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Problemi che non finiscono di Antonio Stanca Presso Iperborea, Milano, è comparso l’anno scorso, tradotto da Carmen Giorgetti Cima, “Il Decano”, romanzo dello scrittore svedese Lars Gustafsson, nato a Västeras nel 1936. Di formazione scientifica e filosofica il settantaduenne Gustafsson è autore di poesie, saggi filosofici, racconti e romanzi, ha ottenuto numerosi riconoscimenti, ha soggiornato per lavoro in diverse parti del mondo ed ora è rientrato in Svezia dopo essere vissuto per molti anni ad Austin, nel Texas, dove è stato docente universitario di Storia del pensiero europeo. “Il Decano”, la cui prima edizione risale al 2003, è l’ottavo romanzo del Gustafsson ed il terzo del suo ciclo americano. Il primo di questo, “Storia con cane “, è del 1993, il secondo, “Windy racconta”, del 1999. In verità fin dal 1974 lo scrittore si era cimentato, con “Il tennis, Strindberg e l’elefante”, nella rappresentazione di ambienti americani ma è soprattutto con la trilogia che egli dimostra come anche oltreoceano si agitino quelle tensioni esistenziali, quei problemi individuali e sociali propri della sua narrativa a partire dal 1966 col romanzo che lo aveva reso noto, “La vera storia del signor A.”. Le stranezze, i dubbi, le ossessioni, le crisi interiori di questo personaggio ritorneranno sempre nelle opere di Gustafsson, saranno i loro motivi ricorrenti. Inoltre nella trilogia americana ci saranno personaggi che si ripetono onde provare che i loro problemi sono così complicati da non poter essere risolti con facilità. Ne “ Il Decano” figura centrale è quella del dottissimo professor Paul Chapman dell’Università di Austin, nel Texas. E’ una figura comparsa nei due precedenti romanzi dove era stata diversamente collocata. Ora Chapman è il protagonista, è, appunto, il “decano” universitario intorno al quale si muovono tante persone e cose, dal quale dipendono tante situazioni, al quale spettano tante decisioni. Più vicino a lui è il dottor Spencer C. Spencer, da Chapman nominato “decano associato” e trasformato nel suo più importante interlocutore, nel suo confidente anche se mai per intero gli svelerà i suoi pensieri e propositi. Spencer dovrà sempre accorgersi di non sapere qualcosa circa il suo direttore, di non conoscerlo perfettamente. Perciò non riuscirà mai a parlare, pensare, fare con precisione di fronte alle sue osservazioni o deduzioni. Confuso, incerto rimarrà fino alla fine, non capirà il suo capo. Il loro è soprattutto un rapporto di parole, di dialoghi, con poche azioni ed in entrambi i casi Spencer si troverà a dipendere da Chapman, dai suoi discorsi, dai suoi gesti senza mai riuscire a chiarirseli completamente. Quanto ha fatto parte della vita di Chapman, la formazione culturale, la partecipazione alla guerra nel Vietnam, la conseguente mutilazione delle gambe, la carriera universitaria, risulta, nelle sue parole, privato di ogni senso o significato che vada oltre la contingenza se non addirittura attribuito a forze occulte, a destini segreti. Ad un’operazione di annullamento, di demolizione della realtà pare di assistere, ad un capovolgimento di ogni valore costituito, ad un fallimento esteso dalle esperienze di chi parla a tutto quanto è successo nella storia, nella geografia, nella cultura, nella scienza, nella religione, nella vita del passato più vicino o più lontano. Niente è valso e niente vale, secondo Chapman, non c’è stata e non c’è evoluzione, non si è capito e non si capisce perché, come vivere, se Dio esiste, cosa chiede, qual è il bene, il male, cos’è la regola, la colpa, il castigo. Se da un personaggio così colto come il “decano” provengono solo negazioni, per chi lo ascolta ed è alla ricerca di chiarimenti non rimane che fuggire prima di perdere quanto ancora pensa che valga. Così fa Spencer trasformandosi in uno dei tanti eroi che la letteratura decadente europea di quegli anni proponeva, in una figura, cioè, giunta ad una tale crisi spirituale da non saper più come uscirne. Spencer fugge da Austin, va ai margini del deserto e si propone di scrivere della sua esperienza, di farne un libro. Si rivelerà il personaggio-autore del romanzo, sarà l’interprete del Gustafsson “americano”, delle sue esperienze universitarie, delle sue invenzioni letterarie ma dimenticherà gli appunti dell’opera nel baule della macchina e quando saranno ritrovati da chi vuole curarne la stampa alcuni fogli si saranno guastati per l’umidità o risulteranno persi. Di tali parti mancanti si dirà nella narrazione ogni volta che ad esse si giungerà. E’ un espediente al quale Gustafsson ricorre per rendere frammentario il libro ed accrescere l’atmosfera di pathos già creata dalla continua alternanza di discorsi, argomenti, toni diversi, dai passaggi immediati, dai periodi brevissimi simili ad immagini improvvise ed interminabili. In una condizione di attesa è messo il lettore fin dall’inizio, in uno stato di sospensione dal quale neppure alla fine si libererà. |
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