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La fine di un’epoca di Antonio Stanca L’attrice teatrale e cinematografica svedese Ingrid Thulin a settantacinque anni, il giurista e filosofo torinese Norberto Bobbio a novantacinque sono morti. I mass-media ne hanno dato notizia tempo fa e soltanto su qualche giornale ci si è soffermati ad evidenziare la figura e l’opera. Non sono trascorsi molti anni da quando i due erano dei personaggi, al centro del dibattito culturale, protagonisti di questo la Thulin quale interprete dei maggiori film del noto regista svedese Ingmar Bergman, il Bobbio per il suo insegnamento presso Università italiane, per il pensiero, le opere e l’impegno nel sociale. Ma è stato sufficiente che da allora trascorressero pochi anni perché quando s’è detto della loro morte solo qualcuno li ricordasse o solo in qualche posto li si conoscesse. E’ come se fossero vissuti e avessero operato nei secoli passati, come se fossero appartenuti ad altri tempi od ambienti. La Thulin, diretta da Bergman, ha interpretato ruoli di primo piano in un cinema che affrontava temi fondamentali per la modernità quali la solitudine, l’incomunicabilità, la vecchiaia, l’amore, la morte, Dio, quanto, cioè, si agitava in quegli anni, nel pensiero e nell’opera, nell’elaborazione teorica e nella produzione di filosofi, letterati, artisti. Bergman, col cinema, ne aveva dato la sua interpretazione, si era inserito in quell’atmosfera e l’aveva tradotta in soggetti e sceneggiature di livello artistico. L’attore che interpretava i suoi temi si identificava tanto con essi da sentirli propri e divenire, per il pubblico, la loro figurazione reale, concreta. Così la Thulin de “Il posto delle fragole”(1957), “Il volto”(1959), “Luci d’inverno”(1962), “Il silenzio”(1963), “Sussurri e grida”(1973), si era trasformata, per l’immaginario collettivo, nella persona con la quale collegare certi problemi, era divenuta un simbolo. Negli stessi anni Norberto Bobbio, con le opere e l’attività di docente e membro di molte commissioni parlamentari, era esponente di rilievo in ambito politico, sociale, culturale. Egli rifiutava l’eredità spiritualista, idealista propria della nostra cultura, proponeva l’idea di uno Stato “socialista liberale” ed una concezione del diritto quale “prescrizione”, “norma” effettiva, efficace, era uno dei maestri del pensiero moderno. Gli scritti di Bobbio sono giunti fino a pochi anni fa ma erano soprattutto quelli impegnati a denunciare il fallimento delle sue prime speranze, la delusione seguita alle sue precedenti aspirazioni. Niente era avvenuto di quanto egli aveva pensato, nessuno di quei valori della ragione da lui prospettati, il dialogo, la democrazia, la distensione, i diritti dell’uomo, si era reso possibile e, negli ultimi tempi, era chiamato ad assistere alla fine di ogni speranza. Non un uomo logico, razionale, non una società giusta, pacificata si erano verificati, non l’esempio dei classici era stato seguito ma modelli prodotti dai tempi, usi e costumi imposti dall’esterno, da ciò che non apparteneva all’uomo e, per questo, capace di disperderlo, annullarlo, fargli perdere la sua individualità in nome di una pluralità indistinta, anonima, sempre e ovunque uguale. Sta qui, in questo clima di massificazione, di confusione di ruoli e livelli, il motivo per cui certe figure, pur vicine, appaiono lontanissime al punto che ci si è ridotti a dire soltanto della loro morte. Non si vive più di pensiero ma di azione, non di contenuto ma di forma, non di spirito ma di materia, non di idea ma di realtà e di una realtà non fatta dall’uomo, non a sua immagine. Altri mezzi, altri poteri, lontani, sconosciuti, invisibili costruiscono oggi la realtà, determinano la vita dell’uomo senza che egli possa fermare o almeno ridurre un processo che dissolve la sua identità e autenticità. Anche in ambito culturale, artistico ci si è conformati, adattati alla situazione al punto da accettare le regole del gioco per evitare di rimanervi esclusi. Quella fiducia, che animava i personaggi del passato anche più prossimo, come i suddetti, che li faceva sentire protagonisti e li assicurava della validità ed estendibilità del loro pensiero ed opera, non c’è più o soltanto fuori dal contesto, isolata, esclusa. Tale disfacimento non fa sperare in nessuna ricostruzione: mancano un pensiero, una cultura ai quali riferirsi perché lontano dall’immediato, dal contingente, dalle mode non si concepisce niente. E’ un fenomeno esteso che non conosce confini e che in Italia è arrivato prima e con più gravi conseguenze visto che la crisi dei valori ha raggiunto da noi livelli tali da aver fatto della precarietà un sistema di vita: in Italia prima che altrove è finita l’epoca dell’uomo! |
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