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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Una drammatica ricerca

di Antonio Stanca

E’ stato recentemente pubblicato da Bollati Boringhieri, con la traduzione di Flavia Abbinante, il romanzo “Lasciami l’ultimo valzer” della scrittrice americana Zelda Sayre Fitzgerald (Montgomery 1900-Asheville 1948). E’ il suo primo ed unico romanzo ed è comparso nel 1932. Si dedicò pure ad un altro rimasto incompiuto ed a scrivere racconti, novelle e articoli per giornali e riviste.

Bellissima e inquieta Zelda fin da ragazza si era fatta notare per atteggiamenti e comportamenti anticonvenzionali, per aspirazioni diverse dal comune. A vent’anni aveva sposato lo scrittore Francis Scott Fitzgerald dal quale avrebbe assunto l’altro cognome. Francis era già famoso per lo straordinario successo ottenuto col primo romanzo “Di qua dal paradiso” (1920). Avrebbe scritto ancora, avrebbe riportato altri successi, alcune sue opere, “Il grande Gatsby” (1925), “Tenera è la notte” (1934), sarebbero diventate classici per la letteratura americana moderna ed alla moglie si sarebbe ispirato molte volte per le sue protagoniste. Anche lei avrebbe attinto dal rapporto coniugale, dalle vicende famigliari, dalla nascita della figlia, dalla vita di questa, per la sua scrittura. Una coppia eccezionale, marito e moglie americani entrambi autori che spesso sono anche i personaggi delle loro opere. Il marito era noto mentre la moglie era alla ricerca di affermazioni, di una maniera per liberarsi dal quotidiano, elevarsi, trascendere, cercava l’arte, un’arte nella quale identificarsi. Il matrimonio, la figlia non ridurranno tale bisogno di Zelda  né a questo serviranno i dieci anni di vita sfrenata condotta insieme al marito tra l’America e l’Europa, New York e Parigi. Ricchi e famosi  per merito di Francis i coniugi Fitzgerald saranno tra i protagonisti di quella fervida vita mondana che nei “ruggenti anni venti” si verificò in tali centri all’insegna dell’esuberanza, del protagonismo, dell’esibizione, del lusso, dello sfarzo, delle serate di gala, dei balli, dei banchetti, dei salotti letterari, degli incontri, scambi tra intellettuali ed artisti di diversa provenienza. “L’età del jazz” fu detto in America questo periodo di festa continua e i Fitzgerald lo vissero per intero. Senza sosta fu la loro ricerca di ambienti, persone, situazioni, emozioni, sensazioni nuove, diverse, particolari, senza limiti il loro desiderio di farsi notare, apparire, essere presenti.

Nella coppia, però, erano già comparsi problemi: col tempo Francis vedeva sempre più ridotta la sua fama e cominciava ad abbandonarsi a quell’alcol che lo avrebbe distrutto; Zelda, sempre insoddisfatta, diventava vittima di ossessioni e si avviava verso quella forma di schizofrenia che si sarebbe aggravata. Tornati in America, nel 1930 ci fu il suo primo ricovero in una clinica psichiatrica. Oltre che nella scrittura  anche nella pittura, nella danza avveniva quella ricerca d’altro che l’aveva inseguita da quando era ragazza, che non avrebbe mai trovato adempimento ed avrebbe fatto ammalare la sua mente. Morirà nel 1948 a causa dell’incendio della clinica dove era ricoverata per l’ennesima volta e non completerà il secondo romanzo al quale stava lavorando. Nel 1932, pur se ricoverata, aveva scritto in pochissimo tempo “Lasciami l’ultimo valzer”, opera per molti aspetti autobiografica poiché la scrittrice vi rappresenta la sua vita fino a quel momento, dice delle sue vicende, delle sue aspirazioni, dei suoi turbamenti, della sua “caduta”. E’ lei l’Alabama del romanzo che fin da bambina è inquieta, che sposa un  artista poco ordinato, che col marito lascia l’America per Parigi, che vuole diventare una famosa ballerina e che, infine, “cade” nel lavoro e nella vita. Come Zelda affannata, ansiosa così è Alabama, così è l’opera, carica di tensione, tesa alla ricerca di quanto urge. Un’inquietudine continua la percorre, è quella che non fa distinguere tra l’autrice e la protagonista, che non si cura molto della forma, dell’esterno, tanto importante è dire dello spirito, dell’anima. Affrettata è l’esposizione, a volte scomposta, con moltissimi neologismi, numerose omissioni, strane similitudini poiché un messaggio, un appello a chi ancora non l’ha ascoltato o capito vuole soprattutto essere il romanzo. Nel contenuto sta il suo unico, vero valore, nella narrazione del dramma, della pena di una vita  trascorsa a cercare quanto non sarebbe mai avvenuto, rimasta sempre divisa tra idea e realtà, aspirazione e accettazione, sogno e verità.

Quando Zelda muore nel 1948 Francis è già morto nel 1940, finito dall’alcol. Solo e dimenticato era rimasto, “belli e dannati” erano stati lui e la moglie, una leggenda era divenuta la loro.


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