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Giudici, una delle ultime testimonianze
di Antonio Stanca
A
ottantasette anni nell’ospedale di La Spezia, la notte di lunedì 23
Maggio 2011, è morto Giovanni Giudici, uno dei maggiori poeti del
Secondo Novecento italiano. Era nato a Le
Grazie, frazione del comune di Porto Venere, in provincia di La Spezia,
nel 1924. Nel 1933 la famiglia si era trasferita a Roma dove Giovanni
compirà gli studi e si laureerà nel 1945. Nel 1956 inizierà a lavorare
presso gli Uffici Stampa della Olivetti prima ad Ivrea, poi a Torino e
Milano. Intanto componeva poesie e pubblicava le prime raccolte. Oltre
all’attività poetica si sarebbe dedicato anche al giornalismo, alla
critica letteraria ed alla traduzione di autori stranieri. Senza sosta
sarebbe stato il suo impegno in ambito culturale ed artistico e sempre
lontano sarebbe rimasto da movimenti quali “Officina” e “Gruppo ‘63” che
in quegli anni si verificavano. Dalla vita, dal confronto con essa Giudici
attingerà la materia della sua poesia, la massificazione comportata dai
tempi moderni, il difficile rapporto con la quotidianità saranno i temi
ricorrenti nei suoi versi. Particolare è stata la sua figura perché ha
sofferto il problema dei tempi che cambiavano e mettevano in crisi i
valori della tradizione compresa quella artistica. Egli si è mostrato
convinto di essa, per lui arte ha continuato a significare una
dimensione diversa da quella comune, un’espressione capace di renderla
anche se le vedeva ormai superate. Nella raccolta di poesie
Quanto spera di campare Giovanni
del 1993 Giudici tratta in maniera evidente di tali problemi. Essa
viene dopo la seconda fase della sua produzione poetica, quella delle
raccolte Salutz e
Fortezza, dove l’eccessiva
cura dello stile oscura i contenuti. Questi, già comparsi nella prima
fase con le raccolte La
vita in versi, Autobiologia, Poesie scelte, Il male dei creditori, Il
ristorante dei morti, sarebbero stati sempre ripresi dal poeta.
Sarebbero stati quelli di Quanto
spera di campare Giovanni, avrebbero avuto un carattere
autobiografico, avrebbero detto, in un linguaggio dimesso, vicino alla
prosa, dell’autore che stenta ad adattarsi alla nuova realtà, ai nuovi
ambienti, ai nuovi costumi perché avevano reso l’uomo «senza storia», lo
avevano «ridotto, volente o nolente, a misurarsi con le cure quotidiane
di una casa della città del ‘miracolo’». Egli sente di essere diverso,
di recare in sé un messaggio e lo vuole comunicare anche senza sapere
del risultato. Farà poesia della sua vita pur vedendo ridotte le
possibilità di ottenere significati per sempre validi, di «campare» più
a lungo. Più volte è stato premiato Giudici poeta e nel
2000 nella serie “I Meridiani” della Mondadori
è avvenuta la pubblicazione dell’intera opera poetica. La sua rimane una delle ultime testimonianze di
un’epoca che è finita! |
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