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Nell’uomo la vita di Antonio Stanca Comparsa nel 2008 nell’edizione originale ed ora edita in Italia dalla Piemme l’opera del cinquantanovenne americano Hajjar Gibran dal titolo “Il ritorno del Profeta” si propone di continuare il messaggio contenuto nel precedente, famoso “Il Profeta” (1923) dell’antenato Kahlil Gibran. Questi, nato a Bsharri (Libano) nel 1883 e morto a New York nel 1931, era stato poeta, scrittore, filosofo e pittore e con “Il Profeta” era assurto ad un’estesa notorietà, aveva rappresentato un caso d’interesse internazionale. Il libro, di carattere mistico-filosofico, si compone di ventisei sermoni e di numerosi disegni, dice di verità nelle quali si possono riconoscere gli elementi fondamentali delle maggiori religioni del mondo, intende porsi quale motivo di unione tra Occidente ed Oriente, ottenere, cioè, tramite la diffusione dei valori dell’amore, della pace, del bene quanto per secoli è stato difficile raggiungere. Un’umanità vicina, unita nello spirito voleva il profeta del primo Gibran, questa aveva perseguito in quel libro divenuto famoso e nel quale l’autore aveva detto di trascrivere quanto dal profeta gli veniva rivelato, di essere l’interprete della sua voce, di una voce che lo superava perché era quella dell’anima infinita, eterna del mondo che sempre era esistita e che allora aveva preso corpo in lui, nella sua opera. Era un’anima che, nata insieme all’uomo, non avrebbe cessato di esistere e avrebbe saputo come farsi sentire, dove, in quale persona prendere corpo. “Tornerò da voi, non dimenticatemi”: queste parole dice ne “Il Profeta” il protagonista volendo intendere che la morte del suo autore non avrebbe costituito la fine del suo messaggio, che questo non poteva finire perché faceva parte della vita e insieme ad essa si sarebbe continuato. Non era un messaggio del corpo ma dello spirito e come tale sarebbe sempre risorto. Una delle resurrezioni è avvenuta circa un secolo dopo con Hajjar Gibran, con il suo “Il ritorno del Profeta”. Con questo autore, col suo libro fatto di realtà, sogni, ricordi, visioni e scritto in un linguaggio così semplice e chiaro e, tuttavia, così denso di significati, richiami, confronti da riuscire poetico, il profeta di Kahlil è ricomparso, ha provato che la sua presenza, le sue verità valgono sempre e vogliono manifestarsi ed agire. Nell’opera, infatti, Hajjar dice di essersi sentito ispirato da quel profeta, di essere stato aiutato da lui a superare i gravi problemi della sua vita, a ricongiungersi col suo antenato, a riprendere e continuare le sue parole. Anche Hajjar sente di essere un semplice messaggero di verità che gli provengono dall’eterno spirito del mondo, anche il suo libro si pone come una trascrizione di quanto esso gli detta, vuole far sentire a tutti la sua voce, farla giungere ovunque ed ottenere una vita, una società, un’umanità, una storia che abolisca ogni distanza e differenza comprese quelle col mondo animale e vegetale, annulli ogni conflitto e diventi l’immagine di una totalità senza barriere poiché abolite dai sentimenti primi e propri dell’uomo, quelli non guastati dai tempi e ispirati alla sua naturale tendenza alla fiducia, allo scambio, alla comprensione, al dialogo. Hajjar riprende e amplia quanto detto da Kahlil, come lui si sente una delle personificazioni del profeta, come lui e come il profeta s’impegna in un’opera di evangelizzazione in tempi divenuti molto difficili per i valori perseguiti. Essi, tuttavia, la ritengono possibile perché non la compiono all’esterno dell’uomo, non l’affidano ad un sistema d’idee al quale convincere ma la indicano nell’uomo, la identificano con i suoi aspetti più veri, più autentici. |
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