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Senza ragione di Antonio Stanca A sessantacinque anni, nel 2007, Umberto Galimberti, docente di Filosofia della storia e Psicologia dinamica all’Università di Venezia, ha pubblicato, presso Feltrinelli, “L’ospite inquietante” (Il nichilismo e i giovani). Ora l’opera è giunta alla settima edizione ed è annoverata tra i tanti altri studi di carattere filosofico, psicologico, sociale, condotti dall’autore a partire dagli anni ’70. Alcune parti de “L’ospite inquietante” erano già comparse nel quotidiano “la Repubblica” ed ora sono state inserite nel più ampio contesto di quest’opera. Il tema principale di essa è il mondo di molti giovani d’oggi, la loro condizione, il loro comportamento, e allarmante è il quadro che Galimberti ricava dalla sua indagine. Li svela svogliati, negligenti, disobbedienti, sovversivi, vanitosi, egoisti, refrattari a pensare, fare, comunicare, lontani da valori ideali, da aspirazioni che vadano oltre il momento presente, la circostanza immediata, rassegnati al loro stato, falliti nel rapporto con la famiglia, la scuola, mai tentato quello con la religione. Non hanno fini, non perseguono scopi e intanto si ascrivono una libertà illimitata, infinita, senza alcuna riserva compresa quella della droga o della violenza. La fascia sociale dei giovani dovrebbe essere, come è sempre stata, la più promettente poiché la più ricca di energia, entusiasmo, la più animata da progetti, speranze, la più capace di elaborare, costruire, rinnovare, progredire ed invece oggi è la più inoperosa, la più assente, la più “nichilista”. Abile si mostra il Galimberti nel chiarire le cause remote e prossime, individuali e sociali, psicologiche e storiche, di tale condotta giovanile. Niente egli trascura nelle sue spiegazioni: è una ricerca la sua che in continuazione si sposta dall’interno all’esterno, dalla particolarità del caso alla generalità del fenomeno, dalla famiglia alla religione, alla scuola, alla società, alla politica, allo stato, che con la facilità e chiarezza della lezione di un buon professore si muove tra la vita e la storia antica e moderna, tra la filosofia e la letteratura, l’arte di ogni tempo e luogo. Sorprendente è come il Galimberti riesca a collegare il gesto, il modo del giovane d’oggi con quanto scritto da Platone, Aristotele secoli fa o da altri pensatori precedenti, come trovi conferma alle sue riflessioni e deduzioni in tanti filosofi, psicologi, sociologi, letterati, artisti di ogni parte del mondo, di ogni epoca della storia. Ampie, sterminate sono le sue conoscenze e precise, dettagliate le citazioni. Più numerose quelle relative agli autori ed alle opere del secolo XIX e soprattutto XX, alla storia ed alla cultura moderne, cioè, perché preludono alla contemporaneità. Nel Novecento, in particolare, giunge a compimento quel processo avviato dalle scoperte scientifiche e dalle loro applicazioni a partire dal Settecento. Allora l’uomo, grazie alla scienza, era divenuto il padrone, il dominatore di quella natura della quale si era sempre sentito uno dei suoi tanti elementi e come questi diretto da essa, obbediente alle sue regole, inserito nei suoi cicli. Il processo scientifico, tuttavia, aveva mostrato di non poter essere controllato, aveva proceduto da solo perché sempre nuove erano state le richieste che i suoi sviluppi avevano comportato e che andavano soddisfatte. Si era giunti, così, ai tempi nostri, all’uomo ridotto ad uno degli ingranaggi di un sistema ormai esteso ad ogni momento e aspetto della vita, all’uomo che non si distingue più dalla macchina e al quale si chiedono le stesse prestazioni, all’uomo finito come persona e livellato, omologato nei pensieri e nelle azioni. Questo il contesto nel quale si colloca, quale ulteriore appendice di un esito civile e sociale così negativo, quella gioventù demotivata, oziosa, che non si propone alcuna meta, non s’impegna per nessun compito come se ogni meta fosse stata raggiunta ed ogni compito svolto, come se il mondo fosse finito. Una gioventù che vive di musica, sesso, droga, di quanto, cioè, ha bisogno il corpo essendosi completamente spente le richieste dello spirito, vive d’istinto essendo scomparsa l’azione della ragione. Come l’istinto incontrollata, incondizionata è la sua vita, in una ricerca interminabile di piaceri, in un soddisfacimento illimitato di gusti essa si traduce. Ma istinto è anche cattiveria, crudeltà, ferocia quali quelle dei giovani che senza motivo fanno violenza agli stadi o lanciano massi dai cavalcavia o uccidono. Richiesti non sanno spiegare la loro condotta né chiarirne i motivi ché al buio dei sensi, alla furia degli impulsi, all’istinto essi appartengono e vano è sperare, come invece mostra il Galimberti a conclusione di ogni capitolo del suo lavoro, di avviare una comunicazione con giovani così selvaggi onde eliminare o almeno ridurre il fenomeno. Pensare questo significa, per lo studioso, aver conservato intatto quello spirito umanistico che lo ha mosso e lo muove nei suoi studi di analisi e osservazione sociale. Uno spirito che, nonostante i tempi, fa ancora sperare il Galimberti e non lo rende accorto che l’operazione da lui auspicata sarebbe stata possibile molti anni addietro. Prima che si giungesse ad una famiglia, ad una scuola, ad una religione, ad una società senza più scambi si poteva pensare di scambiare, prima che il dialogo finisse lo si sarebbe dovuto cercare. |
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