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Di nuovo un vero romanzo

di Antonio Stanca

 

Dal 13 al 17 Maggio c’è stata a Torino la ventitreesima edizione del Salone Internazionale del libro. Vi hanno partecipato autori, editori, politici: tema di quest’anno era quello della memoria, paese ospite l’India, figura di rilievo la giovane giornalista, danzatrice, poetessa, scrittrice indiana Tishani Doshi, che ha presentato il suo recente e primo romanzo “Il piacere non può aspettare”, in Italia edito in questi giorni da Feltrinelli con la traduzione di Gioia Guerzoni.

Doshi è nata a Madras, India meridionale, nel 1975. In America ha condotto e concluso gli studi universitari. Ha letto molto, ha viaggiato e conosciuto paesi, città e luoghi lontani. Rientrata a Madras ha cominciato a scrivere per giornali e riviste, ha frequentato corsi di danza e nel 2006 ha esordito come poetessa con la raccolta di versi “Paesi del corpo” premiata col Forword Poetry Prize poiché ritenuta la migliore tra le prime opere poetiche degli autori in lingua inglese di quell’anno. Altri premi sono stati assegnati a suoi componimenti e sarà stato questo a convincere la Doshi che la poesia è la più alta espressione d’arte perché la più immediata, la più spontanea e a non mostrarla disposta verso opere che richiedessero una costruzione, una trama quali quelle narrative. Per esse servivano tempi, modi che non erano suoi ed invece, dopo essersi educata alla calma, alla pazienza tramite l’esercizio del corpo e l’impegno nella danza, si sentirà pronta anche per la scrittura costruita, articolata.  Ma a muoverla verso il romanzo “Il piacere non può aspettare” è stata pure la scoperta, fatta insieme alla sorella Fiona, della folta corrispondenza avvenuta tra i genitori prima che si sposassero. La madre era gallese, il padre indiano e conosciutisi non avevano mai smesso di tenersi a contatto nonostante la distanza fra i loro paesi ed anche se dovevano attendere mesi per l’arrivo di una lettera. Non si arresero neppure ai problemi sorti nelle rispettive famiglie, agli ostacoli da queste creati per il matrimonio essendo tutto diverso tra loro, lingua, cultura, religione, usi, costumi.

Da qui la Doshi è giunta al suo primo romanzo. Esso inizia con Babo e Siân, lui indiano, lei gallese, che lottano contro i pregiudizi, le convenzioni delle famiglie prima e dopo il matrimonio. Intorno a loro si muoveranno i molti altri personaggi dell’opera in un tempo compreso tra gli ultimi anni del secolo scorso ed il primo del nuovo, dal 1968 al 2001. Sposatisi Babo e Siân tenteranno di vivere in Inghilterra ma si stabiliranno in maniera definitiva in India dove avranno due figlie e rapporti diretti con la famiglia di lui, i Patel, che contano molti parenti e godono di agiate condizioni economiche. Nell’azienda del padre Babo lavora mentre Siân si dedica ad opere di beneficenza. Delle figlie, che hanno studiato, una si sposerà e l’altra, poco ordinata e irrequieta, diventerà di facili costumi. Anche un fratello di Babo conduce una vita irregolare e finisce col morire giovane. Altri lutti, la morte di alcuni dei loro genitori, arrivano per i coniugi ed altre situazioni si creano tra parenti, amici, amanti e tutto in un’India percorsa dalla miseria, dalla malattia, dalla morte, divisa tra ricchi e poveri, sconvolta dai disordini seguiti all’uccisione di Indira Gandhi nel 1984, poi da quelli avvenuti dopo l’assassinio di Rajiv Gandhi nel 1991 ed infine dai disastri causati dal terremoto del 2001. Intanto gli americani conquistano la luna, fanno guerra nel Vietnam, India e Pakistan si combattono, a Mosca si svolgono le Olimpiadi estive, Carlo e Diana si sposano e tanto altro succede ma rimane sempre sullo sfondo. Primaria risulta nell’opera la posizione della famiglia di Babo, la particolarità delle circostanze da essa attraversate, la sua collocazione in una nazione come l’India vasta, immensa per la gente, le terre, le acque, le foreste, le luci, i colori, antica, remota per la storia, suggestiva per i miti, le leggende, misteriosa per i culti. E riesce la Doshi del romanzo a risalire sempre da una famiglia ad un popolo, dai pensieri, dai sentimenti dei suoi personaggi alle concezioni, alle tradizioni di una civiltà. In continuazione si muove la scrittrice tra privato e pubblico, tra i Patel e l’India vecchia e nuova, sacra e profana, sicché un’intera umanità acquista la sua voce, mostra la sua vita attraverso le pagine della Doshi.

Solo un motivo tra i tanti si rivela, alla fine, quello iniziale, autobiografico, del confronto, cioè, tra la civiltà inglese e l’indiana e degli inevitabili problemi che ne erano scaturiti. Più importante è per la scrittrice indagare nell’animo dei personaggi, penetrare nei loro pensieri più segreti, presentarli come veri, reali, dire di situazioni che possono effettivamente verificarsi nei tempi moderni, mostrarle possibili anche in India, farle rientrare nella sua ampiezza, comprendere dalla sua saggezza, evidenziare la funzione, il valore del corpo umano in frangenti quali la nascita, la morte, il sesso, la violenza, soffermarsi sull’importanza della casa, della famiglia, dell’amore, della verità. Facilmente rinvenibili sono nell’opera anche questi ultimi temi e all’origine orientale della narratrice vanno fatti risalire.

Passionale, poetica, drammatica, sensuale, colta, ironica risulta la Doshi del romanzo, vera vuole essere come la vita, ogni suo aspetto vuole cogliere, completa vuole riuscire. Per aver perseguito e ottenuto simili risultati tramite uno svolgimento controllato ed una forma espressiva capace di rendere con facilità e chiarezza ogni pur minimo particolare l’opera può essere inserita nella migliore tradizione narrativa. Con Doshi si è recuperato il genere del vero romanzo, quello valso per tanto tempo ed oggi confuso tra molte maniere di narrare. Se si tiene conto che per la scrittrice è la prima narrazione il valore risulta accresciuto.


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