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L’ultimo Fo di Antonio Stanca L’ottantunenne Nobel per la Letteratura Dario Fo, autore, attore, regista teatrale, ha pubblicato, presso Guanda, “L’amore e lo sghignazzo”. E’ una breve raccolta di racconti incentrati su avvenimenti, personaggi, situazioni del passato più lontano e più vicino, italiano e straniero. I soggetti, ripresi, rielaborati, ampliati di allusioni al presente, risultano diversi rispetto a quanto di essi s’è sempre saputo e non solo perché così pensa Fo ma anche perché i documenti, i testi da lui citati testimoniano diversamente dagli altri generalmente noti. Diverso, lontano dalla storia, dalla cultura ufficiali, quelle che ubbidiscono ai vari regimi, vuole porsi Fo, vuole contestare, protestare contro di esse per le false verità che hanno fatto giungere fino a noi ma vuole pure trarne motivo di dileggio, d’ironia, vuole incuriosire, interessare con le sue rivelazioni ed anche divertire, muovere a ridere, a “sghignazzare” soprattutto di ciò che dalla tradizione, dall’opinione pubblica, dalla morale corrente è stato fissato come illustre, solenne, sublime senza che lo fosse. E’ una polemica la sua contro quanto di falso, d’ingiusto ci è stato e ci viene trasmesso. Come in questi racconti, a Parigi della passionale Eloisa, a Milano dell’eretica Maifreda, in un circo di una domatrice di leoni che svela i trucchi del mestiere, in Cina del “comunista utopico” Qu, in Grecia dei falsi in teatro, così in tanta produzione teatrale si assiste all’impegno dell’autore di criticare situazioni vecchie e nuove specie se costruite, indicare delle mancanze dove si è sempre pensato ci siano meriti, scoprire il modo perché di tutto questo ci si burli insieme al pubblico. Fo vuole dire a tutti quanto è stato ed è nascosto dietro maestose apparenze, gigantesche facciate, vuole interpretare per il pubblico ciò che è avvenuto e avviene nella storia, nella vita, ma vuole anche farlo ridere e per questo deve ridurre quella storia, quella vita ai suoi pensieri, ai suoi gusti, deve escogitare delle continue trovate, trasformarsi in un mimo, in un clown, in un giullare. E’ la sua maniera di operare e così ha fatto anche in quest’ultimo lavoro. Egli è passato da una prima fase, anni ’60, di commedie, satira politica, canti popolari, alle farse di carattere polemico, alla satira più divertita degli anni ’70 e variamente alternandosi tra questi e altri modi è giunto ai giorni nostri. Ha perseguito un’operazione di rinnovamento del teatro comico italiano nella quale rientra accanto al lavoro di autore e interprete delle proprie opere anche quello di scenografo, costumista, caricaturista, disegnatore, fumettista. Ovunque ha mostrato notevoli qualità di genio e d’invenzione, in tutti i modi si è prodigato per ottenere una comunicazione quanto più vasta possibile. Per questo, per allargare sempre più il pubblico, per rivolgersi al popolo era necessario che tale comunicazione fosse facile, che giungesse subito e da qui la sua piega umoristica, ironica, la sua tendenza a tradursi in buffonata, in lazzo, il suo procedere libero nei contenuti e nelle forme. Degni di nota sono gli intenti comunitari dell’autore, i suoi fini umani, la sua aspirazione ad informare, istruire, sensibilizzare quella fascia sociale composta dal popolo e sempre rimasta esclusa, la sua disponibilità a ridursi alla condizione popolare, a procedere dal suo punto di vista, il recupero e la rivalutazione di tanto patrimonio culturale e linguistico del popolo italiano che il suo teatro compie. E naturalmente doveva succedere che Dario Fo riuscisse un autore diverso da quanto si è sempre inteso e che il suo divenisse e rimanesse un caso discutibile. |
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