogni, aveva dovuto rinunciare a star sola ed in mezzo agli altri aveva trovato la morte. Di tutto ciò molto si sa alla fine e, tuttavia, non sorprendente, non rivelatrice risulta questa e l’opera può essere considerata meno riuscita di altre della scrittrice giacchè non supera il livello della notizia di una vicenda, della sua cronaca, non si propone altro di quanto rappresentato. Lo stile agile, scorrevole dispone alla lettura ma fa attendere inutilmente la rivelazione di una verità diversa dalla realtà descritta. |
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